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giovedì 30 gennaio 2020

L’Assemblea degli Ordinari Cattolici risponde al Piano “Peace-to-Prosperity” e invita alla preghiera tutte le Chiese cristiane del mondo


Comunicato sul Piano “Peace-to-Prosperity”

Il conflitto israelo-palestinese da decenni è al centro di molte iniziative di pace e proposte di soluzione.

Come detto più volte in passato, pensiamo che nessuna proposta e nessuna prospettiva seria possa essere raggiunta senza l’accordo dei due popoli, israeliano e palestinese. Queste proposte devono essere basate sull’uguaglianza dei diritti e sulla dignità.

Il piano “Peace-to-Prosperity” presentato ieri non contiene queste condizioni. Non dà dignità e diritti ai palestinesi. È da considerarsi un’iniziativa unilaterale, poiché sostiene quasi tutte le richieste di una parte, quella israeliana, e la sua agenda politica. D’altra parte, questo piano non prende veramente in considerazione le giuste richieste del popolo palestinese per la sua terra d’origine, i suoi diritti e una vita dignitosa.

Questo piano non porterà alcuna soluzione, ma al contrario creerà più tensioni e probabilmente più violenza e spargimento di sangue.

Ci aspettiamo che i precedenti accordi firmati tra le due parti siano rispettati e migliorati sulla base di una completa uguaglianza tra i popoli.

Invitiamo tutte le Chiese del mondo a pregare per la Terra Santa, a lavorare per la giustizia e la pace e ad essere la voce dei senza voce.

Per coloro che fanno opera di pace viene seminato nella pace un frutto di giustizia” (Giacomo 3, 18)

 Assemblea degli Ordinari Cattolici di Terra Santa
Gerusalemme, 29 gennaio 2020


mercoledì 29 gennaio 2020

La Quaresima anticipata dei siriani


Testimonianza di mons. Samir Nassar, arcivescovo maronita di Damasco, inviata ad AsiaNews che testimonia le drammatiche condizioni in cui versa la popolazione siriana. Quasi nove anni di guerra civile, le violenze dei gruppi jihadisti (da al-Nusra allo Stato islamico) che hanno insanguinato gran parte del territorio, l’emergenza profughi, le sanzioni internazionali contro Damasco e la crisi delle banche libanesi hanno messo in ginocchio il Paese. E i più colpiti, osserva mons. Nassar, sono “soprattutto i più fragili, i malati, i bambini e gli anziani“


Dall’austerità alla povertà
Immaginate che la vostra famiglia debba sopravvivere con un salario che è diminuito almeno del 50% in tre mesi. Uno scenario caotico che stravolge l’esistenza, che ha fatto innalzare in maniera vertiginosa i prezzi e che finisce per colpire la vita quotidiana di tutte le famiglie, in particolare modo quelle più povere e modeste. 
Infatti, l’inflazione vertiginosa e l’impennata dei prezzi si ripercuotono su cittadini che già vivono in condizioni di austerità, facendo sperimentare loro povertà e una grande miseria. 
La mancanza di carburante, del gas per uso domestico e della corrente elettrica, hanno fatto precipitare i più vulnerabili - soprattutto i più fragili, i malati, i bambini e gli anziani - nella più completa oscurità. Un dramma acuito dalle temperature glaciali, i cui effetti possono essere letali.  

Carità congelata
La crisi bancaria del Libano ha di fatto bloccato i conti correnti dei siriani, sia quelli dei privati cittadini che delle imprese. Fra queste ultime sono comprese anche le associazioni caritative, che oggi sono costretti a dichiararsi incapaci di operare in un contesto contraddistinto da profonde ed enormi difficoltà. Sono giorni di miseria. 
Oggi non è più possibile far fronte alle esigenze di base e ai bisogni primari e i poveri sono abbandonati a loro stessi e al loro triste destino. I loro miseri risparmi sono bloccati o congelati negli istituti bancari, pressoché inaccessibili.
Le condizioni socio-economiche della popolazione si fanno ogni giorno di più urgenti e drammatiche, e rischiano di aggravarsi ancora di più anche e soprattutto per il braccio di ferro in atto fra Iran e Stati Uniti. Uno scontro frontale che blocca la strada ai vari “Simone di Cirene” che cercano di portare aiuto, e impediscono di fatto qualsiasi forma di compassione, lasciando aperta la via dell’escalation e a un peggioramento ulteriore della situazione. 

Quaresima anticipata
Questa crisi mai vista prima, nemmeno durante gli anni della guerra, getta i nostri fedeli in un tempo di digiuno e di Quaresima anticipato. Assicurare il pane quotidiano e un po’ di cibo sulle tavole è diventato l’incubo ricorrente di ogni giornata. Questa condizione del tutto nuova ha impoverito la Chiesa stessa, un “muro del pianto” dove ciascuno viene per piangere lacrime, gridare aiuto, cercare senza ostentarlo e nel silenzio più assoluto un po’ di consolazione. Un modo per vivere la passione di Cristo ben prima della Settimana Santa.
Sta emergendo sempre più una nuova vocazione con i colori delle Beatitudini e fondata sull’amore, sul perdono, sulla condivisione, sulla compassione. Una vocazione che è illuminata dalla luce della speranza della Pasqua.

Quaresima 2020


Risultati immagini per Siria miseria
«Dopo la guerra delle armi, ora combattiamo la guerra della fame»
Intervista di Rodolfo Casadei a padre Ibrahim Alsabagh
TEMPI, 29 gennaio 2020

«Non è vero che la guerra ad Aleppo è finita tre anni fa. Mentre io sono qui in Italia, cadono razzi e bombe lanciati dai ribelli su Jamiet al-Zahra e Hamdaniya, i due quartieri più occidentali della città. Nel corso di questo mese sono morte già 12 persone e vari edifici sono stati distrutti. È il modo con cui i jihadisti si vendicano dell’offensiva governativa nell’Idlib, da dove non lasciano uscire i civili che vorrebbero trasferirsi in luoghi più sicuri, e invece cadono vittime del fuoco incrociato». Padre Ibrahim Alsabagh, parroco francescano della parrocchia latina di Aleppo, è in Italia per sensibilizzare l’opinione pubblica sul fatto che le sofferenze dei siriani e le traversìe dei cristiani non sono affatto finite, anche se i media europei si occupano ormai di altre crisi internazionali: Libia, Iran, ecc.

Gas e elettricità
«Stiamo combattendo contro due mostri: il freddo e il carovita», esordisce. «Il gasolio per il riscaldamento scarseggia a causa delle sanzioni contro la Siria e contro l’Iran, solo in alcune zone della città si riesce ad acquistare quello del governo a prezzo calmierato, che è circa la metà del prezzo di mercato. Per le bombole del gas da cucina bisogna fare la fila dalle 5 di mattina, e magari si riesce a fare l’acquisto alle 11. C’è gente che si fa pagare per tenere il posto nella coda a chi non può stare lì tutta la mattina dall’alba. L’elettricità va e viene in modo del tutto irregolare anche nei quartieri più centrali di Aleppo come il nostro: ciò provoca cortocircuiti e incendi. La città continua ad essere economicamente soffocata perché continua a non disporre più del suo hinterland: a nord ci sono i territori controllati dai turchi e dai curdi, a ovest c’è la regione dell’Idlib dove i governativi combattono contro i jihadisti. L’autostrada che collegava Aleppo al sud del paese continua ad essere impraticabile: adesso è sotto il fuoco dell’esercito, che cerca di riconquistarla da anni. A questi problemi di vecchia data si è aggiunta la crisi del Libano: per tutti gli anni della guerra è stato un polmone per la Siria, tanti avevano spostato lì i loro conti bancari e attività finanziarie per aggirare le sanzioni. Ma da quando sono iniziate le proteste di piazza, anche il sistema bancario libanese è andato in difficoltà: le banche restano chiuse per giorni a causa delle manifestazioni, e quando sono aperte non permettono di prelevare più di 1.000 dollari alla settimana dai conti correnti bancari. Anche per chi deve aiutare i poveri e i bisognosi questo è diventato un grosso guaio».

La guerra della fame
L’insieme di tutti questi problemi, ai quali vanno aggiunti i contrasti fra il presidente e l’uomo d’affari più ricco del paese, suo cugino Rami Makhlouf, hanno provocato una forte svalutazione della lira siriana, che negli ultimi dodici mesi ha perduto metà del suo valore rispetto al dollaro, e nelle sole due prime settimane di gennaio 2020 il 33 per cento, col cambio che passava da 900 a 1.250 lire siriane per un dollaro. «Il governo ha arrestato alcuni speculatori e ha aumentato alcuni stipendi, ma non abbastanza da restituire il potere d’acquisto dei salari eroso dall’inflazione», riprende padre Ibrahim. «Ormai i siriani parlano di “guerra della fame” che ha preso il posto della guerra con le armi, che si continua a combattere nell’Idlib e nelle campagne attorno ad Aleppo. Quasi la metà delle 580 famiglie della nostra parrocchia vive sotto la soglia della povertà assoluta: recentemente abbiamo tenuto una riunione di emergenza per deliberare l’acquisto e il dono di 100 litri di gasolio a 250 nostre famiglie che altrimenti morirebbero letteralmente di freddo. Altre risorse importanti vanno alle cure mediche: è vero che in Siria funziona il progetto Ospedali Aperti per curare nelle cliniche private malati gravi che non hanno da pagare, ma ad Aleppo non c’è nessuno convenzionato per chi ha bisogno di chemioterapia, e la nostra gente dovrebbe andare a Damasco. Insieme ai pacchi alimentari periodici, ai pannolini e al latte in polvere per i neonati, queste sono le nostre spese principali».

