Traduci

Visualizzazione post con etichetta Focolari. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Focolari. Mostra tutti i post

lunedì 26 aprile 2021

Vivere oggi ad Aleppo

 

Dieci anni di guerra civile in Siria - o c'è dell'altro? 

Vivere e sopravvivere 

Bernard Keutgens 

Tutto è iniziato con una rivolta. All'inizio, si scontravano solo diverse  fazioni e gruppi, ma ben presto cinque grandi potenze militari hanno cominciato  ad interferire facendo esplodere gli scontri in una implacabile guerra. 

Ecco perché reagisco male quando leggo che questa è una guerra civile.  Si tratta davvero di una devastazione per mano di cittadini litigiosi? Forse  bisognerebbe riaprire i libri di storia per trovare la definizione esatta di guerra  civile... Anch'io, naturalmente, denuncio tutta la violenza, la criminalità e la  corruzione che non mancano qui a livello locale come altrove nel mondo. Ma ai  miei occhi, non voler vedere le connessioni geopolitiche è ingiustificabile.  

Le armi erano ferme da sei mesi quando ho visitato per la prima volta degli  amici ad Aleppo nell'agosto 2017. Un segno di speranza era visibile sui volti  della gente, anche se un terzo della città - a quel tempo una metropoli con più di  3 milioni di abitanti - era completamente in rovina. Ovunque si vedevano edifici  scheletrici, devastazioni, rovine... Più tardi, ho potuto vedere con i miei occhi  tutta la portata della distruzione in molte altre parti del paese: nei villaggi e nelle  città lungo le strade principali, nei sobborghi di Damasco, a Homs e nelle città  circostanti, per non parlare delle zone che mi è stato detto di evitare....  

La mia presenza ad Aleppo 

Quando mi sono trasferito qui ad Aleppo nel febbraio 2018, tutti erano  convinti che ci sarebbero stati tempi più tranquilli. Tutt'altro! Qualche giorno fa,  abbiamo dovuto assistere al triste decimo anniversario di un conflitto senza fine:  senza dubbio una delle più grandi crisi umanitarie dopo la seconda guerra  mondiale. 

Ora la situazione per tutta la popolazione civile, così come per me, è  sempre più confusa e dura: manca quasi del tutto il gasolio per il riscaldamento  durante i mesi invernali (non ho mai avuto così freddo in vita mia), code  chilometriche di auto davanti alle stazioni di servizio, centinaia di persone  davanti ai punti di distribuzione del pane (il pane è sovvenzionato dal governo  ed è razionato, così come il gas e la benzina), da mesi abbiamo solo 3 ore di  elettricità al giorno, difficile l’accesso a internet.... Tutto questo in un paese in  cui le riserve di petrolio sarebbero sufficienti a rifornire l'intera popolazione. Ma  tali riserve nel Nord-Est del paese sono nelle mani di grandi potenze. Anche gli enormi campi di grano fertile al confine con l'Iraq sono stati  deliberatamente incendiati da diversi anni. Uno scenario catastrofico che  difficilmente si può immaginare. 

Tutte le attività economiche sono state paralizzate dalla guerra, così che  la povertà ha ormai colpito l'intera popolazione. Si può parlare di una grande  carestia, poiché la maggior parte delle persone, a causa del basso reddito (il 90%  vive sotto la soglia di povertà), non può più procurarsi nemmeno gli alimenti di  base. Una povertà causata anche dall'orrenda inflazione con prezzi galoppanti.  Un disastro assoluto. 

Personalmente da molti anni faccio parte del Movimento dei Focolari, che  lavora per l'unità, il dialogo e la convivenza pacifica, in sintonia con una comunità attiva in Siria da 50 anni. Ad Aleppo la comunità è piccola, ma in tutto  il paese, circa 700 amici condividono gli stessi valori e lo stesso stile di vita. Io  opero come terapeuta familiare principalmente nei quartieri cristiani nel centro  di Aleppo: accompagnamento delle famiglie, formazione di vario tipo, progetti  per i giovani, interventi psicosociali, sostegno ad altri operatori umanitari. 

