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sabato 3 febbraio 2024

Gli USA bombardano la Siria

 

Serie di post di Elijah Magnier 

Gli USA hanno effettuato attacchi aerei su obiettivi iraniani collegati all'IRGC (l'Iran ha negato di avere qualsiasi posizione collegata alle sue forze) nei distretti di Al Bukamal, Deir ez-Zor, confini orientali di Syria e Iraq (suggerendo all'opinione pubblica: 'dopo un tempestivo avviso che ha consentito l'evacuazione della maggior parte delle posizioni'). I bombardieri pesanti B-1B dell'USAF, i caccia F-15E e gli A-10 Warthog hanno utilizzato 125 armi a guida di precisione contro 85 bersagli senza risultati strategici.

L'attacco USA della scorsa notte ha preso di mira la forza di sicurezza ufficiale irachena, Hashd al-Sha'bi, posizionata ad al-Anbar, uccidendo 3 ufficiali e due civili.

I bombardamenti statunitensi non hanno intimidito le forze della Resistenza in Siria, che hanno reagito alla posizione americana nel nord-est del paese con un messaggio provocatorio. Gli alleati di Gaza continuano a fare affari come al solito, sperando che Joe Biden venga ulteriormente trascinato nel pantano del Medio Oriente e mostri come il paese più forte del mondo stia combattendo una guerra impossibile da vincere contro piccoli attori non statali.

Il comportamento bellicoso degli Stati Uniti metterà ulteriormente a repentaglio il dispiegamento americano in Iraq. La Resistenza Irachena ha affermato di aver lanciato droni e attacchi missilistici contro la base USA di Ayn al-Assad. La Resistenza ha bombardato la base di al-Harir USA in Kurdistan , Iraq. La base militare USA di al-Tanf, al confine tra Iraq e Siria, è stata attaccata da droni.

Il governo iracheno condanna gli attacchi aerei statunitensi e li descrive come una “violazione della sovranità”, avvertendo di “conseguenze disastrose”.

L'attacco USA ha ucciso 16 iracheni e 7 siriani con 120 missili lanciati contro 2 paesi sovrani, Iraq e Syria , che gli americani occupano di prepotenza. Nessuna vittima iraniana nei bombardamenti: l'azione sarà lungi dall’impedire alla Resistenza di rispondere agli Stati Uniti, di sostenere Gaza e bombardare Israele.

Iran , Iraq e Russia condannano le violazioni USA contro 2 paesi sovrani e chiedono una riunione d'emergenza delle Nazioni Unite , che gli Stati Uniti invocherebbero ai sensi dell'articolo 51 per "autodifesa". L'Iraq ha confermato che non c'era stato alcun coordinamento preventivo, un passo necessario poiché gli americani sono presenti come ospiti e non come aggressori. Il parlamento iracheno chiede una sessione d'emergenza per adottare misure contro l'aggressione americana sul territorio iracheno, in particolare contro le forze di sicurezza di frontiera incaricate di monitorare e contrastare ISIS le incursioni nel paese.

L'ISIS ha colto l'occasione per attaccare le posizioni di Hasd al-Shabi e altri villaggi di al-Anbar contemporaneamente ai bombardamenti statunitensi.


Dichiarazione del Ministero della Difesa siriano

"Le forze di occupazione statunitensi hanno lanciato questa mattina una palese aggressione aerea su una serie di siti e città nella regione orientale della Siria, vicino al confine siriano-iracheno. Questa aggressione ha provocato il martirio di numerosi civili e militari, nonché il ferimento di altre persone, e hanno causato ingenti danni a proprietà pubbliche e private.

L’area presa di mira dagli attacchi statunitensi nella Siria orientale è la stessa area in cui l’Esercito arabo siriano sta combattendo i resti dell’organizzazione terroristica ISIS. Ciò conferma che gli Stati Uniti e le loro forze militari sono coinvolte e allineate con questa organizzazione, lavorando per rilanciarla come braccio sul campo in Siria e Iraq con tutti i mezzi sporchi.

L’aggressione delle forze di occupazione statunitensi questa mattina non ha altra giustificazione se non il tentativo di indebolire le capacità dell’Esercito arabo siriano e dei suoi alleati nella lotta al terrorismo. Tuttavia, l’Esercito, che è stato in grado di sconfiggere varie organizzazioni terroristiche nel corso degli anni, continuerà a mantenere la sua fermezza e il suo principio di difesa della Siria e del suo popolo, colpendo tutte le organizzazioni, non importa quanto i loro sponsor e sostenitori cerchino di ostacolare questo obiettivo.

L’occupazione delle forze statunitensi in alcune parti del territorio siriano non può continuare, e il Comando Generale dell’Esercito e delle Forze Armate afferma il proprio impegno a continuare la guerra contro il terrorismo fino alla sua completa eliminazione e la propria determinazione a liberare l’intero territorio siriano da ogni terrorismo e occupazione."


ULTERIORI INFORMAZIONI QUI: https://www.vietatoparlare.it/gli-usa-bombardano-in-siria-e-in-iraq/

lunedì 17 aprile 2023

Siria: quale futuro in un “nuovo” contesto mediorientale?

 

Nota redazionale. Tutto sarà dimenticato?

Dopo dodici anni di guerra, terrorismo, isolamento, sanzioni e il recente terremoto come sale sulle ferite, quali spiragli si intravedono per il futuro della Repubblica Araba Siriana? I Paesi della regione, quegli stessi che negli anni hanno contribuito alla distruzione del paese, lasciando passare terroristi provenienti da mezzo mondo o finanziandoli e armandoli, sembrano volersi lasciare alle spalle i crimini inauditi da loro perpetrati, e perfino discostarsi dai tradizionali alleati occidentali. 

Pur auspicando, come necessari per la sopravvivenza e la ricostruzione, sia la riammissione della Siria nella Lega araba (dalla quale era stata espulsa dal 2012) che una generale ripresa di rapporti diplomatici ed economici, non dobbiamo dimenticare quello che i paesi del Golfo e la Turchia hanno fatto, insieme a Stati Uniti, Israele ed Europa. La Siria non è stata la loro prima vittima: fin dal 1991 con la guerra del Golfo all’Iraq, le petromonarchie hanno alimentato la belligeranza; dal 2011, poi, la Turchia di Erdogan ha assunto un ruolo distruttivo di primo piano, prima facendo da autostrada per il terrorismo e poi occupando intere porzioni della Siria. 

E adesso, con l’apparente svolta, almeno da parte di alcuni paesi arabi? Tutto sarà dimenticato? L’impunità legale ed economica per crimini e danni di guerra trionferà? Gli aggressori degli anni scorsi approfitteranno anzi della ricostruzione? 

