Traduci

venerdì 30 aprile 2021

La Tunisia in preda al demone del terrorismo.

 

ANALISI - Il Paese, democrazia in costruzione dopo la ′′rivoluzione del gelsomino′′ del gennaio 2011, è oggi il primo Paese esportatore di giovani partiti per la jihad: Libia, Siria e Sahel... Una realtà dura da accettare dalla società locale.

     Articolo di Yves Thréard, LE FIGARO, 26 aprile 2021 

′′Come ogni volta, in Tunisia, si è presi da spavento all'annuncio di un attentato terroristico in Europa: si prega Dio che il presunto terrorista non sia tunisino e ci si nasconde la faccia fino ai risultati delle indagini della polizia. E, quasi sistematicamente, si ha diritto allo stesso verdetto: il colpevole è un terrorista tunisino... "   Inizia  così, sabato, l'articolo di Moncef Dhambri sul sito di informazioni online Kapitalis. Dopo 72 ore dall'assassinio della funzionaria della polizia del commissariato di Rambouillet, i commenti sono tantissimi sui media tunisini. Tra rabbia e disperazione, una domanda viene ripetuta, lancinante, dolorosa, terrificante: perché noi? 

Jamel Gorchene, l'assassino di 36 anni, era effettivamente originario di Msaken, comune della regione di Sousse. Come Mohamed Lahouaiej Bouhlel, l'islamista di 31 anni che ha ucciso 86 persone, il 14 luglio 2016, al volante del suo camion sulla Passeggiata degli inglesi a Nizza. Anche lui era, si diceva, era depresso. L'inchiesta rivela tuttavia che il suo attentato, rivendicato da Daech (ISIS), era stato preparato con attenzione.

Pochi mesi dopo, il 19 dicembre 2016, è Anis Amri, nato a Tataouine, nel sud della Tunisia, che si dirige con un veicolo rubato sul mercato di Natale a Berlino: 12 passanti vengono uccisi.

Il 1° ottobre 2017 Ahmed Hanachi, delinquente tunisino appena rimesso in libertà il giorno prima dei suoi crimini, assassina, alla stazione di Saint Charles di Marsiglia, due giovani donne. Tre anni dopo, il 20 ottobre 2020 Brahim Aouissaoui, appena arrivato in Francia da Sfax, via Lampedusa, sgozza il sacrestano e una fedele della Basilica di Nizza e poi, non lontano dall'edificio, una donna di 44 anni.

La Tunisia, dodici milioni di abitanti, democrazia in costruzione dopo la ′rivoluzione del gelsomino′′ del gennaio 2011, è un focolaio del terrorismo islamico. Oggi è il primo paese esportatore di giovani partiti per la jihad: in Libia, in Siria e nel Sahel... Una realtà dura da accettare dalla società sul posto. Secondo uno studio del Washington Institute for Near East Policy, pubblicato nel dicembre 2018, negli ultimi anni 3000 cittadini tunisini sono partiti per zone di combattimento. E altri 9000, secondo alcune fonti, sarebbero stati impediti di andarvi. Perché così tanti? 

Già alla svolta degli anni 2000, la guerra in nome di Allah perseguitava gli spiriti e attirava i candidati. Nel 2000 due tunisini sono presenti nel gruppo che sta progettando di attaccare la Cattedrale di Strasburgo. Il 9 settembre 2001, due giorni prima del crollo delle Twin Towers a New York, due uomini, originari di Gabès e Sousse, arruolati da Al-Qaeda, assassinano il comandante Massoud. Osama Bin Laden e la filiera afghana reclutarono molti tunisini. Proprio come i gruppi che combatterono nella seconda guerra in Iraq, a partire dal 2003. 

Il territorio tunisino stesso non è risparmiato. Nel 2002 un kamikaze prende di mira a famosa sinagoga della Ghriba, a Djerba: 19 vittime. Dal 2011 circa 120 poliziotti o membri delle forze di sicurezza sono stati colpiti da terroristi. Spettacolari attentati sono stati commessi: il 18 marzo 2015, 24 persone trovano la morte nel museo del Bardo a Tunisi; il 26 giugno dello stesso anno, 27 turisti vengono uccisi nell'hotel Imperial Marhaba a Sousse... La lista è lunga; la minaccia, permanente; la tensione, estrema. 

Se la povertà, reale nelle regioni lontane dal litorale, viene spesso invocata per giustificare questa radicalizzazione, non basta a spiegare il fenomeno. Il quale, come si vede, è molto precedente alla primavera araba. Quando Habib Bourguiba, il padre della nazione, e il suo successore, Zine el-Abidine Ben Ali, guidavano il paese con una mano di ferro, il verme islamista era già presente in tutto il paese. Meno lampante forse, ma già virulento. Nel suo testamento, scoperto dagli americani in un nascondiglio di al-Qaeda in Pakistan, l'autore franco-tunisino dell'attacco della Ghriba, Nizar Naour, afferma la sua "adorazione per Khomeini, Bin Laden e Ghannouchi". 

Rached Ghannouchi. Il nome dell'attuale presidente dell'Assemblea nazionale tunisina ritorma spesso nei dibattiti sulla radicalizzazione dei giovani. 80 anni di età, questo vicino di fuoco dell'ayatollah Khomeini, dei Fratelli Musulmani e della Turchia di Erdogan, è il capo di Ennahdha, partito che è al cuore del panorama politico tunisino, anche se ha perso voti. Esiliato a Londra prima di tornare nel suo paese nel 2011, è accusato di svolgere un ruolo ambiguo, nonostante la sua da poco proclamata fedeltà alla democrazia. E' stato uno dei suoi attivisti, Tarek Maaroufi, a reclutare a Bruxelles i due assassini di Massoud. 

Condannato in Belgio, Maaroufi quando uscirà di prigione sarà accolto come eroe a Tunisi. Lui, Ghannouchi ed altri eserciteranno un ruolo importante, dopo la ′′rivoluzione del gelsomino′′ del 2011, per spingere i giovani verso la jihad. Il loro proselitismo è rilevato da servizi e osservatori stranieri. Jacob Wallas, ambasciatore statunitense in Tunisia dal 2012 al 2015, non esiterà ad affermare, in una conferenza organizzata nel 2018:

′′ Vorrei sottolineare la tolleranza iniziale delle attività jihadiste da parte del governo dell'epoca. Il partito Ennahdha ha difeso il dialogo con i jihadisti." Infatti l'ondata di liberazione post-rivoluzionaria ha fatto emergere molti individui fanatici. Parecchi si uniscono alle fila di Ansar al-Sharia, gruppo salafista di cui la regione di Sousse è il feudo. Altri si nascondono nel sud tunisino, verso Kasserine e il djebel Châambi, dove ritrovano compari provenienti dall'Algeria e dalla Libia. 

′′Se è vero che il coinvolgimento dei tunisini nel terrorismo internazionale non risale alla caduta del regime, nel gennaio 2011, è evidente comunque che il loro numero è esploso a partire da quella data”, dichiara Mezri Haddad, filosofo ed ex diplomatico tunisino. “Ciò si spiega con la destabilizzazione dei servizi segreti e di sicurezza nel gennaio 2011, con la liberazione di decine di terroristi detenuti in prigione durante l'epoca di Ben Ali, con l'ondata migratoria di centinaia di clandestini a partire dal gennaio 2011 che hanno invaso l'Italia e la Francia, con il trasferimento di migliaia di candidati al jihadismo in Siria, con la complicità delle autorità politiche." Due deputati tunisini hanno sospettato che una compagnia aerea, Syphax Airlines, svolgesse questa missione. Il suo proprietario, simpatizzante di Ennahdha, siede oggi in Aula. 

