http://www.corriere.it/esteri/12_agosto_02/siria-obama-autorizza-cia-aiutare-ribelli_58186ad4-dc77-11e1-8f5d-f5976b2b4869.shtml
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giovedì 2 agosto 2012
mercoledì 1 agosto 2012
In Siria «rinforzi» sunniti dall'estero
In Siria, tra gli oppositori del regime di Bashar Al Assad, sta combattendo un numero crescente di militanti stranieri del Jihad islamico.
Terrasanta.net | 1 agosto 2012
Guerriglieri fondamentalisti che provengono dalla Libia, dal Kuwait, dall’Arabia Saudita; ma anche dalla Gran Bretagna, dal Belgio e dagli Stati Uniti. Alcuni di loro possono vantare un curriculum da «professionisti» delle rivolte islamiche, essendo giunti in Siria dopo aver combattuto in Libia. Per tutti la motivazione religiosa è fondamentale; e la loro presenza sul campo, carica il conflitto siriano dei toni cupi della «guerra di religione», essendo i jihadisti sunniti ferocemente opposti agli alawiti di Assad.
L’allarme era stato lanciato nelle scorse settimane dall’Onu e dal governo iracheno che spiegava di come cellule di al Qaeda fossero penetrate in Siria dal confine con l’Iraq. Oggi documenta una storia simile un reportage ripreso a diversi quotidiani mediorientali, tra cui il Jordan Times di Amman.L’autore del reportage, Suleiman Al Khalidi dell’agenzia Reuters, racconta di aver incontrato al confine con la Turchia, due giovani, Abdullah Ben Shamar, studente saudita di 22 anni, e il suo amico libico Salloum, in procinto di entrare illegalmente in Siria per combattere. «È nostro dovere andare in Siria e difenderla dai tiranni alawiti che stanno massacrando il suo popolo», spiega Abdullah. Secondo lo studente, lui e il suo amico starebbero seguendo le orme dei loro antenati, che combatterono in schiere inviate dal profeta Maometto, all’alba dell’era musulmana, per liberare la grande Siria da quelli che consideravano come barbari bizantini. I barbari del Ventunesimo secolo, sostengono Abdullah e il suo amico, sono Assad e le sue coorti, espressione del governo della setta minoritaria degli alawiti. Gli estremisti sunniti, come i combattenti stranieri che in questo periodo si stanno recando in Siria, provano un odio viscerale per gli alawiti di Assad, che considerano alla stregua di infedeli, esattamente come gli sciiti dell’Iran che sostengono Assad.
«Finalmente la popolazione musulmana della Siria si è levata in piedi – dice Shamar – dopo che Assad e gli alawiti hanno saccheggiato il Paese con l’aiuto di hezbollah. I musulmani di tutto il mondo non possono rimanere senza far nulla per aiutare la rivolta». Abdullah e Salloum si sarebbero conosciuti in Gran Bretagna, ormai diversi anni fa, nella città di Brighton, dove si erano recati per frequentare un corso di lingua inglese.
Salloum, 24 anni, è uno studente dell’università di Tripoli, facoltà di Chimica, e ha combattuto in Libia, nella battaglia di Zawiya, vicino alla capitale, prima la caduta di Muammar Gheddafi. Essere in Siria rappresenta per lui un dovere religioso. «I nostri fratelli siriani hanno bisogno di tutto l’aiuto possibile – ha spiegato –, poiché a differenza della Libia, la comunità internazionale li ha abbandonati». Salloum, che desidererebbe unirsi alla Brigata Ahar Al Sham (la brigata «per la liberazione di Damasco», composta in gran parte da stranieri) sostiene che è una delle massime aspirazioni di un musulmano quella di partecipare al jihad.
Suleiman Al Khalidi, il giornalista autore del reportage, che è cittadino giordano, fu stato arrestato dalle forze di sicurezza siriane nel maggio 2011, mentre seguiva gli eventi della rivolta in atto nel Paese. Una volta liberato ha pubblicato la sua esperienza di prigioniero e le torture di cui è stato testimone.
Diversi comandanti del Libero esercito siriano in attività del Nord Ovest della Siria confermano che negli ultimi mesi molti militanti stranieri si sono uniti alle loro forze: vengono da Libia, Kuwait, Arabia Saudita; ma anche dalla Gran Bretagna, dal Belgio e dagli Stati Uniti. Diversi di loro sarebbero figli di siriani emigrati in Occidente perché oppositori della famiglia Assad. La maggioranza di questi combattenti stranieri si sarebbero concentrati nella provincia di Hama, nella Siria centrale, dove alcuni jihadisti più esperti, ex combattenti in Afghanistan, li starebbero formando alla guerriglia e all’uso delle armi. Se ad Hama - il maggior centro della rivolta contro Assad - i jihadisti sono centinaia, se ne trovano alcuni anche a Damasco, ma in numero troppo limitato per mettere in scacco l’esercito regolare.
http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=4132&wi_codseq=SI001 &language=it
PERCHE' PREGO PER LA SALVEZZA DI ASSAD
di Giovanni Lazzaretti
Caro Direttore,
è possibile la democrazia in un paese islamico? La risposta sarebbe stata banale, fino a qualche decennio fa; oggi non più. Bisogna infatti fare un passo indietro e chiedersi: cos’è la democrazia?
La democrazia secondo i nostri Padri Costituenti era più o meno: legge naturale universale + Costituzione che cerca di tradurre la legge naturale universale + rappresentanza parlamentare che cerca di legiferare secondo Costituzione e secondo legge naturale universale. Questo schema, pur con molte sbavature, definiva il “mondo occidentale”.
Da qualche decennio però sono apparsi gli “occidentalisti”. Gente che crede nella “democrazia procedurale”, dove la rappresentanza parlamentare genera le maggioranze, e le maggioranze decidono ciò che vogliono, anche contro la Costituzione e contro la legge naturale.
Torniamo quindi all’inizio. E’ possibile la democrazia in un paese islamico? Poiché l’islam non conosce la legge naturale universale, è ovvio che la democrazia del primo tipo non può esistere. Può esistere solo la democrazia procedurale. Quindi: elezioni, affermazione di una maggioranza islamica, introduzione della Shari’a più o meno mascherata. Democrazia procedurale che si trasforma in democrazia totalitaria, come direbbe Giovanni Paolo II.
Smettiamola quindi di parlare di “occidentali”: parliamo invece di “occidentali” (ossia “quelli della legge naturale”) e di “occidentalisti” (ossia “quelli della democrazia procedurale”). Questi ultimi si trovano benissimo con gli stati di matrice islamica, e meglio ancora con le monarchie assolute islamiche: condividono infatti con loro la negazione della legge naturale.
E così perché stupirsi se Arabia Saudita, Qatar e occidentalisti di varia matrice hanno lavorato assieme per distruggere le dittature laiche dell’Iraq e della Libia, e adesso lavorano per la distruzione della Siria?
Saddam e Gheddafi erano dittatori? Certamente. Assad è un dittatore? Certamente. Ma chi altri, se non un dittatore laico, può convincere un paese a maggioranza islamica a rinunciare alla Shari’a e a trattare con un certo rispetto la minoranza cristiana?
“Abbattere un dittatore” è una frase che ci riempie la bocca. Ma abbattere un dittatore attraverso ribelli infiltrati da ogni dove, estranei al paese “da liberare”, e posti sotto l’egida delle monarchie assolute della penisola arabica è una cosa che a un occidentale dovrebbe far venire il voltastomaco. Non agli “occidentalisti”, però.
Abbiamo già la Libia sulla coscienza, Libia dove alle recenti elezioni si poteva scegliere tra le tre correnti dei Fratelli Mussulmani, dei salafiti che vogliono un islam più puro, e degli islamo-affaristi, aperti alla Shari’a e ai buoni traffici. La liberazione delle donne attuata da Gheddafi, a breve diventerà un sogno: la Shari’a regnerà sovrana.
In Siria non sarà diverso. Salvo che in Siria i cristiani sono il 10% e le loro sofferenze sono e saranno immani con l’avanzata del “libero esercito” di matrice arabo-qatariota.
Per quali motivi una democrazia occidentale dovrebbe essere alleata delle monarchie assolute dell’Arabia Saudita, del Qatar e degli Emirati nel loro intento di ridisegnare la carta del Nord Africa e del Medio Oriente? Non c’è alcun motivo valido.
Da occidentale mi permetto quindi di avversare le monarchie assolute arabiche, di avversare gli occidentalisti che le appoggiano, e di pregare per la salvezza di Assad. Dittatore. Mussulmano. Ma non islamista.
Cordiali saluti
Giovanni Lazzaretti
http://www.riscossacristiana.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1728:perche-prego-per-la-salvezza-di-assad-di-giovanni-lazzaretti&catid=54:societa-civile-e-politica&Itemid=123
martedì 31 luglio 2012
Primi passi di pace in alcuni villaggi: l'opposizione rinuncia all’opzione militare. La TELETHON SAUDITA.
Accordo di pace a Qalamoun sulla linea tracciata a Roma dagli oppositori
Damasco (Agenzia Fides)- Nuovo successo dell’iniziativa “Mussalaha” (Riconciliazione) che si sta adoperando per dimostrare che esiste una “terza via” possibile, alternativa alla guerra e alle armi, quella della società civile.Secondo quanto riferiscono fonti locali all’Agenzia Fides, il 30 luglio è stato firmato un “accordo storico tra le forze dell’opposizione di Qalamoun e i rappresentanti di Mussalaha di Yabroud, Qâra, Nebek e Deir Atieh e dintorni”.
La regione di Qalamoun è un’area di altopiani situata tra Damasco ed Homs che comprende i villaggi cristiani di Maaloula (dove si continua a parlare l’aramaico, la lingua vernacolare di Gesù) e di Saydnaya (dove è collocato il Santuario della Madre di Dio) oltre agli antichi monasteri di Santa Tecla, Mar Touma, Mar Moussa e Mar Yakoub. La popolazione è in maggioranza sunnita ma vi è pure una forte presenza cristiana che è rispettata grazie ad un patto che risale di tempi di Saladino.
Da mesi diversi villaggi della regione, si erano proclamati "indipendenti" e avevano paralizzato le istituzioni statali (comuni, stazioni di polizia, tribunali) e della vita civile (con scioperi diffusi e permanenti). Questa fase di disobbedienza civile è stata accompagnata da una insurrezione armata con miliziani che attaccavano postazioni dell'esercito, ma anche alcuni civili ritenuti vicini al governo o troppo concilianti con il regime. Ai miliziani si sono aggiunte le bande criminali che hanno approfittato del disordine e della mancanza di sicurezza per rapire persone a scopo di estorsione ed effettuare rapine contro fabbriche, depositi, negozi.
L’accordo di ieri si unisce alla dichiarazione di Roma dei gruppi dell'opposizione riuniti dalla Comunità di Sant'Egidio. In base a tale accordo l'opposizione rinuncia all’opzione militare, e, quindi, vieta ai suoi membri di attaccare le forze governative, militari o di sicurezza e i civili. Essa depone le armi e rimette la sicurezza nelle mani dello Stato. Da parte sua il governo continua a dare alla popolazione civile la libertà di esprimersi democraticamente attraverso manifestazioni e sit-in .
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39627&lan=ita
In Arabia Saudita una raccolta fondi televisiva per i ribelli siriani
Per sostenere la rivolta contro il regime del presidente siriano Bashar al Assad, in Arabia Saudita hanno pensato di utilizzare un telethon, ovvero la modalità di raccolta fondi più televisiva e coinvolgente, inaugurata in Occidente diversi anni fa a scopo benefico e oggi piegata, in Medio Oriente, alla causa politica. Come riporta l’Agenzia di stampa saudita (Spa), si è concluso con una raccolta di 108 milioni di dollari (equivalenti a circa 88 milioni di euro) l’inedito telethon finalizzato al «soccorso al popolo siriano», promosso dal sovrano saudita Abdallah bin Abdul Aziz in persona.Inoltre ha espresso il proprio supporto ai ribelli siriani contro il regime di Assad. I sauditi recentemente avrebbero anche proposto di versare dei salari ai ribelli, in modo da incentivare la diserzione di soldati dell’esercito di Assad.
http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=4128&wi_codseq=SI001 &language=it
lunedì 30 luglio 2012
""Non mandate armi..." Gli appelli del patriarca di Antiochia e dell'arcivescovo di Aleppo
“Preghiera, preghiera, preghiera”: al telefono da Damasco Gregorios III
Laham, patriarca di Antiochia dei greco-melkiti, riferisce al Sir di
“una situazione tranquilla nella capitale, dove solo in lontananza si odono dei
colpi. Aleppo, invece, è un campo di battaglia. Quanto sta avvenendo lì è
terribile”. Con voce rotta dall’emozione il patriarca racconta che “le comunità
cristiane stanno abbastanza bene, i combattimenti avvengono lontano dal centro,
dove vive la maggior parte dei fedeli, in località periferiche e di campagna.
Sono in contatto con altri confratelli vescovi, oggi ad Aleppo c’è una riunione
con vescovi e laici che ha lo scopo di organizzare aiuti per non farsi trovare
impreparati se le cose dovessero volgere al peggio”. Sono tre giorni che
l’esercito siriano e i ribelli del Free Syrian Army (Fsa) si danno battaglia
nella più popolosa città della Siria e centro economico più rilevante. Secondo
la responsabile degli Affari Umanitari delle Nazioni Unite, Valerie Amos, nel
weekend sono scappate da Aleppo circa 200 mila persone dirette nei villaggi
vicini e in Turchia. Non si conosce, invece, il numero di coloro che sono
bloccati nei luoghi dove si combatte.