Ed è scongiurato per sempre il rischio che simili aggressioni si ripetano? E davvero l’alleanza di ferro fra quei paesi mediorientali e i burattinai di Washington sta tramontando?

 Nota di Marinella Correggia


Colloquio di Steven Sahiounie con l’analista Elijah Magnier

Le sabbie mobili del Medio Oriente sono state coinvolte in un turbine il mese scorso, quando è stato annunciato l’accordo tra Arabia Saudita e Iran in Cina. Le due potenze rivali della regione si sono impegnate a lavorare per la pace e la prosperità di entrambe le nazioni.

Quali saranno gli effetti di questa nuova relazione su Siria, Stati Uniti, Israele, Turchia e Lega araba? Per approfondire questo sorprendente sviluppo nella regione, Steven Sahiounie di MidEastDiscourse ha intervistato  Elijah J. Magnier, veterano corrispondente da zone di guerra e analista politico con oltre 35 anni di esperienza in Medioriente e Nordafrica.

Magnier ha coperto molte delle guerre e degli scontri militari più importanti della regione, tra cui l’invasione israeliana del Libano nel 1982, la guerra Iraq-Iran, la guerra civile libanese, la guerra del Golfo del 1991, la guerra nella ex Jugoslavia tra il 1992 e il 1996, la guerra in Afghanistan del 2001, l’invasione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti nel 2003 e la successiva guerra e occupazione, la seconda guerra del Libano nel 2006 e le più recenti guerre in Libia (2011) e Siria (2011-2019). Avendo vissuto per molti anni in Libano, Bosnia, Iraq, Iran, Libia e Siria, Elijah J. Magnier possiede una conoscenza unica degli affari culturali e tribali locali, delle realtà e delle tendenze geopolitiche e della storia di una regione che continua a porre sfide ai suoi abitanti e al mondo.

Il ministro degli Esteri dell’Arabia Saudita si recherà a Damasco per invitare il presidente siriano Assad al prossimo vertice della Lega araba previsto per il 19 maggio a Riad. Quanto è significativa questa fine dell’isolamento per la Siria e cosa significa per le relazioni degli Stati Uniti con l’Arabia Saudita?
È chiaro che l’Arabia Saudita non considera più solo l’interesse degli Stati Uniti, ma anche l’interesse saudita di porre fine a tutti i conflitti in Medioriente e di avviare un nuovo rapporto con i suoi vicini, anche quelli colpiti da illegali sanzioni unilaterali da parte degli Stati Uniti e dell’Unione europea. Dal 2015, l’Arabia Saudita ha smesso di finanziare i jihadisti in Siria. Da allora, ci sono stati diversi incontri tra funzionari dei due paesi a livello politico e di sicurezza. Naturalmente, gli Stati Uniti non vedono di buon occhio questo riavvicinamento, poiché mina l’efficacia delle loro sanzioni e separa l’Occidente dal Medioriente. Tuttavia, è prudente non precipitarsi a una normalizzazione completa tra Siria e Arabia Saudita, a meno che i sauditi non siano disposti a contribuire alla ricostruzione di oltre un decennio di guerra, in cui Riad è stata parte attiva e provocatrice. È troppo presto per giudicare finché non vedremo i risultati.

Riportare la Siria nella fratellanza delle nazioni arabe sembra una mossa coraggiosa da parte del principe ereditario Mohammed bin Salman. Come reagiranno le altre nazioni arabe a questa nuova politica?
L’Arabia Saudita non è la prima a tornare alle relazioni con la Siria. Gli Emirati Arabi Uniti (EAU) hanno riaperto la loro ambasciata e ripristinato le relazioni anni fa. Tuttavia, la mossa saudita di accogliere nuovamente la Siria nel vertice e nella Lega araba ha implicazioni significative per tutti quegli arabi che hanno boicottato la Siria e continuano a finanziare i jihadisti, come il Qatar. Anche in questo caso, resta da vedere come questo riavvicinamento sarà tradotto dagli altri Stati del Golfo, al di là delle foto di gruppo al prossimo vertice. 

L’Arabia Saudita intende invitare sia l’Iran che la Turchia al vertice della Lega araba. Il recente ripristino delle relazioni diplomatiche tra Riad e Teheran ha aperto la strada a questo invito. E la Turchia quale ruolo avrà nella nuova politica sulla Siria?
La Turchia è preoccupata per le elezioni presidenziali e l’attuale presidente Erdogan vorrà capitalizzare il suo incontro con il presidente Assad. Finora la condizione che i siriani hanno posto è stata l’impegno a un completo ritiro di Ankara dalla Siria. E’ un obiettivo difficile da raggiungere per Erdogan, perché significherebbe che decine di migliaia di jihadisti e takfiristi gli si rivolterebbero contro, essendo rimasti senza sponsor e copertura. Inoltre, gli Stati Uniti faranno pressioni sulla Turchia perché sperano che il presidente Assad non riprenda il controllo dell’intero territorio. Ecco perché Assad per ora tiene duro, nonostante le pressioni russe e iraniane per convincerlo a incontrare Erdogan. Non vedo cosa potrebbe guadagnare il presidente siriano dall’incontro con il suo omologo turco quando la Turchia è a un mese appena dalle elezioni.

Quali sono i vantaggi economici per il mondo arabo che derivano dal ritorno della Siria al tavolo del vertice?
La Siria ha bisogno di circa 300-500 miliardi di dollari per ricostruire il paese e sviluppare le sue risorse naturali. Se gli Stati Uniti lo consentiranno, le monarchie del Golfo avranno molto da guadagnare dalla partecipazione alla ricostruzione della Siria. Alla fine, il Golfo sta compiendo un passo positivo verso la Siria, ma questo non significa che gli Stati Uniti siano diventati un nemico. Al contrario, le conseguenze della guerra tra Stati Uniti e Russia in Ucraina hanno portato molti Stati ad adottare un approccio equilibrato e ad ampliare le proprie opzioni. È quello che stanno facendo gli Stati arabi: aprirsi all’Iran e alla Siria, ma tenere sotto controllo il livello di rabbia degli Stati Uniti.

Che dire delle nazioni arabe che hanno stretto patti di normalizzazione con Israele; accetteranno la posizione della resistenza siriana? E il Qatar: si è opposto al ripristino dei legami con la Siria. Come reagiranno?
Israele è il maggior perdente nel riavvicinamento tra sauditi, iraniani e siriani. Siria e Arabia Saudita sono stati nemici per oltre dieci anni, e Tel Aviv ha beneficiato di questa narrazione. Ora che la situazione sta cambiando, lo Stato Ebraico si sente a disagio e più isolato, soprattutto perché visite ufficiali programmate sono state rimandate a data ignota. Man mano che le conseguenze della guerra in Ucraina diventeranno più evidenti, gli Stati del Golfo si avvicineranno alla Siria e saranno coinvolti nella ricostruzione del paese. Esiste un notevole potenziale per una piena normalizzazione in prossimità delle elezioni statunitensi. Per quanto riguarda il Qatar, i sauditi devono trovare un equilibrio per la riconciliazione. Damasco non chiuderà le porte a Doha, ma questa dovrebbe interrompere il proprio sostegno finanziario ai jihadisti nella Siria occupata a nord-ovest.