Nel 2017 è stata istituita una commissione parlamentare tunisina per trovare rimedi alla radicalizzazione di una parte della popolazione. Senza seguito. Dopo l'assassinio di Samuel Paty, lo scorso ottobre nelle Yvelines, il deputato islamo-populista Rached Khiari ha scritto sulla sua pagina Facebook: "Ogni attacco al profeta Maometto è il più grande crimine. Tutti coloro che lo commettono devono assumersi le sue ricadute e ripercussioni.". Parole che hanno provocato una vivace polemica e che gli hanno procurato guai con la giustizia del suo Paese.

Su Facebook, l'assassino di Rambouillet seguiva assiduamente le notizie di Rached Khiari, di cui era tifoso, ma anche le dichiarazioni indignate di Jean-Luc Mélenchon sull'Islam in Francia. La giovane democrazia tunisina, così singolare in un mondo arabo-musulmano capovolto, potrà ancora resistere a lungo alla piovra islamica che la mina dall'interno e si diffonde ovunque in Francia e in Europa?

https://www.lefigaro.fr/vox/monde/la-tunisie-en-proie-au-demon-du-terrorisme-20210426

lunedì 26 aprile 2021

Vivere oggi ad Aleppo

 

Dieci anni di guerra civile in Siria - o c'è dell'altro? 

Vivere e sopravvivere 

Bernard Keutgens 

Tutto è iniziato con una rivolta. All'inizio, si scontravano solo diverse  fazioni e gruppi, ma ben presto cinque grandi potenze militari hanno cominciato  ad interferire facendo esplodere gli scontri in una implacabile guerra. 

Ecco perché reagisco male quando leggo che questa è una guerra civile.  Si tratta davvero di una devastazione per mano di cittadini litigiosi? Forse  bisognerebbe riaprire i libri di storia per trovare la definizione esatta di guerra  civile... Anch'io, naturalmente, denuncio tutta la violenza, la criminalità e la  corruzione che non mancano qui a livello locale come altrove nel mondo. Ma ai  miei occhi, non voler vedere le connessioni geopolitiche è ingiustificabile.  

Le armi erano ferme da sei mesi quando ho visitato per la prima volta degli  amici ad Aleppo nell'agosto 2017. Un segno di speranza era visibile sui volti  della gente, anche se un terzo della città - a quel tempo una metropoli con più di  3 milioni di abitanti - era completamente in rovina. Ovunque si vedevano edifici  scheletrici, devastazioni, rovine... Più tardi, ho potuto vedere con i miei occhi  tutta la portata della distruzione in molte altre parti del paese: nei villaggi e nelle  città lungo le strade principali, nei sobborghi di Damasco, a Homs e nelle città  circostanti, per non parlare delle zone che mi è stato detto di evitare....  

La mia presenza ad Aleppo 

Quando mi sono trasferito qui ad Aleppo nel febbraio 2018, tutti erano  convinti che ci sarebbero stati tempi più tranquilli. Tutt'altro! Qualche giorno fa,  abbiamo dovuto assistere al triste decimo anniversario di un conflitto senza fine:  senza dubbio una delle più grandi crisi umanitarie dopo la seconda guerra  mondiale. 

Ora la situazione per tutta la popolazione civile, così come per me, è  sempre più confusa e dura: manca quasi del tutto il gasolio per il riscaldamento  durante i mesi invernali (non ho mai avuto così freddo in vita mia), code  chilometriche di auto davanti alle stazioni di servizio, centinaia di persone  davanti ai punti di distribuzione del pane (il pane è sovvenzionato dal governo  ed è razionato, così come il gas e la benzina), da mesi abbiamo solo 3 ore di  elettricità al giorno, difficile l’accesso a internet.... Tutto questo in un paese in  cui le riserve di petrolio sarebbero sufficienti a rifornire l'intera popolazione. Ma  tali riserve nel Nord-Est del paese sono nelle mani di grandi potenze. Anche gli enormi campi di grano fertile al confine con l'Iraq sono stati  deliberatamente incendiati da diversi anni. Uno scenario catastrofico che  difficilmente si può immaginare. 

Tutte le attività economiche sono state paralizzate dalla guerra, così che  la povertà ha ormai colpito l'intera popolazione. Si può parlare di una grande  carestia, poiché la maggior parte delle persone, a causa del basso reddito (il 90%  vive sotto la soglia di povertà), non può più procurarsi nemmeno gli alimenti di  base. Una povertà causata anche dall'orrenda inflazione con prezzi galoppanti.  Un disastro assoluto. 

Personalmente da molti anni faccio parte del Movimento dei Focolari, che  lavora per l'unità, il dialogo e la convivenza pacifica, in sintonia con una comunità attiva in Siria da 50 anni. Ad Aleppo la comunità è piccola, ma in tutto  il paese, circa 700 amici condividono gli stessi valori e lo stesso stile di vita. Io  opero come terapeuta familiare principalmente nei quartieri cristiani nel centro  di Aleppo: accompagnamento delle famiglie, formazione di vario tipo, progetti  per i giovani, interventi psicosociali, sostegno ad altri operatori umanitari. 

Aleppo è un centro multietnico-religioso nel Nord del paese. Le  organizzazioni umanitarie cooperano in un'ampia rete per tutta la popolazione.  Io stesso sono responsabile del sostegno ai genitori in una scuola di 100 bambini  con problemi di udito, di cui circa il 90% appartiene alla comunità musulmana.  È stato impressionante per me vedere come si è messa in moto una solidarietà  dinamica tra i genitori durante le sessione di formazione, permettendo di  imparare reciprocamente gli uni dagli altri. Le madri che indossano il velo hanno  posto spontaneamente le loro domande e condiviso le esperienze di integrazione  dei figli con problemi di udito. 

Nell’ultimo anno, la crisi ha assunto proporzioni ancora maggiori. In  guerra ci si può proteggere dalle bombe e dalle schegge, ma non dalla povertà.  Ora sono costantemente fermato da persone che chiedono aiuto. Probabilmente  si può dire da lontano che sono "lo straniero con la borsa gialla". Sanno molto di  me, forse tutto. Sicuramente sono uno dei pochissimi stranieri che hanno deciso  di vivere qui solo per aiutare la gente. Con il mio arabo stentato e con il  linguaggio dei segni riesco a comunicare. Grazie alle organizzazioni ecclesiali  ho ricevuto un permesso di soggiorno valido per lavorare qui per 3 anni. 

Mi sono chiesto spesso perché metà della popolazione (11 milioni su un  totale di 22 milioni) ha dovuto lasciare le proprie case, fuggire all'estero o  stabilirsi in una zona più sicura a casa. Sì, la realtà sul terreno è più complessa  rispetto a come viene rappresentata nei media occidentali e nella politica. La  versione ufficiale secondo la quale una sola persona è responsabile della  catastrofe è molto debole. I resoconti sono strumentalizzati in funzione dei  diversi interessi. 