Le parole del Papa. A mitigare la pena del patriarca sono giunte le parole di Benedetto XVI ieri all’Angelus, da Castel Gandolfo: “Riceviamo molta forza dal Pontefice che ha detto di seguire con apprensione ‘i tragici e crescenti episodi di violenza in Siria con la triste sequenza di morti e feriti, anche tra i civili, e un ingente numero di sfollati interni e di rifugiati nei Paesi limitrofi’. La sua vicinanza ci conforta e c’incoraggia ad andare avanti a ricercare il dialogo tra le parti, per fermare le violenze e permettere il rientro e l’assistenza di sfollati e rifugiati. Il suo pressante appello, ‘perché si ponga fine ad ogni violenza e spargimento di sangue’ ha avuto una vasta eco nel Paese, tutti i media lo hanno ritrasmesso. Chi ha responsabilità, ricordava il Papa ieri, non deve lesinare sforzi per aprire un negoziato e lo stesso deve fare la comunità internazionale”. “Molto apprezzata” per Gregorios III, è stata anche la recente dichiarazione del Consiglio delle Conferenze episcopali europee (Ccee), in cui il presidente, card. Péter Erdő, e i due vicepresidenti, il card. Angelo Bagnasco e mons. Jozef Michalik, ribadivano la necessità di far “cessare tutte le ostilità, deporre le armi e intraprendere la via del dialogo, della riconciliazione e della pace”. “Siamo in pena per le sorti del nostro Paese – ammette Gregorios III – quando in alcuni Paesi occidentali si sente dire che il regime è alla fine, sta per crollare, questo non fa altro che accendere ulteriormente gli animi e rinfocolare il conflitto. Gli Usa, l’Europa, e gli altri Paesi devono fare più pressione non per favorire il regime o l’opposizione, ma per metterli entrambi seduti a un tavolo a cercare il dialogo e soluzioni pacifiche. Devono calmare gli animi e non scatenare vendette. Il regime è molto forte, come l’opposizione. Ciò che fa paura al popolo sono le bande di criminali che con rapimenti, omicidi, abusi e violenze seminano il panico. Un nostro sacerdote ha visto due suoi fratelli rapiti e da venti giorni non ha più notizie. Abbiamo paura di questa criminalità. La via negoziale è quella da intraprendere senza riserve. Musulmani e cristiani, insieme, devono impegnarsi in questa direzione. Il 1° agosto, i cristiani si uniranno nel digiuno ai musulmani, impegnati nel mese di Ramadan. Sarà per noi un digiuno in preparazione alla festa dell’Assunzione della beata Vergine Maria del 15 agosto e un momento di condivisione e preghiera per la Siria”.
Le parole del Papa. A mitigare la pena del patriarca sono giunte le parole di Benedetto XVI ieri all’Angelus, da Castel Gandolfo: “Riceviamo molta forza dal Pontefice che ha detto di seguire con apprensione ‘i tragici e crescenti episodi di violenza in Siria con la triste sequenza di morti e feriti, anche tra i civili, e un ingente numero di sfollati interni e di rifugiati nei Paesi limitrofi’. La sua vicinanza ci conforta e c’incoraggia ad andare avanti a ricercare il dialogo tra le parti, per fermare le violenze e permettere il rientro e l’assistenza di sfollati e rifugiati. Il suo pressante appello, ‘perché si ponga fine ad ogni violenza e spargimento di sangue’ ha avuto una vasta eco nel Paese, tutti i media lo hanno ritrasmesso. Chi ha responsabilità, ricordava il Papa ieri, non deve lesinare sforzi per aprire un negoziato e lo stesso deve fare la comunità internazionale”. “Molto apprezzata” per Gregorios III, è stata anche la recente dichiarazione del Consiglio delle Conferenze episcopali europee (Ccee), in cui il presidente, card. Péter Erdő, e i due vicepresidenti, il card. Angelo Bagnasco e mons. Jozef Michalik, ribadivano la necessità di far “cessare tutte le ostilità, deporre le armi e intraprendere la via del dialogo, della riconciliazione e della pace”. “Siamo in pena per le sorti del nostro Paese – ammette Gregorios III – quando in alcuni Paesi occidentali si sente dire che il regime è alla fine, sta per crollare, questo non fa altro che accendere ulteriormente gli animi e rinfocolare il conflitto. Gli Usa, l’Europa, e gli altri Paesi devono fare più pressione non per favorire il regime o l’opposizione, ma per metterli entrambi seduti a un tavolo a cercare il dialogo e soluzioni pacifiche. Devono calmare gli animi e non scatenare vendette. Il regime è molto forte, come l’opposizione. Ciò che fa paura al popolo sono le bande di criminali che con rapimenti, omicidi, abusi e violenze seminano il panico. Un nostro sacerdote ha visto due suoi fratelli rapiti e da venti giorni non ha più notizie. Abbiamo paura di questa criminalità. La via negoziale è quella da intraprendere senza riserve. Musulmani e cristiani, insieme, devono impegnarsi in questa direzione. Il 1° agosto, i cristiani si uniranno nel digiuno ai musulmani, impegnati nel mese di Ramadan. Sarà per noi un digiuno in preparazione alla festa dell’Assunzione della beata Vergine Maria del 15 agosto e un momento di condivisione e preghiera per la Siria”.
domenica 29 luglio 2012
Papa: Appello alla comunità internazionale per la pace in Siria
" Cari fratelli e sorelle, continuo a seguire con apprensione i tragici e crescenti episodi di violenza in Siria con la triste sequenza di morti e feriti, anche tra i civili, e un ingente numero di sfollati interni e di rifugiati nei Paesi limitrofi. Per questi chiedo che sia garantita la necessaria assistenza umanitaria e l’aiuto solidale. Nel rinnovare la mia vicinanza alla popolazione sofferente ed il ricordo nella preghiera, rinnovo un pressante appello, perché si ponga fine ad ogni violenza e spargimento di sangue. Chiedo a Dio la sapienza del cuore, in particolare per quanti hanno maggiori responsabilità, perché non venga risparmiato alcuno sforzo nella ricerca della pace, anche da parte della comunità internazionale, attraverso il dialogo e la riconciliazione, in vista di un’adeguata soluzione politica del conflitto. "
Castel Gandolfo (AsiaNews) - Nuovo accorato appello di Benedetto XVI per "i tragici e crescenti episodi di violenza in Siria con la triste sequenza di morti e feriti, anche tra i civili, e un ingente numero di sfollati interni e di rifugiati nei Paesi limitrofi". Alla fine dell'Angelus di oggi dal Palazzo apostolico di Castel Gandolfo, il papa ha detto che segue gli avvenimenti in Siria "con apprensione". "Chiedo a Dio - ha continuato il pontefice - la sapienza del cuore, in particolare per quanti hanno maggiori responsabilità, perché non venga risparmiato alcuno sforzo nella ricerca della pace, anche da parte della comunità internazionale, attraverso il dialogo e la riconciliazione, in vista di un'adeguata soluzione politica del conflitto".
Benedetto XVI ha anche ricordato la "cara Nazione irachena, colpita in questi ultimi giorni da numerosi e gravi attentati che hanno provocato molti morti e feriti. Possa questo grande Paese trovare la via della stabilità, della riconciliazione e della pace".
http://www.asianews.it/notizie-it/Papa:-Appello-alla-comunità-internazionale-per-la-pace-in-Siria-25413.html
“L’appello del Papa ha avuto ampia eco sui media siriani che lo hanno qualificato come un fattore positivo. Le parole di Benedetto XVI erano tra le due più importanti notizie riferite dai media locali” aggiunge Mons. Jeanbart.
“Anche la riunione dell’opposizione a Roma che ha lanciato appello alla pacificazione e al rifiuto della violenza è stata giudicata positivamente qui” afferma Mons. Jeanbart.
Per quanto riguarda la situazione di Aleppo, Mons. Jeanbart dice: “siamo molto preoccupati per quello che sta accedendo. Chiediamo a tutti di pregare per una soluzione di dialogo. Le diverse comunità cristiane di Aleppo (ortodossi, cattolici e protestanti) hanno deciso di unire le loro forze per venire incontro alle necessità dei profughi e di tutti coloro che si trovano in difficoltà”.
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39622&lan=ita
L'arcivescovo sottolinea che in questi giorni di guerra la popolazione ha paura e si sente impotente di fronte alle violenze in corso fra ribelli del Free Syrian Army ed esercito. Per i cristiani l'unico gesto che infonde ancora speranza è la preghiera. "Abbiamo chiesto ai nostri fedeli di fare digiuno - racconta - e di offrire le loro sofferenze per la pace e il dialogo".
http://www.asianews.it/notizie-it/Arcivescovo-armeno-di-Aleppo:-le-parole-del-Papa,-segno-di-speranza-per-tutti-i-siriani-25422.html
Castel Gandolfo (AsiaNews) - Nuovo accorato appello di Benedetto XVI per "i tragici e crescenti episodi di violenza in Siria con la triste sequenza di morti e feriti, anche tra i civili, e un ingente numero di sfollati interni e di rifugiati nei Paesi limitrofi". Alla fine dell'Angelus di oggi dal Palazzo apostolico di Castel Gandolfo, il papa ha detto che segue gli avvenimenti in Siria "con apprensione". "Chiedo a Dio - ha continuato il pontefice - la sapienza del cuore, in particolare per quanti hanno maggiori responsabilità, perché non venga risparmiato alcuno sforzo nella ricerca della pace, anche da parte della comunità internazionale, attraverso il dialogo e la riconciliazione, in vista di un'adeguata soluzione politica del conflitto".
Benedetto XVI ha anche ricordato la "cara Nazione irachena, colpita in questi ultimi giorni da numerosi e gravi attentati che hanno provocato molti morti e feriti. Possa questo grande Paese trovare la via della stabilità, della riconciliazione e della pace".
http://www.asianews.it/notizie-it/Papa:-Appello-alla-comunità-internazionale-per-la-pace-in-Siria-25413.html
“L’appello per la pace del Papa ha avuto ampia eco in Siria” dice l’Arcivescovo Metropolita di Aleppo per i Greco-cattolici
Damasco (Agenzia Fides)- “Siamo felici e ringraziamo il Santo Padre per l’appello alla pace in Siria lanciato all’Angelus di ieri” dice all’Agenzia Fides Sua Ecc. Mons. Jean-Clément Jeanbart, Arcivescovo Metropolita di Aleppo per i Greco-cattolici. “L’appello del Papa ha avuto ampia eco sui media siriani che lo hanno qualificato come un fattore positivo. Le parole di Benedetto XVI erano tra le due più importanti notizie riferite dai media locali” aggiunge Mons. Jeanbart.
“Anche la riunione dell’opposizione a Roma che ha lanciato appello alla pacificazione e al rifiuto della violenza è stata giudicata positivamente qui” afferma Mons. Jeanbart.
Per quanto riguarda la situazione di Aleppo, Mons. Jeanbart dice: “siamo molto preoccupati per quello che sta accedendo. Chiediamo a tutti di pregare per una soluzione di dialogo. Le diverse comunità cristiane di Aleppo (ortodossi, cattolici e protestanti) hanno deciso di unire le loro forze per venire incontro alle necessità dei profughi e di tutti coloro che si trovano in difficoltà”.
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39622&lan=ita
Arcivescovo armeno di Aleppo: le parole del Papa,
segno di speranza per tutti i siriani
Mons. Marayati, commenta il messaggio del pontefice al popolo siriano pronunciato ieri all'Angelus. I cattolici di Aleppo affrontano la guerra pregando e digiunando per il dialogo e la riconciliazione. Fonti di AsiaNews sottolineano le gravi condizioni della popolazione. Alto il rischio di una catastrofe umanitaria.
Aleppo (AsiaNews) - "La vicinanza del Santo Padre al popolo siriano ci
conforta e infonde speranza nei nostri cuori. Le sue parole richiamano tutti i
cattolici di Siria a pregare per la pace e per la riconciliazione fra sunniti e
alawiti". È quanto afferma ad AsiaNews mons. Boutros Marayati,
arcivescovo cattolico-armeno di Aleppo. Il prelato racconta che il messaggio
del Papa pronunciato ieri all'Angelus è già stato tradotto in arabo e nei
prossimi giorni sarà diffuso nelle varie parrocchie e diocesi del Paese.Mons. Marayati, commenta il messaggio del pontefice al popolo siriano pronunciato ieri all'Angelus. I cattolici di Aleppo affrontano la guerra pregando e digiunando per il dialogo e la riconciliazione. Fonti di AsiaNews sottolineano le gravi condizioni della popolazione. Alto il rischio di una catastrofe umanitaria.
