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martedì 1 settembre 2015

Culla del Cristianesimo culla del martirio

Intervista a mons. Georges Noradounguian Dankaye : 
Obiettivo (purtroppo) raggiunto 



RADICI CRISTIANE N°105 - GIUGNO 2015
Secondo mons. Georges Noradounguian Dankaye, rettore del Pontificio Collegio Armeno di Roma, il vero obiettivo della guerra in Siria è già stato conseguito: mandare in frantumi l’equilibrio qui un tempo maturato che spingeva cristiani e musulmani a collaborare. Il proposito di eliminare Assad ha piegato il Paese agli interessi della comunità internazionale. Ma frustrare il più debole può renderlo Caino…


Al quarto anno di guerra in Siria il Paese è ormai allo stremo, senza una prospettiva concreta di pace per il futuro e con il rischio di veder scomparire per sempre l’importante comunità cristiana, da secoli presente sul territorio. Quale scenario e quali dolori devono affrontare i fedeli? Ne abbiamo parlato con mons. Georges Dankaye Noradounguian, Rettore del Pontificio Collegio Armeno di Roma ed Amministratore Apostolico dell’Esarcato Patriarcale armeno cattolico di Gerusalemme ed Amman.


Ci può descrivere l’attuale situazione in Siria ed in particolare della Chiesa Cattolica in Siria?
Le dichiarazioni del Papa sul genocidio armeno hanno provocato un accanimento dei bombardamenti nelle zone a maggior presenza armena, quasi si trattasse di una rappresaglia alle parole del Pontefice. La Chiesa Cattolica ha sempre incoraggiato la popolazione a pazientare ed a resistere nella speranza di una conclusione veloce del conflitto, purtroppo invece si è arrivati ad un punto in cui anche il clero comprende ed accetta il desiderio di molti di andare lontano da questa terra martoriata; una scelta dolorosa con l’auspicio di trovare un luogo di pace e di libertà. Certamente la guerra ha sempre le sue conseguenze, ma in Siria tali conseguenze hanno avuto un effetto maggiore. La Siria negli ultimi decenni ha avuto una certa stabilità economica, politica e finanziaria e si è distinta da altri Paesi per il livello di istruzione offerta ed i servizi nel campo della sanità. Con la guerra tutto ciò è svanito determinando una situazione tragica più di quanto si possa immaginare. I motivi che hanno scatenato la guerra sono essenzialmente politici, è una guerra nella guerra, ma quella più falsa è quella mediatica. All’inizio si è fatto credere nel bisogno di libertà e democrazia del popolo siriano e mi chiedo come si possa concepire un intervento di circa 80 Nazioni per liberare un popolo dal suo dittatore, laddove vi sono Paesi al mondo con dittatori ben più feroci di Assad e le cui genti sono ben più oppresse, per i quali però la comunità internazionale non riesce a coordinare due Stati per organizzare un intervento. Per quanto riguarda le minoranze poi, gli effetti della guerra sono uguali per tutti coloro che condividono la sorte del dolore, ancor più accentuati dalla disgregazione di famiglie, separate o spezzate nei loro legami affettivi.

Secondo Lei, come dovrebbe agire la comunità internazionale?
La comunità internazionale ha sbagliato i suoi calcoli a livello geopolitico e solo adesso lo sta ammettendo in maniera discreta, anche se il silenzio della comunità internazionale è complice per quanto sta accadendo in Siria così come in Egitto, Libia ed altri Paesi. Innanzi tutto, sarebbe necessario fermare l’afflusso di combattenti provenienti da altri Stati, che non c’entrano nulla con la Siria; la politica non ha una religione, ma ha i suoi interessi, vi sono Nazioni, che inviano combattenti per sostenere le proprie motivazioni. I Paesi del Golfo non si esprimono mai ma ritengono di essere esportatori di democrazia, anche se al loro interno vi sono evidenti limitazioni, ad esempio per quanto concerne i diritti delle donne.

Non sarebbe stato più opportuno, per aiutare la popolazione siriana, favorire le purtroppo poche organizzazioni o i tanti istituti missionari da sempre presenti sul posto, anche ad Aleppo, impegnati a distribuire aiuti in modo competente e imparziale alla popolazione?
La cosa migliore sarebbe stata certamente quella di evitare la guerra: è uno scandalo prima vender le armi e poi pensare di inviare aiuti umanitari. Il popolo siriano non aveva bisogno di aiuto, ma si è dovuto sottomettere agli interessi della politica internazionale. Se fosse stato speso per esso solo il 20% di quanto investito in armi, lo si sarebbe potuto aiutare a fare passi da gigante in molti campi, compiendo notevoli passi in avanti. Ma questo, evidentemente, alla politica internazionale non interessava…

Come in Libia, anche in Siria, le potenze occidentali hanno sostenuto le cause dei cosiddetti ribelli con il risultato di generare un caos politico e sociale. Quale soluzione potrebbe portare finalmente ad un cessate il fuoco e ad un minimo di stabilità?
Gli obiettivi di questa guerra sono già stati raggiunti, la laicità siriana è andata a pezzi e ci vorranno decenni per riportare la situazione ad un livello di normalità, in grado cioè di porre un cristiano ed un musulmano sullo stesso livello. Quello che mi domando è: è mai possibile punire una Nazione per un’antipatia verso una sola persona?