Aleppo è un centro multietnico-religioso nel Nord del paese. Le  organizzazioni umanitarie cooperano in un'ampia rete per tutta la popolazione.  Io stesso sono responsabile del sostegno ai genitori in una scuola di 100 bambini  con problemi di udito, di cui circa il 90% appartiene alla comunità musulmana.  È stato impressionante per me vedere come si è messa in moto una solidarietà  dinamica tra i genitori durante le sessione di formazione, permettendo di  imparare reciprocamente gli uni dagli altri. Le madri che indossano il velo hanno  posto spontaneamente le loro domande e condiviso le esperienze di integrazione  dei figli con problemi di udito. 

Nell’ultimo anno, la crisi ha assunto proporzioni ancora maggiori. In  guerra ci si può proteggere dalle bombe e dalle schegge, ma non dalla povertà.  Ora sono costantemente fermato da persone che chiedono aiuto. Probabilmente  si può dire da lontano che sono "lo straniero con la borsa gialla". Sanno molto di  me, forse tutto. Sicuramente sono uno dei pochissimi stranieri che hanno deciso  di vivere qui solo per aiutare la gente. Con il mio arabo stentato e con il  linguaggio dei segni riesco a comunicare. Grazie alle organizzazioni ecclesiali  ho ricevuto un permesso di soggiorno valido per lavorare qui per 3 anni. 

Mi sono chiesto spesso perché metà della popolazione (11 milioni su un  totale di 22 milioni) ha dovuto lasciare le proprie case, fuggire all'estero o  stabilirsi in una zona più sicura a casa. Sì, la realtà sul terreno è più complessa  rispetto a come viene rappresentata nei media occidentali e nella politica. La  versione ufficiale secondo la quale una sola persona è responsabile della  catastrofe è molto debole. I resoconti sono strumentalizzati in funzione dei  diversi interessi. 

È difficile, quasi impossibile, avere un quadro chiaro e neutrale della  complessa situazione qui sul terreno e in tutto il Medio Oriente, perché ci sono  troppe poche informazioni sulle mosse segrete, gli interessi strategici e gli  intricati giochi di potere. Tutti qui si sono resi conto da tempo che questo  conflitto non riguarda i valori democratici, come viene spesso dipinto dalla  stampa occidentale, ma i grandi interessi geopolitici e le molte risorse naturali.  Il problema non è solo di diritti umani ma anche e soprattutto di trattati  internazionali che non vengono rispettati. Ognuno accusa l'altro come il  colpevole. Quando cammino per le strade, mi chiedo spesso quale sia la  responsabilità dei paesi occidentali, compresi gli alleati del mio paese (il Belgio),  in questo conflitto. Alla Siria sono state imposte sanzioni massicce, tra l'altro le  più dure e severe mai imposte a un paese nella storia. Con quale diritto? Poiché  ora è impossibile commerciare con la Siria, il paese non ha alcuna possibilità di  ricostruirsi. Tutti sono colpiti dalle sanzioni. Dopo la seconda guerra mondiale,  il Piano Marshall è stato fondamentale per la ricostruzione. Ma qui non ho mai  sentito parlare di un piano di salvataggio, sicchè, l'impoverimento della  popolazione va avanti a passi da gigante. È un vero disastro. 

Mi tormenta la domanda: da dove vengono le armi? C'è l’embargo anche  sulle armi? Quali gruppi sostiene l'Occidente? Quali sono le forze di opposizione  dal punto di vista dell’Occidente? Quali persone e gruppi hanno attraversato il  confine turco in Siria? E quando in Occidente si parla di aiuti umanitari, si dice  chi li riceverà alla fine? Non si donano sostegni forse solo ai gruppi conniventi  con Idleb e a particolari zone? 

Come terapeuta, è d’obbligo farsi domande. La gente mi parla  continuamente di eventi drammatici. Per esempio, un padre si è tolto la scarpa  davanti ai suoi figli e si è colpito in testa con essa, urlando: "Stupido, perché non ho lasciato il paese qualche anno fa?”. Recentemente, la gente ha iniziato  a parlare pubblicamente di suicidi, cosa che prima in questa cultura era inaudita.  I giovani accusano i loro genitori di non aver corso i rischi della fuga all'estero.  Incontro costantemente persone per strada che parlano da sole o gridano con  sguardi confusi: "Come faccio a mangiare? Cosa devo fare?". 