È difficile, quasi impossibile, avere un quadro chiaro e neutrale della  complessa situazione qui sul terreno e in tutto il Medio Oriente, perché ci sono  troppe poche informazioni sulle mosse segrete, gli interessi strategici e gli  intricati giochi di potere. Tutti qui si sono resi conto da tempo che questo  conflitto non riguarda i valori democratici, come viene spesso dipinto dalla  stampa occidentale, ma i grandi interessi geopolitici e le molte risorse naturali.  Il problema non è solo di diritti umani ma anche e soprattutto di trattati  internazionali che non vengono rispettati. Ognuno accusa l'altro come il  colpevole. Quando cammino per le strade, mi chiedo spesso quale sia la  responsabilità dei paesi occidentali, compresi gli alleati del mio paese (il Belgio),  in questo conflitto. Alla Siria sono state imposte sanzioni massicce, tra l'altro le  più dure e severe mai imposte a un paese nella storia. Con quale diritto? Poiché  ora è impossibile commerciare con la Siria, il paese non ha alcuna possibilità di  ricostruirsi. Tutti sono colpiti dalle sanzioni. Dopo la seconda guerra mondiale,  il Piano Marshall è stato fondamentale per la ricostruzione. Ma qui non ho mai  sentito parlare di un piano di salvataggio, sicchè, l'impoverimento della  popolazione va avanti a passi da gigante. È un vero disastro. 

Mi tormenta la domanda: da dove vengono le armi? C'è l’embargo anche  sulle armi? Quali gruppi sostiene l'Occidente? Quali sono le forze di opposizione  dal punto di vista dell’Occidente? Quali persone e gruppi hanno attraversato il  confine turco in Siria? E quando in Occidente si parla di aiuti umanitari, si dice  chi li riceverà alla fine? Non si donano sostegni forse solo ai gruppi conniventi  con Idleb e a particolari zone? 

Come terapeuta, è d’obbligo farsi domande. La gente mi parla  continuamente di eventi drammatici. Per esempio, un padre si è tolto la scarpa  davanti ai suoi figli e si è colpito in testa con essa, urlando: "Stupido, perché non ho lasciato il paese qualche anno fa?”. Recentemente, la gente ha iniziato  a parlare pubblicamente di suicidi, cosa che prima in questa cultura era inaudita.  I giovani accusano i loro genitori di non aver corso i rischi della fuga all'estero.  Incontro costantemente persone per strada che parlano da sole o gridano con  sguardi confusi: "Come faccio a mangiare? Cosa devo fare?". 

Sempre mi torna alla memoria l'uomo steso sul marciapiede quando stavo  andando in ufficio qualche giorno fa. Questa è più di una metafora. Sicuramente  era stato calpestato - forse anche da chi gli stava vicino - abusato e poi derubato  in tutto. Immagino che nessuno volesse più provvedere alla sua sicurezza e ai  suoi bisogni primari. Le persone spesso non hanno la forza di piangere e gridare.  Nessuno ascolta. Tutti guardano altrove. Solitario e solo, quest'uomo giace a  terra. Anch'io non volevo vedere queste immagini. Mi guardo intorno. Di chi  posso ancora fidarmi qui? Posso ancora guardare l'altra persona negli occhi? In  situazioni drammatiche come questa, si cerca sempre il o i cattivi per giustificare  la propria inerzia. Ma se si trovassero dei colpevoli in tutta questa situazione in  tutti i campi? Tutti i partiti non hanno forse le mani sporche di sangue? Anche  l'Ovest, dove ho le mie radici! Forse è troppo facile accusare un'altra persona per  non voler vedere la trave nel proprio occhio. Ma ora sembra che sia troppo tardi.  Tutti vogliono fuggire da questa situazione. Ma verso dove? Le porte non sono  tutte chiuse per sempre? C'è ancora un bene comune? Ci sono ancora regole e  valori oppure sono solo le regole selvagge della guerra e dell'economia a  dominare? 

A prima vista, si nota l'enorme distruzione degli edifici, l'assistenza  sanitaria inadeguata e l'amministrazione obsoleta, dopo tutto, stiamo ancora  vivendo in tempo di guerra. Tuttavia, sono soprattutto le profonde, interiori ferite  di tutta la popolazione che lasciano conseguenze e cicatrici molto più gravi e  pesano sull'equilibrio psicologico: ferite, traumi, perdite, stress, depressione,  suicidi, malattie di ogni tipo.... 

Poi ci sono i bambini e i giovani che non hanno conosciuto altro che la  guerra, i conflitti, l'oppressione (di tutti i tipi) e la violenza, hanno sopportato  matrimoni forzati e gravidanze precoci. Che fare di fronte all'aggressività  repressa in queste persone?  

Covid-19?  

Come in tutto il mondo, la Siria non è stata risparmiata dal virus Sars-19.  A causa della guerra, che ha causato il collasso dell'intero sistema sanitario,  nonché la mancanza di sostegno da parte di altri paesi, che si preoccupano solo  di rincorrere i propri conti, le statistiche e le proiezioni, il virus ha inondato  l'intero paese in poco tempo. Tutti qui sanno che le cifre ufficiali sull'incidenza  dell'infezione e sul numero di morti non corrispondono alla realtà. I test sono  stati quasi impossibili, poiché il materiale di prova è scarso. Mancano anche i  medici e il personale necessari per affrontare questo tsunami. 

Ai miei occhi, tutta la popolazione (me compreso) è stata infettata da  questo virus. Molte persone, specialmente i portatori di malattie croniche (come  il diabete e i disturbi cardiovascolari) sono morte a causa o con il virus Sars-19.  Tuttavia, il Covid-19 sembra solo un problema secondario al momento, poiché  la povertà e le difficili condizioni di vita pesano molto di più. Preferisco  individuare nella mancanza di speranza l’angoscia più grande.  

Cosa manca per un futuro migliore?  

Al momento, non c'è una prospettiva per il futuro. Molti aspettano con  ansia le prossime elezioni presidenziali di giugno. Qualcuno sarà in grado di assumersi la responsabilità del bene comune e di tutta la popolazione civile?  Mancano i servizi primari: ospedali, scuole, luoghi di formazione, lavoratori  qualificati, che sono stati i primi a lasciare il paese, i turisti che visitano questo  paese con le sue ricchezze archeologiche; soprattutto, mancano gli investitori  che credono nel futuro. Manca la possibilità di confrontarsi con persone di altre  culture, ma una società monoculturale rischia di collassare su se stessa, perché  in un mondo globalizzato è necessario adottare un nuovo modo di vivere  insieme. Soprattutto, mancano segni concreti di mutamento che motivino i  giovani e li convincano a non lasciare il paese e a investire qui il loro talento.

Si può pensare al futuro solo se si conclude un giusto accordo di pace e si  annullano le sanzioni. Il futuro è possibile quando le persone si avvicinano le  une alle altre e lavorano insieme nel rispetto reciproco per dare forma alla  coesistenza e alla ricostruzione. 

Come sfuggire all'attuale dilemma?  

Non ci sono soluzioni facili e la strada sarà ardua. Avremmo bisogno di  una nuova obiettività e razionalità, il che non si può realizzare se non c’è dialogo. Su questo deve puntare la politica. I responsabili dovrebbero confrontarsi e  negoziare con tutte le parti interessate. È necessaria una nuova logica per  avvicinarsi agli altri lentamente, con umiltà e onestà. Anche i partner europei  dovrebbero capirlo. Dobbiamo staccarci dalle categorie di 'bene e male', perché  la realtà non può essere spaccata in due. 

La popolazione locale è stanca dei troppi anni di violenza. Dovrebbe  essere data loro la possibilità di lavorare per la riconciliazione e per il bene  comune, di lottare per una coesistenza fraterna, sostenuta dalla giustizia e dal  rispetto della legge. Sarà necessario ricomporre antiche rivalità per scoprire  nuovamente che siamo tutti figli dell'unica creazione. Forse una nuova fase  potrebbe iniziare qui in Siria, una fase segnata da una solida unità fraterna,  impossibile da realizzare senza il sostegno dall'esterno. Il popolo siriano non può rimanere a lungo in questa situazione. Il resto del mondo non può più distogliere  lo sguardo. Occorrono gesti e sostegni concreti.  