Non dimenticatevi di noi
Padre Ibrahim conclude con un appello accorato: «Siamo riusciti a salire sopra l’onda che stava per travolgerci, grazie a Dio e a tutti quelli che ci hanno aiutato. Ma il momento decisivo per evitare che la presenza cristiana sia spazzata via da Aleppo viene adesso. Non dimenticatevi di noi».

domenica 26 gennaio 2020

Riunione del Consiglio delle Chiese del Medio Oriente: Gerusalemme Est sia “la Capitale dello Stato palestinese indipendente”


Riunione del comitato esecutivo del MECC - Cipro, 21-22 gennaio 2020 - Dichiarazione finale
Nel corso di due giorni (21-22 gennaio 2020), il Comitato Esecutivo si è riunito regolarmente a Larnaca - Cipro. L'incontro è stato generosamente ospitato da Sua Beatitudine Chrysostomos II°, Arcivescovo di Nova Justiniana e Tutta Cipro della Chiesa greco-ortodossa di Cipro. I membri del Comitato Esecutivo che hanno partecipato alla riunione provenivano da Cipro, Egitto, Siria, Libano, Iraq, Giordania e Palestina.
L'incontro è stato presieduto da Sua Beatitudine Youhanna X°, Patriarca di Antiochia e di tutto l'Oriente per il Patriarcato greco-ortodosso di Antiochia e presidente del Consiglio per la Comunità Greco-Ortodossa, da Sua Santità Mor Ignazio Aphrem II°, Patriarca di Antiochia e tutto l' Oriente e Capo supremo della Chiesa Ortodossa Siriaca Universale che è presidente del Consiglio per la Famiglia Ortodossa Orientale, da Sua Beatitudine Mar Louis Raphael Sako, Patriarca di Babilonia per i Caldei e presidente del Consiglio per la Comunità Cattolica, e da Right Rev Dr. Habib Badr , Presidente dell'Unione Evangelica Nazionale del Libano e presidente del Consiglio per la Famiglia Evangelica.
Questo incontro si tiene nel mezzo di un periodo pieno di eventi dolorosi e sofferenze che affliggono i nostri paesi del Medio Oriente. I membri del Comitato Esecutivo sono pienamente consapevoli della sofferenza, delle afflizioni e delle sfide che devono affrontare le genti e le Chiese della regione. Hanno contemplato l'affetto divino di Nostro Signore Gesù Cristo e il suo impareggiabile amore per l'umanità. Invitano i credenti cristiani in Medio Oriente a conservare la loro Fede e Speranza e a credere che Dio è in mezzo a noi, ci sostiene e ci coinvolge nella Sua vita divina. Esortano anche le Chiese membri del Consiglio ad essere pienamente presenti accanto a tutti i rifugiati e gli sfollati che soffrono dopo aver perso la famiglia, gli amici o le proprietà a causa della violenza e della guerra, in modo che le Chiese rimangano un'icona della tenerezza e prossimità del Signore.
Dopo la preghiera di apertura, l'ordine del giorno è stato approvato e sono stati adottati i verbali della riunione del Comitato esecutivo tenutasi presso il Patriarcato siriano ortodosso di Antiochia (Atchaneh - Bickfaya - Libano / 22-23 gennaio 2019) . Le discussioni del primo giorno hanno affrontato molti argomenti come il rinnovamento spirituale, le sfide ecumeniche, geopolitiche e il dialogo interreligioso, nonché lo sviluppo istituzionale del MECC e il suo potenziamento dopo la crisi che ha attraversato. Ciò porterà allo sviluppo del suo orientamento strategico in preparazione della 12ª Assemblea Generale. Il secondo giorno, i partecipanti hanno discusso della relazione della dott.ssa Souraya Bechealany, il segretario generale, che include i risultati del Consiglio nel 2019 e le sue prospettive future. Hanno anche esaminato le relazioni annuali dei dipartimenti e la relazione finanziaria.
Sulla base delle discussioni, incentrate principalmente sulle sfide affrontate dai Cristiani in Medio Oriente e dai loro partner in materia di cittadinanza, il Comitato esecutivo ha sottolineato le seguenti linee guida:
1- Promuovere la cooperazione ecumenica tra le Chiese del Medio Oriente a livello teologico, dei servizi sociali e dei media per confermare la loro scelta di unità nella testimonianza di Gesù Cristo risorto.
2- Pregare perchè si possa conoscere la sorte delle loro Eminenze l'arcivescovo Boulous Yazigi e l'arcivescovo Youhanna Ibrahim che sono stati rapiti nell'aprile 2013 e richiesta alla coscienza internazionale di lavorare per il loro ritorno sicuro e di consentire loro di continuare la loro missione che si concentra sulla costruzione della pace e dignità umana.
3- L'escalation della tensione in Medio Oriente e nel mondo arabo richiede preghiera e lavoro per la pace e nuove iniziative per contrastare le ondate di estremismo al fine di preservare la pace nella società, proteggere la dignità umana e spianare la strada a saggi dialoghi e alla risoluzione dei conflitti respingendo la violenza e la guerra.
4- Il movimento popolare a cui si sta assistendo in Iraq chiede un contributo attivo per ottenere giustizia sociale, integrità economica, buon governo, sovranità nazionale e rafforzare i principi di responsabilità e lotta alla corruzione attraverso un sistema giudiziario equo.
5- L'esacerbazione della sofferenza del popolo siriano richiede immensi sforzi in tutti i settori per l'eliminazione dell'embargo, promuovere il percorso di costruzione della pace, il ripristino della sicurezza e lavorare con forza per garantire le condizioni appropriate che consentano il ritorno nella loro terra dei rifugiati e degli sfollati.
6- Riconoscere gli sforzi del Regno Hascemita di Giordania a cui è stata affidata la protezione dei siti sacri cristiani e musulmani nella città santa di Gerusalemme, nonché il rafforzamento della presenza cristiana in collaborazione con le Chiese. Oltre a ciò, ha lavorato per la promozione del dialogo cristiano-musulmano e per vivere insieme nella cittadinanza.
7- I partecipanti pregano per il Libano che sta assistendo a proteste di massa condotte dal popolo libanese che chiede una vita dignitosa e una buona gestione delle loro risorse comuni; così che il Libano, il "Messaggio", riacquista il suo ruolo culturale come modello di pluralismo per il bene comune e come esempio di libertà responsabile.
8- Sostenere tutti gli sforzi per ripristinare l'unità di Cipro al fine di unificare il popolo cipriota, promuovere la pace regionale e internazionale e porre fine all'occupazione che ha causato la divisione dell'isola.
9- Sostenere continuamente le Chiese in Palestina e riconoscere la resilienza delle persone nonostante la loro sofferenza di fronte all'occupazione, alla segregazione e alla colonizzazione. Chiedere il rispetto della libertà di religione per tutti i Palestinesi, compresi Cristiani e Musulmani, e il rispetto dello status quo legale e storico riguardo al fatto che Gerusalemme Est è la capitale di un vivibile Stato Palestinese Indipendente.
10 -Il popolo Egiziano ha sempre aspirato a consolidare il principio di cittadinanza, libero dall'estremismo e dall'isolamento. Sta impegnandosi insieme per promuovere la convivenza, il che ci porta a confermare che sono collettivamente consapevoli delle conseguenze positive che vengono a crearsi nel loro Paese.
11 - Il fatto che i popoli nella regione chiedano una cittadinanza completa basata sulla parità di diritti e doveri e sulla diversità, richiede una revisione dei sistemi e delle leggi. Ciò dimostra la necessità urgente di formulare un percorso che sottolinei la comprensione dell'unità nella diversità, considerando che la diversità è ricchezza, lontano dalle esortazioni settarie e di fazione e da tutte le forme di intolleranza.
12 - La povertà e l'emarginazione di cui soffrono alcune classi della società nella regione chiamano tutti gli stati e le istituzioni ecclesiali a progettare politiche di sviluppo sostenibili che garantiscano una vita dignitosa per ogni essere umano e che contribuiscano alla giustizia sociale e alla prosperità economica.
13 - Il MECC invita i cristiani in questo benedetto Medio Oriente a restare nelle loro terre con fede e speranza, costituendo esse la loro eredità e la loro identità, e a rafforzare il loro ruolo nel consolidamento della convivenza, del rispetto reciproco e della solidarietà sociale.
14 - L'attuale crisi dei rifugiati e degli sfollati richiede intensi sforzi da parte della comunità internazionale, in particolare delle Nazioni Unite e delle organizzazioni religiose, per facilitare il ritorno di questi rifugiati e sfollati nei loro paesi di origine, offrendo loro una dignità e proteggendo la loro identità e civiltà. Questa situazione richiede anche il costante sostegno alle comunità ospitanti e la garanzia di componenti di resilienza, nonché la protezione dei rifugiati e degli sfollati fino al loro sicuro ritorno.
15 - Garantire un coordinamento e una comunicazione attivi in preparazione dell'Assemblea generale del Consiglio delle Chiese del Medio Oriente che si terrà tra il 16 e il 19 settembre 2020 in Libano. Si intitolerà “Coraggio , sono Io; non temere”. (Matteo 14:27) e sarà generosamente ospitato dal Sua Beatitudine il cardinale Mar Bechara Boutros Al-Rai, Patriarca maronita di Antiochia e di tutto l'Oriente - a Bkerki.
In conclusione, i membri del Comitato Esecutivo del MECC ringraziano Sua Beatitudine Chrysostomos II° e la Chiesa greco-ortodossa di Cipro per aver ospitato generosamente questo incontro e ringraziano Nostro Signore Gesù Cristo, che raccoglie la sua Chiesa attraverso il suo amore. I membri del Comitato Esecutivo del MECC sono fiduciosi che le Chiese del Medio Oriente non sono state e non saranno mai sole nella loro testimonianza, rinnovando la loro fede nella promessa di Dio: "Io sono sempre con te, fino alla fine dei tempi". (Matteo 28:20). Riteniamo inoltre che il cammino verso la XIIª Assemblea Generale rappresenterà la comune testimonianza delle Chiese e farà luce da una prospettiva realistica e profetica sul ruolo dei cristiani nel Medio Oriente sofferente, in particolare nella lotta per la dignità umana. Ciò richiede la solidarietà dei leader e una solida cooperazione per garantire un futuro luminoso degno per questo Medio Oriente e il suo valore, in cui la diversità è un modello di convivenza.
 (Trad Gb. P. OraproSiria) 
https://www.mecc.org/mecc/mecc-excom-meeting-larnaca