Sempre mi torna alla memoria l'uomo steso sul marciapiede quando stavo  andando in ufficio qualche giorno fa. Questa è più di una metafora. Sicuramente  era stato calpestato - forse anche da chi gli stava vicino - abusato e poi derubato  in tutto. Immagino che nessuno volesse più provvedere alla sua sicurezza e ai  suoi bisogni primari. Le persone spesso non hanno la forza di piangere e gridare.  Nessuno ascolta. Tutti guardano altrove. Solitario e solo, quest'uomo giace a  terra. Anch'io non volevo vedere queste immagini. Mi guardo intorno. Di chi  posso ancora fidarmi qui? Posso ancora guardare l'altra persona negli occhi? In  situazioni drammatiche come questa, si cerca sempre il o i cattivi per giustificare  la propria inerzia. Ma se si trovassero dei colpevoli in tutta questa situazione in  tutti i campi? Tutti i partiti non hanno forse le mani sporche di sangue? Anche  l'Ovest, dove ho le mie radici! Forse è troppo facile accusare un'altra persona per  non voler vedere la trave nel proprio occhio. Ma ora sembra che sia troppo tardi.  Tutti vogliono fuggire da questa situazione. Ma verso dove? Le porte non sono  tutte chiuse per sempre? C'è ancora un bene comune? Ci sono ancora regole e  valori oppure sono solo le regole selvagge della guerra e dell'economia a  dominare? 

A prima vista, si nota l'enorme distruzione degli edifici, l'assistenza  sanitaria inadeguata e l'amministrazione obsoleta, dopo tutto, stiamo ancora  vivendo in tempo di guerra. Tuttavia, sono soprattutto le profonde, interiori ferite  di tutta la popolazione che lasciano conseguenze e cicatrici molto più gravi e  pesano sull'equilibrio psicologico: ferite, traumi, perdite, stress, depressione,  suicidi, malattie di ogni tipo.... 

Poi ci sono i bambini e i giovani che non hanno conosciuto altro che la  guerra, i conflitti, l'oppressione (di tutti i tipi) e la violenza, hanno sopportato  matrimoni forzati e gravidanze precoci. Che fare di fronte all'aggressività  repressa in queste persone?  

Covid-19?  

Come in tutto il mondo, la Siria non è stata risparmiata dal virus Sars-19.  A causa della guerra, che ha causato il collasso dell'intero sistema sanitario,  nonché la mancanza di sostegno da parte di altri paesi, che si preoccupano solo  di rincorrere i propri conti, le statistiche e le proiezioni, il virus ha inondato  l'intero paese in poco tempo. Tutti qui sanno che le cifre ufficiali sull'incidenza  dell'infezione e sul numero di morti non corrispondono alla realtà. I test sono  stati quasi impossibili, poiché il materiale di prova è scarso. Mancano anche i  medici e il personale necessari per affrontare questo tsunami. 

Ai miei occhi, tutta la popolazione (me compreso) è stata infettata da  questo virus. Molte persone, specialmente i portatori di malattie croniche (come  il diabete e i disturbi cardiovascolari) sono morte a causa o con il virus Sars-19.  Tuttavia, il Covid-19 sembra solo un problema secondario al momento, poiché  la povertà e le difficili condizioni di vita pesano molto di più. Preferisco  individuare nella mancanza di speranza l’angoscia più grande.  

Cosa manca per un futuro migliore?  

Al momento, non c'è una prospettiva per il futuro. Molti aspettano con  ansia le prossime elezioni presidenziali di giugno. Qualcuno sarà in grado di assumersi la responsabilità del bene comune e di tutta la popolazione civile?  Mancano i servizi primari: ospedali, scuole, luoghi di formazione, lavoratori  qualificati, che sono stati i primi a lasciare il paese, i turisti che visitano questo  paese con le sue ricchezze archeologiche; soprattutto, mancano gli investitori  che credono nel futuro. Manca la possibilità di confrontarsi con persone di altre  culture, ma una società monoculturale rischia di collassare su se stessa, perché  in un mondo globalizzato è necessario adottare un nuovo modo di vivere  insieme. Soprattutto, mancano segni concreti di mutamento che motivino i  giovani e li convincano a non lasciare il paese e a investire qui il loro talento.

Si può pensare al futuro solo se si conclude un giusto accordo di pace e si  annullano le sanzioni. Il futuro è possibile quando le persone si avvicinano le  une alle altre e lavorano insieme nel rispetto reciproco per dare forma alla  coesistenza e alla ricostruzione. 

Come sfuggire all'attuale dilemma?  