L'arcivescovo sottolinea che in questi giorni di guerra la popolazione ha paura e si sente impotente di fronte alle violenze in corso fra ribelli del Free Syrian Army ed esercito. Per i cristiani l'unico gesto che infonde ancora speranza è la preghiera. "Abbiamo chiesto ai nostri fedeli di fare digiuno - racconta - e di offrire le loro sofferenze per la pace e il dialogo".
http://www.asianews.it/notizie-it/Arcivescovo-armeno-di-Aleppo:-le-parole-del-Papa,-segno-di-speranza-per-tutti-i-siriani-25422.html
sabato 28 luglio 2012
La battaglia di Damasco
La capitale siriana è stata il teatro di scontri violenti, parte di un piano che avrebbe dovuto portare alla caduta del governo Assad
di Mario Villani
di Mario Villani
Ore drammatiche quelle vissute a Damasco e in altre città siriane nelle ultime due settimane. Qualcuno (l'opposizione armata?, l'Arabia saudita?, la Turchia ed i paesi occidentali?) ha ritenuto che il regime baathista al potere da oltre cinquant'anni fosse ormai sufficentemente indebolito, molti reparti dell'esercito pronti alla defezione e lo stesso Presidente Bashar Assad sul procinto di cercarsi un esilio dorato in un paese estero ospitale. Questo “qualcuno” ha quindi ha dato il via libera ad una operazione che avrebbe dovuto far precipitare gli avvenimenti e che è stata denominata: “Vulcano a Damasco e terremoto sulla Siria”.
L'operazione si è articolata in tre momenti principali.
In primo luogo gli organizzatori si sono assicurati l'appoggio mediatico. Non solo tutti i media occidentali e delle petro-monarchie hanno cominciato a ripetere il mantra secondo cui Assad aveva i giorni contati ed il regime stava per crollare, ma si è anche cercato di impedire che si levassero voci contrarie. Sono stati infatti bloccati i server dell'agenzia ufficiale SANA e spento il segnale satellitare della televisione di Damasco. Sono addirittura stati lanciati falsi programmi sulle frequenze utilizzate da quest'ultima. E' un aspetto della guerra in Siria che diventerà sempre più importante nel futuro. Qualcosa del genere è già avvenuto durante la guerra in Libia ed ha contribuito non poco a demoralizzare i simpatizzanti di Gheddafi. Una psico-guerra che sarà una componente essenziale di tutti i conflitti del futuro anche al di fuori dello scenario mediorientale.
Sul terreno poi l'operazione è stata preparata con cura. Appoggiandosi a simpatizzanti locali e facendo filtrare in Damasco centinaia di combattenti i capi dell'ELS (la principale formazione armata anti-regime)) hanno creato una fitta rete di rifugi e basi nei principali quartieri della capitale sirana. Damasco, lo dico per coloro che non l'hanno mai vista, ha un'estensione enorme in quanto le abitazioni sono prevalentemente a due o massimo tre piani e vi sono pochissimi grossi edifici. Non è quindi impossibile sfuggire al controllo delle Forze dell'Ordine e creare numerose piccole aree di fatto controllate da gruppi armati. L'operazione ha sicuramente richiesto alcuni mesi e forse per questo la città aveva goduto, nelle settimane precedenti, di una relativa calma. Il 18 luglio colonne di guerriglieri – molti dei quali non siriani – hanno attraversato i confini provenienti da Libano, Giordania e Iraq e si sono diretti verso Damasco dove le formazioni già presenti avevano in quelle ore scatenato una violenta offensiva che coinvolgeva praticamente tutti i quartieri della città con attacchi a posti di polizia, edifici governativi e caserme. Nelle stesse ore i movimenti di opposizione armata lanciavano un appello alla popolazione perchè scendesse in strada ovunque ad appoggiare l'insurrezione, circondando le caserme e impedendo i movimenti delle truppe con sit in e blocchi stradali.
Durante le ore convulse dei combattimenti strada per strada nella capitale siriana avveniva poi l'episodio che, secondo le previsioni di qualcuno, avrebbe dovuto avviare il definitivo disfacimento del regime di Assad. Una bomba è stata fatta esplodere nella sede nel Quartier Generale delle Forze di Sicurezza uccidendo il Ministro della Difesa il cristiano Generale Dawjiah ed il suo vice Affez Shawkat cognato dello stesso Presidente Assad. Nell'attentato trovavano la morte anche altri esponenti del regime e secondo alcune voci, poi smentite, veniva ferito lo stesso Assad. La perfezione tecnica dell'operazione ha subito indotto molti osservatori - soprattutto russi - a ritenere che l'attentato non fosse stato opera dei rivoltosi, da sempre piuttosto approssimativi dal punto di vista tecnico, ma di servizi segreti stranieri, probabilmente sauditi e qatarioti, forse con l'appoggio della CIA.
venerdì 27 luglio 2012
DALLA SIRIA APPELLO A TUTTA LA STAMPA CRISTIANA: NON SOSTENETE LA RIBELLIONE VIOLENTA!
Quello che noi chiediamo, se l’Occidente, i cristiani d’Occidente, se i Paesi di
buona volontà vogliono aiutarci, che spingano per il dialogo e per l’intesa, ad
un compromesso; in altri termini, che sostengano la missione Annan con tutte le
loro forze, che tentino di fare in modo che gli scontri e i conflitti finiscano
e al contempo non incoraggino e non stimolino la violenza e l’odio, quanto
piuttosto tentino di richiamare alla calma e alla ragione. (mons. Jean-Clément Jeanbart)
http://www.radiovaticana.org/it1/Articolo.asp?c=608327
“Urge fermare tutte le azioni ostili, provenienti da ogni parte”: è l’appello lanciato a tutte le parti coinvolte nel conflitto siriano, in Siria e all’estero, da Sua Beatitudine il Patriarca Ignazio IV di Antiochia, Primate della Chiesa greco-ortodosso di Antiochia e di tutto l'Oriente, che risiede a Damasco.
Nel testo del messaggio, inviato all’Agenzia Fides, il Patriarca Ignazio afferma: “Un incalcolabile numero di arabi musulmani e cristiani, uomini, donne e bambini, cadono vittime delle bombe ogni giorno. Gli ospedali sono pieni di feriti il gemito umano è divenuto continuo e ininterrotto”. Come arabi della Siria, “a prescindere dalla nostra religione, noi abbiamo il diritto di vivere in pace nel nostro paese”, prosegue, notando che “in quindici mesi, abbiamo perso innumerevoli persone, molti emigrati e profughi hanno lasciato le loro patria per altri paesi. I nostri cristiani hanno perso i loro villaggi, le città, le loro proprietà, le loro chiese e le loro famiglie sotto le macerie della lotta”. Il Primate ortodosso conclude: “Invitiamo tutti i siriani, in nome dell'unico vero Dio, a decidere di vivere insieme nella nostra patria benedetta Auspichiamo che tutte le organizzazioni internazionali ci aiutino a garantire la pace, la stabilità e la riconciliazione”. (PA) (Agenzia Fides 27/7/2012)
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39611&lan=ita
L’opposizione siriana apre al dialogo: “Non è troppo tardi per salvare il nostro paese. Pur riconoscendo il diritto dei cittadini alla legittima difesa, ribadiamo che le armi non sono la soluzione. Occorre rifiutare la violenza e lo scivolamento verso la guerra civile perché mettono a rischio lo stato, l’identità e la sovranità nazionale”: così recita il messaggio diffuso da un gruppo di esponenti dell’opposizione siriana, riuniti a Roma in un incontro organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio. Il gruppo, guidato da Abdulaziz Alkhayer del “National Coordination Body” e formato da sedici rappresentanti dei partiti dell’opposizione siriana, ha diffuso un appello che invita tutte le parti coinvolte a trovare “una soluzione pacifica al conflitto siriano” tramite un “patto nazionale comune”.
“Sappiamo che la Siria, luogo di convivenza di religioni e di popoli diversi, corre oggi un rischio mortale che incrina l’unità del popolo, i suoi diritti e la sovranità dello stato”, recita il Documento finale, inviato all’Agenzia Fides. Le potenze straniere, si afferma, non devono “incitare alla militarizzazione” mentre si invita l’Esercito Siriano Libero a “partecipare a un processo politico per giungere a una Siria pacifica, sicura e democratica”.
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39612&lan=ita
Il dialogo al centro della richiesta degli
esponenti siriani riuniti oggi dalla Comunità di Sant'Egidio
leggi l'appello su SIR
http://www.agensir.it/pls/sir/v4_s2doc_b.servizi?tema=Anticipazioni&argomento=dettaglio&id_oggetto=244444
http://www.radiovaticana.org/it1/Articolo.asp?c=608327
“Urge fermare tutte le azioni ostili, provenienti da ogni parte”: è l’appello lanciato a tutte le parti coinvolte nel conflitto siriano, in Siria e all’estero, da Sua Beatitudine il Patriarca Ignazio IV di Antiochia, Primate della Chiesa greco-ortodosso di Antiochia e di tutto l'Oriente, che risiede a Damasco.
Nel testo del messaggio, inviato all’Agenzia Fides, il Patriarca Ignazio afferma: “Un incalcolabile numero di arabi musulmani e cristiani, uomini, donne e bambini, cadono vittime delle bombe ogni giorno. Gli ospedali sono pieni di feriti il gemito umano è divenuto continuo e ininterrotto”. Come arabi della Siria, “a prescindere dalla nostra religione, noi abbiamo il diritto di vivere in pace nel nostro paese”, prosegue, notando che “in quindici mesi, abbiamo perso innumerevoli persone, molti emigrati e profughi hanno lasciato le loro patria per altri paesi. I nostri cristiani hanno perso i loro villaggi, le città, le loro proprietà, le loro chiese e le loro famiglie sotto le macerie della lotta”. Il Primate ortodosso conclude: “Invitiamo tutti i siriani, in nome dell'unico vero Dio, a decidere di vivere insieme nella nostra patria benedetta Auspichiamo che tutte le organizzazioni internazionali ci aiutino a garantire la pace, la stabilità e la riconciliazione”. (PA) (Agenzia Fides 27/7/2012)
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39611&lan=ita
L’opposizione siriana apre al dialogo: “Non è troppo tardi per salvare il nostro paese. Pur riconoscendo il diritto dei cittadini alla legittima difesa, ribadiamo che le armi non sono la soluzione. Occorre rifiutare la violenza e lo scivolamento verso la guerra civile perché mettono a rischio lo stato, l’identità e la sovranità nazionale”: così recita il messaggio diffuso da un gruppo di esponenti dell’opposizione siriana, riuniti a Roma in un incontro organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio. Il gruppo, guidato da Abdulaziz Alkhayer del “National Coordination Body” e formato da sedici rappresentanti dei partiti dell’opposizione siriana, ha diffuso un appello che invita tutte le parti coinvolte a trovare “una soluzione pacifica al conflitto siriano” tramite un “patto nazionale comune”.
“Sappiamo che la Siria, luogo di convivenza di religioni e di popoli diversi, corre oggi un rischio mortale che incrina l’unità del popolo, i suoi diritti e la sovranità dello stato”, recita il Documento finale, inviato all’Agenzia Fides. Le potenze straniere, si afferma, non devono “incitare alla militarizzazione” mentre si invita l’Esercito Siriano Libero a “partecipare a un processo politico per giungere a una Siria pacifica, sicura e democratica”.
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39612&lan=ita
Siria. L’opposizione a Roma da S. Egidio “Tacciano le armi, trattiamo con Assad" in La Repubblica del 27 luglio 12
No alla violenza del regime e dei ribelli, sì a una immediata soluzione politica che faccia uscire la Siria dalla sua drammatica spirale di violenza. È l’appello di 17 importanti esponenti dell’opposizione siriana scaturito ieri da un’iniziativa della Comunità di Sant’Egidio a Roma. L’appello è stato firmato da ben 11 sigle di opposizione e della società civile che operano in Siria (tra cui il Consiglio di Coordinamento Nazionale, il Forum Democratico e la Coalizione Watan) e che, raggruppando diversità religiose ed etniche, hanno un dogma in comune: «Le armi non sono la soluzione».
L'appello di Roma
leggi l'appello su SIR
http://www.agensir.it/pls/sir/v4_s2doc_b.servizi?tema=Anticipazioni&argomento=dettaglio&id_oggetto=244444
giovedì 26 luglio 2012
Un articolo illuminante sulle forze in gioco e i consigli degli esperti di politica internazionale...
Al-Qaeda alleato dei ribelli islamici nella lotta
contro Assad
Foto, video e rivendicazioni di attentati confermano la presenza di centinaia di miliziani sul territorio siriano. La maggior parte proviene da Paesi esteri, fra cui Russia, Somalia e Mali. Organizzazione britannica per la difesa lancia l'ipotesi di un colpo di Stato militare guidato dai Paesi occidentali.
Damasco (AsiaNews/ Agenzie) - Nel nord ovest della Siria i ribelli che lottano contro il regime di Assad hanno trovato un alleato di eccezione: al-Qaeda e centinaia di islamisti provenienti da Paesi stranieri. Gli Stati più rappresentativi sono Iraq, Libia, Egitto, Afghanistan. Ma vi sono anche militanti da Russia (Cecenia), Ucraina, Mali e Somalia. La presenza degli estremisti è confermata da diversi video apparsi su siti jihadisti, che mostrano uomini con il volto coperto che inneggiano alla guerra santa mostrando fucili mitragliatori, bombe e sventolando la bandiera nera di al-Qaeda. In un filmato apparso nei giorni scorsi e postato su Youtube una voce fuori campo grida "stiamo formando cellule di kamikaze per continuare la guerra santa in nome di Dio".