Bernard Keutgens

giovedì 22 aprile 2021

Via le sanzioni per alleviare le sofferenze dei siriani

 

Siria: la più grave catastrofe umanitaria del nostro tempo


Il primo giugno scadono le sanzioni previste dell’Unione europea contro il regime siriano. Tutto fa pensare, purtroppo, che la misura verrà riconfermata. Le sanzioni Ue contro la Siria sono la fotocopia del cosiddetto Caesar Act, il pacchetto di sanzioni firmato da Donald Trump nell’ultimo scorcio del suo mandato e destinato a restare in vigore (a meno di ripensamenti) fino al 2025. Secondo le intenzioni dell’Unione europea e dell’amministrazione americana, le sanzioni dovrebbero colpire «i membri del regime siriano, i loro sostenitori e imprenditori che lo finanziano e beneficiano dell’economia di guerra». Il Caesar Act blocca ogni tipo di transazione economico-finanziaria-commerciale con Damasco, prevede un embargo sul petrolio, il congelamento dei beni della banca centrale siriana, restrizioni all’esportazione di attrezzature e tecnologie, blocco dei capitali privati nelle banche fuori dal Paese (solo nelle banche libanesi giacciono circa 42 miliardi di dollari). In pratica le sanzioni bloccano l’industria energetica e ogni tentativo di ricostruzione.

Vista nel concreto, la realtà siriana è completamente diversa. Sappiamo infatti che le sanzioni colpiscono alla fine, soprattutto, la povera gente. E solo una buona dose d’ipocrisia può portare a dire, come ha fatto l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borrell, che Occidente resta al fianco del popolo siriano e continua nel suo impegno «a utilizzare tutti gli strumenti a sua disposizione per cercare una soluzione politica al conflitto a beneficio di tutti i siriani e porre fine alla repressione in corso».

In Siria, denunciava a febbraio l’arcivescovo greco-melchita di Aleppo, monsignor Jean-Clément Jeanbart «la gente non ha più cibo, elettricità, carburante e gas sufficienti per riscaldare le case. Non riesce a ottenere prestiti e andare avanti». Chi vuole il bene della Siria e del suo popolo, oggi, non può non chiedere ad alta voce che vengano revocate le misure coercitive che gravano sulla vita quotidiana dei siriani. «Se vogliono aiutarci – diceva monsignor Jeanbart – ci aiutino a rimanere dove siamo e a continuare a vivere nel Paese in cui siamo nati».

Il 21 gennaio scorso i vescovi cattolici e patriarchi ortodossi della Siria avevano indirizzato al neo-eletto presidente Joe Biden un appello affinché rivedesse il regime delle sanzioni. Finora sembra che la richiesta sia caduta nel vuoto. E sempre da Aleppo arrivava, nei giorni di Pasqua, la testimonianza fra Ibrahim Alsabagh, frate minore siriano e parroco della comunità cattolica latina di Aleppo: «La sofferenza è il nostro pane quotidiano. Il costo della vita aumenta e il reddito delle famiglie diminuisce. Molte delle nostre donne sono cadute in depressione. Molti padri si sono suicidati per la disperazione».

A tutta questa sofferenza indicibile, si è aggiunta la pandemia, che sta mietendo nel silenzio e nell’impotenza migliaia di vittime. Cosa serve ancora per ascoltare il grido del popolo siriano?

https://www.terrasanta.net/2021/04/via-le-sanzioni-per-alleviare-le-sofferenze-dei-siriani/

lunedì 19 aprile 2021

Le elezioni presidenziali siriane si terranno il 26 maggio

 

Alexandre Aoun intervista Alexandre Goodarzy, vicedirettore delle attività di SOS Chrétiens d'Orient.

E se, nonostante le pressioni occidentali, Bashar al-Assad andasse verso una rielezione sinonimo di un quarto mandato? Il capo del Parlamento siriano, Hammouda Sabbagh, ha annunciato domenica 18 aprile che le elezioni presidenziali si terranno il 26 maggio. Per il momento, Bashar al-Assad, che governa la Siria dal 2000, è il favorito per le elezioni. Nel 2014, ha trionfato con l'88% dei voti. 

Dal 19 aprile altri candidati potranno unirsi alla corsa se ottengono le firme di 35 deputati. Oltre a questo requisito, secondo l'articolo 88 della Costituzione siriana, il candidato deve avere più di 40 anni, essere siriano di nascita. Lui o lei deve anche aver risieduto nel paese negli ultimi dieci anni prima della candidatura e non essere stato condannato da tribunali. Nel 2014, due avversari sono stati autorizzati a correre. Ad oggi, l'Assemblea popolare siriana ha approvato le candidature di Abdallah Salloum Abdallah e Mohammad Firas Yassin Rajouh. 

L'elezione arriva dopo le devastazioni di dieci anni di aspro conflitto. Secondo Alexandre Goodarzy, vice direttore delle operazioni e responsabile dello sviluppo di SOS Chrétiens d'Orient e autore di 'Guerrier de la paix' (pubblicato da Le Rocher), la popolazione siriana è avvilita, nonostante queste elezioni: 

"Ci sono due tipi di discorso in Siria. C'è quello patriottico con i sostenitori del partito Baath. E c'è il discorso fatalista, per loro queste elezioni non cambieranno nulla. Quest'anno, non ci saranno parate o manifestazioni di massa, questa non è la preoccupazione principale della gente", spiega a Spuntik. 

Il presidente siriano controlla tre quarti del paese. Con l'aiuto dei suoi alleati iraniani, russi e libanesi, ha riconquistato e messo in sicurezza diverse città strategiche. "Controlla la Siria utile", riassume l'attivista umanitario.

Tuttavia, una parte del territorio gli sfugge. La località di Idlib nel nord-est rimane amministrata da jihadisti filo-turchi e il nord rimane sotto l'influenza turca dall'intervento militare di Erdogan nell'ottobre 2019. L'Est del paese, nel frattempo, è più o meno controllato dalle forze curde, a loro volta sostenute dall'Occidente.

Alla fine, le elezioni presidenziali siriane non riguardano tutta la Siria. "Una opportunità per Bashar al-Assad", pensa il nostro interlocutore. Infatti, i siriani che vivono nelle zone amministrate da Damasco tendono ad essere a suo favore, "solo l'opposizione interna a Deraa rimane presente, ma è controllata e contenuta", sottolinea.

"Non ci saranno sorprese nonostante il desiderio di aprire le elezioni ad altri candidati", ritiene Goodarzy. Il partito Baath rimane in maggioranza. Ma rimangono diverse piccole formazioni. Sono generalmente di orientamento nasserista e nazionalista, ma "questo non è un grande pericolo per Bashar" agli occhi del membro di SOS Chrétiens d'Orient. Gli altri due candidati presidenziali sono del Partito Socialista Unionista e delle Forze Democratiche Nazionali, due movimenti vicini all'attuale presidente. 

"Il governo siriano accusa l'asfissia economica (embargo) di offuscare l'immagine della Siria e, in definitiva, di screditare Bashar al-Assad. Gli Occidentali travisano la realtà siriana. Ignorano quello che succede sul terreno e danno credito a un'opposizione che vive all'estero", dice l'uomo sul campo.

In effetti, è probabile che l'opposizione siriana eviti le elezioni presidenziali. Un membro dell'opposizione siriana ha persino descritto il voto come una "mascherata". 