Non ci sono soluzioni facili e la strada sarà ardua. Avremmo bisogno di  una nuova obiettività e razionalità, il che non si può realizzare se non c’è dialogo. Su questo deve puntare la politica. I responsabili dovrebbero confrontarsi e  negoziare con tutte le parti interessate. È necessaria una nuova logica per  avvicinarsi agli altri lentamente, con umiltà e onestà. Anche i partner europei  dovrebbero capirlo. Dobbiamo staccarci dalle categorie di 'bene e male', perché  la realtà non può essere spaccata in due. 

La popolazione locale è stanca dei troppi anni di violenza. Dovrebbe  essere data loro la possibilità di lavorare per la riconciliazione e per il bene  comune, di lottare per una coesistenza fraterna, sostenuta dalla giustizia e dal  rispetto della legge. Sarà necessario ricomporre antiche rivalità per scoprire  nuovamente che siamo tutti figli dell'unica creazione. Forse una nuova fase  potrebbe iniziare qui in Siria, una fase segnata da una solida unità fraterna,  impossibile da realizzare senza il sostegno dall'esterno. Il popolo siriano non può rimanere a lungo in questa situazione. Il resto del mondo non può più distogliere  lo sguardo. Occorrono gesti e sostegni concreti.  

Bernard Keutgens

venerdì 9 dicembre 2016

Gli abitanti di Aleppo attendono il Natale con trepidazione e speranza


ZENIT, 7 dicembre 2016
di Pascal Bedros

Per la prima volta ho assistito ad un concerto di musica classica in mezzo ad una battaglia. Solo ad Aleppo succede che, in mezzo alla morte, una voce di pace si alzi in mezzo a tutte le altre che annunciano la guerra, per sollevare gli animi e dimenticare per qualche istante la morte e il freddo.
È come un capitolo di una tragedia moderna che ricorda la mitologia greca.
 Con pochi mezzi Padre Elias Janji con il coro Naregatsi e la pianista, hanno cantato e suonato brani di Verdi, Mozart, Vivaldi e Karl Orf in una chiesa gremita, nonostante il freddo polare che invade Aleppo in questi giorni, elevando i nostri spiriti in un altro cielo.

E pensare che non tanto distante da qui la tragedia continua, con missili lanciati da Aleppo Est sulla parte Ovest, uccidendo bambini nelle scuole e persone innocenti, mentre nella parte Est della città continua l’attacco dell’esercito siriano.
Nonostante questo migliaia di persone (si parla di 60mila fino ad ora) sono riuscite a scappare da Aleppo Est arrivando nella zona Ovest. 
Raccontano di come molti erano presi in ostaggio, che a parecchi, mentre scappavano, hanno sparato alle spalle e alcuni hanno trovato la morte, che altri hanno portato la nonna sulle spalle correndo in mezzo alla battaglia… Sono stati accolti; hanno trovato da bere e da mangiare, ripreso il fiato; alcuni sono tornati nelle loro case liberate in questi giorni.

La gente è contenta anche perché finalmente l’esercito ha liberato la stazione di pompaggio dell’acqua di tutta la città, che le milizie, dopo averla minata, non erano riusciti a far saltare prima di scappare. Le previsioni dicono che in un mese l’acqua tornerà normale nella città, dopo che i tecnici hanno cominciato il lavoro di riabilitazione. Con questo finirà un capitolo della tragedia ma sicuramente, penso, ce ne saranno altri.

Il 4 dicembre si ricorda santa Barbara, la giovane martire dei primi secoli del cristianesimo messa a morte con la spada dal padre perché, credendo in Gesù, non aveva accettato di adorare un altro Dio. Una grande festa per i cristiani d’Oriente, per cui, nonostante la guerra, adulti e bambini si sono radunati per festeggiarla, mascherati e cantando la sua storia che – nonostante i secoli trascorsi -, da queste parti è cambiata poco, purtroppo. Viene da domandarsi, cos’è rimasto dell’uomo e della sua dignità?

Cosa succederà adesso? Finirà la guerra ad Aleppo ridando tranquillità alla gente che ha tanto sofferto, anche se si ritroverà con una gran parte della città distrutta?
La popolazione è stanca e vuole che il conflitto finisca, ma i gruppi armati non si danno per vinti e vogliono combattere fino in fondo. Nonostante l’appello dell’inviato speciale dell’ONU, Staffan De Mistura, a tutti i gruppi a lasciare la città e a risparmiare la vita della gente che, altrimenti, pagherà con un numero di vittime molto alto. Questa è la logica della guerra!
Ma come dimenticare che alla fine è l’Uomo che muore, poiché ciascuno, buono o cattivo, è ad immagine di Dio, seppure sepolta sotto mille vizi e cattiverie.