A tutt'oggi l'opposizione nega la presenza di gruppi estremisti islamici fra le sue fila, ma secondo gli esperti i confini con Turchia e Iraq sono diventati dei veri e propri centri di raccolta per miliziani di tutto il mondo islamico sunnita. Alcuni hanno definito lo scenario siriano "un magnete" per al-Qaeda e i suoi affiliati. Testimoni raccontano che a Bab al-Hawa, posto di blocco sul confine turco, centinaia di stranieri sono entrati in questi giorni per sostenere l'esercito libero siriano nella battaglia di Aleppo. Ciò che spinge queste persone ad attraversare l'Asia o il Nord Africa, non è il desiderio di democrazia, ma la punizione esemplare dei "nusayrs" (eretici) nome dispregiativo per definire gli alawiti, la setta sciita di Bashar al-Assad.
L'aumento dei combattimenti nella provincia settentrionale di Aleppo ha attirato in questi giorni centinaia di jihadisti provenienti dall'Iraq. La conferma giunge anche da una recente indagine del governo iracheno, secondo cui i militanti operativi sul territorio siriano fanno parte dello stesso gruppo che ha rivendicato gli attentati che hanno sconvolto l'Iraq in questi ultimi mesi. "Le nostre liste di sospetti - afferma Izzar al-Shahbandar, consulente del primo ministro - combaciano con quelle delle autorità siriane". Le foto comparse su alcuni forum legati ad al-Qaeda mostrano anche gruppi di veterani della guerra in Libia. Secondo Naharnet, agenzia libanese, in alcune appaiono uomini vestiti di nero che brandiscono uno striscione con scritto: "I rivoluzionari della brigata di Tripoli". La conferma di una frenetica attività degli estremisti islamici sul suolo siriano giunge dal numero di attentati rivendicati dalla stessa al-Qaeda. Da dicembre il sono almeno 35 gli attentati con autobombe e 10 gli attentati suicidi avvenuti sul suolo siriano. Di questi 4 sono stati rivendicati dal "Fronte Nusra" di Al Qaeda.
La presenza di gruppi jihadisti fra l'esercito libero siriano ha sollevato molte polemiche anche sul piano diplomatico. Ieri Sergey Lavrov, ministro degli Esteri russo, ha accusato gli Stati Uniti di sostenere con la sua politica anti Asssasd i ribelli islamici. Egli ha criticato la posizione di Susan Rice, ambasciatore Usa all'Onu, che non ha condannato l'attentato di Damasco dello scorso 18 luglio costato la vita a diversi membri di spicco del regime, chiedendo invece l'imposizione di nuove sanzioni.
Intanto, si fa sempre più strada l'ipotesi di un intervento armato per deporre il presidente Assad. Uno studio del Royal United Services Institute (RUSI), organizzazione britannica specializzata in questioni di politica internazionale e difesa, avverte su un probabile scontro fra gruppi sunniti sostenuti da Arabia Saudita e altri Stati arabi e milizie sciite, fra cui Hezbollah ed esercito regolare siriano, appoggiati dall'Iran. A ciò si aggiunge la minaccia delle armi chimiche in mano al regime siriano. La presenza di armi chimiche preoccupa Israele che ha già iniziato a distribuire maschere anti-gas nelle città al confine con la Siria. Nei giorni scorsi Shimon Peres, presidente israeliano, ha dichiarato che il probabile utilizzo di armi non convenzionali da parte del regime di Damasco mette a serio rischio la sicurezza di Israele. In caso di una caduta del regime, Peres teme il potenziale trasferimento di armi pesanti o chimiche dell'arsenale siriano agli integralisti sciiti libanesi di Hezbollah o all'Iran, ma anche il furto da parte di gruppi islamici legati ad al-Qaeda.
Secondo Michael Clarke, responsabile del Rusi, un intervento militare dell'occidente è necessario prima che la guerra degeneri. "Non siamo noi che ci stiamo muovendo verso l'intervento - afferma - ma è l'intervento stesso che si muove verso di noi". Clarke sostiene che gli eventi degli ultimi giorni hanno creato un cambiamento radicale nella situazione che allontana la possibilità di una soluzione diplomatica del conflitto". Il responsabile del Rusi consiglia l'intervento di forze speciali sul territorio a sostegno dei gruppi ribelli, già utilizzate in Afghanistan nel 2001 e in Libia nel 2011. Tali operazioni potrebbero anche includere un colpo di stato contro il regime.
http://www.asianews.it/notizie-it/Al-Qaeda-alleato-dei-ribelli-islamici-nella-lotta-contro-Assad-25392.html
Foto, video e rivendicazioni di attentati confermano la presenza di centinaia di miliziani sul territorio siriano. La maggior parte proviene da Paesi esteri, fra cui Russia, Somalia e Mali. Organizzazione britannica per la difesa lancia l'ipotesi di un colpo di Stato militare guidato dai Paesi occidentali.
Damasco (AsiaNews/ Agenzie) - Nel nord ovest della Siria i ribelli che lottano contro il regime di Assad hanno trovato un alleato di eccezione: al-Qaeda e centinaia di islamisti provenienti da Paesi stranieri. Gli Stati più rappresentativi sono Iraq, Libia, Egitto, Afghanistan. Ma vi sono anche militanti da Russia (Cecenia), Ucraina, Mali e Somalia. La presenza degli estremisti è confermata da diversi video apparsi su siti jihadisti, che mostrano uomini con il volto coperto che inneggiano alla guerra santa mostrando fucili mitragliatori, bombe e sventolando la bandiera nera di al-Qaeda. In un filmato apparso nei giorni scorsi e postato su Youtube una voce fuori campo grida "stiamo formando cellule di kamikaze per continuare la guerra santa in nome di Dio".
A tutt'oggi l'opposizione nega la presenza di gruppi estremisti islamici fra le sue fila, ma secondo gli esperti i confini con Turchia e Iraq sono diventati dei veri e propri centri di raccolta per miliziani di tutto il mondo islamico sunnita. Alcuni hanno definito lo scenario siriano "un magnete" per al-Qaeda e i suoi affiliati. Testimoni raccontano che a Bab al-Hawa, posto di blocco sul confine turco, centinaia di stranieri sono entrati in questi giorni per sostenere l'esercito libero siriano nella battaglia di Aleppo. Ciò che spinge queste persone ad attraversare l'Asia o il Nord Africa, non è il desiderio di democrazia, ma la punizione esemplare dei "nusayrs" (eretici) nome dispregiativo per definire gli alawiti, la setta sciita di Bashar al-Assad.
L'aumento dei combattimenti nella provincia settentrionale di Aleppo ha attirato in questi giorni centinaia di jihadisti provenienti dall'Iraq. La conferma giunge anche da una recente indagine del governo iracheno, secondo cui i militanti operativi sul territorio siriano fanno parte dello stesso gruppo che ha rivendicato gli attentati che hanno sconvolto l'Iraq in questi ultimi mesi. "Le nostre liste di sospetti - afferma Izzar al-Shahbandar, consulente del primo ministro - combaciano con quelle delle autorità siriane". Le foto comparse su alcuni forum legati ad al-Qaeda mostrano anche gruppi di veterani della guerra in Libia. Secondo Naharnet, agenzia libanese, in alcune appaiono uomini vestiti di nero che brandiscono uno striscione con scritto: "I rivoluzionari della brigata di Tripoli". La conferma di una frenetica attività degli estremisti islamici sul suolo siriano giunge dal numero di attentati rivendicati dalla stessa al-Qaeda. Da dicembre il sono almeno 35 gli attentati con autobombe e 10 gli attentati suicidi avvenuti sul suolo siriano. Di questi 4 sono stati rivendicati dal "Fronte Nusra" di Al Qaeda.
La presenza di gruppi jihadisti fra l'esercito libero siriano ha sollevato molte polemiche anche sul piano diplomatico. Ieri Sergey Lavrov, ministro degli Esteri russo, ha accusato gli Stati Uniti di sostenere con la sua politica anti Asssasd i ribelli islamici. Egli ha criticato la posizione di Susan Rice, ambasciatore Usa all'Onu, che non ha condannato l'attentato di Damasco dello scorso 18 luglio costato la vita a diversi membri di spicco del regime, chiedendo invece l'imposizione di nuove sanzioni.
Intanto, si fa sempre più strada l'ipotesi di un intervento armato per deporre il presidente Assad. Uno studio del Royal United Services Institute (RUSI), organizzazione britannica specializzata in questioni di politica internazionale e difesa, avverte su un probabile scontro fra gruppi sunniti sostenuti da Arabia Saudita e altri Stati arabi e milizie sciite, fra cui Hezbollah ed esercito regolare siriano, appoggiati dall'Iran. A ciò si aggiunge la minaccia delle armi chimiche in mano al regime siriano. La presenza di armi chimiche preoccupa Israele che ha già iniziato a distribuire maschere anti-gas nelle città al confine con la Siria. Nei giorni scorsi Shimon Peres, presidente israeliano, ha dichiarato che il probabile utilizzo di armi non convenzionali da parte del regime di Damasco mette a serio rischio la sicurezza di Israele. In caso di una caduta del regime, Peres teme il potenziale trasferimento di armi pesanti o chimiche dell'arsenale siriano agli integralisti sciiti libanesi di Hezbollah o all'Iran, ma anche il furto da parte di gruppi islamici legati ad al-Qaeda.
Secondo Michael Clarke, responsabile del Rusi, un intervento militare dell'occidente è necessario prima che la guerra degeneri. "Non siamo noi che ci stiamo muovendo verso l'intervento - afferma - ma è l'intervento stesso che si muove verso di noi". Clarke sostiene che gli eventi degli ultimi giorni hanno creato un cambiamento radicale nella situazione che allontana la possibilità di una soluzione diplomatica del conflitto". Il responsabile del Rusi consiglia l'intervento di forze speciali sul territorio a sostegno dei gruppi ribelli, già utilizzate in Afghanistan nel 2001 e in Libia nel 2011. Tali operazioni potrebbero anche includere un colpo di stato contro il regime.
http://www.asianews.it/notizie-it/Al-Qaeda-alleato-dei-ribelli-islamici-nella-lotta-contro-Assad-25392.html
Dove è la verità? media e la violenza: la televisione di Agnès-Mariam de la Croix
“Con questa violenza non avremo neanche un grammo di libertà”. A dirlo, nel
corso dell’incontro che si è tenuto ieri pomeriggio nella sala Metodista di
Roma, è stata madre Agnès-Mariam de la Croix, religiosa
palestinese che vive in Siria, superiora del monastero Deir Mar Yacoub a Qara,
nel governatorato di Homs.
La convivenza, “successo sociale che viene dal cuore”. “Vivo in Siria dal 1994, e la Siria, sotto il regime di Assad, aveva una sicurezza invidiabile, certamente per la repressione, ma anche per il tessuto sociale che viveva secondo un’alleanza, rispettando un patto. Che non è frutto di nessun regime, ma è esso stesso fondamento e sostegno del governo”, racconta la religiosa carmelitana, che da mesi aiuta le vittime civili del conflitto e sostiene la causa del negoziato e della pace. “Damasco è la capitale più antica del mondo abitato, e la Siria è fatta da molte entità etniche, confessionali e razziali. Il problema della convivenza - spiega - non è politico, ma sociale: se una persona accetta l’altro non viene siglato un accordo politico, ma un successo sociale che viene dal cuore. Non è stabilito da nessun regime, ma dalle persone”. Oggi le grandi potenze hanno deciso di “fermare questo regime dimenticando il patto sociale che è origine e forza della convivenza nella società. Come se la Siria - prosegue - fosse un minorenne incapace di decidere per sé, e avesse bisogno di una nutrice. Intromettersi così nella vita di una popolazione è contro la legge delle Nazioni Unite: una nazione autonoma e indipendente ha diritto di scegliere per sé stessa la realtà e il futuro. È a causa dell’ingerenza degli altri - sottolinea - che la Siria vive una fase di drammatica fatica”.
Se “il mondo racconta tutta un’altra storia”. E i mass media, secondo madre Agnès-Mariam, hanno grosse responsabilità: “Pensano a fare titoli altisonanti: indipendenza, libertà, democrazia. Tutti i mezzi di comunicazione del pianeta formano una sola voce per convincere che la realtà è quella che dicono loro. Ma è tutta una bugia, una manipolazione mediatica”, afferma. La verità “non è quella degli schermi tv o delle pagine dei giornali. Ci sono giornalisti che ammettono di non poter raccontare quello che vedono. C’è in atto un’influenza totalitaria per fare di tutti noi un solo pensiero. Certo, noi tutti vogliamo che i siriani vivano in democrazia, ma secondo una loro scelta. E comunque questa guerra non è per la democrazia, ma per il gas. La Siria è più ricca di quanto si pensi, vicino al nostro monastero hanno scoperto uno dei giacimenti più grandi. Come religiosa – aggiunge - credo nella liberazione spirituale, nella possibilità di lottare per la libertà. Credo sia un dovere aiutare un povero che vuole la sua autonomia e non la avrà perché il mondo racconta tutta un’altra storia. Credo che bisogna essere testimoni veri della sfida del popolo vittima degli attentati”.
