di Gianandrea Gaiani
Scontri annunciati e poi smentiti o ridimensionati tra truppe regolari siriane ed esercito turco, tensione alle stelle negli avamposti turchi nel nord ovest della Siria ormai circondati dalle truppe di Bashar Assad e russe; ed infine l’Iran, che a conferma della gravità della situazione, si offre di mediare tra Ankara e Damasco.
L’ennesima fase di tensione tra turchi e siriani, dopo l’attacco di Ankara nel nord della Siria dell’ottobre scorso, si è aperta nella provincia nord-occidentale di Idlib, ultima roccaforte dei ribelli jihadisti sostenuti con armi e truppe dalla Turchia.
L’Esercito Arabo Siriano ha lanciato da un paio di settimane un’offensiva che potrebbe rivelarsi risolutiva spazzando via le milizie qaediste e di altri gruppi estremisti islamici e riconquistando la regione di confine con la Turchia nel nord ovest.
L'8 febbraio l’esercito siriano, sostenuto da aerei e truppe russi, ha conquistato dopo due giorni di duri combattimenti Saraqeb, crocevia strategico nella regione all'incrocio delle autostrade Latakia-Aleppo e Hama-Aleppo.
Mercoledì scorso i media governativi avevano annunciato la presa di Saraqeb, ma fonti sul terreno e miliziani anti-regime avevano smentito la circostanza.
L' Onu ha documentato lo sfollamento di più di 200mila persone nelle ultime due settimane dalla zona di Saraqeb e dei distretti circostanti investiti dall' offensiva governativa e russa. In tutto, sempre secondo l'Onu, sono quasi 600mila i civili sfollati a Idlib da inizio dicembre scorso, quando prese il via l’operazione siriana che potrebbe concludere la guerra civile in atto dal 2012.
Nei giorni precedenti, l’offensiva siriana aveva determinato numerosi contatti con le forze turche. L’uccisione di 5 soldati e 3 contractors di Ankara (già quasi 150 i caduti turchi in Siria), dopo che i siriani avevano lamentato l’arrivo di un convoglio di 240 camion turchi carichi di rifornimenti per i ribelli, aveva determinato un bombardamento di rappresaglia che avrebbe ucciso 13 soldati siriani e ferendone una ventina, anche se il ministro della Difesa di Ankara, Hulusi Akar, ha rivendicato l'uccisione di 76 militari di Damasco.
Le forze governative siriane avevano poi circondato la postazione di osservazione militare turca di Tell Tuqan, nei pressi di Saraqeb, a est del capoluogo di Idlib e teatro degli scontri tra turchi e siriani.
Consapevole delle ripercussioni interne di un inasprimento del conflitto siriano, il presidente turco Recep Tayyp Erdogan ha annunciato prossime consultazioni con Mosca, un asse strategico che finora ha garantito un equilibrio lungo tutto il confine siro-turco. Un accordo che prevedeva anche la tregua a Idlib anche se il legittimo desiderio di Assad di chiudere la guerra con la vittoria nell’ultima roccaforte dei ribelli jihadisti non può essere messo in discussione, soprattutto sul piano giuridico.
È evidente che la presenza di milizie jihadiste così come di militari turchi nel nord e statunitensi (questi ultimi intorno a un paio di pozzi petroliferi nella Siria orientale) è del tutto illegittima e autorizza Assad a compiere ogni azione per liberare il territorio nazionale.
La posizione russa mostra ambiguità poiché da un lato tende a rassicurare i turchi circa gli accordi raggiunti nelle zone di "de-escalation" ma poi appoggia con truppe e raid aerei ed elicotteri le offensive di Assad a Idlib.
Il 5 febbraio Erdogan è tornato a minacciare i siriani promettendo che Ankara "interverrà" se gli uomini di Damasco non si ritireranno entro febbraio dalle aree di Idlib dove sono presenti i turchi. "Ne ho parlato con il presidente russo Vladimir Putin e ho detto che il regime deve ritirarsi dalle aree dei nostri check point entro febbraio, come stabilito dagli accordi di Sochi, se il ritiro non avverrà saremo costretti a intervenire", ha detto Erdogan. "A Idlib abbiamo dei check-point costituiti d'accordo con la Russia e non vogliamo avere problemi con i nostri alleati con cui gli accordi e i patti saranno mantenuti. Con la Russia abbiamo relazioni ottime e ci aspettiamo sensibilità da parte di Mosca nel capire la nostra posizione in Siria”.
Damasco ha risposto con un portavoce del ministero della Difesa che ha reso noto che "i militari risponderanno a ogni attacco proveniente dalle forze turche nella regione di Idlib”.
L’obiettivo di Assad (e di Mosca) sembra quindi essere quello di ottenere rapidi successi sul fronte nord occidentale ma senza attaccare direttamente gli avamposti turchi per mettere Ankara di fronte alla rapida riconquista della provincia e indurre le truppe turche al ritiro.
Non è certo la prima volta che Siria e Turchia si trovano ai ferri corti dall’inizio del conflitto civile (largamente ispirato da Ankara) e certo Erdogan può mettere in campo un discreto dispositivo militare, ma sul fronte interno non può permettersi ulteriori gravi perdite tra i suoi soldati che avrebbero un forte peso sociale. Anche per questo i turchi impiegano preferibilmente, in Siria come in Libia, volontari e mercenari siriani arruolati tra i disertori sunniti dell’esercito di Assad, le milizie jihadiste sunnite e la minoranza turcomanna.