Ritiene verosimile la possibilità della definitiva scomparsa dei cristiani dalla Siria e dall’Iraq?
Se la guerra continuerà, certamente non rimarranno molti cristiani, anche se bisogna distinguere fra giovani e anziani: i primi sono demotivati e dunque più facilmente disposti ad andare altrove, mentre i secondi sono ormai legati affettivamente e troverebbero difficile l’idea di spostarsi in un altro Paese.
La comunità cristiana è molto attiva, ma dover ricominciare da zero dopo ogni guerra ha determinato una frustrazione che li ha spinti ad emigrare all’estero. La Chiesa continua la sua opera ove possibile ossia lì ove il governo garantisca il proprio controllo.

Cosa pensa dei giovani provenienti dall’Europa, che si arruolano nell’ISIS ? 
 Purtroppo anche noi, come comunità internazionale, ci siamo lasciati sopraffare dalla nostra presunzione di onnipotenza, lamentandoci della dittatura degli altri senza vedere quella che noi cerchiamo di imporre con le nostre risorse finanziarie. Frustrare il più debole, frustrare una popolazione per molti anni, un giorno potrebbe risvegliare il Caino che ha in sé e spingerla a compiere del male inimmaginabile. Tanti kamikaze sono nati per questo motivo e sono disposti in un certo senso a compiere, dal loro punto di vista, un martirio per vendicarsi della frustrazione subita per tutto questo tempo. 

sabato 2 novembre 2013

Così l’Islam ha invaso l’Europa


Gli eventi drammatici della Siria, dopo quelli dell’Egitto e della Libia, offrono l’occasione per alcune considerazioni che vanno al di là dell’aspetto geo-politico del conflitto. 

RC n. 88 - Ottobre 2013
di Roberto de Mattei

Gli eventi drammatici della Siria, dopo quelli dell’Egitto e della Libia, offrono l’occasione per alcune considerazioni che vanno al di là dell’aspetto geo-politico del conflitto. Ciò che sullo sfondo soggiace è, viva e bruciante più che mai, la questione islamica. Una questione che riguarda non solo l’Asia e l’Africa, ma soprattutto l’Europa.

La conquista demografica e territoriale del nostro Continente da parte dell’Islam non accenna infatti a diminuire. I numeri delle statistiche sono più eloquenti delle parole. Secondo l’ultimo rapporto del Pew Research Center, l’Islam conta oggi in Europa 43 milioni e 490.000 seguaci. Il tasso d’incremento della popolazione musulmana risulta abbondantemente superiore al resto della popolazione europea e mondiale. Secondo l’istituto di ricerca, se il livello di crescita resterà inalterato, i musulmani rappresenteranno il 26,4 per cento della popolazione mondiale nell’anno 2030 calcolata in 8,3 miliardi. 
Ma ciò che colpisce di più è il numero delle Moschee e dei minareti, che spesso rimpiazzano luoghi di culto cattolici. Il numero dei musulmani praticanti è certamente inferiore a quello di coloro che non seguono alla lettera la legge del Corano, ma è comunque, in proporzione, più alto di quello dei praticanti cattolici. Gli immigrati di seconda o terza generazione smettono spesso di praticare la loro religione, ma non rinunciano alle loro radici identitarie. Sul piano sociologico l’Islam resta per essi un richiamo ben più forte di quanto non sia il Cristianesimo per gli occidentali. D’altra parte, mentre i governanti occidentali hanno imboccato la strada di un laicismo che si oppone frontalmente alla tradizione cristiana delle nostre Nazioni, l’OCI, l’Organizzazione della Conferenza Islamica, che raccoglie 57 Paesi di religione musulmana, uniti dalla consapevolezza di appartenere ad un’unica comunità di credenti, promuove con tutti i mezzi l’identità islamica in Occidente. 

Lo scorso anno Soeren Kern, senior fellow del Gruppo di Studi Strategici per le Relazioni Transatlantiche di Madrid, ha pubblicato cifre impressionanti, documentando la trasformazione di luoghi di culto cristiani abbandonati in tutto il centro e nord d’Europa. In Inghilterra diecimila chiese sono state chiuse dal 1960, fra cui 8.000 chiese metodiste e 1.700 anglicane. Nel 2020 se ne prevede la chiusura di altre 4.000, mentre dall’altra parte ci sono 1.700 moschee molte delle quali in ex-chiese, 2.000 sale di preghiera e innumerevoli garages o magazzini trasformati in moschea.  Secondo i dati del Religious Trends nel Regno Unito, il numero dei frequentatori di chiese sta diminuendo a tale velocità che entro una generazione sarà tre volte inferiore a quello dei musulmani che vanno in moschea.