“Viviamo in una menzogna grandissima”. Madre Agnès-Mariam riferisce di aver visto con i suoi occhi “centinaia di civili uccisi da forze armate dell’opposizione. I banditi li prendono in ostaggio, e i mercenari provenienti da Libano e Giordania invadono le zone residenziali di Damasco: questo è contrario alla Convenzione di Ginevra, ma in migliaia entrano senza permesso, per fare la guerra. In quarantotto ore un milione di persone sono state costrette a fuggire da un quartiere ad un altro. Non sono i ribelli che posizionano cariche da un chilo e mezzo di dinamite, sono forze ben più potenti a farlo”. In grande pericolo, oggi, è la città di Aleppo: “non ha voluto partecipare a tutti questi mesi di sollevazione. Ma dal nord, vicino al confine con la Turchia, arrivano mercenari tunisini, libici, arabi, pakistani, libanesi, sudanesi e afghani: i mercenari vengono per distruggere, non sono certo un esercito di liberazione. Viviamo in una menzogna grandissima - aggiunge - dove si pagano migliaia di dollari perché ciascuno di noi ci creda. Ringrazio Dio che ogni giorno persone libere si alzano per dire quello che non è vero”. Il 90% del Consiglio nazionale siriano, che riunisce gran parte dei gruppi di opposizione, “non viene in Siria da trenta o più anni”. Quanto a Paesi come l’Arabia Saudita e il Qatar, che appoggiano i ribelli, la superiora riflette: “La libertà non esiste in Arabia Saudita: io sono forse libera di andare in giro col mio abito, e con questa mia croce? Come è possibile che questo Paese, allora, dia orientamenti sul cambiamento della Siria? Come è possibile che lo faccia il Qatar, che ha solo pochi anni?”.
Un cammino verso la verità. “Mussalaha”, che vuol dire “riconciliazione”, è un movimento siriano nato dall’impegno della società civile e raccoglie aderenti di ogni etnia, fede e credo politico. Madre Agnès-Mariam, che sostiene il progetto, è fiduciosa: “spero nell’inizio della riconciliazione nazionale, nel rifiuto dell’uso delle armi. La speranza, oggi, per la Siria, è tutta riposta nel popolo siriano stesso, abituato a vivere nella diversità. Non è necessario insegnare ai cristiani d’Oriente come dialogare con l’Islam, perché questo accade da secoli”. Oggi i cristiani hanno paura che la tragedia di Homs si ripeta, ma “dire che sono stati appoggiati e privilegiati dal governo è una calunnia”, sostiene la religiosa, “perché, ad esempio, ogni imam veniva pagato dallo Stato, mentre i ministri di culto cristiani no. E poi nella Siria secolare i cristiani non hanno gli stessi diritti dei musulmani: un cristiano può convertirsi all’Islam, ma un musulmano non può essere registrato come cristiano”. Ad ogni modo la violenza, conclude la madre superiora, “non è un mezzo per fare niente, nemmeno in Siria. C’è un cammino da fare, certo. Ma poco alla volta la verità sarà più forte”.
http://www.agensir.it/pls/sir/v3_s2doc_a.a_autentication?target=3&tema=Anticipazioni&oggetto=244407&rifi=guest&rifp=guest
Radio Vaticana: Testimonianze di pace dalla Siria: l'esperienza della suora carmelitana Agnes- Mariam de la Croix
Mentre in Siria divampa la guerra c'è chi non si scoraggia e continua ad operare per la pace, come suor Agnes-Mariam de la Croix, carmelitana e superiora del monastero di Deir Mar Yocoub di Qara, nel governatorato di Homs. La religiosa è sostenitrice dell’iniziativa "Mussalaha" per la "Riconciliazione" che opera partendo dal basso della società siriana. Al microfono di Salvatore Sabatino suor Agnes-Mariam racconta un’altra iniziativa interreligiosa, di sostegno ai musulmani, promossa proprio nel suo monastero in occasione del Ramadan:
...
D. – Dunque, il potere del dialogo può far terminare le violenze. Come si immagina il futuro della Siria?
R. – Nous croyons en la Résurrection, nous croyons dans le Christ Sauveur…
http://www.radiovaticana.org/it1/Articolo.asp?c=607976
La convivenza, “successo sociale che viene dal cuore”. “Vivo in Siria dal 1994, e la Siria, sotto il regime di Assad, aveva una sicurezza invidiabile, certamente per la repressione, ma anche per il tessuto sociale che viveva secondo un’alleanza, rispettando un patto. Che non è frutto di nessun regime, ma è esso stesso fondamento e sostegno del governo”, racconta la religiosa carmelitana, che da mesi aiuta le vittime civili del conflitto e sostiene la causa del negoziato e della pace. “Damasco è la capitale più antica del mondo abitato, e la Siria è fatta da molte entità etniche, confessionali e razziali. Il problema della convivenza - spiega - non è politico, ma sociale: se una persona accetta l’altro non viene siglato un accordo politico, ma un successo sociale che viene dal cuore. Non è stabilito da nessun regime, ma dalle persone”. Oggi le grandi potenze hanno deciso di “fermare questo regime dimenticando il patto sociale che è origine e forza della convivenza nella società. Come se la Siria - prosegue - fosse un minorenne incapace di decidere per sé, e avesse bisogno di una nutrice. Intromettersi così nella vita di una popolazione è contro la legge delle Nazioni Unite: una nazione autonoma e indipendente ha diritto di scegliere per sé stessa la realtà e il futuro. È a causa dell’ingerenza degli altri - sottolinea - che la Siria vive una fase di drammatica fatica”.
Se “il mondo racconta tutta un’altra storia”. E i mass media, secondo madre Agnès-Mariam, hanno grosse responsabilità: “Pensano a fare titoli altisonanti: indipendenza, libertà, democrazia. Tutti i mezzi di comunicazione del pianeta formano una sola voce per convincere che la realtà è quella che dicono loro. Ma è tutta una bugia, una manipolazione mediatica”, afferma. La verità “non è quella degli schermi tv o delle pagine dei giornali. Ci sono giornalisti che ammettono di non poter raccontare quello che vedono. C’è in atto un’influenza totalitaria per fare di tutti noi un solo pensiero. Certo, noi tutti vogliamo che i siriani vivano in democrazia, ma secondo una loro scelta. E comunque questa guerra non è per la democrazia, ma per il gas. La Siria è più ricca di quanto si pensi, vicino al nostro monastero hanno scoperto uno dei giacimenti più grandi. Come religiosa – aggiunge - credo nella liberazione spirituale, nella possibilità di lottare per la libertà. Credo sia un dovere aiutare un povero che vuole la sua autonomia e non la avrà perché il mondo racconta tutta un’altra storia. Credo che bisogna essere testimoni veri della sfida del popolo vittima degli attentati”.
“Viviamo in una menzogna grandissima”. Madre Agnès-Mariam riferisce di aver visto con i suoi occhi “centinaia di civili uccisi da forze armate dell’opposizione. I banditi li prendono in ostaggio, e i mercenari provenienti da Libano e Giordania invadono le zone residenziali di Damasco: questo è contrario alla Convenzione di Ginevra, ma in migliaia entrano senza permesso, per fare la guerra. In quarantotto ore un milione di persone sono state costrette a fuggire da un quartiere ad un altro. Non sono i ribelli che posizionano cariche da un chilo e mezzo di dinamite, sono forze ben più potenti a farlo”. In grande pericolo, oggi, è la città di Aleppo: “non ha voluto partecipare a tutti questi mesi di sollevazione. Ma dal nord, vicino al confine con la Turchia, arrivano mercenari tunisini, libici, arabi, pakistani, libanesi, sudanesi e afghani: i mercenari vengono per distruggere, non sono certo un esercito di liberazione. Viviamo in una menzogna grandissima - aggiunge - dove si pagano migliaia di dollari perché ciascuno di noi ci creda. Ringrazio Dio che ogni giorno persone libere si alzano per dire quello che non è vero”. Il 90% del Consiglio nazionale siriano, che riunisce gran parte dei gruppi di opposizione, “non viene in Siria da trenta o più anni”. Quanto a Paesi come l’Arabia Saudita e il Qatar, che appoggiano i ribelli, la superiora riflette: “La libertà non esiste in Arabia Saudita: io sono forse libera di andare in giro col mio abito, e con questa mia croce? Come è possibile che questo Paese, allora, dia orientamenti sul cambiamento della Siria? Come è possibile che lo faccia il Qatar, che ha solo pochi anni?”.
Un cammino verso la verità. “Mussalaha”, che vuol dire “riconciliazione”, è un movimento siriano nato dall’impegno della società civile e raccoglie aderenti di ogni etnia, fede e credo politico. Madre Agnès-Mariam, che sostiene il progetto, è fiduciosa: “spero nell’inizio della riconciliazione nazionale, nel rifiuto dell’uso delle armi. La speranza, oggi, per la Siria, è tutta riposta nel popolo siriano stesso, abituato a vivere nella diversità. Non è necessario insegnare ai cristiani d’Oriente come dialogare con l’Islam, perché questo accade da secoli”. Oggi i cristiani hanno paura che la tragedia di Homs si ripeta, ma “dire che sono stati appoggiati e privilegiati dal governo è una calunnia”, sostiene la religiosa, “perché, ad esempio, ogni imam veniva pagato dallo Stato, mentre i ministri di culto cristiani no. E poi nella Siria secolare i cristiani non hanno gli stessi diritti dei musulmani: un cristiano può convertirsi all’Islam, ma un musulmano non può essere registrato come cristiano”. Ad ogni modo la violenza, conclude la madre superiora, “non è un mezzo per fare niente, nemmeno in Siria. C’è un cammino da fare, certo. Ma poco alla volta la verità sarà più forte”.
http://www.agensir.it/pls/sir/v3_s2doc_a.a_autentication?target=3&tema=Anticipazioni&oggetto=244407&rifi=guest&rifp=guest
Radio Vaticana: Testimonianze di pace dalla Siria: l'esperienza della suora carmelitana Agnes- Mariam de la Croix
Mentre in Siria divampa la guerra c'è chi non si scoraggia e continua ad operare per la pace, come suor Agnes-Mariam de la Croix, carmelitana e superiora del monastero di Deir Mar Yocoub di Qara, nel governatorato di Homs. La religiosa è sostenitrice dell’iniziativa "Mussalaha" per la "Riconciliazione" che opera partendo dal basso della società siriana. Al microfono di Salvatore Sabatino suor Agnes-Mariam racconta un’altra iniziativa interreligiosa, di sostegno ai musulmani, promossa proprio nel suo monastero in occasione del Ramadan:
...
D. – Dunque, il potere del dialogo può far terminare le violenze. Come si immagina il futuro della Siria?
R. – Nous croyons en la Résurrection, nous croyons dans le Christ Sauveur…
http://www.radiovaticana.org/it1/Articolo.asp?c=607976
mercoledì 25 luglio 2012
Aleppo paralizzata dai combattimenti, i cristiani nel terrore
“Da due giorni Aleppo è paralizzata dai combattimenti. La situazione è molto grave. Sentiamo di continuo spari. La gente è chiusa in casa, gli uffici sono chiusi, le attività commerciali ferme. Gli scontri si stanno avvicinando ai quartieri cristiani e sarebbe un grave pericolo per i fedeli. La gente non vuole la guerra e la violenza: il mondo ci aiuti a ritrovare la pace!”: è l’accorata testimonianza rilasciata all’Agenzia Fides da p. Jules Baghdassarian, sacerdote greco-cattolico di Aleppo e Direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie (POM) in Siria.
Il Direttore dice a Fides: “I combattenti dell’Esercito Libero Siriano vogliono prendere il cuore di Aleppo e nel cuore ci sono le chiese e le case dei cristiani. Le bande armate rivoluzionarie sono in prevalenza islamiste, abbiamo testimoni oculari di ciò, e i cristiani hanno paura di subire violenze. La gente di Aleppo non vuole la rivoluzione, ama la pace. Famiglie cristiane e musulmane sono stanche della violenza, perché la vita è diventata molto dura nell’ultimo anno”.
Anche dal punto di vista umanitario la situazione è critica: “Abbiamo già molti rifugiati giunti da Homs” prosegue. “Come Pontificie Opere Missionarie abbiamo accolto e stiamo provvedendo all’assistenza di 30 famiglie di Homs. Le chiese sono molto impegnate per l’aiuto umanitario ai rifugiati, che continuano ad aumentare. Abbiamo grande bisogno di aiuti”.
“I Vescovi cattolici – riferisce p. Jules – si incontreranno domani nell’Arcivescovado greco-cattolico e credo che lanceranno un appello per il cessate-il-fuoco e la pace. Pensiamo che la politica debba fare qualcosa per la pace e la riconciliazione. Come cristiani, la nostra speranza è la riconciliazione. Chiediamo alla comunità internazionale e all’Unione Europea di aiutarci a ritrovare la pace, non di fomentare la guerra!”. (PA) (Agenzia Fides 25/7/2012)
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39594&lan=ita
Il Direttore dice a Fides: “I combattenti dell’Esercito Libero Siriano vogliono prendere il cuore di Aleppo e nel cuore ci sono le chiese e le case dei cristiani. Le bande armate rivoluzionarie sono in prevalenza islamiste, abbiamo testimoni oculari di ciò, e i cristiani hanno paura di subire violenze. La gente di Aleppo non vuole la rivoluzione, ama la pace. Famiglie cristiane e musulmane sono stanche della violenza, perché la vita è diventata molto dura nell’ultimo anno”.
Anche dal punto di vista umanitario la situazione è critica: “Abbiamo già molti rifugiati giunti da Homs” prosegue. “Come Pontificie Opere Missionarie abbiamo accolto e stiamo provvedendo all’assistenza di 30 famiglie di Homs. Le chiese sono molto impegnate per l’aiuto umanitario ai rifugiati, che continuano ad aumentare. Abbiamo grande bisogno di aiuti”.