mercoledì 22 gennaio 2020

I calcoli spregiudicati di Trump in Siria


di Fulvio Scaglione 
Quante cose in più capiremmo se solo riuscissimo ad affrancarci dall’abitudine di considerare delle specie di minorati mentali tutti i leader che non ci piacciono. È successo con Boris Johnson, che alla fine con la sua idea di Brexit ha convinto gli inglesi. E succede regolarmente con Donald Trump. Prendiamo la politica in Medio Oriente, che è «sua» quando pare fallimentare ed è di altri (generali, consiglieri, Stato profondo) quando pare avere successo. In particolare, guardiamo le ultime vicende relative alla Siria.
Il 6 ottobre scorso Trump annunciò l’intenzione di ritirare le truppe (un migliaio di soldati) dispiegate sul territorio siriano. Pochi giorni dopo, però, arrivò l’annuncio contrario: non ci ritiriamo, restiamo. Tutti cominciarono a dire: ecco, il solito confusionario. Sicuri? A posteriori, e visti anche gli esiti della crisi semi-militare con l’Iran, la realtà sembra un po’ diversa. A Trump (o a chi per lui) interessava garantire a Erdogan la possibilità di occupare una fetta di territorio siriano. Non a caso il 17 ottobre Mike Pompeo, segretario di Stato Usa, volò a Istanbul per incontrare il presidente turco e consegnarli l’approvazione della Casa Bianca al piano che sarebbe stato poi condiviso anche dalla Russia di Vladimir Putin.
E veniamo alle truppe mai ritirate. Trump spiegò che le lasciava nel Nord-Est della Siria per mettere sotto controllo i pozzi di petrolio siriani. Aggiunse anzi che avrebbe cercato di coinvolgere una qualche grande compagnia petrolifera americana, per fare le cose per bene. Anche in quel caso Trump fu dileggiato. Qualcuno fece notare che i pozzi siriani estraevano, prima della guerra civile, meno di 400 mila barili al giorno, un’inezia per gli Usa che, grazie allo shale oil, sono diventati il primo produttore mondiale di petrolio. E che, ovviamente, nessuna compagnia petrolifera aveva risposto al suggerimento presidenziale, visto che i costi sarebbero stati molto superiori ai ricavi.
Ma è davvero un po’ di petrolio ciò che cerca Trump in Siria? In realtà, controllando quei pochi pozzi la Casa Bianca centra una serie di obiettivi. Azzoppa la rinascita della Siria di Bashar al-Assad, che prima del 2011 vantava una quasi assoluta autonomia energetica. Tiene sotto pressione l’Iran e le milizie sciite filo-iraniane che operano nel confinante Iraq. Dà da pensare a Russia e Turchia, che sempre più spesso (dopo la Siria, anche in Libia) filano d’amore e d’accordo. In caso di necessità, ha risorse economiche pronte per finanziare le milizie curde fedeli agli Usa.
Il tutto, tra l’altro, a un costo ridicolo. I mille soldati americani che fanno la guardia ai pozzi siriani sono lo 0,5 per cento di tutte le truppe che gli Usa dispiegano all’estero. E dal momento dell’intervento in Siria nel 2014, sono morti sul campo «solo» otto soldati americani. Dal punto di vista americano, e chiunque l’abbia deciso, un intervento redditizio.
https://www.terrasanta.net/2020/01/trump-e-la-siria-da-unaltra-prospettiva/

domenica 19 gennaio 2020

Sanzionare la Siria.

18 milioni di siriani in balia dell'embargo da 8 anni: BASTA!