Anche l'Occidente si è affrettato a commentare le prossime elezioni. In una dichiarazione congiunta, Stati Uniti, Francia, Germania, Italia e Regno Unito hanno detto a metà marzo che "le elezioni presidenziali siriane previste per quest'anno non saranno libere o giuste, né dovranno portare a una normalizzazione internazionale del regime siriano”. In altre parole, non riconosceranno il verdetto delle urne. 

Dopo aver cercato di rovesciare militarmente il presidente siriano, l'Occidente mantiene dunque la sua pressione sulla Siria attraverso il giogo di sanzioni economiche. Entrata in vigore nel giugno 2020, la legge Caesar impedisce a Damasco di commerciare con il mondo esterno. Così il paese vive in una sorta di "embargo", spiega il nostro interlocutore. Presente dal 2015 sul terreno, descrive la situazione come "un inferno per la popolazione". "Tutti i siriani stanno lottando per vivere e nutrirsi", riferisce.

Mentre la Siria sta soffocando, l'Occidente si limita ad aiutare i paesi ospitanti a gestire il flusso di rifugiati siriani, deplora Alexandre Goodarzy, che si aspetta il peggio: "Non vogliono vedere le conseguenze delle loro azioni". 

"L'Occidente sta giocando un gioco pericoloso. L'embargo è un'arma a doppio taglio. Imponendo la miseria alla regione, crea i jihadisti di domani", avverte Alexandre Goodarzy.

   traduzione: OraproSiria

https://sptnkne.ws/FYV5

domenica 11 aprile 2021

Dieci anni dopo, la Siria è quasi distrutta. Di chi è la colpa?

  Per introdurre l'articolo di M. K. BHADRAKUMAR, riportiamo la schietta testimonianza che il giovane amico Hsien, studente aleppino che frequenta l'università a Damasco, ci ha inviato  chiedendoci di far conoscere ai lettori italiani la quotidiana realtà vissuta da lui e dai suoi compagni.

Damasco, Aleppo e tutte le città siriane hanno da cinque al massimo dieci ore di elettricità... Le persone qui passano le ore aspettando che le loro auto arrivino alla stazione di servizio, e quando ci arrivano la benzina può essere finita e aspettano fino al giorno dopo. Questo ha un effetto sugli autobus pubblici.. il che significa che si può aspettare per un'ora per trovare un microbus o un autobus in cui decine di persone viaggiano insieme ed altri che rimangono sulla strada tornando a piedi a casa a causa del tempo di attesa...

Quando va bene, abbiamo 8 ore di elettricità a Damasco, una media di 2 ore in cui c'è energia e 4 ore senza... Alcune città hanno un'ora di elettricità e cinque/sei, talvolta perfino 8/9, spente... Ad Aleppo... un'ora di elettricità e 11 ore tagliata... questo significa 2/24! .... Ma questo è se sei stato fortunato ad Aleppo... La metà di Aleppo non ha visto l'elettricità da otto anni... La campagna di Aleppo se la passa proprio come la città.  Non è mai sufficiente per la gente qui .. neanche per lavare i vestiti o perchè i frigoriferi possano produrre un'acqua fredda per "ramadan" .. (Ramadan è un mese in Islam in cui le persone smettono di mangiare e bere dall'alba al tramonto) e non solo per l'acqua fresca, ma per conservare cibo e avere un'aria fresca dai condizionatori in estate.

È un brutto problema in tutta la Siria, specialmente ad Aleppo.  C'è una gran sofferenza.. le soluzioni governative non sono mai azzeccate e non sono buone...

L'epidemia .. Aleppo è stata la prima nel numero di infezioni in Corona-virus 19, ma ora la situazione è migliorata, secondo il numero del Ministero della Salute .. è diventata di sesto grado...  Ma ora Damasco è diventata il numero uno. I pazienti a Damasco sono portati dalle ambulanze a Homs. perché gli ospedali della capitale sono completamente pieni, c'è un piano per trasferire i pazienti ad Hama perché gli ospedali di Homs sono pochi e molti sono stati distrutti dalla guerra, e Homs è una città molto piccola rispetto ad Aleppo e Damasco.”


Dieci anni dopo, la Siria è quasi distrutta. Di chi è la colpa?

Di M. K. BHADRAKUMAR

Traduzione Gb.P. OraproSiria

Nel romanzo di George Orwell La fattoria degli animali, i maiali al potere guidati da Napoleone riscrivevano costantemente la storia per giustificare e rafforzare il proprio potere ininterrotto. La riscrittura della storia del conflitto in corso in Siria da parte delle potenze occidentali risulta evidente leggendo Orwell.

La dichiarazione congiunta rilasciata dai Ministri degli Esteri di Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania e Italia la scorsa settimana per celebrare il decimo anniversario del conflitto siriano inizia con una palese menzogna ritenendo il presidente Bashar al-Assad e i "suoi sostenitori" responsabili degli eventi orribili in quel Paese. Afferma che le cinque potenze occidentali "non abbandoneranno" il popolo siriano - finché morte non ci separi.

La realtà storica è che la Siria è stata teatro delle attività della CIA sin dall'istituzione di quell'agenzia nel 1947. C'è un'intera storia di progetti di "cambio di regime" sponsorizzati dalla CIA in Siria che vanno dai tentativi di colpo di stato e complotti di assassinio, agli attacchi paramilitari e al finanziamento e addestramento militare delle forze antigovernative.

Tutto iniziò con il colpo di stato militare incruento nel 1949 contro l'allora presidente siriano Shukri al-Quwatli, progettato dalla CIA. Secondo le memorie di Miles Copeland Jr, il capo della sede della CIA a Damasco in quel momento - che in seguito ha poi scritto un bel libro di alta qualità letteraria sull'argomento - un colpo di stato mirato a salvaguardare la Siria dal partito comunista e altri partiti radicali!

Tuttavia, il colonnello al potere installato dalla CIA, Adib Shaishakli, fu una cattiva scelta. Secondo Copeland, era una "simpatica canaglia", che non si era "mai inchinata a un'immagine sacra, per quanto ne so. Tuttavia, aveva commesso sacrilegio, bestemmia, omicidio, adulterio e furto” per guadagnarsi il sostegno americano. Durò quattro anni prima di essere rovesciato dal partito Ba'ath e dagli ufficiali militari. Nel 1955, la CIA stimò che la Siria fosse matura per un altro colpo di stato militare. Nell'aprile 1956 fu attuato un complotto congiunto CIA-SIS (British Secret Intelligence Service) per mobilitare gli ufficiali militari siriani di destra. Ma poi, il fiasco di Suez ne interruppe il progetto.

La CIA rilanciò il progetto e pianificò un secondo colpo di stato nel 1957 con il nome in codice Operazione Wappen, (ancora una volta, per salvare la Siria dal comunismo) e persino spese 3 milioni di dollari per corrompere ufficiali militari siriani. Tim Weiner, nel suo magistrale libro del 2008 'Legacy of Ashes: The History of the CIA' (Eredità delle Ceneri: La storia della CIA), scrive:

Il presidente (Dwight Eisenhower) ha detto di voler promuovere l'idea di una jihad islamica contro il comunismo senza Dio. "Dovremmo fare tutto il possibile per sottolineare l'aspetto della 'guerra santa'", ha detto in una riunione della Casa Bianca del 1957 ... (Il Segretario di Stato) Foster Dulles ha proposto una "task force segreta", sotto i cui auspici la CIA avrebbe consegnato armi americane, denaro e intelligence al Re Saud dell'Arabia Saudita, al re Hussein di Giordania, al presidente del Libano Camille Chamoun e al presidente iracheno Nuri Said ". “Questi quattro bastardi dovevano essere la nostra difesa contro il comunismo e i fautori del nazionalismo arabo in Medio Oriente ... Ma se le armi non potevano comprare la lealtà in Medio Oriente, l'onnipotente dollaro era ancora l'arma segreta della CIA. I soldi per la guerra politica e per i giochi di potere erano sempre i benvenuti. E ciò potrebbe aiutare la creazione di un impero americano nelle terre arabe e asiatiche ".