Fonte: https://lanuovabq.it/it/scontri-a-idlib-siria-e-turchia-non-si-tengono
I media non vi dicono perché la Turchia ha invaso la Siria. Facciamo chiarezza
Da parte dell’informazione su Idlib sembra in atto una congiura del silenzio. Anzi peggio: è in atto una distorsione delle notizie, una selezione e sostituzione delle parole (“ribelli” invece di pericolosi takfiri), la censura di altre. Finché a capovolgere in maniera diametralmente opposta i fatti, ci sono le campagne mediatiche dei soliti media center (in passato abbondantemente smascherati ma tornati magicamente alla ribalta).
Mentre questo fuoco di sbarramento informativo è per noi, la parte più dura la devono sopportare i siriani: le sanzioni internazionali rimangono, le centrali elettriche, i depositi di energia e impianti petroliferi siriani vengono attaccati frequentemente da droni di ”paesi” la cui tecnologia non è alla portata dei militanti jihadisti. Infine il simbolo ecco più efficace: Europa che si dice che lotta contro il terrorismo, ha minacciosamente mandato sulle coste della Siria la portaerei francese Charles de Gaulle. Non male per far sentire tutta la nostra amicizia, in un momento per la Siria di estrema difficoltà.
......
Poi c’ è un altro punto mai toccato riguardo alle tensioni tra Turchia e Siria di questi giorni. Nessuna testata giornalistica dice chiaramente cosa sta effettivamente facendo Erdogan, ovvero chi sono i soggetti che si combattono nella provincia di Idlib, chi la detiene, che tipo di vita conduce la popolazione e chi è l’aggressore. Non fornire mai questi elementi al giudizio pubblico, è molto scorretto da parte dell’informazione.
Mentre questo fuoco di sbarramento informativo è per noi, la parte più dura la devono sopportare i siriani: le sanzioni internazionali rimangono, le centrali elettriche, i depositi di energia e impianti petroliferi siriani vengono attaccati frequentemente da droni di ”paesi” la cui tecnologia non è alla portata dei militanti jihadisti. Infine il simbolo ecco più efficace: Europa che si dice che lotta contro il terrorismo, ha minacciosamente mandato sulle coste della Siria la portaerei francese Charles de Gaulle. Non male per far sentire tutta la nostra amicizia, in un momento per la Siria di estrema difficoltà.
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Poi c’ è un altro punto mai toccato riguardo alle tensioni tra Turchia e Siria di questi giorni. Nessuna testata giornalistica dice chiaramente cosa sta effettivamente facendo Erdogan, ovvero chi sono i soggetti che si combattono nella provincia di Idlib, chi la detiene, che tipo di vita conduce la popolazione e chi è l’aggressore. Non fornire mai questi elementi al giudizio pubblico, è molto scorretto da parte dell’informazione.
Il vero motivo per cui la Turchia non vuol mollare la Siria
Eppure è molto semplice : Erdogan”, fa ogni cosa, fa tutto ciò che sta facendo, ha preoccupazioni umanistiche perché semplicemente non vuol lasciare la Siria. Ed in questi giorni ha ammassato intorno ad Idlib una mole gigantesca di mezzi e truppe che vanno in crescendo. In questo contesto, gli Stati Uniti, già fanno per riavvicinarsi ad Erdogan mostrando il proprio sostegno. Nulla importa se in quell’area all’ufficio comunale siede il capo locale di al Qaeda, che ad amministrare la legge ci sia il tribunale della Sharia e che alle scuole i minorenni imparino solo la dottrina whabita. Non ci troviamo in Venezuela e non occorre un Guaido da contrapporre al cattivissimo Maduro, in Siria vanno bene i tagliagole di al Qaeda.
Ma lasciamo stare le ambiguità occidentali, alla sua lotta al terrorismo che serve solo a sfornare una nuova scusa utile all’occorrenza per intervenire dove si vuole o giustificare una sottrazione di libertà ai propri cittadini all’insegna della sicurezza. Torniamo a noi dicevo, torniamo ad Erdogan: a cosa mira Erdogan? Cosa si aspetta da tutto questo ”il Sultano”, a cosa mira? La risposta è semplice, anche se nessuno la proferisce: Erdogan semplicemente cerca di cambiare il quadro etnico nelle regioni del paese occupato dalla Turchia – per cacciare i curdi e gli arabi, per formare enclavi compatte per i turchi – Turkmeni siriani vicino ai turchi in lingua e cultura.
Nelle aree sotto il controllo dell’esercito turco, la lira turca è in circolazione e le scuole sono introdotte secondo gli standard turchi. Cosa c’è da capire? Viene a pensare che la stampa occidentale mentre si strappa le vesti per i civili che muoiono sotto i bombardamenti, sia in linea con Erdogan. Altrimenti caccerebbe le bande di Tharir al Sham da Idlib e restituirebbe la sovranità al paese. La stessa cosa farebbero gli USA la nord della Siria dove continuano ad uno stato sovrano (riconosciuto dalle Nazioni Unite), a distogliere risorse e a costruire basi.
L’Europa ed il mondo occidentale in genere, non parla chiaro, e questo non parlar mai chiaro non può uscire mai niente di buono anche se molti sono convinti del contrario. L’ambito che oggi detiene i principali diritti dell’uomo dell’uomo non si rende conto che agire in modo disonesto ed essere bravi solo con gli alleati ed agire in modo disonesto con tutti gli altri, alla lunga non paga. Agire in questo modo equivale a barare. Non si può intrattenere buoni rapporti solo con partner strategici: anche un piccolo paese deve poter essere sovrano, indipendente, rispettato e vivere dignitosamente.