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mercoledì 9 ottobre 2024

Seymour Hersh: I miei incontri con Nasrallah

Un soldato di Hezbollah durante la campagna militare in Siria contro i miliziani di Al Nusra saluta la statua di Gesù.  Fu grazie all'impegno degli Hezbollah che molti villaggi cristiani del Qalamoun siriano furono liberati dai takfiri fanatici.
 

da Mondialisation.ca, 2 ottobre 2024 - di Seymour Hersh

Traduzione di Maria Antonietta Carta 

Il leader di Hezbollah assassinato aveva una visione per il suo Paese

Nel 2005, Bush truccò le elezioni irachene per garantire che i sunniti avessero la maggioranza dei voti. Le schede elettorali, non certo vuote, erano state stampate negli Stati Uniti e trasportate con un aereo in Iraq.

Devo ammettere che Hassan Nasrallah mi era piaciuto. Avevo avuto alcune lunghe conversazioni con lui, iniziate nell'inverno del 2003 pochi mesi dopo l’invasione americana dell’Iraq voluta da George W. Bush e Dick Cheney due anni prima, dopo l’11 settembre, anche se l’Iraq era governato dal laico Saddam Hussein, che non aveva alcun legame con al-Qaeda.

Lavoravo per il New Yorker e mi interessava la guerra al terrorismo. Ciò mi aveva condotto a Berlino, quella primavera, per una colazione sull’ 11 settembre con August Hanning, capo dei servizi segreti tedeschi. Non furono necessari i preliminari: Hanning e io sapevamo che avremo parlato solo di questioni sostanziali.

A un certo punto, interrogai Hanning sulla strana relazione, di cui ero venuto a conoscenza, tra l’ex primo ministro Ehud Barak, che durante la sua brillante carriera militare era stato comandante del Sayeret Matkal, l’unità di commando più segreta di Israele, e lo sceikh Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah, la milizia sciita con sede nel sud del Libano. C’era stato uno scambio di prigionieri tra Israele e Hezbollah, che ha avuto luogo dopo numerose conversazioni tra Nasrallah e Barak, che si era rifiutato di restituire uno dei prigionieri. I colloqui di Nasrallah con Israele attraverso Hanning continarono con Ariel Sharon, che sostituì Barak come primo ministro nel 2001. Si trattava di una notizia sbalorditiva. Sharon aveva guidato l’attacco israeliano al Libano nel 1982, svolgendo un ruolo chiave nel famigerato massacro di due campi profughi palestinesi in quel Paese. Nasrallah e lui formavano un duetto molto strano.

Non presi appunti durante quella colazione, ma fu Nasrallah a interessarmi maggiormente. Avevo amici a Beirut, che conoscevano i dirigenti di Hezbollah, e riuscii a organizzare un incontro. Non ricordo dove si svolse il primo incontro, ma le condizioni della sicurezza non erano molto buone, come scrissi in seguito nel New Yorker dopo la feroce guerra del 2006 senza vincitori tra Israele e Hezbollah. In quel primo incontro c’era stato un semplice controllo di sicurezza: la mia giacca fu perquisita e il mio vecchio registratore aperto ed esaminato velocemente.

Nasrallah era un uomo paffuto e gradevole, nel suo abito religioso. Gli chiesi, attraverso un interprete, se si considerava un terrorista o un combattente per la libertà nelle sue incessanti schermaglie al confine con Israele. Mi disse che il suo esercito aveva attaccato i soldati israeliani lungo il confine e lo avrebbe fatto di nuovo in caso di guerra. Mi sorprese aggiungendo che, se gli Israeliani e i Palestinesi che vivevano sotto l’occupazione israeliana fossero stati in grado di ottenere pieni diritti e concludere un accordo di pace degno di questo nome, egli avrebbe naturalmente onorato quell' accordo. Furono serviti tè e biscotti, e lui aveva insistito che li prendessimo, spingendo il vassoio verso di me. In sintesi, la discussione si limitò all’esposizione del suo punto di vista sulla guerra americana in Iraq. Nasrallah predisse che la rapida vittoria degli Americani sarebbe stata seguita da anni di guerra dura e che l’esercito iracheno smantellato si sarebbe alleato con l’opposizione tribale e politica. Aveva proprio ragione.