pubblicato il 10 gennaio 2020 da Chris Ray
trad. Gb.P. OraproSiria
Le Nazioni Unite erano disposte a pagare per porte, finestre e cavi elettrici nell'appartamento di Alaa Dahood, ma non per le riparazioni alle pareti del suo soggiorno forate da colpi di mortaio. Quella era considerata "ricostruzione", una categoria di aiuti vietata in Siria. "Mia madre e io abbiamo usato i nostri risparmi per riparare noi stessi il muro", mi ha detto Alaa, un insegnante di inglese della scuola elementare.
Alaa vive con la madre vedova Walaa a Saif al-Dawla, un sobborgo di Aleppo che è diventato una linea del fronte tra truppe governative e forze di opposizione nel 2012. Dopo che il loro isolato residenziale è finito sotto il fuoco dei cecchini, la famiglia è fuggita in un settore della città controllato dal governo, e successivamente, nella relativa sicurezza di Damasco. “Lo stress fu fatale per mio padre: era un uomo nervoso ed è morto a causa di un infarto nel 2013. Mia madre ed io siamo tornati a casa nel 2017, quando Aleppo era al sicuro ”, racconta Alaa mentre serve caffè speziato nel salotto della sua modesta casa con due camere da letto.
Più di 521.000 Aleppini sfollati dalla guerra sono tornati a casa entro la fine del 2018, secondo l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR). Pochissimi hanno trovato le loro proprietà intatte. Tuttavia, in tutta la Siria, solo 42.000 residenti hanno ottenuto aiuti di "ripristino" delle Nazioni Unite, la categoria di assistenza che copriva le riparazioni di Alaa. L'aiuto delle Nazioni Unite era in gran parte limitato agli aiuti d'emergenza a breve termine, l'unica categoria di aiuti accettabile per i principali donatori delle Nazioni Unite che si oppongono alla continuazione del governo del presidente Bashar al-Assad. Alaa non ha avuto alcun aiuto per il suo muro, ma le sue finestre finanziate dall'ONU sono almeno in vetro. Ad Hanano, un sobborgo della parte orientale di Aleppo precedentemente sotto il controllo dei ribelli, una giovane guardia di sicurezza, Mohamed, mi ha mostrato il suo appartamento di famiglia, che si affaccia su un campo da calcio pieno zeppo di carcasse di autobus e macchine distrutti. Mohamed ha installato finestre realizzate con teli di plastica lo scorso inverno, quando la temperatura è scesa sotto lo zero. Ha ottenuto la plastica in un "kit di riparazione" fai-da-te fornito dalle Nazioni Unite che includeva legno di pino per serramenti, pannelli di fibra per porte, schiuma di espansione, chiodi e attrezzi.
Mohamed e sua sorella Asma fuori dal loro condominio di Aleppo
Mohamed e sua sorella Asma
 fuori dal loro condominio di Aleppo
"La plastica non va bene per l'inverno ma è meglio di niente", ha detto Mohamed, che non voleva che fosse pubblicato il suo cognome. Nonostante una grave carenza di carburante, è riuscito a comprare abbastanza olio combustibile per riscaldare la camera da letto della sua fragile sorella di 13 anni, Asma, per un paio d'ore ogni notte. Mohamed ha sostituito la plastica con il vetro in una finestra e sta mettendo da parte i soldi per fare il resto.
I kit di riparazione rientrano nell'elenco degli aiuti di emergenza a breve termine. L'UNHCR afferma che i kit coprivano circa 92.000 siriani nel 2018, più del doppio del numero di coloro che hanno beneficiato del ripristino abitativo. Secondo le agenzie siriane che attuano programmi finanziati a livello internazionale, le Nazioni Unite valutano i kit di accoglienza circa 500 Dollari, ma i destinatari spesso li vendono per molto meno o bruciano la legna come combustibile.
Uno dei maggiori partner siriani delle Nazioni Unite, l'agenzia di aiuti greco-ortodossa Gopa-Derd, rifiuta di distribuire i kit. “Non collaboreremo a far mettere fogli di plastica sui telai delle finestre dove dovrebbero esserci dei vetri. I fogli di plastica non ripareranno un buco nel muro nè terranno al caldo una famiglia in inverno ", ha dichiarato Sara Savva, vicedirettore di Gopa-Derd.
Un altro partner delle Nazioni Unite, il Syria Trust for Development, che ha gestito le riparazioni di Alaa, desidera che i soldi dei kit di protezione vengano reindirizzati al ripristino. “Nel 2017 abbiamo realizzato 1000 kit di protezione, poi abbiamo deciso basta. Sono una perdita di tempo e risorse ", ha dichiarato il direttore del Trust in Aleppo, Jean Maghamez. Ha aggiunto, tuttavia, che il programma di ripristino del Trust ha riguardato solo 200 appartamenti di Aleppo nel 2019 a causa di tagli ai finanziamenti delle Nazioni Unite.
In una dichiarazione congiunta di marzo 2019 i governi di Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Germania hanno ribadito la loro opposizione a qualsiasi assistenza per la ricostruzione in Siria fino a quando "un processo politico credibile, sostanziale e autentico sia irreversibilmente in corso". La posizione delle Nazioni Unite è stata espressa in una Direttiva interna del 2018 dal suo Office of Political Affairs, guidata da un diplomatico di carriera americano, Jeffrey Feltman. "Solo una volta che vi fosse una transizione politica autentica e inclusiva negoziata dalle parti, le Nazioni Unite sarebbero pronte a facilitare la ricostruzione", ha affermato.
Una soluzione negoziata rimane distante, tuttavia. Un piano di pace sostenuto dall'ONU elaborato nel 2012 è moribondo. Anche i colloqui separati supervisionati dai sostenitori di Assad, Russia e Iran, insieme alla Turchia, la quale sostiene elementi dell'opposizione jihadista, hanno fatto pochi progressi. L'uso dei fondi delle Nazioni Unite per ricostruire il muro dell'appartamento di Alaa Dahood avrebbe rischiato di attraversare ciò che il personale delle Nazioni Unite in Siria definisce una "linea rossa" tra ripristino e ricostruzione. Nessuno dei due termini è chiaramente definito, ma la linea è zelantemente controllata. Il personale delle Nazioni Unite a Damasco mi ha detto che spesso devono rispondere alle domande di governi, altri donatori delle Nazioni Unite e "controllori dei diritti umani" che mettono in guardia da qualsiasi violazione del divieto di ricostruzione.
Residents of Aleppo rebuilding their war-damaged homes
I residenti di Aleppo ricostruiscono le loro case danneggiate dalla guerra
Un rapporto di giugno di Human Rights Watch con sede a New York ha palesemente disapprovato il Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP), il Fondo delle Nazioni Unite per l'infanzia (UNICEF), Oxfam e altri per aver ricostruito reti di servizi igienico-sanitari e strutture sanitarie nella parte di Siria controllata dal governo. Qualsiasi progetto volto a "ricostruire e ripristinare in modo sostenibile infrastrutture, servizi, abitazioni, strutture e mezzi di sussistenza può comportare rischi di implicazione in gravi violazioni dei diritti umani", ha affermato Human Rights Watch. “Per evitare di violare il divieto di ricostruzione, il Syria Trust generalmente non ricostruirà nessun muro dell'appartamento con un buco più grande di due metri quadrati”, mi ha detto il suo ingegnere capo ad Aleppo, Ragheb Al Mudarres. Gopa-Derd vuole che il ripristino sia ampiamente interpretato per consentire alle case di essere rese sicure e abitabili. “Se c'è un buco nel muro, lo blocchiamo, se l'acqua gocciola dal soffitto, lo ripariamo, se non ci sono porte o finestre le installiamo. Alcuni donatori ritengono che questa sia una ricostruzione, noi no ”, ha detto Sara Savva.
I dipendenti delle Nazioni Unite affermano di seguire una linea guida non scritta per evitare lavori su qualsiasi edificio pubblico con danni strutturali superiori al 30%. In qualche caso, il divieto di ricostruzione obbligava le agenzie a respingere la richiesta del comitato di vicinato di aiutare a ricostruire tre scuole. I fondi erano disponibili, la proposta era tecnicamente valida e le scuole erano nella parte orientale di Aleppo, un tempo salutata dai sostenitori del cambio di regime come un bastione della rivoluzione. In tutto il paese, 1,75 milioni di bambini non hanno scuola da frequentare e la necessità nell'est di Aleppo è particolarmente acuta. Tuttavia, a quanto pare la sua popolazione può aspettarsi poco aiuto dagli ex sponsor stranieri che se ne sono andati dopo la fine delle sparatorie.
Le Nazioni Unite descrivono i bisogni umanitari della Siria come "sconcertanti". Circa 5,6 milioni di persone sono andate all'estero - circa i due terzi come rifugiati - e circa l'80% dei 18 milioni che rimangono hanno bisogno di assistenza. Un terzo del patrimonio immobiliare è stato distrutto, lasciando oltre sei milioni di persone senza una casa permanente. Circa 7,6 milioni soffrono di un'acuta mancanza di acqua potabile pulita e 4,3 milioni di donne e bambini sono malnutriti. Malattie precedentemente sradicate come poliomielite, tifo, morbillo e rosolia sono tornate e un bambino su tre non prende i vaccini salvavita. Circa 1,5 milioni di persone vivono con disabilità permanenti legate al conflitto.
In questo contesto, le restrizioni agli aiuti esteri sono pesanti, ma le sanzioni commerciali e finanziarie sono letali. Hanno "contribuito alla sofferenza del popolo siriano" bloccando le importazioni di farmaci antitumorali, antibiotici e vaccini contro il rotavirus, attrezzature mediche, cibo, carburante, semi delle colture, pompe per l'acqua e altri elementi essenziali, ha segnalato già nel 2018 il relatore speciale delle Nazioni Unite sulle sanzioni, Idriss Jazairy . Jazairy ha definito le sanzioni "perniciose" e ha affermato che hanno ostacolato gli sforzi per ripristinare scuole, ospedali, acqua pulita, abitazioni e lavoro.
Le misure statunitensi sono le più punitive dei regimi sanzionatori sovrapposti applicati anche da Unione Europea, Giappone, Canada, Australia e altri. Nelle parole di un ex ambasciatore degli Stati Uniti in Siria, Robert Ford, gli Stati Uniti stanno conducendo una "guerra economica" per "strangolare a morte" il governo di Assad. Le vittime sono i poveri, i malati e i bambini, non l'élite politica e economica.
A Damasco, i missili ribelli non cadono più nei distretti residenziali che sono rimasti fedeli al governo durante quasi nove anni di guerra. Tuttavia, piuttosto che celebrare la relativa sicurezza, i siriani che incontro sono sfiniti da difficoltà economiche prolungate e in peggioramento. “Ho vissuto con la guerra ogni giorno per sette anni e mi ci sono abituato. Non riesco ad abituarmi a non essere in grado di nutrire la mia famiglia ", dice un impiegato statale.
Gli embargo sui carburanti dell'UE e degli Stati Uniti hanno colpito duramente, con carenze di elettricità a livello nazionale e lunghe code per benzina e gas in bombole razionati. I prodotti farmaceutici sono ancora più difficili da ottenere rispetto al carburante. L'Organizzazione Mondiale della Sanità afferma che le sanzioni bloccano l'importazione di farmaci antitumorali, che erano sovvenzionati a basso prezzo dal sistema sanitario pubblico prima della guerra. Sara Savva ha affermato che le medicine per il diabete o le malattie cardiache, se disponibili, potrebbero costare un impiegato medio un mese di stipendio. "Dimenticate la chemioterapia o i farmaci antitumorali: è ridicolmente costoso", ha detto. Le apparecchiature mediche sono obsolete perché il Ministero della salute non può importare parti o aggiornare il software. I medici di un importante ospedale di Damasco hanno riferito a Reuters che circa il 10% dei pazienti affetti da insufficienza renale sta morendo a causa dell'impossibilità dell'ospedale di procurarsi parti di macchine per dialisi di produzione europea.
Presumibilmente esistono esenzioni umanitarie dalle sanzioni, ma sono difficili e costose da ottenere. In ogni caso, le sanzioni finanziarie hanno isolato il paese dai sistemi bancari e di pagamento globali, motivo per cui bancomat e carte di credito straniere sono inutili in Siria. Perfino le organizzazioni umanitarie internazionali sono costrette a trasportare denaro attraverso il confine libanese con veicoli o ad utilizzare commercianti di denaro informali. Il cappio è così stretto che le banche europee hanno rifiutato di aprire conti bancari per il personale delle Nazioni Unite quando la parola "Siria" è apparsa nel loro titolo professionale.
Le Nazioni Unite non hanno approvato sanzioni ma il loro effetto sugli aiuti umanitari è stato "agghiacciante", ha detto Jazairy. Gli esportatori, le compagnie di trasporto e gli assicuratori si sono rifiutati di fare affari con la Siria per paura di violare inavvertitamente le sanzioni statunitensi, che sono extraterritoriali. Si applicano a qualsiasi transazione che implichi una connessione negli Stati Uniti, ad esempio beni con oltre il 10 percento di contenuti statunitensi o l'uso di dollari USA.
In un caso, i produttori europei hanno rifiutato di presentare offerte per la fornitura di sedie a rotelle alle Nazioni Unite in Siria. Il mercato è potenzialmente grande - circa 86.000 siriani hanno perso arti nel conflitto - ma non abbastanza redditizio da giustificare il rischio di perdere l'accesso ai clienti statunitensi. Nel suo rapporto del 2018, Jazairy ha proposto il rilascio di risorse della banca centrale siriana "congelate" dall'UE. Il suo suggerimento di mettere a parte i soldi per pagare le importazioni di grano e foraggi animali per soddisfare le "urgenti esigenze di sopravvivenza della popolazione" è stato ignorato.
Le Nazioni Unite affermano che le sue operazioni siriane completano semplicemente il lavoro degli organismi statali, che sono i principali responsabili per far fronte all'emergenza umanitaria. Tuttavia, il bilancio nazionale per il 2019 è stato fissato a meno di 9 miliardi di dollari USA - metà del livello del 2011 - e la spesa effettiva è quasi certamente inferiore. In otto anni di guerra, il PIL è diminuito della metà o dei due terzi. Nel dicembre 2019, la sterlina siriana è scesa a circa il sei percento del suo valore prebellico.
Syria trust for Development remedial class for children in Hanano, a former rebel-controlled zone in Aleppo
Syria trust for Development ,
classe di recupero in Hanano,
 