Steven Sahiounie è un giornalista pluripremiato

https://www.mideastdiscourse.com/2023/04/12/saudi-arabia-has-an-interest-to-end-all-conflicts-in-the-middle-east-interview-with-elijah-j-magnier/

martedì 23 marzo 2021

Il Libano sull'orlo dell'abisso

distribuzione e composizione confessionale della popolazione libanese. 
fonte: https://twitter.com/DelamartinoJ/
status/1373324488117485575

Elijah J. Magnier , corrispondente di guerra ed analista politico specializzato su Medio Oriente, ci dà la sua visione della odierna preoccupante situazione del Paese dei Cedri, dal punto di vista del 'Partito di Dio' 

Tradotto da A.C. 

Non ha particolarmente stupito la notizia che il presidente israeliano Reuven Rivlin e il capo di stato maggiore delle forze armate Aviv Kochavi abbiano bussato alle porte dell’Eliseo (la residenza del presidente francese) per esprimere le loro critiche nei confronti di Hezbollah e ovviamente anche dell’Iran. Indubbiamente Israele non sarà mai in grado di accettare la presenza sui suoi confini di una forza militare molto potente, dotata di centinaia di missili di precisione in grado di coprire tutta la Palestina. Non solo, Hezbollah possiede anche decine di migliaia di missili modificati di precisione sebbene con un raggio più corto. Israele già nel 2006, quando l’organizzazione libanese possedeva molti meno missili e non aveva l’esperienza di oggi, non era riuscito a sconfiggerla. Per cui oggi un eventuale scontro avrebbe un prezzo altissimo e Israele non avrebbe affatto la garanzia di poterne uscire vittorioso. Così in seguito al tentativo fallito di dividere la Siria nel 2011 e l’Iraq nel 2014 e dopo aver cercato di piegare l’Iran attraverso sanzioni sempre più dure che gli Stati Uniti continuano a imporre alla “Repubblica Islamica” fin da quando è nata, le prospettive di debellare Hezbollah si riducono sempre più. 

Gli Stati Uniti e Israele hanno cercato di appoggiare la “rivoluzione libanese“, le ONG presenti nel paese, e hanno investito più di 10 miliardi di dollari per riuscire a paralizzare Hezbollah, senza risultati. Non restano a questo punto che due opzioni: fomentare un conflitto settario oppure ridurre alla fame la popolazione accusando Hezbollah e le sue forze armate e di sicurezza. Riusciranno nell’intento? Come si sta organizzando Hezbollah e che opzioni ha? 

Le recenti guerre in Siria, Iraq e Yemen hanno fornito a Hezbollah, uno dei principali partecipanti, un’esperienza bellica senza precedenti. Ha infatti combattuto insieme ad un esercito classico e a quello di una superpotenza, rispettivamente l’esercito siriano e quello russo. Ha usato carri armati, missili che si è costruito e droni armati e tra le tante operazioni che l’hanno visto protagonista ha condotto anche azioni di sabotaggio dietro le linee nemiche. Subito dopo il suo insediamento alla Casa Bianca, il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha definito la Russia un avversario e la Cina un concorrente pericoloso, una presa di posizione che ha avuto come risultato quello di favorire un inedito riavvicinamento tra questi due paesi e i nemici dell’amministrazione americana in Medio Oriente, soprattutto l’Iran e Hezbollah. 

Una delegazione del partito comunista cinese si è recata in Libano e ha incontrato la leadership di Hezbollah a cui ha proposto dei progetti del valore di 12 miliardi di dollari mirati a rimettere in sesto la rete elettrica, le comunicazioni, i trasporti e tutte quelle infrastrutture di cui il paese ha un impellente bisogno. E la Russia da parte sua ha invitato a Mosca una delegazione guidata da Haj  Mohamad Raad che ha incontrato il ministro degli esteri Sergei Lavrov e altre autorità del paese. 

E’ importante sottolineare che Hezbollah in Siria è schierato in 131 punti strategici, l’Iran in 115 e la Russia in 95 escludendo l’aeroporto militare di Hmaymeem e la base navale di Tartus (sotto il controllo russo). In conseguenza è d’obbligo un coordinamento strategico tra Hezbollah e la Russia soprattutto dopo che i servizi di intelligence americani riconoscono e prendono atto che Hezbollah è una potenza regionale senza contare che la accusano anche di essere in grado di interferire nelle elezioni presidenziali degli Stati Uniti. Ma la catastrofica situazione economica del Libano ha colpito duramente la maggior parte dei libanesi, Hezbollah incluso. E le sanzioni imposte dagli Stati Uniti all’Iran (a partire dal 1979) che hanno raggiunto il livello più alto nel 2020 e che Biden non ha revocato, hanno impedito a Teheran di essere generosa con i suoi alleati anche se non ha mai smesso di finanziarli regolarmente. L’Iran considera i suoi alleati una componente  essenziale della sua sicurezza nazionale. Sebbene il loro benessere sia fondamentale, tutti gli extra sono stati tagliati e i finanziamenti ridotti al minimo necessario. I salari di Hezbollah restano gli stessi e vengono regolarmente pagati. Ma solo un 20, 25% riceve lo stipendio in dollari americani e mentre prima a un dollaro corrispondevano 1.500 lire libanesi oggi il cambio è salito a 13.000. Una gran parte dei membri di Hezbollah non riceve alcun salario oppure viene pagata in moneta locale. La leadership dell’organizzazione ha creato un ente di beneficienza interno chiamato “Muwasat” (fondo di consolazione). I membri di Hezbollah pagati in dollari potranno sostenere economicamente i membri non pagati e le famiglie in stato di bisogno. 

Il deterioramento della situazione economica in Libano è dovuto a una serie di motivi. Lunghi decenni segnati dalla corruzione a partire dagli anni 90 hanno portato alla “dollarizzazione” delle importazioni libanesi e inferto un duro colpo alla produzione locale. Negli anni passati la guerra fatta dagli Stati Uniti al governo di Damasco e le sanzioni americane e europee alla vicina Siria (Caesar Act) hanno giocato decisamente a sfavore dell’economia libanese. A livello interno il prosciugarsi dei dollari nel   mercato libanese avvenuto in seguito alla cattiva gestione, voluta, del Governatore della Banca Centrale, personaggio controllato dagli Stati Uniti, e l’influenza esercitata dagli Stati Uniti sui paesi ricchi del Golfo che li ha indotti a non sostenere finanziariamente il Libano, sono stati l’ennesimo colpo letale inferto all’economia libanese.Tutte queste cose messe insieme hanno iniziato a ridurre la popolazione alla fame, le medicine sono praticamente introvabili, mancano i generi alimentari, il crollo della moneta locale ha creato un’inflazione galoppante e così per una grossa fetta di popolazione sopravvivere sta diventando un’impresa quasi impossibile. 