Con il Natale che bussa alle porte, chiediamo allora che non sia solo ricordare un fatto passato con i soliti festeggiamenti, ma che l’arrivo del Principe della Pace cambi qualcosa nei cuori e nei gesti di noi tutti, e che diventino delle piccole pietre nella costruzione di un mondo migliore, che tutti sogniamo.

testimonianza di un focolarino libanese, trasferitosi ad Aleppo pochi anni prima dello scoppio della guerra.

lunedì 21 dicembre 2015

Natale in Siria

Un Paese a “pericolosità variabile”: un giorno tranquillo e un giorno sotto le bombe. I giovani dei Focolari si preparano al Natale andando di casa in casa nel segno della condivisione e della speranza. 
A colloquio con Pascal Bedros, del Movimento dei Focolari in Siria.


21 dicembre 2015

«La vita di ogni giorno varia, perché il pericolo è variabile. In alcuni giorni non succede niente e puoi dimenticarti che c’è la guerra. In altri giorni può succedere che quando vai al lavoro, tu venga colpito da pallottole vaganti, o che ci siano scontri in atto o addirittura bombe sulla gente e su quartieri civili». 
A parlare è Pascal, libanese, del Focolare di Aleppo, che vive in Siria da alcuni anni. Nonostante la guerra.

«Come ci stiamo preparando al Natale? Sia ad Aleppo, che a Kfarbo, che a Damasco, le nostre comunità hanno pensato soprattutto ai bambini, perché le famiglie, nonostante sia una festa  importante e molto sentita in Siria, non riescono più a vivere la gioia del Natale. Così i giovani hanno fatto tante attività per raccogliere fondi che, uniti agli aiuti ricevuti dall’estero, hanno consentito di ampliare il loro progetto di ridare il senso del Natale ai bambini e alle loro famiglie. Ad Aleppo ad esempio si farà una festa per una 70ina di famiglie, a Kfarbo si faranno visite alle case in piccoli gruppi, portando doni e cibo. A Damasco, dove ci sono più potenzialità, hanno organizzato un concerto di Natale e nel frattempo faranno visite alle famiglie portando cibo e regali insieme a canti e giochi…».

E in questi ultimi mesi, con l’escalation di violenza, voi focolarini non avete mai ripensato alla scelta di rimanere in Siria? «No, mai. È così importante la presenza del Focolare! Solo la presenza, anche senza fare niente. È un segno che tutto il Movimento nel mondo è con loro, con il popolo siriano. Non so come spiegarlo…. Noi non siamo obbligati a rimanere, potremmo anche andarcene. Ma in questi anni abbiamo condiviso così tante peripezie che loro sentono che facciamo parte di loro e noi li sentiamo parte di noi. Le ragioni non sono razionali, ma affettive, del cuore, perché per trovare la forza di stare in posti come Aleppo, non c’è niente di razionale. Anche le famiglie siriane che rimangono lo fanno per il legame alla loro terra, alla loro gente, perché tutto potrebbe dire: vai! Lì giorno per giorno le cose si riducono sempre più, viene meno il futuro, soprattutto quello dei tuoi bambini. Ho visto qualcuno rimane per una scelta d’amore, per dare testimonianza. Ad esempio per portare avanti una scuola per i bambini sordomuti, per tutto il bene che questa scuola fa. Vivere per gli altri, ti dà il senso dell’esistenza, dà senso al tuo essere».

sabato 5 ottobre 2013

Diario dalla Siria: testimoni, sperando oltre ogni speranza


dalla fortezza i guerriglieri bombardano i sottostanti villaggi cristiani

Intervista ad alcuni siriani giunti nella città giordana per incontrare la presidente dei Focolari. Torneranno nelle loro case esposti a bombardamenti e attentati, ma cosa e come stanno vivendo?