Il governo continua a sovvenzionare carburante, pane, riso e altri alimenti di base, ma, con la riduzione dei budget del ministero, i servizi di assistenza sociale sono sempre più forniti da organizzazioni locali non governative come la Mezzaluna Rossa Araba Siriana, Gopa-Derd e il Syria Trust. Nel sobborgo di Hanano di Aleppo, il Trust gestisce un centro comunitario finanziato dall'UNHCR, ospitato in un ex carcere dello Stato islamico. Il giorno che l'ho visitato, un insegnante stava aiutando i bambini a modellare la relazione della Terra con il Sole con l'uso di globi e torce. Il patrocinio è stato offerto alle donne divorziate in cerca di affidamento di minori e una dottoressa stava vedendo dei pazienti. Il centro fornisce anche quello che il suo insegnante di inglese, Walaa Kanawati, ha definito un "servizio di consulenza psicologica". Ha affermato che questo era molto richiesto dai genitori preoccupati per il comportamento dei bambini e delle donne sottoposte a violenza domestica. Secondo Kanawati, il centro impegna molto tempo a cercare di insegnare ai bambini e ai giovani come non essere d'accordo senza combattere. "Facciamo due personaggi o due squadre e aiutiamo ciascuna parte a difendere la propria opinione", ha affermato. “Proponiamo argomenti che nascono nella società, come il matrimonio precoce, che è un grosso problema in questa zona. Abbiamo madri di appena 15 anni. ”
Walaa Kanawati del Trust for Development siriano insegna inglese ai giovani Aleppini in un ex carcere dello Stato Islamico ad Hanano, nella parte orientale di Aleppo. Il Trust tiene anche corsi di recupero di inglese e di matematica per i bambini che avevano perso anni di scuola quando vivevano in distretti tenuti dai ribelli. Kanawati ha detto che quei bambini hanno difficoltà a tenere il passo con le lezioni e spesso abbandonano la scuola.
Alaa Dahood, l'insegnante di scuola elementare di Saif al-Dawla ha anche parlato della sfida di educare gli studenti a quella che lei ha definito "l'altra parte". "Sono due, tre e quattro anni indietro rispetto agli altri bambini e devo restare dopo le lezioni per insegnare loro a leggere e scrivere ", ha detto. Alcuni non hanno studiato nelle zone controllate dall'opposizione, mentre altri hanno ricevuto solo istruzioni religiose. Ma “i genitori dell'altra parte di solito apprezzano l'educazione. Vogliono che i loro figli siano bravi quanto i loro compagni di classe ", ha detto Alaa.
A Damasco Gopa-Derd gestisce un centro comunitario finanziato dall'ONU nel sobborgo orientale di Dweila. L'area è un inquietante mix di residenti sottoposti a anni di colpi di mortaio dalla vicina Ghouta, una roccaforte jihadista in tempo di guerra, e rifugiati di Ghouta che sono fuggiti dagli attacchi aerei che hanno portato alla riconquista dell'esercito nel 2018. Il personale del centro cerca di promuovere l'integrazione mettendo a disposizione i servizi per entrambi i gruppi. Incoraggiano anche ragazzi e ragazze a frequentare le lezioni insieme. Le famiglie sfollate dalle aree di opposizione in genere credono che i sessi debbano essere separati in giovane età e "solo i maschi sono importanti", afferma Remi Al Khouri, manager di Gopa-Derd. Lei dice che le classi delle scuole primarie a sesso singolo erano sconosciute in Siria prima "della crisi", aggiungendo: "Vogliamo dimostrare che è normale che ragazzi e ragazze vadano a lezione insieme e giochino insieme".
Nel vicino sobborgo di Kashkoul, un altro centro della comunità Gopa-Derd è concentrato sulla lotta contro l'abuso sessuale dei bambini. Secondo la direttrice del centro, Lina Saker, gli abusi sui minori sono peggiorati durante la guerra. Ho osservato una classe di ragazzi e ragazze di età compresa tra i cinque e i dieci anni impegnati in un esercizio di "sicurezza del corpo e dei confini personali"; un'insegnante di sesso femminile ha usato un poster sul muro per indicare le aree "no touch" del corpo. "Alcuni di questi bambini sono già delle vittime e vogliamo che sappiano che è inaccettabile che le persone tocchino determinate parti del loro corpo", ha detto la signora Saker. Togliere i bambini dalle strade per portarli a scuola li renderebbe meno vulnerabili, ma le famiglie sfollate spesso fanno affidamento su figli e figlie per avere un po' di reddito. Il centro sta cercando di aiutare i bambini di nove anni che vendono pane per strada, preparano tubi di shisha (narghilè ndt) nei caffè, raccolgono rifiuti da riciclare e aiutano nei cantieri. Ha organizzato cure mediche e scolarizzazione per una ragazza di 14 anni la cui salute ha sofferto per il suo lavoro in una fabbrica di carbone. Mentre la lezione sulla sicurezza del corpo era in sessione, le madri dei bambini erano in una stanza vicina a parlare del matrimonio precoce. La maggior parte di loro si era sposata prima dell'età legale dei 18 anni e un impiegato del centro le incoraggiava ad aprirsi sulle conseguenze fisiche, emotive e materiali. "Vogliamo convincerle a impedire alle loro figlie di sposarsi troppo presto e a dare loro una buona istruzione", conclude Lina Saker.
https://mronline.org/2020/01/10/sanctioning-syria/

mercoledì 15 gennaio 2020

Indagine giornalistica: chi c'è dietro il rapimento e il brutale omicidio dei vescovi di Aleppo?

Agenzia Fides 

 Sono morti come martiri, uccisi nel dicembre 2016 dalla banda di miliziani che li teneva in ostaggio da anni. Sarebbe questa la sorte toccata ai due Arcivescovi di Aleppo, il greco ortodosso Boulos Yazigi e il siro ortodosso Mar Gregorios Yohanna Ibrahim, scomparsi il 22 aprile senza lasciar traccia, nell’area compresa tra la metropoli siriana e il confine con la Turchia. Lo sostiene un’inchiesta realizzata da una squadra investigativa guidata da Mansur Salib, ricercatore siriano residente negli Usa, e diffusa attraverso la piattaforma digitale medium.com, nuovo social media collegato a Twitter. 

Secondo quanto sostengono gli autori dell’inchiesta, a uccidere i due sarebbero stati i militanti di Nour al-Din al-Zenki, gruppo 'indipendente' coinvolto nel conflitto siriano, finanziato e armato durante il conflitto sia dall’Arabia Saudita che dagli USA.

L’inchiesta ripercorre la vicenda, soffermandosi su dettagli considerati utili per ricostruirne la dinamica.  
Secondo quanto raccontato dagli autori, il 22 aprile 2013 i due Arcivescovi erano partiti da Aleppo a bordo di un pick-up Toyota, guidato dall’autista Fatha' Allah Kabboud, con l’intento di andare a trattare la liberazione di due sacerdoti, l’armeno cattolico Michael Kayyal e il greco-ortodosso Maher Mahfouz, rapiti in precedenza da gruppi jihadisti anti-Assad che allora controllavano i territori a est della metropoli siriana. 
 Mar Gregorios e Boulos Yazigi, vestiti con abiti civili, sarebbero caduti in quella che la ricostruzione presenta come una vera e propria trappola, sostenendo che i due preti Kayyal e Mahfouz erano stati sequestrati proprio per essere usati come “esca” e poter mettere le mani sue due Arcivescovi. L’auto su cui viaggiavano i due metropoliti di Aleppo fu bloccata dal gruppo dei rapitori, e l'autista Fatha' Allah Kabboud, un cattolico di rito latino, padre di tre figli, fu freddato con un colpo in testa. Il sequestro non fu rivendicato da nessun gruppo.
Corrispondenza con Jamil Diarbakerly, nipote di Ibrahim

Nei mesi e negli anni successivi, intorno al caso sono state fatte filtrare a più riprese indiscrezioni e annunci su una loro prossima liberazione, che poi si sono sempre rivelati infondati.

L’indagine pubblicata ora su medium.com accenna al coinvolgimento nel rapimento di personaggi collegati al MIT (servizio di intelligence turco), sostenendo che il sequestro e la detenzione sono avvenuti in aree diventate a quel tempo un ”ricettacolo di servizi segreti stranieri”, dove difficilmente avrebbero potuto operare senza appoggi dei “terroristi ordinari”.

La vicenda della sparizione dei due metropoliti è stata scandita da depistaggi e informazioni false e fuorvianti, come quella che pochi giorni dopo il loro sequestro li aveva dati come liberi e diretti verso la cattedrale siro ortodossa di Aleppo, dove si radunò inutilmente ad attenderli una moltitudine di cristiani aleppini.
La ricostruzione riporta notizie già note, insieme a illazioni esposte senza riscontri oggettivi, compreso l’accenno secondo cui sarebbe coinvolto nel sequestro dei due Metropoliti anche George Sabra, leader cristiano da sempre vicino ai gruppi di opposizione al governo di Damasco. Viene messa sul tappeto anche l’ipotesi secondo cui gli autori del rapimento puntavano a costringere i due metropoliti a convertirsi all’islam, per alimentare paure e sconforto tra le locali comunità cristiane.
Il testimone più rilevante tra quelli citati nel report sembra essere Yassir Muhdi, presentato come uno dei carcerieri dei due Vescovi, che fu in seguito catturato dalle forze siriane. 

”L'indagine ufficiale” riconosce il dossier “non è ancora conclusa, perché non è stato possibile ritrovare i resti mortali dei due ecclesiastici”. Tra le altre cose, la ricostruzione sostiene – presentando indizi labili o aggregando informazioni senza riscontri oggettivi – che i due Arcivescovi sarebbero stati torturati, e che uno di loro, nel 2015, sarebbe stato curato in una struttura sanitaria di Antiochia, l’Antakya Devlet Hastanesi, nella provincia turca dell’Hatay. 
Nella sezione finale, l’indagine sostiene che i due Vescovi sarebbero stati uccisi e sepolti in un luogo imprecisato nel dicembre 2016, mentre le aree a est di Aleppo stavano per essere riconquistate dall’esercito siriano.
In conclusione, l’indagine pubblicata su medium.com può essere utile a chiarire dettagli sulla dinamica del sequestro e sulle prime fasi della segregazione dei due metropoliti, ma in molti passaggi non sembra apportare elementi certi utili a chiarire in maniera definitiva quale è stata la sorte di Boulos Yazigi e Mar Gregorios Yohanna Ibrahim, Arcivescovi della città-martire di Aleppo. 