La mancanza di cibo e medicine non necessariamente costituisce un motivo per scatenare un conflitto a livello militare. L’Iran potrebbe rifornire il Libano di medicine necessarie, di cibo (lo sta già facendo) e l’Iraq si è impegnato a consegnare al Libano il carburante necessario a far funzionare la rete elettrica e i trasporti. Ma il problema della sicurezza è quello più critico dato che molti gruppi schierati con gli Stati Uniti stanno chiudendo le strade più importanti in varie città, impedendo in questo modo le comunicazioni tra gli sciiti nella capitale e nelle periferie, nella valle della Bekaa e nel sud del Libano. Il blocco delle strade viene chiamato disturbo della “via dei rifornimenti” della resistenza, un’azione imperdonabile e pericolosissima che Hezbollah potrebbe considerare come una dichiarazione di guerra. 

E’ ancora vivo nel paese il ricordo del 7 maggio 2008 (il giorno in cui Hezbollah prese il controllo di un’area di Beirut in mano al governo filo-americano). Il governo filo-statunitense aveva deciso di chiudere la rete di telecomunicazioni di Hezbollah, un’azione che l’organizzazione interpretò come una dichiarazione di guerra. Lo scopo era quello di bloccare il circuito di Hezbollah e il suo sistema di comunicazione (fibra ottica) essenziale per permettere al comando dell’organizzazione di dirigere le  battaglie se ci fosse stato un conflitto. Durante la guerra del 2006 gli ordini di attacco erano coordinati e non furono mai interrotti anche quando Israele cercò di distruggere la rete senza riuscirci. La decisione era stata presa dal governo dell’ex primo ministro Fouad Siniora un politico nemico di Hezbollah e amico degli Stati Uniti e dei sauditi, accusato di corruzione ma salvato dall’intervento dell’ex primo ministro Rafic Hariri che lo nominò ministro delle finanze per proteggerlo da un procedimento legale ( succede solo in Libano). 

Secondo fonti libanesi ben informate, nelle manifestazioni delle ultime settimane i sostenitori del primo ministro Saad Hariri con la scusa della fame e della svalutazione della lira hanno chiuso la strada di Saadnayel che collega gli sciiti della valle della Bekaa a Beirut. Anche la strada di Alay è stata chiusa dai sostenitori del leader druso filo-americano Walid Jumblatt per impedire agli sciiti di raggiungere la periferia di Beirut. E pure  la strada di Jiyeh che porta nel sud del Libano veniva chiusa dai sostenitori di Hariri e di Jumblatt. Erano tutti movimenti coordinati che fanno capire  come lo scenario servisse a preparare il paese a qualcosa di più grosso e a  verificare la reazione di Hezbollah. 

Sta di fatto che anche la leadership dell’esercito libanese ha contribuito a peggiorare la situazione poiché il comandante in capo, il generale Joseph Aoun si rifiutava di obbedire ai ripetuti ordini del presidente Michel Aoun di riaprire le strade permettendo però ai dimostranti di manifestare a lato delle stesse. Il generale Joseph Aoun è candidato alla presidenza e probabilmente crede (ma si sbaglia) che l’appoggio degli Stati Uniti sia sufficiente a soddisfare le sue ambizioni politiche. 

Più di sei mesi fa successe la stessa cosa, vennero chiuse tutte le strade usate dall’ “Asse della Resistenza” che vanno nella valle della Bekaa e nel sud del Libano. Dopo ripetuti e inutili avvertimenti Hezbollah convocava più di 1.000 uomini delle forze di mobilitazione che vivono nella zona dove i dimostranti avevano bloccato le strade affinché si preparassero a sgombrarle con la forza. All’ultimo minuto l’esercito libanese, la cui leadership era stata informata, interveniva e allontanava i dimostranti chiaramente manipolati dai partiti filo-americani. 

Si sta prospettando uno scenario simile ma chiudere la via dei rifornimenti della resistenza non verrà permesso. L’ “Asse della Resistenza” ritiene che questa dichiarazione di guerra non sia nient’altro che un chiaro appoggio a Israele. Si pensa che ci vogliano dalle 24 alle 48 ore per liberare tutte le strade indipendentemente dal numero dei dimostranti e da quanto siano ben armati. 

Al Libano non è permesso di poter vivere in pace a meno che i suoi leader non siano pronti a concedere una parte dei loro  confini marittimi a Israele e Hezbollah venga disarmato, sempre, ovviamente, per far piacere a Israele. Gli Stati Uniti stanno portando il Libano al fallimento, non permettono che riceva gli aiuti dell’Iraq, della Cina e della Russia mentre  loro non sono intenzionati a sostenerlo. Più voci all’interno del paese , soprattutto la Forze Libanesi schierate con gli Stati Uniti e Israele, insistono sul disarmo di Hezbollah e descrivono Sayyed Hassan Nasrallah come la “testa del serpente” ( c’è un video sui social media).

Ma Hezbollah non darà via le sue armi e cercherà di evitare la guerra civile ma non una battaglia se fosse necessaria. Hezbollah consolida la sua organizzazione che fa parte della società e continuerà a prepararsi militarmente per qualunque possibile scenario di guerra, in Libano o al confine. Ha spostato molte delle sue operazioni sottoterra dove stanno nascendo delle città proprio per affrontare in futuro le minacce americane e israeliane. 

Le forze statunitensi continueranno a collaborare con Israele per paralizzare Hezbollah. Il comandante del Comando Centrale degli Stati Uniti (CENTCOM), il generale Kenneth McKenzie è stato in Libano più volte nell’ ultimo anno. La sua visita più recente , avvenuta la scorsa settimana, è di fatto quella più importante: scortato da sei elicotteri dell’esercito libanese ha esplorato la zona di  Ghazzee-Mazraat Deir al-Ashayer con una squadra di ufficiali dell’intelligence e di esperti di topografia. Ha anche fatto visita al generale Joseph Aoun (capo dell’esercito) ma non ha incontrato il presidente e neppure altri leader politici o membri del governo.