Incontrai Nasrallah una seconda volta qualche settimana prima delle elezioni parlamentari in Iraq, il 30 gennaio 2005. Quelle furono le prime elezioni generali dopo che gli USA rovesciarono Saddam e, come ho riferito in seguito, l’amministrazione Bush si adoperava in tutti i modi per truccare le elezioni e garantire che i candidati sunniti favoriti dalla Casa Bianca ottenessero la maggioranza dei voti. Un amico dei servizi segreti statunitensi mi informò che le schede elettorali solo presuntamente vuote, erano state stampate negli Stati Uniti e trasportate con un aereo in Iraq.

Nasrallah era divertito per la stupidità di Washington, che aveva inviato diplomatici e altri funzionari in Iraq che non conoscevano bene il Paese e non parlavano l’arabo. Mi disse che l’America non aveva idea di come tenere le elezioni e sembrava credere che il partito vincente avesse bisogno della maggioranza del 50% o più. Poi mi spiegò che il partito vincitore sarebbe stato sciita e avrebbe ottenuto il 48,1% dei voti. “Gli Americani, mi disse, non sanno come organizzare un’elezione qui”. (La trascrizione del testo di questa intervista insieme alle altre interviste con Nasrallah sono conservate in 95 cartelle dei miei documenti e non possono essere visualizzate su due piedi). Le elezioni furono vinte dallo sciita Ibrahim al-Jaafari con il 48,19% dei voti.

Le elezioni erano state per lo più boicottate dagli arabi sunniti e in una circoscrizione sunnita chiave votò solo il 2% degli iscritti. La comunità sunnita aveva chiaramente capito che le elezioni sarebbero state truccate, a differenza della comunità diplomatica e militare statunitense. Il giorno delle elezioni ci furono almeno 44 morti nei pressi dei seggi elettorali. Avevo scritto un libro in cui sostenevo che Jack Kennedy aveva truccato un'elezione a Chicago, ma non avrei mai pensato di chiedere a Nasrallah come avrebbe vinto al-Jaafari. Egli fu in grado di prevedere il punteggio entro un decimo di punto.

La mia ultima visita a Nasrallah avvenne nel dicembre 2006, mesi dopo che Hezbollah aveva combattuto un Israele sbigottito in una guerra brutale. (Il fallimento di quella battaglia contribuì a preparare Israele per il giorno in cui il suo primo ministro, come ha fatto la scorsa settimana, avrebbe chiamato a un assalto massiccio.)

Nasrallah era in clandestinità dalla fine della guerra del 2006. Presi un taxi per il luogo dell’incontro nel sud di Beirut, dove vivono molti sciiti e dove un collaboratore di Hezbollah mi condusse fino a un parcheggio. Lì, fui perquisito con uno scanner portatile, messo sul retro di una berlina scura con finestre bloccate, condotto verso altri due o tre parcheggi, cambiando auto ogni volta, e infine al parcheggio di un moderno condominio. Fu più interessante che allarmante e non collegai immediatamente l’ipersicurezza alla guerra con Israele. Una volta nel parcheggio giusto, fui scortato fino a un ascensore che mi trasportò direttamente all'ultimo livello di quello che sembrava essere un edificio di 12 piani. Compresi che il successo di Hezbollah nella sua lotta contro Israele lo aveva reso un eroe per gli sciiti e i sunniti. Nasrallah respinse un assistente che voleva sottomettermi a una perquisizione completa del corpo. Mi sorpresi per le misure di sicurezza e gli chiesi: “Cosa sta succedendo, cazzo?”, ma in termini più educati. Mi spiegò che la guerra dell’estate era iniziata quando aveva ordinato il rapimento di due soldati israeliani durante un raid transfrontaliero. Era stato un errore. “Volevamo solo catturarli per uno scambio di prigionieri, mi disse, non abbiamo mai voluto trascinare la regione in guerra”.