Amman, 05-09-2013  a cura di Roberto Catalano
fonte: Città Nuova

Come sono percepiti e vissuti dai cristiani siriani gli avvenimenti tragici che stanno dilaniando il Paese? Dai vostri racconti emerge che la prospettiva occidentale con cui si legge il conflitto è parziale e imprecisa. Dove sta il problema?
«Riguardo alla Siria, non si può ignorare l’impatto devastante che hanno avuto i potenti media occidentali e arabi nel preparare il terreno alla guerra civile e nell’accompagnare il suo svolgersi. Ora stanno lavorando per spingere un intervento esterno a tutti i costi. Abbiamo toccato con mano in questi quasi tre anni di conflitto come i mezzi di comunicazione, potenzialmente utili al bene dell’umanità, possano invece diventare la mannaia del boia per interi gruppi sociali, religiosi o, persino, per un popolo intero. Se si vuole cogliere quanto sta accadendo in Siria è necessario cominciare da un cambiamento nell’uso dei media e nella lettura di quanto trasmettono. Questo contribuirebbe ad aiutare la pace. Ovviamente, qui entriamo nel merito di giganteschi interessi economici e politici e anche su questi il dibattito non può essere unilaterale».


Ha senso parlare di dialogo fra le religioni in questo contesto?
«In Siria il dialogo c’è sempre stato, a livello ufficiale, promosso dal moufti, da altre personalità musulmane e dalle Chiese, che sono sempre state rispettate nel loro lavoro. In questo senso nulla è cambiato. La Siria in questi tre anni ha pagato però anche il prezzo dell’integralismo che si è manifestato con l’uccisione di esponenti dell’Islam sunnita moderato. Si tratta di persone di grande valore, come il chekr El Boudi, presidente del Consiglio internazionale dei professori di legge islamica. Amiche quarantenni mi hanno raccontato che fin dalla loro infanzia ascoltavano molto volentieri le sue prediche del venerdì, perché intrise di sentimenti e idee di amore, compassione, rispetto reciproco. Tutto questo è durato fino al momento della sua barbara uccisione avvenuta a Damasco alcuni mesi fa».


E i cristiani?
«A livello di popolo, con l’inizio delle violenze, è cominciata a serpeggiare tra i cristiani la paura, frutto, da una parte, di quella che potremmo chiamare la “memoria storica” di questa componente religiosa del Paese (per esempio la guerra libanese). Dall’altra, non dobbiamo dimenticare l’ingresso nelle varie città siriane di gruppi armati terroristici dichiaratamente ostili ai cristiani, che possono essere uccisi solo perché portano questo nome. Non che prima tutto fosse roseo, ma certo è che, seppur le leve del potere erano in mano ai musulmani (alaouti o sunniti), i cristiani erano rispettati e potevano accedere anche a posti di qualche responsabilità nell’amministrazione pubblica e nel mondo accademico. In ogni caso, sebbene quello che avviene in Siria non sia un attacco diretto ai cristiani, di fatto li pone di fronte al dramma dell’emigrazione, come unica via per sfuggire alle violenze e per assicurare un futuro ai propri figli. Il dialogo interreligioso non è solo questione siriana».


Come si vive la quotidianità sotto attentati e bombe?
«Ad Aleppo i prezzi sono aumentati ancora. Nella parte sotto il controllo dell’esercito siriano il pane è introvabile perché le strade di accesso ai silos di farina sono sotto controllo dei ribelli. La strada che collega Aleppo-Homs-Damasco è pericolosissima. Soprattutto nel primo tratto si rischia realmente la vita. Ma viaggiare in tutto il Paese, a parte sulla costa, è diventato un terno al lotto. Percorsi che prima richiedevano tre ore ora ne necessitano anche 36. Dieci giorni fa terroristi di Jabat el Nouszra sono scesi dal Krak des Chevaliers verso la zona cristiana di Wadi Nazara, hanno eliminato i soldati in due posti di blocco, sono entrati nel primo villaggio cristiano dove si svolgeva una festa e hanno falciato i passanti, soprattutto giovani, che si trovavano nella strada principale. I morti sono stati almeno 18. Poi si sono ritirati. Questo ha gettato nel terrore le famiglie, molte delle quali già sfollate da altri posti della Siria».