Le fonti pensano che gli Stati Uniti stiano esplorando la zona strategica che sta al confine tra la Siria e il Libano che dista solo decine di chilometri da Damasco e potrebbe essere utilizzata come base dell’esercito libanese (una soluzione di facciata) controllata dagli Stati Uniti. E’ oltretutto la zona che collega la valle della Bekaa con il sud del Libano, molto vicina al Monte Hermon dove si pensa che Hezbollah abbia le sue basi e i suoi missili strategici. L’ambasciata americana a Beirut ha comunicato che il comandante del CENTCOM ha “inaugurato un impianto di pompaggio dell’acqua finanziato dall’Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale -USAID” già in uso negli ultimi due anni per fornire acqua ad un villaggio quasi disabitato. Non è chiaro se inaugurare una pompa per l’acqua finanziata dagli Stati Uniti faccia parte delle competenze del generale McKenzie anche se l’ USCENTCOM è uno dei due comandi combattenti il cui quartier generale non si trova nella sua zona di responsabilità ma in Florida. 

Non si intravede nel breve periodo una soluzione per il Libano, un paese che cammina sull’orlo dell’abisso. I paesi del Golfo, gli Stati Uniti e Israele hanno deciso di spezzare il Libano e di far cadere il presidente Michel Aoun e il suo alleato Hezbollah. Ma saranno in grado insieme di far pendere la bilancia in loro favore? Non ci sono riusciti in Siria, in Yemen e in Iraq. Per Israele la guerra del 2006 è stata un fallimento e i  10 miliardi di dollari americani investiti per contrastare Hezbollah non hanno dato il via ad una rivoluzione e neppure ad una guerra civile. Hezbollah ha imposto un equilibrio della dissuasione in Libano e con Israele. E non ha nessuna intenzione di essere quello che comanda lo stato ma vive in un paese dove i politici hanno paura di far arrabbiare gli Stati Uniti. Il governo del Libano e i politici pro-Stati Uniti hanno timore a chiedere l’appoggio all’Oriente. Dipendono dalle esitazioni del nuovo presidente americano e della sua amministrazione che sta mantenendo inalterato lo status-quo di quella precedente (Trump). L’immobilismo e le minacce degli Stati Uniti stanno spingendo sempre più il Libano verso il precipizio.

https://ejmagnier.com/2021/03/23/il-libano-sullorlo-dellabisso/

sabato 20 febbraio 2021

Con Biden, per la Siria nulla cambierà

 

Di Elijah J. Magnier 

Tradotto da A.C. 

Molto difficilmente il presidente Biden metterà la Siria nella lista delle sue priorità per la semplice ragione che nessuna delle soluzioni che si prospettano finora si sposa con gli interessi degli Stati Uniti. Quindi si prevede (perlomeno nel primo anno di questa nuova amministrazione) che le truppe americane che attualmente occupano il nordest del paese e il valico di frontiera di Al-Tanf (che separa la Siria dall’Iraq), restino dove sono e che rimangano tali e quali tutte le misure prese nei confronti di Damasco. E così l’amministrazione Biden presumibilmente potrà ottenere dei vantaggi dalle sanzioni imposte da Donald Trump senza che ci siano modifiche di rilievo. Ed è pure molto probabile che gli Stati Uniti continuino ad interpretare in modo sbagliato le dinamiche locali, a incoraggiare i conflitti e le divisioni tra le popolazioni che abitano nello stesso paese senza mai smettere di credere, erroneamente, di poter cambiare i regimi attraverso l’imposizione di pesanti sanzioni.  

Gli Stati Uniti dovranno sicuramente prendere in esame una serie di fattori importanti prima di fare dei passi che cambino la loro posizione e la loro politica nei confronti della Siria. Washington innanzitutto privilegia gli interessi e la sicurezza nazionale di Israele nel Levante. E Tel Aviv ritiene che tenere le truppe d’occupazione americane nel nordest della Siria e al valico di al-Tanf sia importantissimo al fine di rallentare o cercare di impedire il flusso della logistica e dei commerci tra Beirut, Damasco, Baghdad e Teheran.  Però le forze ausiliarie, quelle siriane e gli alleati dell’Iran hanno preso il controllo del valico di frontiera di Albu Kamal, più a nord. Fu una mossa orchestrata dal generale iraniano Qassem Soleimani (assassinato dagli Stati Uniti all’aeroporto di Baghdad nel gennaio 2020) che sorprese e amareggiò moltissimo le forze americane oltre a guastare la festa agli israeliani intenti a celebrare il controllo degli Stati Uniti sul più importante posto di frontiera tra l’Iraq e la Siria, quello di al-Tanf. 

La presenza delle truppe degli Stati Uniti in Siria fornisce un appoggio morale e militare a Israele e gli garantisce le informazioni raccolte dalla loro intelligence.  Tel Aviv dichiara di aver lanciato più di mille attacchi contro vari obbiettivi in Siria a partire dal 2011, l’anno dell’inizio della guerra. Israele può infatti contare sul fatto che ci siano le forze americane nei paraggi (nonostante ci siano le loro basi in Israele) per riuscire a intimidire la Siria e far sì che i suoi leader non mettano in atto una strategia della dissuasione che gli impedirebbe di violare la sovranità del paese a suo piacimento.   La presenza degli Stati Uniti infatti può essere utile a convincere il presidente siriano Bashar al-Assad a pensarci bene prima di attuare una ritorsione magari lanciando contro Israele una decina di quei missili di precisione che ha ricevuto dall’Iran. Finora le violazioni di Israele del territorio e quindi della sicurezza siriana  hanno avuto un costo irrilevante. E l’assenza di una risposta adeguata da parte di Assad non può che generare altri attacchi israeliani. Il presidente siriano ha deciso di non seguire l’esempio di Hezbollah che con le sue minacce ha causato il ritiro dell’esercito israeliano dal confine con il Libano per sei mesi ( e ancora oggi resta invisibile): la paura che si avverasse la promessa del segretario generale Sayyed Hassan Nasrallah di uccidere per vendetta un soldato israeliano era consistente. 

Pertanto Israele farà di tutto per riuscire ad influenzare l’amministrazione Biden e convincerla a non ritirare le truppe dalla Siria. Questo farà sì che non ci siano dei cambiamenti nel corso di quest’anno anche perché ovviamente non è facile per gli Stati Uniti decidere di abbandonare il valico di frontiera che separa la Siria dall’Iraq. 

Il secondo motivo è che Joe Biden vede nella Russia un avversario.  Infatti il presidente Putin ha ordinato l’ampliamento dell’aeroporto siriano di Hmeimin (che opera sotto il comando e l’amministrazione russa nel governatorato occidentale di Latakia)  per ospitare i bombardieri strategici che trasportano bombe nucleari. E questo significa che la Russia sta costruendo una base che sfida quella americana e turca di Incirlik  in cui ci sono cinquemila soldati americani e cinquanta bombe nucleari che sono parte delle riserve della NATO, una base da cui partirebbe la risposta ad un attacco russo nel caso di guerra nucleare. Per la Russia la Siria è diventata il suo fronte avanzato contro la NATO, la sua finestra sul Mediterraneo e la sua indispensabile base navale in Medio Oriente.