Ma, come poi accadde, alcuni di quegli ufficiali di "destra" invece consegnarono i soldi della tangente e rivelarono il complotto della CIA all'intelligence siriana. Dopo di che, 3 agenti della CIA furono cacciati dall'ambasciata americana a Damasco, costringendo Washington a ritirare il suo ambasciatore a Damasco. Con l'uovo in faccia, Washington prontamente bollò la Siria come un "satellite sovietico", schierò una flotta nel Mediterraneo e incitò la Turchia ad ammassare truppe al confine siriano. Dulles persino contemplò un attacco militare sotto la cosiddetta "Dottrina Eisenhower" come rappresaglia contro le "provocazioni" della Siria. A tal proposito, anche l'MI6 britannico stava lavorando con la CIA nel fallito tentativo di colpo di stato; i dettagli sono venuti alla luce casualmente nel 2003 tra le carte del ministro della Difesa britannico Duncan Sandys molti anni dopo la sua morte.

Ora, arrivando alla storia attuale, basti dire che secondo WikiLeaks, dal 2006, gli Stati Uniti hanno finanziato i dissidenti siriani con sede a Londra, e l'unità della CIA responsabile delle operazioni segrete è stata schierata in Siria per mobilitare gruppi ribelli e accertarne le potenziali vie di approvvigionamento. È noto che gli Stati Uniti hanno addestrato almeno 10.000 combattenti ribelli al costo di 1 miliardo di dollari all'anno dal 2012. Il presidente Barack Obama avrebbe ammesso a un gruppo di senatori l'operazione per inserire questi combattenti ribelli addestrati dalla CIA in Siria.

Il noto giornalista investigativo e scrittore politico americano Seymour Hersh ha scritto, sulla base degli input di ufficiali dell'intelligence, che la CIA stava già trasferendo armi dalla sua stazione di Bengasi (Libia) alla Siria in quel periodo. Non facciamo confusione: Obama è stato il primo leader mondiale a chiedere apertamente la rimozione di Assad. Era l'agosto 2011. Poi il capo della CIA David Petraeus ha effettuato due visite senza preavviso in Turchia (a marzo e settembre 2012) per persuadere Erdogan a intervenire come compagnia di bandiera del progetto degli Stati Uniti di cambio di regime in Siria (sotto il titolo di "lotta al terrorismo").

Di fatto, i principali alleati degli Stati Uniti nel Golfo Persico - Arabia Saudita, Qatar e Emirati Arabi Uniti - hanno preso spunto da Obama per allentare i loro cordoni della borsa per reclutare, finanziare ed equipaggiare migliaia di combattenti jihadisti da dispiegare in Siria. Allo stesso modo, sin dalle prime fasi del conflitto in Siria, le principali agenzie di intelligence occidentali hanno fornito supporto politico, militare e logistico (e di disinformazione Ndt) all'opposizione siriana e ai suoi gruppi ribelli associati in Siria.

Curiosamente, l'intervento russo in Siria nel settembre 2015 è stato in risposta a un'imminente sconfitta delle Forze Governative Siriane per mano dei combattenti jihadisti sostenuti dagli alleati regionali degli Stati Uniti. L'Arabia Saudita si è ritirata dall'arena solo nel 2017 dopo che le sorti della guerra sono cambiate, grazie all'intervento russo.

La dichiarazione congiunta rilasciata la scorsa settimana dagli Stati Uniti e dai loro alleati della NATO appartiene al mondo della narrativa. In realtà, c'è molto sangue siriano nelle mani di questi paesi della NATO (Turchia compresa) e degli alleati degli Stati Uniti nel Golfo. Notate la colossale distruzione che gli Stati Uniti hanno causato: secondo le stime della Banca Mondiale, un totale cumulativo di 226 miliardi di dollari di prodotto interno lordo è stato perduto dalla Siria a causa della guerra solo dal 2011 al 2016.

Il conflitto siriano è stato uno dei conflitti più tragici e distruttivi del nostro tempo. Centinaia di migliaia di Siriani sono morti, mezza nazione è stata sfollata e milioni sono stati gettati nella disperazione per povertà e fame. Secondo le stime dell'UNHRC, dopo dieci anni di conflitto, metà della popolazione siriana è stata costretta a fuggire da casa, il 70% vive in povertà, 6,7 milioni di siriani sono sfollati interni, oltre 13 milioni di persone hanno bisogno di assistenza e protezione umanitaria, 12,4 milioni le persone soffrono di mancanza di cibo (ovvero il 60% dell'intera popolazione), 5,9 milioni di persone stanno vivendo un'emergenza abitativa e quasi nove siriani su 10 vivono al di sotto della soglia di povertà.

E, a pensarci bene, la Siria aveva uno dei più alti livelli di formazione sociale dell'intero Medio Oriente musulmano. Era un paese a medio reddito fino a quando gli Stati Uniti non decisero di destabilizzare la Siria. Dalla fine degli anni Quaranta, i successivi progetti di cambio di regime degli Stati Uniti sono stati guidati da considerazioni geopolitiche. L'agenda è inequivocabile: gli Stati Uniti hanno sistematicamente distrutto il cuore, l'anima e la mente dell'"arabismo" - Iraq, Siria ed Egitto - con l'obiettivo di perpetuare la dominazione occidentale del Medio Oriente.

L'ex presidente Donald Trump intendeva ritirare le truppe statunitensi dalla Siria e porre fine alla guerra. Ha provato due volte, ma i comandanti del Pentagono hanno sabotato i suoi piani. Quello che Joe Biden si propone di fare è un'ipotesi di chiunque: Biden non sembra avere fretta di ritirare le truppe americane..

L'aspetto più inquietante è che gli Stati Uniti stanno metodicamente facilitando una balcanizzazione della Siria aiutando i gruppi Curdi con loro allineati a ritagliarsi un'enclave semiautonoma nel nord-est del paese. In effetti, la popolazione araba nella Siria nord-orientale non sopporta di essere sotto il governo dei Curdi, e questo potrebbe alla fine trasformarsi in una nuova fonte di reclutamento per lo Stato islamico. Nel frattempo la Turchia ha utilizzato l'asse curdo-statunitense come alibi per occupare vasti territori nel nord della Siria.

La parte triste della dichiarazione congiunta degli Stati Uniti e dei loro alleati europei non è solo che stanno riscrivendo la storia e diffondendo falsità, ma trasmette un senso di disperazione, come se non ci fosse alcuna speranza di una luce alla fine del tunnel nel conflitto siriano in un ipotetico futuro.

La politica degli Stati Uniti in Siria è opaca. Ha oscillato tra l'obiettivo di prevenire una rinascita dell'IS, affrontare l'Iran, respingere la Russia, fornire aiuti umanitari e persino proteggere Israele, mentre il nocciolo della questione è che le amministrazioni statunitensi succedutesi, non sono riuscite ad articolare una chiara strategia e una logica per la presenza militare statunitense in Siria.

https://www.indianpunchline.com/ten-years-on-syria-is-almost-destroyed-whos-to-blame/

venerdì 9 aprile 2021

Ora sappiamo cosa ci avvicina ad altri popoli ...