Quando riprendemmo la conversazione, intorno a tè e biscotti, Nasrallah, chiaramente irritato, accusò il presidente Bush per il suo obiettivo di “fare una nuova mappa della regione” dividendo il Medio Oriente, dove molte religioni convivono pacificamente da molto tempo, in due Stati separati: uno sunnita e l’altro sciita. “Tra uno o due anni ci saranno aree totalmente sunnite e altre completamente sciite e completamente curde. Anche a Baghdad c’è la preoccupazione che la città sarà divisa in due aree, sunnita e sciita”.

Pochi mesi dopo, in un lungo articolo, ispirato dalla mia intervista a Nasrallah, una testimonianza poco conosciuta del Congresso e colloqui a Washington e in Medio Oriente sulla decisione dell’amministrazione Bush di “riconfigurare le sue priorità in Medio Oriente”, scrivevo: “In Libano l’amministrazione ha collaborato con il governo saudita, amministrato dai sunniti, nelle operazioni segrete per indebolire Hezbollah, l’organizzazione sciita sostenuta dall’Iran. Gli Stati Uniti hanno anche partecipato a operazioni segrete contro l’Iran e il suo alleato, la Siria. Queste attività hanno rafforzato i gruppi estremisti sunniti che aderiscono a una visione militante dell’Islam, sono ostili all’America e simpatizzano con Al Qaeda”.

Il segretario di Stato Condoleezza Rice, uno dei leader della nuova politica estera degli Stati Uniti, parlò alla Commissione Affari Esteri del Senato di “un nuovo allineamento strategico in Medio Oriente, che avrebbe separato i riformatori dagli estremisti”. La maggior parte dei sunniti veniva situata al centro della corrente moderata, mentre l'Iran sciita, Hezbollah, la Siria sunnita e Hamas stavano dall'altra parte. Qualunque cosa si possa pensare dell’analisi della Rice, un cambiamento nella politica ebbe luogo e alla fine portò l’Arabia Saudita e Israele sull’orlo di una nuova alleanza strategica attraverso gli accordi di Abramo. Entrambe le nazioni consideravano minacce esistenziali l’Iran e Hezbollah. I Sauditi, scrissi all’epoca, credevano che una maggiore stabilità in Israele e Palestina avrebbe ridotto l’influenza dell’Iran nella regione.

Questo articolo fu pubblicato oltre diciassette anni fa. È sorprendente come il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu abbia oggi distrutto quella fragile opportunità di riallineamento politico in Medio Oriente, in particolare con un Iran ora guidato da un presidente moderato e lungimirante che potrebbe presto essere nella lista degli obiettivi di Netanyahu.

Non sapremo mai se Nasrallah, nato in Libano, che mi disse più di una volta che era determinato a coinvolgere Hezbollah nella vita politica, economica e sociale del suo Paese, sarebbe riuscito a farlo. La prospettiva attuale, con un Israele nel mezzo di un’offensiva terrestre e aerea, sembra molto cupa e mortale.

Seymour Hersh

https://www.mondialisation.ca/mes-rencontres-avec-nasrallah-seymour-hersh/5692796?doing_wp_cron=1728483821.7733230590820312500000

martedì 16 luglio 2024

Ancora sulle ventilate aperture e ripresa dei rapporti tra Siria e Turchia

 

  Iniziamo dal 'Comunicato ufficiale del Ministero degli Affari esteri e degli Espatriati' 

In un momento in cui si prendono posizioni e si fanno dichiarazioni sulle relazioni tra Siria e Turchia, la Repubblica Araba Siriana desidera ribadire che ha sempre tenuto a fare una chiara distinzione tra i popoli, da un lato, e le politiche e le pratiche dei governi che hanno danneggiato la Siria e i loro stessi Stati, dall'altro, come dimostrato da fatti ed eventi. 

La Siria era e rimane fermamente convinta che gli interessi degli Stati risiedano in relazioni sane, non nel confronto o nell'ostilità. Ed è sulla base di tale convinzione che ha voluto trattare positivamente le varie iniziative proposte per migliorare le relazioni con questi Stati, così come le iniziative volte a correggere le relazioni turco-siriane. 