L’ex presidente Donald Trump aveva ordinato il ritiro di gran  parte delle sue truppe da molte zone del nordest siriano, nei governatorati di Hasaka, Deir ez-Zor e Raqqa. Il ritiro permetteva  alla polizia militare russa e all’esercito siriano di schierarvi le loro forze in gran numero e di controllare una serie di posizioni lungo il confine tra Siria e Turchia. Biden a questo punto non è più in grado di riavere quel pieno controllo delle province che gli Stati Uniti avevano prima dell’avanzata russo-siriana e deve lasciare il nordest alla Russia e all’esercito di Damasco. Quindi l’opzione migliore per la nuova amministrazione americana potrebbe essere quella di lasciare le cose come stanno. Se invece Biden ordinasse alle sue truppe di andarsene da tutte quelle zone che  occupano ancora in Siria verrebbe accusato di lasciare il paese nelle mani della Russia, un avversario dell’America, nonché di rompere l’equilibrio esistente tra le due superpotenze e di nuocere agli interessi degli Stati Uniti nel Levante. 

Per quanto riguarda i Curdi Biden non può, per la pressione esercitata sugli Stati Uniti da Israele e dalla lobby curda, ma anche per via del sostegno di cui gode la causa di questo popolo in Occidente, lasciarli come se niente fosse alla mercè della Turchia che li perseguiterebbe considerandoli terroristi. Le YPG siriane (Unità di Protezione popolare) finanziate  e armate dagli Stati Uniti e da qualche stato europeo, sono il ramo siriano del PKK , il Partito dei Lavoratori del Kurdistan che è considerato un’organizzazione terroristica dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea (e anche dalla Turchia). 

Fino ad ora gli Stati Uniti hanno impedito ai Curdi di trattare con il governo di Damasco il rientro di queste province nello stato. Su richiesta americana i Curdi preferirebbero abbandonare la città di Afrin alla Turchia piuttosto che consegnarla al governo siriano. Gli Stati Uniti come compensazione per la Turchia vorrebbero che continuasse ad avere l’accesso diretto da Afrin e Idlib per mantenere divisa la Siria. I Turchi a questo punto si tranquillizzerebbero visto che non apprezzano affatto l’atteggiamento protettivo degli Stati Uniti nei confronti dei Curdi. Washington vorrebbe anche continuare a tenere la Russia sotto pressione in un paese tutt’altro che unito e non controllato per intero dal governo di Damasco. L’aver permesso alla Turchia di occupare Idlib e Afrin e ai Curdi di avere il controllo delle risorse più importanti, petrolio e agricoltura, ha inferto un duro colpo al processo di ricostruzione della Siria e ostacola non poco il suo ritorno alla prosperità dopo dieci anni di guerra. 

Se il presidente Biden decidesse di normalizzare i rapporti con il presidente Assad la sua amministrazione sarebbe sottoposta ad una fortissima pressione. Non ci sarebbero più motivi per tenere le truppe in Siria. E Biden verrebbe attaccato aspramente da molti guerrafondai occidentali (che nel corso degli anni hanno fatto di tutto per rovesciare Assad e cambiare il regime senza però riuscirci) dovesse mai dare il via ad un processo di distensione. A questo punto è chiaro che Biden non può fare la scelta di abbandonare i Curdi. 

Per quanto riguarda invece l’Iran, è risaputo che gli Stati Uniti e Israele vorrebbero che non restasse in Siria ma non hanno gli strumenti per poter obbligare gli alleati di Teheran e i suoi consiglieri militari ad andarsene. La Russia non è riuscita a convincere Assad a farlo perché il presidente della Siria tiene in  grande considerazione i suoi rapporti con l’Iran, il paese di cui si fida di più in assoluto. Teheran non ha mai imposto nulla al presidente siriano e Assad sa perfettamente che i due paesi hanno un destino comune. Quindi l’opzione resta aperta. Non si prevede che Biden cambi posizione e neppure che possa immaginare uno scenario in cui l’Iran sia destinato a fare le valige a meno che non ci sia contemporaneamente un ritiro americano. Ma se anche tutto ciò avvenisse l’influenza dell’Iran in Siria non diminuirebbe, indipendentemente dalla partenza o meno dei consiglieri iraniani.

Riguardo alla Turchia, non c’è molto da stare allegri. Biden vorrebbe che Ankara rinunciasse ai sistemi di difesa missilistica russi S-400. Ma non ha la possibilità di imporre dei cambiamenti ai rapporti tra la Turchia e la Russia perché i due paesi sono ormai arrivati ad un livello notevole di cooperazione. In seguito alla costruzione del Turkstream, il gasdotto che parte da Anapa, sulla costa russa per raggiungere la Turchia, la Bulgaria e la Serbia, gli scambi a livello turistico e commerciale sono aumentati in modo significativo. Il presidente Recep Erdogan che guida il secondo paese più potente della NATO chiede la fine dell’appoggio statunitense ai Curdi siriani. Vorrebbe che il presidente Biden portasse i suoi soldati fuori dalla Siria e gli consegnasse il nordest del paese così potrebbe eliminare I Curdi e annettersi parti della Siria come ha fatto con Idlib e Afrin. Ma Biden adesso non lo può fare.

La nuova amministrazione guidata dal presidente Joe Biden non  dispone di grandi opzioni. Probabilmente manterrà le sanzioni che colpiscono duramente la popolazione della Siria e trarrà  benefici proprio da quelle cosiddette “trumpiste” (imposte da Donald Trump) contenute nel “Caesar Civilian Protection (punishment) Act” ovvero la “legge di Cesare”. Il presidente americano vivrà nella speranza che, in un modo o nell’altro, cambi qualcosa e che quindi la posizione degli Stati Uniti in Siria migliori.   In Siria si stanno avvicinando le elezioni presidenziali e naturalmente nei prossimi mesi e anche anni Assad non cadrà. Nonostante questa guerra devastante che dura da ormai dieci anni e che ha visto la  partecipazione di tanti paesi occidentali e arabi lui è rimasto al potere. La vera  svolta potrebbe esserci se le forze americane in Iraq e Siria fossero obbligate ad andarsene, una possibilità che potrebbe avverarsi in futuro proprio durante il mandato di Biden.  

https://ejmagnier.com/2021/02/15/la-siria-non-e-nella-lista-delle-priorita-di-biden/

venerdì 20 novembre 2020

Libano. Il piano degli Stati Uniti per indebolire Hezbollah: una guerra civile e l’esodo dei cristiani

Le differenze tra Hezbollah e i cristiani del Libano 

di Elijah J Magnier 

tradotto da A.C.