“I Vescovi cattolici – riferisce p. Jules – si incontreranno domani nell’Arcivescovado greco-cattolico e credo che lanceranno un appello per il cessate-il-fuoco e la pace. Pensiamo che la politica debba fare qualcosa per la pace e la riconciliazione. Come cristiani, la nostra speranza è la riconciliazione. Chiediamo alla comunità internazionale e all’Unione Europea di aiutarci a ritrovare la pace, non di fomentare la guerra!”. (PA) (Agenzia Fides 25/7/2012)
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39594&lan=ita
martedì 24 luglio 2012
INCONTRO CON UNA TESTIMONE D'ECCEZIONE
Incontro con Madre Agnes-Mariam de la Croix, testimone della tragedia siriana. Roma, 25 luglio, ore 18. ALLA SALA METODISTA, VIA FIRENZE... 38
La Rete No War ROMA, a sostegno dell'iniziativa siriana MUSSALAHA (Riconciliazione dal basso), sta organizzando per il 25 luglio, la visita a Roma di madre Agnès-Mariam de la Croix, religiosa palestinese che vive con religiosi di dieci paesi nel monastero Deir Mar Yacoub a Qara (governatorato di Homs) e da mesi aiuta le vittime civili del conflitto e la causa del negoziato e della pace. Ha anche fondato nell'ambito della diocesi di Homs un centro di informazione, Vox Clamantis.
La Madre, come molti altri religiosi, non si schiera politicamente. ma certo è impegnata sia contro la fortissima propaganda mediatica, sia per il cessate il fuoco. Sostiene l'iniziativa di riconciliazione dal basso Mussalaha che a Homs ha ottenuto la liberazione di molte famiglie e che in altre città - ora anche in Damasco - organizza incontri contro la violenza, per la riconciliazione e perché i cittadini siriani possano esprimersi sul proprio futuro, senza ingerenze e pressioni da parte di Paesi stranieri.
Adesso sembrano parlare solo le armi, degli uni e degli altri.
Fonte: Rete No War
La Rete No War ROMA, a sostegno dell'iniziativa siriana MUSSALAHA (Riconciliazione dal basso), sta organizzando per il 25 luglio, la visita a Roma di madre Agnès-Mariam de la Croix, religiosa palestinese che vive con religiosi di dieci paesi nel monastero Deir Mar Yacoub a Qara (governatorato di Homs) e da mesi aiuta le vittime civili del conflitto e la causa del negoziato e della pace. Ha anche fondato nell'ambito della diocesi di Homs un centro di informazione, Vox Clamantis.
La Madre, come molti altri religiosi, non si schiera politicamente. ma certo è impegnata sia contro la fortissima propaganda mediatica, sia per il cessate il fuoco. Sostiene l'iniziativa di riconciliazione dal basso Mussalaha che a Homs ha ottenuto la liberazione di molte famiglie e che in altre città - ora anche in Damasco - organizza incontri contro la violenza, per la riconciliazione e perché i cittadini siriani possano esprimersi sul proprio futuro, senza ingerenze e pressioni da parte di Paesi stranieri.
Adesso sembrano parlare solo le armi, degli uni e degli altri.
Fonte: Rete No War
Per denunciare la situazione dei Cristiani in Siria e la difficile temperie, ignorata a livello mediatico, che quel paese sta attraversando.
Madre Agnès-Mariam de la Croix, è una religiosa Carmelitana che respinge ogni violenza, sia che provenga dal regime siriano o dagli insorti. “Se continua così, temo il peggio” non fa che ripetere. Intanto la Lega araba ha deciso al Cairo di continuare e rafforzare la missione degli osservatori, mentre ogni giorno si segnalano morti e scontri fra gruppi armati.Questa donna coraggiosa ha scelto di battersi sui due fronti. Cerca di denunciare sia la disinformazione grave di cui si rendono colpevoli alcuni media, che informano sulla rivoluzione, e la barbarie del sistema che i siriani cercano di rovesciare. Questa neutralità è una posizione difficile da mantenere, e Agnès-Mariam è accusata da alcuni di fare il gioco della dittatura, accusa che rigetta totalmente.
Lei prevede un avvenire piuttosto cupo. Vuole credere che grazie al vento delle riforme ufficiali che soffia, qualche cosa possa muoversi. Ma ciò di cui è testimone adesso è la tormenta. Dopo aver accompagnato più di 16 giornalisti un po’ dappertutto in Siria, dopo aver visitato l’inferno di Homs, dove ha passato una nottata nei quartieri sunniti del centro, ostaggio delle bande armate, teme il peggio. La religiosa, che si dice “la voce di quelli che non hanno né voce né padrini internazionali” si rattrista perché il biasimo internazionale si dirige solo a una delle parti in conflitto e trascura l’altra. La violenza non è unilaterale, vuole sottolineare. “Questa violenza barbara e cieca che colpisce il popolo siriano è il primo nemico della rivoluzione e la migliore alleata di ogni dittatura”.
http://chiesaepostconcilio.blogspot.it/2012/07/cristianofobia-islamista-in-siria-madre.html
lunedì 23 luglio 2012
Gruppi islamisti in azione a Damasco: le vittime sono civili cristiani e profughi iracheni
Gruppi islamisti radicali, nelle file dei rivoluzionari, seminano il terrore fra i civili a Damasco A farne le spese sono tutti coloro che sono considerati “lealisti”, fedeli al regime di Bashar al Assad. Fra le vittime, riferiscono fonti di Fides a Damasco, vi sono anche dei cristiani del sobborgo di Bab Touma e i profughi iracheni che occupavano i sobborghi di Oujaira e Sada Zanaim.
Il gruppo ribelle islamista “Liwa al-Islam” (“La Brigata dell’Islam”), che nei giorni scorsi ha rivendicato l’uccisione di alti generali del governo Assad, questa mattina ha ucciso una intera famiglia cristiana a Bab Touma. Fra i fedeli locali, racconta un fonte di Fides, c’è costernazione e sdegno per l’assalto ai civili indifesi. I militanti di “Liwa al-Islam” hanno bloccato l'auto di un cristiano, Nabil Zoreb, pubblico ufficiale civile, hanno fatto scendere dall’auto lui, sua moglie Violet e due figli, George e Jimmy, uccidendoli tutti a bruciapelo. I militanti del gruppo sono molto attivi soprattutto nella regione di Duma e in altre zone a Est di Damasco, dove hanno compiuto altri atti criminali.
Inoltre nel Sudest di Damasco, combattenti islamisti del gruppo “Jehad al nosra”, vicini alla Fratellanza musulmana, hanno attaccato le case dei profughi iracheni, saccheggiandole, bruciandole e costringendo i loro occupanti a fuggire. L’assalto è stato riportata anche dai mass media occidentali, come la BBC. Secondo i profughi iracheni, “bande di terroristi musulmani ci hanno attaccato e inseguito”. La maggior parte delle bande che operano nel Sudest di Damasco sono considerate vicine alla Fratellanza musulmana, mentre i membri del gruppo “Liwa al Islam” sono di ideologia wahhabita.(Agenzia Fides 23/7/2012)
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39578&lan=ita
I cristiani, epicentro della solidarietà per gli sfollati interni di Damasco
Sono le comunità cristiane e i comitati locali del movimento interreligioso “Mussalaha” (“Riconciliazione”) l’epicentro delle iniziative di solidarietà in una Damasco dove la popolazione vive terrorizzata, perché ha visto “la guerra arrivare sotto casa”. Secondo fonti attendibili di Fides, sono circa 200mila gli sfollati interni di Damasco, che si sono spostati da un quartiere all’altro della città o nei diversi sobborghi, per sfuggire ai combattimenti. I gruppi rivoluzionari, infatti, stanno prendendo posizione in quartieri, edifici, abitazioni dei civili che si ritrovano, dunque, in mezzo al fuoco incrociato.
In questo immane spostamento di famiglie, donne anziani e bambini, i quartieri in prevalenza cristiani di Jaramana, Qassaa e Bab Touma sono divenuti oasi di accoglienza e solidarietà, senza distinzione di etnia, comunità o religione. I giovani cristiani coordinano l’accoglienza dei nuovi sfollati dirottandoli in posti disponibili come scuole, chiese, moschee, edifici pubblici. I primi aiuti umanitari arrivano grazie a una rete di organizzazioni cristiane come la Caritas Siria, il “Middle East Council of Churches”, il Patriarcato Greco-ortodosso, la Comunità di Sant’Egidio.
I giovani stanno anche provvedendo a servizi pubblici basilari, in una città paralizzata: ad esempio, data la temperatura di oltre 42 gradi, i cumuli di immondizia per le strade costituiscono un grave pericolo per la salute pubblica, così alla loro raccolta stanno provvedendo i volontari.
Con loro vi sono i rappresentati dei Comitati locali del movimento interreligioso “Mussalaha”, che promuove non violenza e riconciliazione. Il Movimento ha tenuto nei giorni scorsi un incontro a Damasco, ribadendo che lealisti o ribelli possono entrare a far parte del movimento, con l’unica condizione di rinunciare alle armi. La riconciliazione, si afferma, si può costruire a partire delle famiglie, dalle tribù, dai clan, dalle comunità che si incontrano e si riconoscono reciprocamente.
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39580&lan=ita
Il gruppo ribelle islamista “Liwa al-Islam” (“La Brigata dell’Islam”), che nei giorni scorsi ha rivendicato l’uccisione di alti generali del governo Assad, questa mattina ha ucciso una intera famiglia cristiana a Bab Touma. Fra i fedeli locali, racconta un fonte di Fides, c’è costernazione e sdegno per l’assalto ai civili indifesi. I militanti di “Liwa al-Islam” hanno bloccato l'auto di un cristiano, Nabil Zoreb, pubblico ufficiale civile, hanno fatto scendere dall’auto lui, sua moglie Violet e due figli, George e Jimmy, uccidendoli tutti a bruciapelo. I militanti del gruppo sono molto attivi soprattutto nella regione di Duma e in altre zone a Est di Damasco, dove hanno compiuto altri atti criminali.
Inoltre nel Sudest di Damasco, combattenti islamisti del gruppo “Jehad al nosra”, vicini alla Fratellanza musulmana, hanno attaccato le case dei profughi iracheni, saccheggiandole, bruciandole e costringendo i loro occupanti a fuggire. L’assalto è stato riportata anche dai mass media occidentali, come la BBC. Secondo i profughi iracheni, “bande di terroristi musulmani ci hanno attaccato e inseguito”. La maggior parte delle bande che operano nel Sudest di Damasco sono considerate vicine alla Fratellanza musulmana, mentre i membri del gruppo “Liwa al Islam” sono di ideologia wahhabita.(Agenzia Fides 23/7/2012)
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39578&lan=ita
I cristiani, epicentro della solidarietà per gli sfollati interni di Damasco
Sono le comunità cristiane e i comitati locali del movimento interreligioso “Mussalaha” (“Riconciliazione”) l’epicentro delle iniziative di solidarietà in una Damasco dove la popolazione vive terrorizzata, perché ha visto “la guerra arrivare sotto casa”. Secondo fonti attendibili di Fides, sono circa 200mila gli sfollati interni di Damasco, che si sono spostati da un quartiere all’altro della città o nei diversi sobborghi, per sfuggire ai combattimenti. I gruppi rivoluzionari, infatti, stanno prendendo posizione in quartieri, edifici, abitazioni dei civili che si ritrovano, dunque, in mezzo al fuoco incrociato.
In questo immane spostamento di famiglie, donne anziani e bambini, i quartieri in prevalenza cristiani di Jaramana, Qassaa e Bab Touma sono divenuti oasi di accoglienza e solidarietà, senza distinzione di etnia, comunità o religione. I giovani cristiani coordinano l’accoglienza dei nuovi sfollati dirottandoli in posti disponibili come scuole, chiese, moschee, edifici pubblici. I primi aiuti umanitari arrivano grazie a una rete di organizzazioni cristiane come la Caritas Siria, il “Middle East Council of Churches”, il Patriarcato Greco-ortodosso, la Comunità di Sant’Egidio.
I giovani stanno anche provvedendo a servizi pubblici basilari, in una città paralizzata: ad esempio, data la temperatura di oltre 42 gradi, i cumuli di immondizia per le strade costituiscono un grave pericolo per la salute pubblica, così alla loro raccolta stanno provvedendo i volontari.
Con loro vi sono i rappresentati dei Comitati locali del movimento interreligioso “Mussalaha”, che promuove non violenza e riconciliazione. Il Movimento ha tenuto nei giorni scorsi un incontro a Damasco, ribadendo che lealisti o ribelli possono entrare a far parte del movimento, con l’unica condizione di rinunciare alle armi. La riconciliazione, si afferma, si può costruire a partire delle famiglie, dalle tribù, dai clan, dalle comunità che si incontrano e si riconoscono reciprocamente.
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39580&lan=ita
sabato 21 luglio 2012
Una preghiera per la pace in Siria: sosteniamola!
Una preghiera per la pace in Siria
Nella loro esortazione di giovedì 19 luglio 2012, i vescovi europei si sono dichiarati contrari alla scalata di violenza che sta scuotendo la Siria: «Questo conflitto non può portare che dolore, distruzione e gravi conseguenze per il popolo siriano. La guerra è una via senza uscita. La felicità non può che essere raggiunta insieme, e mai attraverso la prevaricazione degli uni contro gli altri».