Esiste a qualche livello la speranza di una soluzione pacifica o politica al conflitto?
«Non mi sembra che in queste settimane ci siano stati segnali positivi. Al contrario i combattimenti si sono intensificati in varie parti del Paese e, di conseguenza, la paura dei civili è cresciuta. L’impressione che ho avuto a Damasco la settimana scorsa è di sentire riecheggiare le parole del Salmo: “Come un agnello condotto al macello”. Mai come in quel momento ho capito la realtà dell’Agnello innocente che non può far nulla di fronte alla morte incombente e ingiusta. È questa la realtà della gente soprattutto dopo la minaccia dell’attacco da parte degli Usa: sgomento e desolazione. Ci si guardava negli occhi increduli come a dire: "Attaccheranno davvero?". I mortai e i razzi dalla periferia sulla città erano molto più numerosi e l’attacco dell’esercito altrettanto pesante».


http://www.cittanuova.it/c/431065/Diario_dalla_Siria41.html
  

Il racconto di una stilista di Damasco

L’esperienza di Rahmé conferma che in nome della fratellanza si può abbattere qualsiasi tipo di barriera, anche a costo di gravi rischi.

Focolare.org 
 29 settembre 2013



.... Nel giugno 2013, nel giorno della consegna dei diplomi, alla presenza di membri dell’Associazione internazionale e dei rappresentanti della Mezzaluna Rossa, è stato chiesto loro quali fossero stati i momenti più difficili durante l’anno. Una, a nome di tutto il gruppo, ha risposto che era quello il giorno più difficile, perché era l’ultimo giorno nel Centro. “L’unico posto – diceva – dove riusciamo a respirare e che ci ha sempre aiutato ad andare avanti, mettendo la pace nelle nostre famiglie e nei nostri cuori”.



Nell'anniversario del martirio di Padre Murad...

La morte di padre Murad e la fuga di tanti cristiani lasciano campo libero all'estremismo religioso che non vedrà più un Paese dove le religioni sapevano convivere pacificamente. Le responsabilità dell'Occidente in questa nuova diaspora non vanno taciute



Città Nuova 28-07-2013  - a cura di Maddalena Maltese  


«La notizia dell’uccisione di padre Franҫois Murad, eremita francescano morto a Ghassaniye, nella zona nord-occidentale del Paese occupata da più di un anno dall’Esercito Libero e da ribelli, ci ha colto di sorpresa, anche quella, come una staffilata. Nella messa della sera il celebrante francescano l’ha annunciata ai fedeli che riempivano la chiesa di Bab Touma, poco prima di leggere il Vangelo che quel giorno recitava: «Chi vorrà salvare la propria vita la perderà ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo la ritroverà». Papa Francesco all’Angelus dell'altra domenica aveva commentato quel brano ricordando i martiri attuali che danno la vita per la fede e la verità.

Lo conoscevo bene Padre Franҫois, lo si vedeva sovente celebrare nella chiesa dei Francescani a Azizie, si sapeva del suo progetto, poi realizzato, di creare nella zona di Ghassaniye un convento dove ritirarsi a pregare ma, anche, ad accogliere chi, come lui, volesse immergersi nella contemplazione, in quel delizioso posto della Siria, dove vigneti e alberi di olivo curati con somma attenzione, da centinaia di anni, parlano della laboriosità della gente, in gran parte cristiana.
Lì la tormenta è arrivata già da tempo e la morte di Padre Franҫois lo testimonia, come confermano anche le religiose che si trovavano al momento dell’uccisione non lontano dal convento, già colpito più di una volta. Ma c’è di più. Da giorni i conventi della zona erano sotto attacco da parte di elementi armati che li stavano saccheggiando, infierendo soprattutto contro le immagini sacre. Il custode della Terra Santa, padre Pizzaballa, ha già dichiarato che in questo modo, fornendo armi alla ribellione, l’Occidente sta facendo davvero un bel servizio ai cristiani d’Oriente, chiedendosi a ragione se di qui a poco ne resteranno ancora.