Dal punto di vista teologico i leader cristiani (sia politici che religiosi) del Libano e gli sciiti duodecimani sono molto distanti tra loro; i primi hanno infatti obbiettivi politici e ideologici fondamentalmente diversi da quelli di Hezbollah. 

Gebran Bassil, a capo del gruppo cristiano più numeroso in parlamento, “At Tayyar al-Watani al-Hurr” (Movimento Patriottico Libero, MPL) lo metteva in chiaro in un discorso tenuto in televisione come risposta alle sanzioni impostegli dagli Stati Uniti per presunta corruzione e per la sua alleanza a livello politico con Hezbollah. Ma sono proprio queste differenze ideologiche a costituire una specie di assicurazione, di garanzia, che impedisce lo scoppio di una guerra civile e l’esodo dei cristiani dal Medio Oriente. “Questo (una guerra civile in Libano e l’esodo dei cristiani) è quello a cui aspira Israele, un desiderio che le autorità americane hanno espresso chiaramente negli incontri privati” rivelava Bassil. A questo punto si pongono le domande: quali sono le differenze fondamentali tra i cristiani libanesi e Hezbollah e cosa si aspettano gli Stati Uniti dai cristiani libanesi per poter indebolire l’organizzazione sciita?

Il giorno dopo le elezioni presidenziali, il 4 novembre, con una mossa apparentemente incomprensibile che oltretutto non assicurava benefici strategici e tattici né a Israele e neppure agli Stati Uniti, l’amministrazione americana annunciava che avrebbe imposto le sanzioni al membro del parlamento Gebran Bassil. Bassil riferiva che l’ambasciatrice degli Stati Uniti in Libano, Dorothy Shea, si era recata da lui per dargli un ultimatum e avvisarlo che sarebbero subito iniziate le sanzioni se non avesse rotto l’alleanza del MPL con Hezbollah. Bassil si rifiutava di obbedire alla richiesta intimidatoria e così il presidente Trump lo sanzionava.  Decideva quindi di rivelare come era andato l’incontro con le autorità americane per stabilire un equilibrio tra le sue relazioni con Hezbollah  e con l’Occidente. Il leader cristiano elencava le differenze con Hezbollah in termini di “ pensiero, linguaggio e ideologia”. 

L’organizzazione sciita Hezbollah vede gli Stati Uniti come “ il grande Satana, la testa del serpente” e, per quanto riguarda Israele, l’obbiettivo è porre fine alla sua esistenza. Il suo scopo è chiaro: liberare la Palestina. In Libano i cristiani non sono gli unici a non condividere l’obbiettivo di Hezbollah. Anche il gruppo sciita Amal, guidato dal presidente del parlamento Nabih Berri, considerato come l’alleato più stretto di Hezbollah, non condivide i suoi slogan e i suoi obbiettivi. Berri, a differenza di Hezbollah, ha ottime relazioni con l’Occidente e con gli stati del Golfo.

Inoltre Bassil ha detto che i cristiani del Libano reputano essenziali i rapporti con gli Stati Uniti che quindi devono essere trattati come tali. Ha aggiunto che Israele ha il diritto di vivere in sicurezza se la sicurezza viene garantita anche ai territori arabi e se i diritti dei palestinesi sono tutelati in base al piano di pace del re saudita Abdallah. Bassil qui si riferiva alla restituzione delle alture occupate del Golan alla Siria e dei territori occupati al Libano, al diritto al ritorno dei profughi palestinesi e a uno stato per la Palestina come condizioni per poter normalizzare i rapporti con Israele come stabilito nell’ iniziativa del re saudita.

La stessa iniziativa venne approvata dall’ex presidente Hafez Assad prima del suo incontro con il primo ministro Ehud Barak nel 2000 ma fallì all’ultimo minuto. Anche il presidente siriano Bashar al-Assad e quello libanese Emil Lahoud, entrambi alleati di Hezbollah, erano d’accordo sul piano di pace proposto dal re Abdallah nel 2002. L’ Autorità Palestinese (ANP) e Hamas esigono il diritto al ritorno dei profughi e la creazione di due stati in Palestina per metter fine al conflitto israelo-palestinese. 

Chiaramente Bassil non vuole apparire come uno totalmente legato a Hezbollah ma neanche come uno che accetta una relazione con l’Occidente basata su condizioni, condizioni che potrebbero facilmente scatenare una guerra civile in Libano. Quello che Bassil ha omesso è la richiesta fattagli  dall’ambasciatrice americana in Libano di formare una coalizione con le “Forze Libanesi” cristiane guidate da Samir Geagea, il partito Kataeb e i drusi di Walid Jumblatt, allo scopo di isolare Hezbollah.

Il Movimento Patriottico Libero è convinto che la richiesta degli Stati Uniti di isolare gli sciiti dividerebbe il Libano in due: da una parte i cristiani (con i drusi come alleati sostenuti dagli Stati Uniti) e dall’altra i sunniti e gli sciiti. Sarebbe molto facile creare un conflitto settario tra sunniti e sciiti per tenere occupato Hezbollah. Così Israele potrebbe colpire i villaggi sciiti e l’Occidente applaudirebbe la divisione del Libano con la scusa di proteggere i cristiani del paese. E la zona cristiana verrebbe finanziata e sostenuta dall’Occidente. Ma se i confini tra le due zone non fossero rispettati e Hezbollah prendesse il sopravvento, i cristiani se ne andrebbero velocemente dal paese, una situazione ideale per l’Occidente. Obbligherebbe i cristiani ad emigrare e lascerebbe il Libano preda di un conflitto settario tra sciiti e sunniti come è successo in Iraq e in Siria nell’ultimo decennio. Ma in fondo è quello che l’ex presidente francese Nicholas Sarkozy proponeva al patriarca cristiano libanese quando gli chiedeva un aiuto per la comunità cristiana nel 2011.

Gebran Bassil rifiutava l’offerta degli Stati Uniti anche se per natura i cristiani del Libano si sentono vicini all’Occidente. Bassil vuole avere delle relazioni con gli Stati Uniti e con l’Europa: non è pronto a sostituirli con l’Iran, la Russia e la Cina. Le richieste americane ai cristiani libanesi prevedono anche la naturalizzazione dei profughi palestinesi e siriani. Se avvenisse creerebbe un enorme squilibrio a livello demografico perché la maggioranza della popolazione sarebbe sunnita, poi verrebbero gli sciiti. A quel punto non sarebbe più possibile né giustificabile  assegnare alla minoranza cristiana la metà delle cariche istituzionali dello stato, del parlamento, del gabinetto e delle forze di sicurezza come previsto dagli accordi di Taef.