Inoltre, nella sua dichiarazione, il Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa sottolinea quanto segue: «La nostra fede ci spinge a sperare che sia possibile una soluzione del conflitto giusta e costruttiva, rispettosa degli interessi di tutti. È necessario trovare, ora più che mai, lo spazio per un dialogo di pace; non è mai troppo tardi per capirsi l’un l’altro, per negoziare e costruire insieme un avvenire comune».
Nel corso delle ultime settimane, in seguito al profilarsi della catastrofe umanitaria, Aiuto alla Chiesa che Soffre ha assegnato alla Caritas Siriana ed ai cristiani di Homs un aiuto economico d’emergenza di importo pari a 130.000 euro. Sono inoltre previste altre misure d’aiuto.
http://acs-italia.org/notizie-dal-mondo/una-preghiera-per-la-pace-in-siria/
Agenzia Fides 21/7/2012
Una suora di Damasco: “Preghiamo che tutto finisca, non abbiamo fiducia nella rivoluzione”
I profughi continuano a bussare alla porta del Santuario di Tabbaleh, dedicato alla Conversione di San Paolo, a Damasco. I frati francescani della Custodia di Terrasanta e le Suore Francescane Missionarie del Cuore Immacolato di Maria, che gestiscono la Chiesa, hanno accolto stabilmente otto famiglie e provvedono al sostentamento di altre 45 famiglie, cristiane e musulmane. Sono i rifugiati di Damasco, i civili vittime degli scontri fra forze dell’esercito regolare e gruppi rivoluzionari che negli ultimi giorni hanno messo a ferro e fuoco la città.
“Camminiamo con speranza e cerchiamo di consolare tutti, in queste ore tragiche”, dice a Fides p. Romualdo Fernandez OFM, Rettore del Santuario, informando che una folla di persone viene ogni giorno a pregare nella Chiesa, e si formano spontanei cenacoli di cristiani e musulmani che pregano insieme per la pace e chiedono la protezione a Dio e alla Vergine Maria.
Suor Yola, siriana, una delle religiose francescane che ogni giorno aiutano le famiglie dei profughi, racconta a Fides: “Stiamo facendo del nostro meglio per aiutare la famiglie di sfollati. La gente piange e spera in tempi migliori. Il costo della vita è altissimo, non si trovano medicinali, l’impatto dell’embargo che subiamo è tutto sulla popolazione civile e sui più poveri. Speriamo e preghiamo perché questa sofferenza finisca presto. Non abbiamo alcuna fiducia in questi cosiddetti ‘rivoluzionari”. Quali sono i rivoluzionari che fanno del male al popolo? Hanno danneggiato tutti, cristiani e musulmani, tante famiglie che hanno perso tutto”.
“In queste azioni armate e in questa sofferenza – prosegue la suora – la religione non c’entra. Con i musulmani abbiamo sempre vissuto fianco a fianco e continueremo a farlo. Il governo siriano finora è stato laico, ha garantito alla Siria sicurezza e stabilità. Oggi abbiamo solo disordine, insicurezza, caos, sofferenza. E cosa sarà domani? Ma sappiamo, come cristiani, che Dio ci protegge e la nostra speranza è viva. E, come cristiani, abbiamo una certezza: non abbandoneremo mai la Siria”.
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39570&lan=ita
giovedì 19 luglio 2012
ATTENTATO TERRORISTICO A DAMASCO: rivendicazioni e considerazioni
Attentato a Damasco, uccisi i vertici della Difesa
L’attentato è stato rivendicato su Facebook da un gruppo islamico ribelle, Liwa al-Islam (La brigata dell’Islam). Un portavoce ha confermato la rivendicazione anche per telefono. Ma contemporaneamente anche il Libero esercito siriano si è assunto la responsabilità dell’azione, attraverso un portavoce. Secondo una fonte della sicurezza siriana, l’attentatore era una guardia del corpo del gruppo dirigente vicino ad Assad.
In Siria sta vincendo il più spregiudicato
da "Vietato Parlare"
E’ digustoso sentire ancora dire che in Siria c’è la guerra civile! Non c’è un popolo che è insorto, ci sono uomini sanguinari che altrove sono chiamati terroristi ma in quella terra no, sono combattenti della libertà. Altrove rapiscono persone come la Urru e giustamente oggi esultiamo che sia stata liberata. Tuttavia il rapimento ed il terrore è stato per mesi il metodo dell’esercito libero siriano che oggi ha rivendicato l’attentato, e nessuno ha parlato, no, si è sanzionato un intero popolo, si è affamato un intero popolo, centinaia di persone innocenti sono state uccise e terrorizzate, ciononostante la comunità internazionale appoggia e legittima chi ha fatto tutto questo, chi ha sprofondato un paese nell’anarchia e nel contrario della democrazia. I metodi e le azioni sono le stesse di chi ha fatto crollare le torri gemelle l’11 settembre. Come si può dire che dopo tutto questo le mani saranno pulite per realizzare la democrazia? Come si può dire che il cuore pieno di odio potrà essere guidato da pensieri nobili per il bene comune?
http://www.vietatoparlare.it/2012/07/18/in-siria-sta-vincendo-il-piu-spregiudicato/
da Avvenire 19 luglio
DICHIARAZIONE DELLA PRESIDENZA CCEE
SULLA SITUAZIONE IN SIRIA
L’attentato è stato rivendicato su Facebook da un gruppo islamico ribelle, Liwa al-Islam (La brigata dell’Islam). Un portavoce ha confermato la rivendicazione anche per telefono. Ma contemporaneamente anche il Libero esercito siriano si è assunto la responsabilità dell’azione, attraverso un portavoce. Secondo una fonte della sicurezza siriana, l’attentatore era una guardia del corpo del gruppo dirigente vicino ad Assad.
In Siria sta vincendo il più spregiudicato
da "Vietato Parlare"
E’ digustoso sentire ancora dire che in Siria c’è la guerra civile! Non c’è un popolo che è insorto, ci sono uomini sanguinari che altrove sono chiamati terroristi ma in quella terra no, sono combattenti della libertà. Altrove rapiscono persone come la Urru e giustamente oggi esultiamo che sia stata liberata. Tuttavia il rapimento ed il terrore è stato per mesi il metodo dell’esercito libero siriano che oggi ha rivendicato l’attentato, e nessuno ha parlato, no, si è sanzionato un intero popolo, si è affamato un intero popolo, centinaia di persone innocenti sono state uccise e terrorizzate, ciononostante la comunità internazionale appoggia e legittima chi ha fatto tutto questo, chi ha sprofondato un paese nell’anarchia e nel contrario della democrazia. I metodi e le azioni sono le stesse di chi ha fatto crollare le torri gemelle l’11 settembre. Come si può dire che dopo tutto questo le mani saranno pulite per realizzare la democrazia? Come si può dire che il cuore pieno di odio potrà essere guidato da pensieri nobili per il bene comune?
http://www.vietatoparlare.it/2012/07/18/in-siria-sta-vincendo-il-piu-spregiudicato/
da Avvenire 19 luglio
La minoranza alawita e i cristiani a rischio. La svolta violenta a Damasco Scenari inquietanti per il dopo Assad di Riccardo Redaelli
Le volute di fumo nero
che si sono alzate ieri dal centro di Damasco raccontano meglio di tante parole
la trasformazione dello scenario siriano e l’inizio di una nuova fase della
guerra civile nel Paese. Colpito al cuore il regime con l’uccisione di ministri
e parenti dello stesso presidente Assad, portata la rivolta nelle strade della
capitale, indebolita la rete di sostegno del sistema di potere alawita con la
fuga di altri generali, da ieri Assad è più fragile. Aumenta concretamente il
rischio di una implosione totale del suo sistema di potere. La natura del
sanguinoso attentato dimostra come i sedici mesi di rivolte abbiano fiaccato il
regime, assottigliando le forze di cui può effettivamente disporre, creato
varchi negli asfissianti sistemi di controllo e repressione, generato dubbi e
distinguo fra le fazioni al potere. I margini di manovra per il presidente si
riducono, tanto più se si considera la natura particolare del suo regime, che
non è tanto legato al partito ba’th, quanto alla piccola minoranza alawita, che
in questi decenni ha occupato tutti i gangli e gli interstizi del potere. In
molti, all’interno del regime, stanno probabilmente rimpiangendo di non aver mai
aperto dei canali con l’opposizione, quando ciò ancora era possibile. Ma
l’aumento delle violenze, il degenerare degli scontri in vera guerra civile, il
tipo di attacchi che ricorda sempre più le violenze jihadiste che per anni hanno
insanguinato l’Iraq, testimoniano anche la trasformazione del fronte di
opposizione ad Assad, la sua militarizzazione e radicalizzazione. In uno
scenario di questo tipo, appare pericolosamente illusorio pensare che la caduta
dell’attuale crudele regime possa portare a una transizione tutto sommato
indolore, in cui i partiti liberali siano in grado di traghettare il Paese verso
un modello democratico. A giocare un ruolo sempre maggiore sembrano i movimenti
sunniti radicali sostenuti – e armati – dai Paesi arabi del Golfo, attivissimi
in tutto il Medio Oriente post primavera araba nel dare appoggio ai salafiti,
cioè ai peggiori rappresentanti dell’islam. Molte delle forze che combattono
Assad dimostrano una violenza e una ferocia che spinge i gruppi lealisti a
resistere a ogni costo, dato che l’alternativa sembra quella di rassegnarsi a
subire una ritorsione brutale. E non si tratta solo degli alawiti. La Siria è
una nazione plurale e composita, in cui le diverse confessioni cristiane hanno
giocato un ruolo importante a ogni livello: basti pensare a Michel Aflaq, il
fondatore del nazionalismo pan-arabo. Ebbene, le incertezze e i timori per il
futuro stanno spingendo molti cristiani a cercare di lasciare il Paese. Ancora
una volta, come già in Iraq e come forse in Egitto, essi rischiano di vestire
gli scomodi panni dei vasi di coccio stritolati fra opposti estremismi. Il
rinvio della votazione all’Onu sul caso siriano, richiesta dallo stesso inviato
Kofi Annan, è stata una conseguenza ovvia, dato che la Russia, tanto più dopo
questo attentato, avrebbe osteggiato ogni risoluzione. Ma posporre semplicemente
la discussione non cambierebbe granché. E tempo invece di guardare a quanto
avviene in Siria con prospettiva meno dicotomica (buoni da una parte, cattivi
dall’altra) di quanto fatto finora, in particolar modo a Washington. Non si
tratta certo di difendere un governo criminale o immaginare un futuro politico
per un dittatore come Assad, ma tentare di rileggere la realtà siriana alla luce
dei mille disastri che abbiamo dovuto affrontare in Medio Oriente, dalla
tragedia irachena, al fallimento afghano, al pasticcio libico, all’anarchia
perdurante da vent’anni in Somalia. Abbattere con la violenza un dittatore,
sostenere una parte contro l’altra in una guerra civile, tanto più in società
plurali o frammentate, espone al rischio concreto di una violenza settaria che
trascina quel paese – e la sua regione – nel caos. Una Siria in cui gli alawiti,
i cristiani e le altre forze minoritarie siano ridotti al silenzio sarebbe una
Siria più debole, certo non più giusta o meno insanguinata.
da Il Sussidiario: Wazne (Al Jazeera): Al Qaeda pronta a impadronirsi delle armi chimiche di Assad intervista di Pietro Vernizzi
I ribelli sono arrivati a Damasco. Quanto è vicina la capitolazione di Assad?
L’escalation in Siria ha raggiunto un punto molto critico. Quella che sta avendo luogo è una vera guerra, ed è evidente che ci aspettano giorni estremamente duri. Prima che cambi realmente qualcosa, in Siria scorrerà ancora del sangue copioso. Il presidente Assad, nonostante le pesanti perdite riportate ieri, continua ad avere un esercito numeroso in grado di combattere per lui. Può fare affidamento su un numero di soldati tra le 100mila e le 200mila unità, il cui nocciolo duro è composto da alawiti che combatteranno fino all’ultimo.
Che cosa si aspetta dal voto alle Nazioni Unite di questa settimana?
L’Onu, l’Occidente e i Paesi del Golfo non sono stati in grado di gestire la situazione come avrebbero dovuto. Ciò di cui c’era bisogno era una piattaforma politica in grado di far sì che il governo e l’opposizione di riunissero attorno a un tavolo per discutere una soluzione che fosse accettabile per tutti. Purtroppo ormai è troppo tardi per un compromesso, e l’escalation di violenza è destinata a raggiungere il suo apice. Alla fine avremo un vincitore, ma nel frattempo quante altre migliaia di morti dovremo contare?
Quali saranno le conseguenze per i Paesi confinanti?
Quanto sta avvenendo in Siria è estremamente pericoloso per tutto il Medio Oriente e può portare a una guerra regionale. Sono diverse le nazioni che possono essere colpite, incluse Libano, Iraq, Israele e ovviamente l’Iran, per non parlare dei Paesi del Golfo. In una parola, l’intera regione sarebbe coinvolta se le cose dovessero sfuggire di mano, specialmente per il fatto che sappiamo che in Siria ci sono delle armi chimiche e batteriologiche.
E’ soltanto di propaganda, come nel caso dell’arsenale segreto di Saddam Hussein?