 In Germania la popolazione musulmana è aumentata da 50mila persone nei primi anni Ottanta a 4 milioni ed esistono circa 2.600 tra moschee e sale di preghiera. Invece 400 chiese cattoliche e 100 protestanti sono state chiuse. Non contenta delle moschee che proliferano sul suo territorio, la Germania vorrebbe imporle in Grecia, dove spinge per la costruzione di una mega-moschea ad Atene, a spese dello Stato. Finora però sono già andati a vuoto i tentativi di trovare una compagnia edilizia che si assuma l’incarico di costruire il tempio islamico, per il timore di minacce e intimidazioni da parte di gruppi identitari o di semplici cittadini residenti del quartiere ateniese di Votanikos, dove la moschea dovrebbe sorgere. 
Anche in Francia si costruisce un numero maggiore di moschee che di chiese cattoliche e ci sono più praticanti musulmani che cattolici. Il numero delle moschee e dei luoghi di culto è raddoppiato negli ultimi dieci anni superando le 2.000 unità, mentre la Chiesa cattolica continua a chiudere i suoi edifici sacri. 
Urfa (Turchia): la chiesa armena oggi

Intanto in Turchia prendono sempre più consistenza le voci sulla futura trasformazione della cattedrale di Santa Sofia di Istanbul, oggi museo, in moschea. Lo storico tempio della cristianità era stato già trasformato in moschea dopo la caduta di Costantinopoli (1453), ma con l’avvento della Repubblica Turca nel 1923 è divenuto un museo. Altre due ex-chiese, anch’esse dedicate a Santa Sofia, quella di Nicea (Iznik), sede del primo concilio ecumenico, e quella di Trabzon, sono già state di recente trasformate da musei in moschee.

La proliferazione delle moschee si accompagna all’espansione della finanza islamica in Occidente. Non a caso i fondatori delle banche islamiche sono teorici della conquista musulmana dell’Europa: Abul A’la Mawdudi (1903-1979) e Sayyed Qutb (1906-1966), ideologi dei Fratelli Musulmani.  Un recente rapporto della Banca Centrale Europea calcola che il valore internazionale degli asset gestiti con criteri finanziari islamici è passato dai 150 miliardi di dollari della metà degli anni ’90, a oltre 1.600 miliardi di fine 2012, con previsione di superare i 2.000 quest’anno. Nell’Unione europea, secondo la Bce, «la finanza islamica è ancora allo stato embrionale, ma una serie di fattori ne fanno immaginare un ulteriore sviluppo».
 
Alla testa di questo sviluppo sono l’Inghilterra, il primo Paese che ha permesso l’attività delle banche islamiche sul proprio territorio, la Germania, che partecipa all’industria finanziaria islamica in mezzo mondo, la Francia che, secondo la BCE, ha “dato un forte supporto” al processo di espansione, ma anche l’Italia dove la finanza islamica ha conosciuto una rapida ascesa. Gli esperti prevedono che le banche islamiche residenti in Italia raggiungeranno presto depositi  per 5,8 miliardi a fronte di ricavi previsti per 218,6 milioni nel 2015.   

Ma ciò che è più grave, in questa situazione, è il fatto che i governanti occidentali continuino ad appoggiare l’Islam fondamentalista, malgrado l’esito disastroso delle politiche finora attuate in Medio Oriente, soprattutto in occasione della cosiddetta “Primavera araba”. In quell’occasione gli Stati Uniti e l’Europa erano convinti che si potesse passare in maniera indolore dai regimi dittatoriali alla democrazia, e che ciò potesse avvenire con l’appoggio dei Fratelli Musulmani. Il risultato è stato l’ascesa dell’Islam radicale e l’esplosione di sanguinose divisioni interne al mondo musulmano. Oggi l’illusione di servirsi dei gruppi fondamentalisti per instaurare la democrazia continua e il presidente americano Barack Hussein Obama rappresenta il campione di questa politica, fondata sulla misconoscenza dell’Islam e su una visione distorta della democrazia.

In Siria, Obama si è schierato dalla parte dei fondamentalisti islamici, che comprendono i militanti musulmani europei di Jabhat Al Nusra (Fronte della vittoria), lo stesso gruppo che tre mesi fa ha esibito davanti alle telecamere le teste mozzate di tre “nemici dell’islam”, al grido di «Allah è grande». Il presidente Bashar el Assad, ritenuto affidabile dall’Occidente quando minacciava i cristiani maroniti, oggi che combatte contro i qaedisti, viene presentato come un mostro. Allo stesso modo, le Forze armate egiziane sarebbero state dalla parte della «democrazia» quando costrinsero Mubarak a dimettersi, mentre quando hanno costretto alle dimissioni Morsi si sarebbero schierate con la «dittatura». 

La confusione regna ed è peggiore del sangue che scorre. Criticare l’uso delle armi non è sufficiente. Bisognerebbe che, sull’esempio di San Francesco, che partì per l’Oriente per convertire il Sultano alla vera Fede, si levasse anche oggi una parola chiara, per ricordare l’incompatibilità tra l’Islam e il Cristianesimo e la necessità di un autentico confronto tra le due religioni. Ma la parola “conversione” ha ancora un senso per i cristiani?

http://www.radicicristiane.it/fondo.php/id/1848/ref/1/Così-l-islam-ha-invaso-l-Europa