http://www.fides.org/it/news/67241-ASIA_SIRIA_Indagine_giornalistica_martirizzati_i_2_Vescovi_di_Aleppo_scomparsi_nel_2013_Ma_le_ombre_permangono

domenica 12 gennaio 2020

Pierre Le Corf si trova qui: Aleppo, sotto le bombe


12 gennaio 2020
Si dice 'tregue'...
Nessuna descrizione della foto disponibile.... nel frattempo ad Aleppo i bombardamenti terroristi continuano su siriani che non chiedono nulla se non di poter vivere le loro vite normalmente. L' attacco oggi è stato veloce ma spaventoso da dove eravamo, alcune dozzine di mortai. 
6 quartieri sono stati attaccati simultaneamente.
Sapete qual è la cosa peggiore? Come durante la battaglia di Aleppo, è puramente gratuito e punitivo. Anche se siamo bombardati quotidianamente, ogni volta che l'Esercito libera una città o un villaggio loro ancor più lanciano colpi di mortai e razzi per qualche giorno sulla città. "Loro", sono gli stessi gruppi che ci assediavano e che sono stati respinti di pochi km dopo la liberazione. I "ribelli" come piace chiamarli in Europa.
Pierre

martedì 7 gennaio 2020

La "cintura musulmana" e la leva jihadista uigura


gennaio 2010
Traduzione Gb.P. per OraproSiria

Impantanati in Afghanistan da quasi vent'anni, molestati dai loro ex alleati talebani, gli Stati Uniti sembrano voler aggrapparsi a quella che è stata a lungo la loro arma preferita, la strategia del "Muslim Belt", la cintura verde dello spazio musulmano, nell'intento di circondare la "Heartland" (zona d'influenza, NDT) eurasiatica (Cina e Russia) che detiene le chiavi per dominare il mondo. Un'arma in qualche modo erosa dalle battute d'arresto dei gruppi terroristici in Siria, dal crollo politico della Fratellanza dei Fratelli Musulmani, matrice originale dei gruppi takfiristi sradicatori e dalla disaffezione dell'Arabia Saudita nei loro confronti.

Su suggerimento di Washington e Ankara, il Partito islamista del Turkestan (PIT) ha quindi intrapreso il percorso della globalizzazione del suo combattimento, con obiettivi prioritari, la Cina e i buddisti, in altre parole, l'India.

1- TURCHIA E STATI UNITI, SPONSOR OCCULTI DEL PIT
Dopo otto anni di presenza in Siria, in particolare nel nord del paese nel settore di Aleppo, il movimento jihadista in Turkestan si sta preparando a dare slancio regionale alla sua lotta, oltre la Siria, con un obbiettivo prioritario: la Cina.
Questa è almeno la sostanza del discorso mobilitante del predicatore Abou Zir Azzam trasmesso in occasione della festa di Fitr, nel giugno 2018, sottolineando "l'ingiustizia" subita dal Turkestan nelle sue due parti, quella occidentale (Russia) e il versante orientale (Cina).
Nel giugno 2017, la Turchia e gli Stati Uniti hanno incoraggiato questo orientamento con il pretesto di preservare i combattenti di questa formazione al fine di assegnarli ad altri teatri operativi, contro gli avversari degli Stati Uniti raggruppati all'interno dei BRICS (Cina e Russia), il centro della contesa per l'egemonia americana in tutto il mondo.

2- LA DOPPIEZZA DELLA TURCHIA
Combattuto tra le sue alleanze contraddittorie, il neo-islamista Recep Tayyip Erdoğan, membro del gruppo Astana (Russia, Iran, Turchia) e contemporaneamente membro della NATO, ha proposto la pianificazione di un vasto perimetro volto a dar rifugio ai jihadisti in un'area sotto l'autorità della Turchia al fine di separare i gruppi islamisti iscritti nella lista nera del terrorismo dai jihadisti raggruppati sotto l'etichetta VSO "The Vetted Syrian Opposition" (opposizione siriana gradita all'Occidente) in un'operazione intesa a consentire al turco di separare il "buon grano" dalla pula, secondo lo schema della NATO.

In altre parole, liberare i siriani, pentiti e disarmati, mettere in stand-by i siriani estremisti, in particolare il gruppo Adanani, e tenere sotto controllo i combattenti stranieri (ceceni, Uiguri) in vista di esfiltrarli segretamente verso altri teatri d'operazione.

Grazie allo spiegamento delle forze americane nel nord della Siria, nel perimetro della base aerea di Manbij e Idlib, la Turchia ha approfittato di questa fase preparatoria dell'offensiva per esfiltrare i suoi simpatizzanti, principalmente gli Uiguri e Al Moharjirine (i migranti), i combattenti stranieri sotto "Hayat Tahrir Al Sham" di tendenza jihadista salafita, il cui gruppo è stato inserito nella lista nera delle Nazioni Unite nel 2013.

Il presidente russo Vladimir Putin ha accettato la proposta turca al vertice di Sochi dieci giorni dopo, il 17 settembre, desideroso di preservare la sua nuova alleanza con la Turchia nel mezzo di una guerra ibrida da parte degli Stati Uniti.
Indurre alle dimissioni della Turchia costituisce la carta vincente della Russia nei suoi negoziati con la coalizione occidentale al punto che Mosca sembrerebbe così ansiosa di incoraggiare questa disconnessione strategica dell'asse Turchia-Stati Uniti, da arrivare al punto di promettere la consegna del sistema balistico S-400 per il 2019. Ankara, da parte sua, spera di conservare gran parte della sua forza di disturbo nell'area, con l'obiettivo di sviluppare un'enclave turca nel settore di Idlib, sul modello della Repubblica turca di Cipro, procedendo a una modifica demografica dell'area concentrandovi in una sorta di barriera umana i cittadini siriani che rientrano nella sfera dei Fratelli Musulmani che essa considera rientranti nella sua autorità.

La zona smilitarizzata concessa provvisoriamente alla Turchia si estende per oltre 15 km di larghezza lungo il confine tra Siria e Turchia nel settore di Idlib, compresa la zona di schieramento delle forze curde sostenute dagli Stati Uniti.

Sulla duplicità della Turchia nella guerra siriana, vedi questi link:

3- LA TERMINOLOGIA MARXISTA COME COPERTURA LEGALE ALLA SVOLTA.
La composizione ideologica della svolta del PIT è stata disegnata dalla terminologia marxista. Alla fine di un dibattito interno di diversi mesi, gli esperti legali di questa formazione hanno deciso di dare una dimensione planetaria alla loro lotta privilegiando IL NEMICO VICINO (Cina) sul NEMICO LONTANO (Siria).
Si è stabilita una competizione giurisdizionale tra i prescrittori rivali Abdel Rahman Al Chami, vicino a Jabhat Al Nusra, ramo siriano di Al Qaida, e Abdel Halim Al Zarkawi, vicino a Daesh.

4- IL DISCORSO MOBILITANTE DI ABOU ZIR AZZAM.
Questo predicatore ha fatto un'irruzione politica a partire da un discorso mobilitante trasmesso in occasione della festa di Fitr, nel giugno 2018, mettendo in evidenza "l'ingiustizia" subita dal Turkestan nelle sue due parti, quella occidentale (Russia) e il versante orientale (Cina). Invocando un boicottaggio commerciale della Cina, ha elencato le sevizie storiche inflitte dai Cinesi agli Uiguri, citando "lo stupro delle donne musulmane" e "l'imposizione di mangiare carne di maiale".

5 - CINA: LA SIRIA, UN RICETTACOLO PER IL TERRORISMO GLOBALE.
La fermentazione jihadista uigura in Siria e in paesi della lontana periferia della Cina ha indotto Pechino, nel marzo 2018, a dispiegare discretamente truppe in Siria col motivo ufficiale di allenare alcuni distaccamenti dell'esercito siriano e fornire loro supporto logistico e medico.
Pechino ha giustificato questo atteggiamento di supporto a motivo della sua prossimità ideologica con il potere baathista a causa della sua natura secolare, nonché per la presenza nel nord della Siria di un grande contingente di combattenti Uiguri.
Così facendo, la Cina mira a intrappolare i jihadisti Uiguri, di cui vuole neutralizzare il loro eventuale ritorno in Cina, mentre i legami tra i separatisti islamisti nelle Filippine e in Mayanmar e i gruppi islamisti che operano in Siria sono confermati, come testimonia l'arresto di agenti dello Stato islamico (Daesh) in Malesia nel marzo 2018 e a Singapore nel giugno 2018.

Il graduale ingresso della Cina nel teatro siriano, dove ha già ottenuto di usufruire di strutture navali nel perimetro della base navale russa a Tartous, sta consolidando la sua posizione, come uno dei tre principali investitori nel finanziamento della ricostruzione della Siria, al pari di Russia e Iran.
Oltre a Tartous, la Cina ha costruito la sua prima base navale all'estero a Gibuti, nel 2017. Adiacente al porto di Doraleh e alla zona franca di Gibuti - entrambe costruite dalla Cina - questa base non dovrebbe ospitare in un primo tempo che "solo" 400 uomini.
Ma, secondo diverse fonti, sono quasi 10.000 gli uomini che potrebbero stabilirsi lì entro il 2026, quando i soldati cinesi avranno trasformato questa enclave in un avamposto militare della Cina in Africa.

Inoltre, all'inizio di settembre la Cina ha partecipato alle manovre navali russe al largo del Mediterraneo, le più importanti manovre della flotta russa nella storia navale mondiale. Ha inviato truppe in Siria, per la prima volta nella sua storia, nel marzo 2018, per supportare le forze del governo siriano durante la presa di Idlib, in particolare per decriptare le comunicazioni tra i jihadisti Uiguri al fine di neutralizzarle.
Per quanto riguarda la Cina, la Siria funge da ricettacolo per il terrorismo globale, compreso quello interno cinese. Cercando di alleviare la spesa finanziaria russa e di sostenere lo sforzo di guerra siriano, la Cina ha concesso aiuti militari per 7 miliardi di dollari alla Siria, le cui forze combattono nella battaglia di Aleppo i jihadisti Uiguri, (musulmani di lingua turca della Cina nordoccidentale), dove quasi 5.000 famiglie, ossia quasi quindicimila persone, si sono stabilite nella zona orientale di Aleppo.