La dignità, la fierezza, la tenacia, la consapevolezza, il coraggio e la bella semplicità dei Siriani, popolo nobilitato dalla sua civiltà plurimillenaria e dalle tradizioni sempre vive, che da dieci anni resistono a una guerra scellerata volta a distruggere il loro Paese e a sterminarli, sono riassunti mirabilmente in questa emozionante lettera della scrittrice damascena Nadia Khost (Siriana circassa nata nel 1935, laureata in filosofia presso l’Università di Damasco e dottorata in letterature comparate in Unione Sovietica con un saggio su: ‘’Influenza dell’opera di Anton Čechov sulla letteratura araba’’).

Autrice di numerosi saggi e racconti sulla storia, l'architettura, la conservazione e la protezione del patrimonio della civiltà araba, è anche un’indefessa testimone sulla guerra contro il suo Paese.

  Maria Antonietta Carta

Miei cari amici, 

 non ci siamo più visti dalla vostra lontana visita in Siria. E oggi siamo sparsi per il mondo, dato che l'ingresso in alcuni Paesi arabi ora è più facile per un Americano o un Israeliano che per un Siriano. 

Ho percepito un po’ di tristezza nelle vostre lettere. Avete ragione. La guerra mondiale che ha ispirato tanti poemi epici è durata solo quattro anni, mentre la guerra contro la Siria continua da dieci anni. Una guerra condotta con la partecipazione di grandi potenze oltre che di piccoli Stati e durante la quale i crimini commessi hanno ricevuto la copertura di conferenze stampa internazionali, incontri di capi di Stato europei, lacrime di organizzazioni umanitarie e un corteggio di intellettuali siriani. 

Comprendo la vostra tristezza. Dieci anni delle nostre vite e delle vite dei nostri figli sono stati ingoiati da una guerra che ha accorciato le nostre strade e ci ha derubato delle nostre foreste e delle nostre montagne, mentre le sabbie delle nostre spiagge hanno dimenticato i nostri passi. Dieci lunghi anni al termine dei quali anche la gioia normalmente ispirata dalla fioritura dei nostri melangoli e cedri non può più dissipare la nostra amarezza, poiché le ali della felicità nascono solo nei Paesi sicuri. 

Tuttavia, anche i bambini hanno resistito cantando. Alcuni hanno continuato a sfilare sotto i proiettili dei gruppi armati e noi li abbiamo seguiti. Una granata è caduta a un passo da noi e quando siamo tornati a casa sani e salvi abbiamo celebrato la nostra vittoria sulla morte nella terra del primo alfabeto.

Spero che gli esperti onesti scriveranno la verità su questa guerra intrapresa contro di noi, poiché i Siriani generalmente compiono imprese e le superano senza fissarle per la storia. Spero che ricorderanno quei giorni difficili, specialmente il giorno in cui il presidente francese Hollande disse a Putin che la mappa della Siria ora era come la scacchiera, a significare la divisione de facto del territorio dello Stato siriano. E questo, proprio mentre i terroristi tentavano di invadere il quartiere di Al-Qassa da Piazza degli Abbasidi ed entrare a Damasco da Daraya. 

Daraya, un sobborgo di Damasco occidentale trasformato in una caserma dei terroristi che ospitavano Americani, tra i quali un agente della CIA che inviò ogni genere di messaggeri per cercarlo; mentre i colpi di mortaio piovevano sulle strade di Damasco e interrompevano il silenzio delle sue notti, mentre "bandiere nere" fluttuavano sui vicini sobborghi di Jobar e Zabadani e mentre salutavamo i nostri figli e i nostri mariti, che andavano a studiare o lavorare, senza alcuna certezza di trovarli sani e salvi al loro ritorno. 

I terroristi hanno persino bombardato la Facoltà di Architettura nel centro della capitale e il Teatro dell'Opera di Damasco. Tuttavia, i venditori di ortaggi sono rimasti al loro posto, i negozi e le farmacie hanno tenuto le porte aperte, le cliniche hanno continuato a ricevere i pazienti, i funzionari hanno ricoperto i loro incarichi in diverse istituzioni, i musicisti non hanno interrotto le prove, i concerti sono continuati e gli ospiti alle serate culturali hanno risposto con la loro presenza. 

 Stavamo giocando con la vita e la morte? Probabilmente. Ma piuttosto, chiediamoci perché un destino così mostruoso abbia sottoposto la terra di così tante civiltà a così tante demolizioni e smantellamento e distruzioni. Ciò può essere spiegato solo con il fatto che Siria, Iraq e Libano hanno combattuto contro Israele e che insieme rappresentiamo il fronte orientale di questa lotta. Una spiegazione a cui va aggiunto l'odio del falso contro l'autentico così come l'odio degli incolti contro gli eredi della civiltà. Bush non ha forse detto che avrebbe riportato l'Iraq all'età della pietra? 

 Nonostante la nostra stessa sofferenza, sentiamo dolorosamente quello che è successo all'Iraq e temiamo quello che potrebbe ancora accadergli con la presenza degli Americani sul suo suolo, perché non siamo abituati a pensare solo alla Siria. Il nostro cuore è sempre rivolto a questi Paesi fratelli con la certezza che, da Baghdad a Beirut, ci è stata riservata la stessa sorte nella mappa delle partizioni israelo-americane. 

Una certezza basata sul complotto ordito contro la Siria dagli Stati Uniti a causa della sua importanza geopolitica? Certamente no! Lo sapevamo molto prima di loro, ma con una visione diversa dalla loro. Una visione che ci invita a difendere insieme la dignità dell’arabicità e della persona umana dalla barbarie occidentale che dobbiamo vincere ed estromettere dalla nostra storia.

Comprendiamo quindi perché contro di noi è scoppiata una nuova guerra: una guerra diretta contro la nostra lira siriana e il nostro pane profumato. 

Comprendiamo perché l'occupante statunitense e i suoi agenti curdi rubano il nostro grano oltre che il nostro petrolio e, come i loro antenati saccheggiatori, bloccano le strade che portano da noi, nella speranza di disegnare una nuova realtà sociale in cima alla quale starebbero i mezzani di guerra e nell'abisso il popolo impoverito. 

Comprendiamo perché ci mettiamo in fila fuori dalle stazioni di servizio e dai forni per il pane. Se chiedessi a qualcuno di coloro che aspettano in coda se acconsentirebbe a un accordo favorevole agli Stati Uniti e a Israele per porre fine alla crisi, lui si indignerebbe e direbbe: "Come potrebbero perdonarci i nostri anziani?"... Non furono i "Martiri di maggio" i primi a illuminarci sul sionismo? ". 

 Prima della guerra, non avrei mai immaginato che fossimo capaci di tanta pazienza e coraggio. È così perché siamo convinti che la nostra sconfitta farebbe precipitare la regione nell'oscurantismo e nella barbarie? È perché crediamo di dover pagare il prezzo per il cambiamento delle relazioni internazionali? Avremo infatti contribuito in larga parte all'avvento di una nuova realtà: quella di un mondo ormai multipolare.

 Amici miei, non preoccupatevi per me. Naturalmente, durante questa guerra, ho spesso pianto di tristezza per le sofferenze della gente e del Paese. Una tristezza che però non ha niente a che vedere con la rassegnazione o la debolezza. Inoltre, i Siriani non hanno mai chinato la testa, tranne quando sono stati decapitati dai terroristi wahhabiti.

D'altra parte, abbiamo perso le nostre illusioni che ogni Arabo sia più vicino a noi di un Russo, Iraniano e Venezuelano. Abbiamo scoperto che ciò che unisce o divide le persone è la visione, il comportamento e la consapevolezza.