Chi ci guadagnerà da questa loro fuga, già vista in Irak e in Libano e in Libia e in Egitto? Sicuramente l’estremismo, e quello più fanatico, appoggiato da quei Paesi che continuano a ragionare in termini di nuovi assetti regionali. Chi ci perderà? Forse tutti, perché l’estremismo religioso è alle porte anche nelle città occidentali, americane ed europee, da dove centinaia di mercenari sono partiti in questi mesi per venire a combattere in Siria contro quelli che, perché diversi, sono considerati eretici. Sono giovani che ormai da anni hanno nazionalità europea ma che non hanno recepito il fulcro della cultura europea e le sue radici forse perché l’Europa e l’Occidente continuano a calpestarle, le loro nobili radici, e non riescono a presentarsi al mondo se non con la loro avidità, quella di chi non ha paura di provocare guerre a destra e sinistra pur di procurarsi petrolio e gas o minerali preziosi e continua a ragionare in termini di “nemico” per poter vendere armi. Che pena! Un incubo da cui ci sveglieremo?
In Siria, nella regione di Deir Ezzor, non lontano dalla frontiera turca, nella zona ricca di petrolio e di centri di estrazione del prezioso minerale, sono i ribelli stranieri e quelli interni che hanno ora in mano il territorio e la produzione petrolifera e che stanno inviando il petrolio, a prezzo stracciato, in Turchia e di lì anche in Occidente. L’ha raccontato con profonda amarezza un signore sunnita fuggito da Deir Ezzor con la famiglia qualche mese fa, quando la situazione non faceva ormai presagire nulla di buono. Non ha alcun affetto per il governo al potere, anzi, ma non può nascondere lo sgomento di vedere il suo Paese depredato, con la complicità di suoi connazionali. «Quando tornerà la pace, non troveremo lì che persone malate per il grado altissimo di inquinamento, giacché le fabbriche sono state colpite e poi occupate e il primo lavoro di raffineria si fa ora con mezzi assolutamente inadeguati».

Ma queste cose non le ha potute dire ad alta voce, giacché non sono accettate dai nuovi padroni della regione, e anche per questo se ne è andato, a ingrandire quella schiera innumerevole di persone che in Siria hanno dovuto lasciare il loro passato e vedono cancellato il futuro. A meno che nel presente drammatico in cui si continua a vivere e a morire non arrivi il miracolo».
Giò Astense


"ci vuole ormai del coraggio per decidere di restare nella bella Siria"


Il Ramadan non fa tacere le armi e le morti assurde che costellano le giornate dei siriani: il piccolo Salem è stato ucciso da una scheggia, mentre un medico giocava a fare il cecchino contro i pullman di linea di passaggio sotto l'ospedale


Città Nuova - 19-07-2013  

« ll mese di Ramadan, mese di preghiera e di digiuno, é cominciato male e non sembra far presagire nulla buono. 
Le notizie alle tv sono sconfortanti, pare di assistere, passi la parola, ad una farsa al capezzale di un povero moribondo. E quanto mai inumano e repellente il doppio gioco condotto su questo Paese ormai in guerra da più di due anni.
Parole di accusa, descrizioni di piani bellici, silenzi colpevoli di fronte alla violenza, tira e molla tra governo ed esercito ribelle pur di non trovarsi insieme ad un tavolo di dialogo che metterebbe fine ai dolori indicibili nella popolazione. Si usano solo parole altisonanti che dicono semplicemente a chi le sa decifrare l’inutilità di una guerra quanto mai sporca e crudele. Non cesserò mai di ripeterlo, a me e a chiunque voglia convincermi del contrario.

No, questa guerra non si doveva fare, né ieri né mai e le ultime notizie dell’uccisione da parte di terroristi di due alti responsabili dell’Esercito Libero confermano il caos e la divisione imperante che può portare solo a piani inconcludenti in direzione della pace ma che svelano purtroppo un progetto per il quale si continua a scavare nel torbido: gettare il Paese nella violenza più cieca, dove tutti combattono contro tutti, per poterlo dividere o renderlo assolutamente invivibile per almeno i prossimi vent’anni.

Già, perché ci vuole ormai del coraggio per decidere di restare nella bella Siria, benché la parola speranza sia anche qui l’ultima a morire. Ma non la ripetono più i genitori del piccolo Selim ucciso da una scheggia in un quartiere cristiano di Aleppo sabato scorso, proprio davanti alla casa di un’amica che se l’è cavata per miracolo. Non lo ripete più la famiglia di quel giovane che era rientrato a Damasco dai Paesi arabi per assistere al matrimonio della sorella. Prima di ripartire ha voluto andare a visitare i parenti ma all’uscita da Damasco, a Harasta, un cecchino l’ha colpito mentre era sul pullman. Ed era un un cecchino di lusso l'autore di questo assassinio: un medico che dal suo gabinetto in ospedale giocava a tiro a segno con i passeggeri dei pullman di linea. E questo per dire a che punto è arrivata la barbarie».
Gio Astense

http://www.cittanuova.it/c/430103/Diario_dalla_Siria_40.html