6- LA QUESTIONE UIGURA.
La strumentalizzazione degli Uiguri da parte degli americani risponde alla loro preoccupazione di avere una leva contro Pechino, in quanto "la Cina e gli Stati Uniti sono impegnati, a lungo termine, su una rotta di collisione. I precedenti storici mostrano che un potere crescente e uno in declino sono spesso condannati allo scontro", sostiene l'ex primo ministro francese Dominique de Villepin, "in particolare in un momento in cui la scena diplomatica internazionale è nel mezzo della transizione verso un mondo post occidentale. Il suo obiettivo di fondo è quello di ostacolare l'attuazione della seconda via della seta ”.

Musulmani di lingua turca, gli Uiguri jihadisti provengono dalla provincia di Xingjiang, nell'estremo ovest della Cina, al confine con otto paesi (Mongolia, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Afghanistan, Pakistan e India).

Molti Uiguri hanno combattuto in Siria sotto la bandiera del Movimento islamico del Turkestan orientale (Sharqi Turkestan) alias Xinjiang, un'organizzazione separatista di lotta armata il cui obiettivo è la creazione di uno "Stato Islamico Uiguro" nello Xinjiang.
I combattenti Uiguri hanno ricevuto assistenza dai servizi segreti turchi per il loro trasferimento in Siria, attraverso la Turchia. Questo fatto ha generato tensione tra i servizi di intelligence turchi e cinesi in quanto la Cina è preoccupata per il ruolo dei turchi nel sostenere i combattenti Uiguri in Siria, un ruolo che potrebbe favorire il sostegno turco ai combattimenti nello Xinjiang.

La comunità uigura in Turchia conta 20.000 membri, alcuni dei quali lavorano per l'Associazione di Solidarietà e Istruzione del Turkestan orientale, che fornisce aiuti umanitari ai siriani ed è sotto osservazione dalla Cina. Un video del PIT del gennaio 2017 afferma che la sua brigata siriana ha combattuto con il fronte di al-Nosra nel 2013 nelle province di Raqqa, Hassakeh e Aleppo.

Nel giugno 2014, il gruppo jihadista ha ufficializzato la sua presenza in Siria: la sua brigata sul posto, guidata da Abu Ridha al-Turkestani, un portavoce di lingua araba, probabilmente un siriano, ha rivendicato la responsabilità di un attacco suicida a Urumqi nel maggio 2014 e di un attacco alla Piazza Tienanmen nell'ottobre 2013.

Il gruppo ha promesso fedeltà al Mullah Omar dei Talebani. Ventidue Uiguri sono stati arrestati a Guantanamo, poi rilasciati per mancanza di prove. Seguendo l'esempio dell'Emirato Islamico del Caucaso, la cui filiale siriana operava nell'ambito di Jaysh Muhajirin Wal-Ansar, il PIT ha creato la propria filiale in Siria che opera in concerto con Jabhat Al Nusra tra le province di Idlib e Lattakia.

7 - L'AMBIENTE JIHADISTA IN INDIA E IL SUO SPOSTAMENTO VERSO ISRAELE.
La distruzione dei Buddha di Bamyan da parte dei Talebani nel marzo 2001, sei mesi prima dell'attacco dell'11 settembre contro i simboli dell'iperpotenza americana, fu un fattore scatenante che indusse l'India ad abbandonare la sua tradizionale politica di amicizia con i paesi arabi, in particolare l'Egitto, il suo principale partner nel Movimento dei Non Allineati, per avvicinarsi ad Israele.

L'ambiente jihadista dell'India ha d'altronde portato i suoi dirigenti ad avvicinarsi anche agli Stati Uniti in un contesto segnato dalla scomparsa del partner sovietico, in contemporanea a un'accentuazione della cooperazione sino-pakistana che porta al trasferimento di energia da Pechino a Islamabad e il lancio di un programma nucleare pakistano con sussidi sauditi.

La nuova alleanza con gli Stati Uniti e Israele è stata sigillata sulla base di una convergenza di interessi e di un approccio sostanzialmente simile di paesi che si presentano come democrazie che condividono la stessa visione pluralista del mondo, avendo lo stesso nemico comune, "l'Islam radicale".

Il riavvicinamento con Israele ha portato a una normalizzazione delle relazioni israelo-indiane nel 1992, materializzata dalla prima visita di un leader israeliano a Nuova Delhi, nel 2003, nella persona del primo ministro Ariel Sharon, l'anno dell'invasione americana dell'Iraq.

Terza potenza regionale con Cina e Giappone, l'India si trova in una posizione ambivalente in quanto deve mantenere stretti legami con le superpotenze per rimanere nel gruppo alla testa della leadership mondiale, senza allentare i legami con il Terzo mondo, di cui è stata una delle leader per lungo tempo. La sua presenza nei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) risponde a questa logica.
Gli Uiguri, dal ricordo dell'osservatore, non sono morti mai per la Palestina, neppure uno. Ma molti sono stati contro la Siria, in una deviazione settaria della loro ideologia.

Agli occhi degli strateghi del Pentagono, la strumentalizzazione dell'irredentismo uiguro dovrebbe avere lo stesso effetto destabilizzante sulla Cina del jihadismo ceceno sulla Russia di Putin. Ma una possibile ascesa al potere del Partito islamico del Turkestan potrebbe avviare una ridistribuzione delle carte, le cui principali vittime potrebbero essere i jihadisti Uiguri, come gli islamisti in Siria. A voler troppo servire da «carne da cannone» a combattimenti mercenari decisi da committenti guidati esclusivamente dalla loro ragione di stato della loro propria potenza, il destino dei suppletivi è ineluttabilmente segnato: Tacchini ripieni di un gigantesco inganno.

8 - LA DEFEZIONE DI TRE PAESI MUSULMANI ALLEATI DELL'OCCIDENTE.
Di fronte a una tale configurazione, il Pakistan, il pompiere piromane del jihadismo planetario per decenni sembrava aver avviato una revisione dolorosa delle sue alleanze, rinunciando al suo precedente ruolo di guardia del corpo della dinastia wahhabita per un ruolo più gratificante di partner della Cina, la potenza planetaria in via di realizzazione, tramite il progetto OBOR (ONE BELT ONE ROAD o Nuova via della seta - NDT).

Altri due paesi musulmani, ex alleati dell'Occidente, ne han seguito l'esempio: la Malesia e senza dubbio la Turchia, a medio termine, colpita da sanzioni economiche da parte degli Stati Uniti.
Se l'ipotesi del jihadismo anti-buddista dovesse materializzarsi, darebbe inizio a una gigantesca tettonica delle placche con l'effetto di sigillare un'alleanza di fatto tra Cina e India, i due stati continenti dell'Asia, oltre che non musulmani, in vista di sconfiggere l'idra islamista che si aggira alla loro periferia.

Per Approfondire..

domenica 5 gennaio 2020

La pace del mondo in bilico dopo l'uccisione di Soleimani


Il nunzio apostolico in Iran, arcivescovo Leo Boccardi, dopo l’uccisione del generale Soleimani ha dichiarato in un’intervista a «VaticanNews» :
Tutto questo crea preoccupazione e ci dimostra quanto è difficile costruire e credere nella pace. La buona politica è al servizio della pace, tutta la comunità internazionale deve mettersi al servizio della pace, non soltanto nella regione ma nel mondo intero. Certamente, in queste ore, si respira una forte tensione in Iran. Ci sono state manifestazioni dove, dopo l’incredulità, si sono registrati violenza, dolore e protesta.
L’appello è quello di abbassare la tensione, chiamare tutti al negoziato e credere al dialogo sapendo, come la storia ci ha sempre insegnato, che la guerra e le armi non sono le soluzioni ai problemi che affliggono il mondo di oggi. Bisogna credere nel negoziato. Si deve credere nel dialogo. Bisogna rinunciare al conflitto e si deve “armarsi” con le altre armi che sono quelle della giustizia e della buona volontà.
Occorre continuare a prodigarsi e a portare all’attenzione della comunità internazionale la situazione del Medio Oriente. Una situazione che deve essere risolta e si devono chiamare tutti alla responsabilità diretta che abbiamo. Pacta sunt servanda, dice una regola importante della diplomazia. E le regole del diritto devono essere rispettate da tutti.”
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America contro tutti con l’uccisione del generale Soleimani

  di Gianandrea Gaiani

L’uccisione a Baghdad del comandante della divisione al-Quds dei pasdaran iraniani, il generale Qassem Soleimani, non costituisce solo l’ennesima esecuzione mirata effettuata dagli Stati Uniti ormai in ogni angolo del mondo, ma rappresenta un vero e proprio spartiacque tra Washington e il resto del mondo, alleati inclusi.
Poco importa se, sul piano tecnico-militare i due veicoli Suv polverizzati all’aeroporto di Baghdad siano stati colpiti dai missili Hellfire lanciati da un elicottero AH-64E o da un velivolo teleguidato MQ-9 Reaper.
Quel che conta in termini politico-strategici è che gli Stati Uniti hanno ucciso Soleimani e Abu Mahdi al-Muhandis (vice comandante delle Unità di Mobilitazione Popolare, le milizie scite irachene filo-iraniane protagoniste della campagna vittoriosa contro lo Stato Islamico) come se si trattasse di capi talebani o di leader di milizie e gruppi terroristici qaedisti o dell’Isis.

Soleimani era un generale comandante di una forza governativa, cioè un’alta personalità dello Stato iraniano mentre al-Muhandis era un alto ufficiale di una milizia integrata nell’apparato militare dello Stato iracheno, lo stesso Stato che ha un accordo con Washington per ospitare forze statunitensi che certo non prevede vengano impiegate per colpire figure istituzionali oppure ospiti e amici dell’Iraq.
Non si tratta solo di ingerenza arbitraria ma di un raid effettuato dagli USA con velivoli decollati probabilmente dall’Iraq che hanno colpito a Baghdad personalità dello Stato iracheno e iraniano ritenute ostili da Washington che, come fa Ankara con i curdi, definisce “terroristi” tutti i suoi avversari inclusi gli iraniani.
Definizione improbabile tenuto conto del ruolo fondamentale ricoperto da pasdaran e milizie scite nello sconfiggere lo Stato Islamico in Iraq e Siria.