  Nadia Khost

Trad.  Maria Antonietta Carta

https://arretsurinfo.ch/syrie-desormais-nous-savons-ce-qui-nous-rapproche-dautres-peuples/

mercoledì 7 aprile 2021

Il futuro della Chiesa in Siria

Non ha mai abbandonato la sua città in questi dieci anni il gesuita Antoine Audo, vescovo caldeo di Aleppo dal 1992 ed ex presidente della Caritas siriana: “Fu chiaro sin dall’inizio che le manifestazioni della cosiddetta primavera araba erano manovrate dai Fratelli musulmani sunniti. Ben presto arrivarono gli aiuti militari di Arabia Saudita e Turchia per rovesciare gli alawiti che detengono il potere”, ci ha detto in questa intervista.

Intervista di Paolo Vites a Mons. Antoine AUDO

Il Sussidiario, 05-04.2021 


Dieci anni fa, il 15 marzo 2011, scoppiò la guerra a Dara’a, nel sud della Siria e al confine con la Giordania. Avevate sperato che la Primavera araba potesse portare a un cambiamento pacifico?

Va ricordato che sin dall’inizio la maggioranza dei siriani non credeva a una primavera araba,  come annunciato dai media per giustificare questa guerra. Fin dall’inizio, in Siria, tutti sapevano che erano per lo più Fratelli musulmani sunniti che si ribellavano contro gli alawiti, che sono in maggioranza al potere e che detengono l’esercito. Inoltre, i vari gruppi armati che hanno attaccato e distrutto le infrastrutture dello Stato siriano erano di obbedienza sunnita e hanno ricevuto aiuti militari dalla Turchia, dall’Arabia Saudita e da altri paesi del Golfo.

Cosa resta di questa primavera araba?

La distruzione dell’economia siriana. L’occupazione di gran parte dei territori, soprattutto nella regione di Jésiré dove si trova il petrolio. Con l’islam al servizio del potere politico ed economico, potenze regionali come la Turchia e l’Arabia Saudita hanno sostenuto i gruppi armati sunniti per rovesciare il governo siriano e dare potere ai sunniti siriani, vale a dire i Fratelli musulmani.

Cosa ha voluto dire vivere questi anni di devastazione?

La guerra in Siria è stata un inferno dall’inizio e lo è ancora oggi. Ad ogni tappa speravamo di uscire dal tunnel, e ora la situazione è peggiorata: da un bombardamento all’altro in tutte le regioni, da una carenza alimentare e medica a un’altra di gas ed elettricità. Per rileggere questi dieci anni di guerra, possiamo dire che oggi la maggior parte del popolo siriano soffre per l’alto costo della vita dovuto alla svalutazione della lira siriana. In questa crisi economica ha preso piede una nuova classe benestante, mentre la maggioranza della popolazione è umiliata e privata del necessario: cibo di qualità, medicine, riscaldamento, abbigliamento, istruzione. Con una tale crisi, la strada è aperta alla droga e alla prostituzione, mentre prima la stabilità economica e politica proteggeva le famiglie da questi abusi causati dalla miseria generalizzata.

Una situazione di distruzione generalizzata? Quali speranze concrete?

Distruzione materiale, delle infrastrutture, soprattutto a livello economico e a livello di danno materiale: ferrovie, strade, elettricità, scuole, ospedali, fabbriche. Questa situazione impedisce la visione di un futuro, di una speranza nell’immediato futuro. All’inizio della guerra, si credeva che la guerra fosse questione di pochi mesi. Oggi la maggior parte delle persone cerca cibo e medicine per non morire. I bisogni quotidiani sono cibo, medicine, riscaldamento, gas, elettricità. Tutto è diventato caro a causa della svalutazione della lira siriana, e tutti sperimentiamo la mancanza di tutto e l’umiliazione.

Ad Aleppo, martoriata da incessanti combattimenti, come è la situazione?

Ciò che sto descrivendo si applica in modo particolare ad Aleppo, la cui infrastruttura economica è stata distrutta e che, come tutti i siriani, soffre dell’embargo imposto da Stati Uniti, Unione Europea e Gran Bretagna. La ricostruzione presuppone la revoca delle sanzioni contro la Siria. Tuttavia, non avendo trovato una soluzione politica alla crisi siriana, e con un Paese minacciato dagli obiettivi di turchi, curdi e potenze occidentali, non è possibile parlare di un progetto di ricostruzione generale che presupponga stabilità e budget enormi. Ma possiamo ugualmente segnalare iniziative di ricostruzione, a livello di strade, come a livello di mercati e negozi, di piccole industrie e laboratori di abbigliamento.

La Siria era un modello di convivenza tra religioni e culture diverse: adesso?

Parliamo di dieci milioni di sfollati e rifugiati all’interno della Siria, come nei paesi vicini: Turchia, Libano, Giordania, Iraq ed Egitto, per non parlare di tutti coloro che sono emigrati in Europa, Canada e Australia. Come cristiani che hanno perso più della metà dei fedeli di tutte le Chiese, specialmente i giovani e le famiglie ricche, vorremmo che tutte queste famiglie tornassero, avessero una presenza significativa e viva. Ma chi sarebbe attratto dalla situazione che abbiamo appena descritto, da osare considerare un ritorno?

Come Chiesa non avete mai smesso di aiutare la popolazione, quali le iniziative più importanti che seguite?

Per il momento, come Chiesa, stiamo cercando di aiutare le famiglie e le persone in modo che possano continuare a vivere il più degnamente possibile, in modo da non fare i bagagli ed emigrare. Allo stesso modo, è difficile prevedere il ritorno di coloro che sono emigrati in Occidente e soprattutto tra i giovani. Chi invece si trova nei paesi vicini potrà tornare in Siria più facilmente.

Veniamo a una domanda che ci sta a cuore, come Chiesa e come cristiani: come immaginare il futuro della Chiesa in Siria?

È certo innanzitutto che non si può più considerare la presenza cristiana com’era prima della guerra, secondo il modello del Novecento, una presenza consistente tra il 15 e il 20% della popolazione, con fiorente attività economica e culturale. Dovremo credere nella ricostruzione di un tessuto sociale cristiano adattato al XXI secolo. Non potremo più accontentarci della teologia, dei riti e delle confessioni, come gente alla ricerca della sola ricchezza e della superiorità economica e culturale.

Cosa ha significato per i cristiani siriani la recente visita del Papa in Iraq?

Abbiamo bisogno di una nuova spina dorsale cristiana che integri l’intera visione del Vaticano II. Fratelli tutti, la fraternità umana sono atteggiamenti da acquisire a seguito di questa guerra per poter avere una presenza viva e significativa in questa società araba musulmana e in questo mosaico di religioni ed etnie.

Il Papa ha dato un messaggio di fratellanza ben preciso che non piace a tutti. È questa la strada?

Di fronte alla modernità e nella lotta contro la secolarizzazione e l'ateismo, l’islam mette in discussione la propria identità e cerca la sua strada e la sua stabilità sociale e religiosa. Crediamo, soprattutto in seguito al viaggio di Papa Francesco in Iraq e anche ad Abu Dhabi e in Egitto (Università Al Azhar), ai suoi incontri con lo sceicco Ahmad Al Tayyeb, suprema autorità sunnita, e al suo incontro con l’ayatollah Al Sistani, suprema autorità sciita, ad Al Najaf (Iraq), che siano tutti gesti e atteggiamenti di rispetto, ascolto e fraternità che d’ora in poi dovrebbero ispirare i cristiani. I cristiani di Siria, con la loro arte di inculturarsi nella cultura araba e musulmana, sono capaci di ricostruire per tutti ponti di riconciliazione e di speranza nel cuore di questo XXI secolo assetato di pace e giustizia.