Sul fatto che Assad disponga di armi chimiche e biologiche non ci sono dubbi. Ritengo che il presidente non abbia intenzione di usarle, ma nessuno può dire in quali mani potranno finire nei prossimi giorni. Finché sono sotto il controllo dell’esercito siriano non rappresentano una minaccia, ma se dovessero impadronirsene alcune componenti dell’opposizione ci troveremmo di fronte a gravi rischi. Sappiamo che in Siria Al Qaeda non solo è presente, ma è coinvolta massicciamente nella lotta contro Assad.
Ieri è stato ucciso il ministro Rajha. Ritiene un caso che si sia trattato di una vittima cristiana?
Nelle ultime ore i ribelli hanno ucciso numerose persone, musulmane e cristiane. L’assassinio del ministro della Difesa, Dawood Rajha, non mirava quindi a colpire nello specifico una personalità cristiana, ma tutti coloro che sono sinceramente leali al presidente. L’operazione militare è stata condotta senza badare alle appartenenze religiose. La situazione delle minoranze, e in particolare dei cristiani, diventerà problematica in seguito, soprattutto nell’ipotesi di un collasso del regime.
In che senso?
In questa fase l’uccisione di Rajha rientra nel tentativo di scalzare Assad. Ma se il presidente dovesse perdere il potere, i cristiani si troverebbero in una posizione molto difficile. Il loro futuro sarebbe simile alla situazione della Chiesa in Iraq, e anche restare in Siria diventerebbe molto pericoloso per i non musulmani. Ciò che si verificherebbe sarebbe quindi un enorme esodo verso il Libano e probabilmente verso i Paesi occidentali. Le minoranze sarebbero marginalizzate e discriminate dall’attuale opposizione, se quest’ultima dovesse arrivare a controllare il Paese. Un’ipotesi però ancora lontana dal realizzarsi.
DICHIARAZIONE DELLA PRESIDENZA CCEE
SULLA SITUAZIONE IN SIRIA
Speriamo che le autorità del Paese, la popolazione e tutti i credenti, di qualunque religione essi siano, guardino a Dio e trovino il cammino che faccia cessare tutte le ostilità, deporre le armi e intraprendere la via del dialogo, della riconciliazione e della pace. Questo conflitto non può che portare con sé inevitabilmente lutti, distruzioni e gravi conseguenze per il nobile popolo siriano. La guerra è una via senza uscita. La felicità non può che essere raggiunta insieme, mai nella prevaricazione degli uni contro gli altri.
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Riforme, non armi
La Chiesa cattolica continua a denunciare
l'interferenza di elementi stranieri
Da SIR Mercoledì 18 Luglio 2012
L’urgenza del dialogo. Come
conferma al Sir una fonte della Chiesa locale, che ha chiesto l’anonimato
per motivi di sicurezza: “Ci sono focolai di scontri tra esercito siriano e
terroristi in atto in alcune zone periferiche della capitale. Si tratta di
centinaia di militanti islamici, alcuni di Al Qaeda, entrati in Siria per
fomentare disordini da Paesi come Kuwait, Iraq, Libano, Arabia Saudita e Qatar.
I loro corpi vengono bruciati dai loro compagni una volta colpiti dalle forze
fedeli ad Assad, per non fornire prove al regime siriano. La gran parte della
popolazione è con il regime e non ne vuole sapere di questi combattenti
integralisti, i musulmani siriani non conoscono fanatismi. Se il popolo fosse
stato tutto contro Assad lo avrebbe spazzato via in pochi giorni, come accaduto
in altre nazioni. Questo non vuol dire, però, che tutto vada bene. La Siria non
è una democrazia perfetta. La Siria ha bisogno di riforme e non di armi, ha
bisogno di dialogo e non di scontri a fuoco”. Si punta l’indice contro la
comunità internazionale e i media che “distorcono la realtà”. “Vogliono togliere
la Siria ai siriani per consegnarla ai Fratelli musulmani come accaduto in altri
Paesi mediorientali. Il nostro resta l’unico baluardo all’Islam integralista e
questo non piace ad altri Paesi della regione. I cristiani non soffrono
persecuzioni ma in quanto minoranza sono tra i più vulnerabili specie davanti a
questi terroristi stranieri che s’infiltrano nei quartieri anche cristiani,
seminando violenze e morte”. Ne è una prova il movimento “Mussalaha”
(Riconciliazione), nato dalla società civile, interreligioso, che punta al
dialogo fra le diverse componenti della società siriana e che tante vite umane
sta salvando in queste settimane. Ad Homs un Comitato della “Mussalaha” ha
mediato un accordo fra le forze governative e i rivoluzionari armati consentendo
l’evacuazione di oltre 60 civili, in maggioranza cristiani.
http://www.agensir.it/pls/sir/v3_s2doc_a.a_autentication?target=3&tema=Anticipazioni&oggetto=244000&rifi=guest&rifp=guest
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martedì 17 luglio 2012
“I pericoli sono anarchia, armi, interferenze; le urgenze sono dialogo e riconciliazione”: nuovo appello del Patriarca Gregorio III Laham
Mentre la crisi siriana si aggrava, di fronte a quella che è stata ormai definita una “guerra civile”; mentre “prevale il linguaggio della violenza e la voce della moderazione si indebolisce” “urge uno sforzo di dialogo e di riconciliazione”: è quanto afferma S.B. Gregorio III Laham, Patriarca dei greco-melkiti di Damasco, in una nota inviata in esclusiva all’Agenzia Fides.
Il Patriarca, confidando nello spirito del popolo siriano, afferma: “I siriani, grazie alla loro lunga storia, possono risolvere questa crisi pericolosa aiutandosi a vicenda, attraverso l’amore e il perdono. Lanciamo un appello urgente per il dialogo, la riconciliazione, la pace: questa è una delle lingue più rare, che molti non vogliono ascoltare. Noi cristiani, ai quali è stato affidato il Vangelo della pace, ci sentiamo chiamati a promuoverla”.
Analizzando la crisi siriana, il Patriarca nota: “I pericoli maggiori in Siria oggi sono l'anarchia, la mancanza di sicurezza e l'afflusso massiccio di armi da molte parti. La violenza genera violenza, che raggiunge tutti i cittadini, senza distinzione di razza, religione o colore politico”. In tale contesto “i cristiani vivono gli stessi pericoli, ma sono l'anello più debole. Indifesi, sono i più vulnerabili allo sfruttamento, all’estorsione, al sequestro di persona, agli abusi. Nonostante questo, non vi è alcun conflitto tra cristiani e musulmani. Non ci sono persecuzioni e i cristiani non sono presi di mira in quanto tali, ma sono tra le vittime del caos e della mancanza di sicurezza”.
Fra gli elementi negativi, a detta del Patriarca, vi è “l'interferenza di elementi stranieri, arabi e occidentali, che portano armi, denaro e informazioni a senso unico. Questa interferenza è dannosa anche alla cosiddetta opposizione, e danneggia l'unità nazionale, in quanto indebolisce anche la voce della moderazione”.
Sull’atteggiamento delle Chiese, il Patriarca Gregorio III Laham afferma: “Le Chiese cattoliche in Siria, di tutte le confessioni, hanno alzato la loro voce, chiedendo riforme, libertà, democrazia, lotta contro la corruzione, sostegno allo sviluppo, libertà di parola. Oggi chiediamo di fermare il ciclo di uccisioni e distruzione, soprattutto contro i civili in difficoltà, di tutte le fedi, che in realtà sono le vere vittime. La Chiesa ha sempre rifuggito il settarismo, evitando di schierarsi, e puntando ai valori etici ed evangelici”. Per questo, nota, va respinta una certa “campagna condotta contro i Pastori delle Chiese in Siria”, accusati di collusione con il regime, ribadendo “la credibilità, la trasparenza, la fedeltà e la oggettività dei Pastori che sono in costante contatto con sacerdoti, monaci, suore, laici”. Essi, aggiunge la nota, “promuovono l'invito al dialogo e alla riconciliazione, il rifiuto della violenza. Lavorano per salvaguardare la sicurezza dei civili inermi nel conflitto in corso, in modo da non esporli al pericolo, per non diventare bersagli di attacchi di una fazione o dell'altra”.
Il Patriarca esprime, infine, “molte speranze nelle iniziative della società civile per rafforzare la cordialità e i legami fra i siriani, che il conflitto ha distrutto. Preghiamo per il successo del movimento Mussalaha , in cui sono attivi delegati di tutte le Chiese, per portare l'unità e l'amore nei cuori di tutti. Questo è ciò che pone le basi per soluzioni efficaci al tragico conflitto”.
In quest’opera, conclude, “abbiamo bisogno del sostegno del Papa e ci auguriamo che la prossima visita del Papa in Libano sarà un aiuto particolare per la Siria, perché il conflitto possa cessare e il paese rifiorire. Per questo chiediamo l’aiuto di tutti i nostri fratelli cristiani, in Medio Oriente e in tutto il mondo”. (Agenzia Fides 17/7/2012)
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39542&lan=ita
L'appello e i chiarimenti di Gregorios III in versione completa:
http://centroculturalelugano.blogspot.it/2012/07/appello-del-patriarca-cattolico-greco.html
Siria, Damasco brucia. L'Unicef: muore un bambino al giorno. Le parole di una suora
Testimonianza di suor Marcella delle Salesiane di Maria Ausiliatrice, che gestiscono l’unico ospedale privato della città e che continuano, nonostante tutto, l’apostolato e il servizio. L’intervista è di Gabriella Ceraso:
http://www.radiovaticana.org/it1/Articolo.asp?c=605324
Il Patriarca, confidando nello spirito del popolo siriano, afferma: “I siriani, grazie alla loro lunga storia, possono risolvere questa crisi pericolosa aiutandosi a vicenda, attraverso l’amore e il perdono. Lanciamo un appello urgente per il dialogo, la riconciliazione, la pace: questa è una delle lingue più rare, che molti non vogliono ascoltare. Noi cristiani, ai quali è stato affidato il Vangelo della pace, ci sentiamo chiamati a promuoverla”.
Analizzando la crisi siriana, il Patriarca nota: “I pericoli maggiori in Siria oggi sono l'anarchia, la mancanza di sicurezza e l'afflusso massiccio di armi da molte parti. La violenza genera violenza, che raggiunge tutti i cittadini, senza distinzione di razza, religione o colore politico”. In tale contesto “i cristiani vivono gli stessi pericoli, ma sono l'anello più debole. Indifesi, sono i più vulnerabili allo sfruttamento, all’estorsione, al sequestro di persona, agli abusi. Nonostante questo, non vi è alcun conflitto tra cristiani e musulmani. Non ci sono persecuzioni e i cristiani non sono presi di mira in quanto tali, ma sono tra le vittime del caos e della mancanza di sicurezza”.
Fra gli elementi negativi, a detta del Patriarca, vi è “l'interferenza di elementi stranieri, arabi e occidentali, che portano armi, denaro e informazioni a senso unico. Questa interferenza è dannosa anche alla cosiddetta opposizione, e danneggia l'unità nazionale, in quanto indebolisce anche la voce della moderazione”.
Sull’atteggiamento delle Chiese, il Patriarca Gregorio III Laham afferma: “Le Chiese cattoliche in Siria, di tutte le confessioni, hanno alzato la loro voce, chiedendo riforme, libertà, democrazia, lotta contro la corruzione, sostegno allo sviluppo, libertà di parola. Oggi chiediamo di fermare il ciclo di uccisioni e distruzione, soprattutto contro i civili in difficoltà, di tutte le fedi, che in realtà sono le vere vittime. La Chiesa ha sempre rifuggito il settarismo, evitando di schierarsi, e puntando ai valori etici ed evangelici”. Per questo, nota, va respinta una certa “campagna condotta contro i Pastori delle Chiese in Siria”, accusati di collusione con il regime, ribadendo “la credibilità, la trasparenza, la fedeltà e la oggettività dei Pastori che sono in costante contatto con sacerdoti, monaci, suore, laici”. Essi, aggiunge la nota, “promuovono l'invito al dialogo e alla riconciliazione, il rifiuto della violenza. Lavorano per salvaguardare la sicurezza dei civili inermi nel conflitto in corso, in modo da non esporli al pericolo, per non diventare bersagli di attacchi di una fazione o dell'altra”.
Il Patriarca esprime, infine, “molte speranze nelle iniziative della società civile per rafforzare la cordialità e i legami fra i siriani, che il conflitto ha distrutto. Preghiamo per il successo del movimento Mussalaha , in cui sono attivi delegati di tutte le Chiese, per portare l'unità e l'amore nei cuori di tutti. Questo è ciò che pone le basi per soluzioni efficaci al tragico conflitto”.
In quest’opera, conclude, “abbiamo bisogno del sostegno del Papa e ci auguriamo che la prossima visita del Papa in Libano sarà un aiuto particolare per la Siria, perché il conflitto possa cessare e il paese rifiorire. Per questo chiediamo l’aiuto di tutti i nostri fratelli cristiani, in Medio Oriente e in tutto il mondo”. (Agenzia Fides 17/7/2012)
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39542&lan=ita
L'appello e i chiarimenti di Gregorios III in versione completa:
http://centroculturalelugano.blogspot.it/2012/07/appello-del-patriarca-cattolico-greco.html
Siria, Damasco brucia. L'Unicef: muore un bambino al giorno. Le parole di una suora
Testimonianza di suor Marcella delle Salesiane di Maria Ausiliatrice, che gestiscono l’unico ospedale privato della città e che continuano, nonostante tutto, l’apostolato e il servizio. L’intervista è di Gabriella Ceraso:
http://www.radiovaticana.org/it1/Articolo.asp?c=605324
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