Una questione molto delicata divide Hezbollah e Gebran Bassil, non è ideologica ma riguarda il presidente del parlamento Nabih Berri accusato di corruzione come il primo ministro Saad Hariri, il leader druso Walid Jumblatt, il governatore della Banca Centrale Riyad Salame e altri. Bassil accusa Hezbollah di proteggere il suo alleato sciita Berri che a sua volta, insieme a Hariri, protegge Riyad Salame. Il governatore della Banca Centrale è accusato di aver favorito il trasferimento di miliardi di dollari ai vertici libanesi, somme accumulate grazie alla corruzione e all’abuso di potere che vanno avanti da decenni. Hezbollah capisce le accuse di Bassil ma è impotente in quanto non ha molte scelte. Berri è il leader di Amal e, se fosse lasciato da solo, potrebbe anche decidere di mettersi contro Hezbollah con il rischio di dare il via ad un conflitto tra sciiti. Il prezzo sarebbe altissimo soprattutto con Israele e gli Stati Uniti che non cercano altro che un’occasione per indebolire Hezbollah dall’interno o tramite i suoi alleati.

Bassil ha parlato anche di un piano, sventato dai servizi di sicurezza locali (che hanno arrestato parecchi militanti), finalizzato a rilanciare il gruppo terroristico dell’ISIS nel nord del Libano dove sono stati scoperti 40 militanti in contatto con Idlib (la provincia siriana in cui al-Qaeda ha la sua base). I cristiani sanno che una separazione da Hezbollah toglierebbe loro la protezione soprattutto quando c’è ancora in giro l’ISIS che potrebbe manifestarsi ogni volta che si presenta l’occasione. Ecco perché  Bassil non può rompere i rapporti con Hezbollah: Hezbollah è una garanzia contro gli islamisti radicali che hanno ampiamente dimostrato la loro brutalità nei confronti di tutte le religioni e le sette in Siria e Iraq. A conti fatti, l’unico amico politico che Bassil ha in Libano oggi è Hezbollah dato che tutti gli altri gruppi compresi i cristiani maroniti, i sunniti e i drusi lo hanno demonizzato cercando di isolare il Movimento Patriottico Libero e il suo leader.

Essere un cristiano in Libano non è un privilegio come lo sarebbe invece in Occidente. L’unico vantaggio è quello di poter ottenere  facilmente un visto per cambiare residenza. Inoltre si sa bene che gli Stati Uniti non interagiscono con i politici libanesi su base umanitaria o di “ favore per favore” ma solo per interesse, (il loro). Infatti nonostante abbia facilitato l’uscita di Amer Fakhoury dal Libano, Bassil non si è guadagnato le simpatie degli Stati Uniti. Anzi, gli eventi insegnano che quando l’amministrazione americana ritiene sia arrivato il momento di sacrificare i cristiani del Libano per usarli come legna per dar fuoco alla guerra civile, non esita a farlo. Per gli Stati Uniti gli interessi di Israele vengono prima di qualunque altra cosa. E purtroppo è probabile che nulla cambi con la nuova amministrazione.

Gli Stati Uniti e Israele hanno provato ad affrontare Hezbollah faccia a faccia senza riuscire a sconfiggerlo o a indebolirlo. Hanno cercato di dividere l’Iraq e la Siria per impedire che gli arrivassero i rifornimenti ma non ce l’hanno fatta. Il loro ultimo tentativo è stato quello di imporre la “massima pressione” all’Iran. Il risultato ottenuto è che Teheran non si è sottomessa e Hezbollah ha continuato a pagare gli stipendi a decine di migliaia di suoi militanti in dollari americani anche se in Libano questa moneta è pressoché introvabile. Agli Stati Uniti e Israele non resta altra possibilità se non quella di scatenare una guerra civile in Libano e  allontanare i cristiani per allentare la pressione imposta a Israele da Hezbollah la cui forza e efficienza è sempre in crescita.

E’ improbabile che Hezbollah cada in questa trappola malgrado i  suoi alleati cristiani abbiano ideologie e obbiettivi profondamente diversi. Le differenze possono essere gestite se c’è un interesse reciproco a restare insieme. Invece di indebolirlo, le sanzioni degli Stati Uniti hanno ridato lustro a Bassil e hanno permesso al giovane leader cristiano di rivendicare la sua giusta rappresentanza, prima negata, nel nuovo governo. Ma questo indebolisce il primo ministro eletto Saad Hariri (che in parlamento ha la minoranza): lui contava sull’iniziativa del presidente Macron per formare il suo governo senza Bassil non  tenendo conto dei risultati parlamentari. Le sanzioni imposte dagli Stati Uniti, come previsto, hanno prodotto un effetto contrario, hanno messo le ali a Bassil rendendolo più forte di prima.

Note: 

A. L’iniziativa di re Abdallah: gli stati arabi proponevano il ritiro immediato di Israele dai territori occupati nel 1967 incluse le alture occupate del Golan (sulle linee del 4 giugno 1967) e i restanti territori occupati nel sud del Libano. Nel piano è inclusa una giusta soluzione alla questione dei profughi palestinesi basata sulla risoluzione 194 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Ed è contenuta la richiesta di accettare la costituzione di uno stato indipendente sovrano sui territori palestinesi occupati a partire dal 4 giugno 1967 in Cisgiordania e a Gaza con Gerusalemme est come capitale. In conseguenza gli stati arabi avrebbero: 1) considerato il conflitto arabo-israeliano completamente chiuso, 2) stabilito normali relazioni con Israele in un contesto di pace globale. Veniva chiesto al governo di Israele e agli israeliani di accettare questa iniziativa per salvaguardare la pace e fermare un ulteriore spargimento di sangue nella regione. Queste sono le questioni chiave. Sono state definite come pace per il ritiro, come normalizzazione in cambio di normalizzazione: gli stati arabi chiedevano a Israele di essere uno stato normale. In cambio avrebbero normalizzato i rapporti con lui a livello economico, culturale e di altro genere. 

B. Durante l’occupazione israeliana del Libano nel 1982, Amer al-Fakhoury  era un comandante nel campo di detenzione di Kiyam installato dagli israeliani nel sud del paese. Fu responsabile della morte e della tortura di  molti membri della resistenza. Le autorità libanesi, su richiesta di Donald Trump, hanno fatto pressione sul capo del tribunale militare perché rilasciasse questo collaboratore di Israele. Al-Fakhoury fu portato nell’ambasciata americana e fatto uscire di nascosto dal Libano. L’ordine per il suo rilascio venne emesso in seguito alle pressioni fatte dal capo di stato maggiore e dal presidente Michel Aoun, il suocero di Gebran Bassil. 

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