L’enormità di quanto è accaduto a Baghdad non può essere sottovalutata anche in termini di rispetto della sovranità di uno Stato amico degli stati Uniti. Come reagiremmo se aerei statunitensi decollati da Aviano o Sigonella colpissero alti ufficiali italiani e di un paese amico di Roma bombardando i loro veicoli all’aeroporto di Fiumicino? Come definiremmo il raid di un drone iraniano che uccidesse con un missile a Baghdad un generale dei marines o delle special forces statunitensi? Senza dubbio lo definiremmo un atto di terrorismo.
E’ vero che gli iraniani erano presenti alla violenta manifestazione tenutasi davanti all’ambasciata americana a Baghdad ma quell’evento è stata una risposta non molto pacifica a un atto di guerra quale i raid aerei statunitensi su una base delle milizie scite irachene.

Certo, le tensioni tra statunitensi e milizie filo-iraniane in Iraq avevano messo da tempo a dura prova i rapporti tra Baghdad e Washington ma le pesanti ripercussioni dell’uccisione di Soleimani non sfuggono neppure ai vertici dell’Amministrazione Trump.
Il Pentagono ha subito tenuto a precisare che “per ordine del Presidente le forze armate hanno adottato misure difensive decisive per proteggere il personale americano all’estero uccidendo Qassem Soleimani”. Una dichiarazione che cerca di giustificare l’omicidio come un’azione difensiva attribuendo al tempo stesso la responsabilità a Trump.

Il segretario di Stato, Mike Pompeo, si è impegnato a spiegare ad amici e alleati le ragioni degli USA ma ha incassato un plauso solo da Gerusalemme (peraltro scontato) mentre ovunque dilagano scetticismo, sconcerto e condanne più o meno manifeste. Intanto i presidenti russo e francese discutono ormai sempre più apertamente su come contrastare la politica muscolare degli Stati Uniti in Medio Oriente.
Di fronte agli scarsi risultati ottenuti dalla sua campagna in cerca di consenso e comprensione, Pompeo, ha pensato bene di bacchettare gli alleati europei (ancora !!) che, a suo giudizio, non sono stati “così disponibili” nel comprendere le ragioni che hanno spinto gli americani a uccidere Soleimani. “Ho parlato con i nostri partner nella regione del Medio Oriente per spiegare loro cosa stessimo facendo, perchè lo stessimo facendo, e per chiedere loro assistenza. Tutti sono stati fantastici. Ma le mie conversazioni con i nostri partner in altri luoghi non sono state altrettanto positive. Francamente, gli europei non sono stati così disponibili come avrei voluto che fossero. Gli inglesi, i francesi, i tedeschi, tutti devono capire ciò che hanno fatto gli americani, hanno salvato vite umane anche in Europa”.
Valutazione che ben spiega quale sia il concetto di alleanza con l’Europa della leadership statunitense, già peraltro ben evidenziato in passato.

Di fatto Washington (fin da prima dell’attuale amministrazione) ci dice da anni che dobbiamo accettare che i russi siano di nuovo “cattivi”, che dobbiamo spendere di più per la Difesa (ma comprando prodotti “made in USA”), che l’accordo sul nucleare con l’Iran andava abrogato (cin sanzioni economiche annesse) pur in assenza di violazioni da parte di Teheran e ora pretende di convincerci che se gli americani ammazzano chiunque desiderino e bombardano ovunque ritengano necessario in barba a ogni norma del diritto, lo fanno per il nostro bene.
Meglio metterlo in conto: con visioni così semplicistiche e supponenti i rapporti con gli USA saranno per tutti sempre più ardui e complicati mentre la pretesa di averci come vassalli plaudenti rende agli europei sempre più difficile essere amici e alleati degli Stati Uniti.

Difficile scongiurare l’escalation che l’uccisione di Soleimani con ogni probabilità finirà per generare, soprattutto in un Iraq già da tempo in preda a una profonda crisi interna che mina la residua credibilità delle istituzioni in mano agli sciti e rilancia, per l’ennesima volta dalla rimozione del regime di Saddam Hussein, il confronto tra sciti e sunniti.
L’Iran potrebbe rispondere presto all’uccisione di Soleimani in termini militari mentre Baghdad sarà con ogni probabilità costretta da pressioni da parte di molti partiti sciti e di Teheran a chiedere agli Stati Uniti di ritirare i circa 5mila militari presenti nel paese nell’ambito della Coalizione anti-Isis di cui fanno parte anche i contingenti alleati inclusi 900 militari italiani.
Soldati barricati nelle basi nel timore di trovarsi coinvolti in qualche rappresaglia, scambiati per americani, dopo il raid all’aeroporto di Baghdad circa il quale gli USA non avevano neppure informato gli alleati della coalizione.

L’aperta ostilità con l’Iran e il mondo scita, ufficializzata platealmente con l’uccisione di Soleimani, preoccupa Roma (che schiera soldati a Baghdad e Irbil ma anche in mezzo agli Hezbollah nel libano del Sud) ma anche le stesse monarchie del Golfo che vedono oggi ancor più concreto il rischio di una guerra con Teheran ma soprattutto devono oggi guardare con crescente diffidenza le forze militari statunitensi presenti sul loro territorio.
Forze che evidentemente Washington considera di poter impiegare senza limitazioni nonostante gli accordi sottoscritti. Un aspetto su cui necessariamente rifletteranno da oggi in tanti, in Medio Oriente come in Europa.
E’ ancora tollerabile per Baghdad e il mondo arabo che in queste ore i caccia statunitensi basati in Giordania, Kuwait ed Emirati Arabi Uniti sorvolino liberamente l’Iraq per proteggere le proprie basi e, qualora lo ritenessero necessario, bombardino installazioni e milizie in territorio iracheno?
Queste forze statunitensi costituiscono ancora un elemento di stabilizzazione regionale o non sono al contrario strumenti per accentuarne una destabilizzazione? Una destabilizzazione che colpirebbe anche in termini petroliferi i paesi produttori e i principali consumatori, eccetto quelli già autosufficienti come gli Stati Uniti.
L'immagine può contenere: spazio all'aperto e acqua
Milioni di iraniani si uniscono per  la cerimonia di addio per il generale Soleimani e i suoi compagni

Secondo alcuni analisti l’uccisione così plateale di Soleimani ha l’obiettivo di ripristinare la deterrenza statunitense nel Golfo, per ammonire Teheran che gli USA sono sempre pronti a mordere le forze iraniane e dei suoi alleati quali Hezbollah o le milizie scite in Iraq. L’impressione è invece che l’attacco contro il leader dei pasdaran punti a far saltare i precari equilibri che tengono malamente insieme l’Iraq facendolo sprofondare nella guerra civile. Soleimani era un “obiettivo pagante” ma la sua eliminazione non costituisce nessun vantaggio: al suo posto è già stato nominato il suo vice, il generale Esmael Ghaani (nella foto sotto), che continuerà a guidare i pasdaran per garantire gli interessi dell’Iran oltre i confini nazionali.
Anzi, in un Iran diviso al suo interno dalla crescente insofferenza nei confronti del regime, la morte di un eroe nazionale così popolare come Suleimani aiuterà a cementare il patriottismo intorno al governo.

Ancora Mike Pompeo, subito dopo il raid ha annunciato su Twitter che si vedono iracheni in festa per strada dopo l’annuncio della morte del generale iraniano. “Gli iracheni danzano nelle strade per la libertà, grati che il generale Soleimani non c’è più”.
A esprimere tanta gioia erano però gli abitanti dei quartieri sunniti di Baghdad e del resto Soleimani ha guidato gran parte delle operazioni contro l’insorgenza sunnita accentrata intorno al Califfato: dalla difesa di Baghdad nell’estate del 2014 (gestita dai pasdaran) fino alla riconquista di tutto il nord e l’ovest dell’Iraq nonché di parte dell’Est siriano.
Difficile immaginare che il tweet di Pompeo fosse inconsapevole, tenuto conto che l’attuale segretario di Stato è stato al vertice della CIA, ma se dopo aver istituito la Coalizione anti Isis ora Washington punta ad alimentare il revanchismo sunnita (specie ora che l’Isis sta rialzando la testa) è evidente che l’obiettivo ultimo è la definitiva destabilizzazione dell’Iraq.
Un obiettivo funzionale, nella visione strategica degli USA, a interrompere la continuità geografica e strategica della “Mezzaluna scita” che si estende dall’Iran bagnato dall’Oceano Indiano e dalle acque del Golfo Persico fino alle coste del Libano meridionale sulle rive del Mediterraneo attraverso Iraq e Siria.
Un obiettivo certo non nuovo per gli USA che fino a ieri lo hanno perseguito cercando di interrompere questa continuità geografica con il controllo dei territori orientali siriani (in mano ai curdi sostenuti da militari statunitensi, francesi e britannici) ad altri ribelli appoggiati dalle forze USA in Giordania, nel settore di al-Tanf.

Nell’ottobre scorso l’intervento turco nel nord della Siria e il successivo accordo tra Ankara e Mosca hanno cambiato tutto mettendo fuori gioco gli statunitensi e permettendo a Damasco di riprendere il controllo dell’est del paese.
L’anello debole della “mezzaluna scita” su cui oggi Washington potrebbe far leva è quindi l’Iraq, sostenendo e alimentando l’insofferenza dei sunniti nei confronti del governo scita di Baghdad sostenuto dall’Iran e afflitto da sempre dai mali del settarismo e della corruzione.