La Siria ritiene che l'esito di queste iniziative non sia un affare mediatico, ma piuttosto un processo preciso basato su fatti comprovati e costruito su principi definiti che regolano le relazioni tra i due Paesi. Un rapporto basato sul rispetto della sovranità, dell'indipendenza e dell'integrità territoriale e sulla risoluzione di qualsiasi minaccia alla sicurezza e alla stabilità nell'interesse di entrambi i Paesi e dei loro due popoli.

La Siria afferma che qualsiasi iniziativa in tal senso deve essere costruita su basi chiare per raggiungere e garantire i risultati desiderati, ovvero il ritorno delle relazioni tra i due Paesi al loro stato normale. Tra queste basi, la più importante è il ritiro delle forze illegalmente presenti sul territorio siriano e la lotta contro i gruppi terroristici che minacciano non solo la sicurezza della Siria, ma anche quella della Turchia.

La Siria esprime la sua considerazione e i suoi ringraziamenti ai Paesi fratelli e amici che stanno compiendo sforzi sinceri per correggere le relazioni turco-siriane e afferma che il ritorno a relazioni normali tra i due Paesi implica il ritorno alla situazione che prevaleva prima del 2011, che è il pilastro della sicurezza e della stabilità in entrambi i Paesi.

Damasco, 13 luglio 2024

Fonte: https://www.palestine-solidarite.fr/2024/07/14/communique-du-ministere-syrien-des-affaires-etrangeres-et-des-expatries/

La risposta del Presidente Al-Assad a un possibile incontro con il Presidente Erdogan

“L'incontro con il presidente Erdogan presuppone che abbiamo raggiunto una fase in cui la Turchia è pronta a ritirarsi completamente dal territorio siriano in modo chiaro e inequivocabile, a smettere di sostenere il terrorismo e a riportare la situazione a quella che era prima dell'inizio della guerra in Siria.

Questa è l'unica situazione che potrebbe portare a un incontro tra me ed Erdogan. Altrimenti, quale sarebbe l'importanza di un tale incontro e perché farlo se non porta a risultati definitivi riguardo alla guerra in Siria? Ora, a causa della guerra in Siria, del ruolo negativo della Turchia in questa guerra e dell'invasione del territorio siriano da parte dell'esercito turco, non è stato più possibile comunicare direttamente con la Turchia.

Per noi la Turchia è uno Stato occupante. Qui sta l'importanza del ruolo svolto dai Russi, dato che sono in contatto con la parte turca, che hanno un buon rapporto con la parte siriana e che abbiamo fiducia in loro. Hanno svolto il ruolo di mediatori per facilitare queste comunicazioni [tra le parti turca e siriana], ma nel quadro dei principi su cui si basa la diplomazia russa: il rispetto del diritto internazionale, il rispetto della sovranità degli Stati, il rifiuto del terrorismo, l'unità territoriale e la sovranità della Siria sul suo territorio, il ritiro delle forze straniere illegali presenti sul territorio siriano.

Nell'ambito di questi principi, tutto ciò che potrebbe cambiare il processo della guerra e portare alla sua fine, con la restituzione di tutti i diritti dei siriani, la restituzione dei territori occupati e il ripristino della piena sovranità dello Stato siriano, ci porta necessariamente a tentare l'esperimento, anche se a volte abbiamo poche speranze che porti a risultati concreti.

Infatti, non dobbiamo lasciar passare nessuna opportunità senza tentare, perché essa potrebbe, nonostante la scarsa speranza, contenere la soluzione.

È a questo che la Russia sta lavorando in collaborazione con la Siria, facendo dei tentativi che si aggiungono ad altri tentativi di dialogo, come sapete, a Ginevra o altrove; tutti questi tentativi sono finalizzati al ritorno della stabilità in Siria”.

Damasco, 14 luglio 2024

Fonte: InfoSyrie.fr

  

Rimandiamo i lettori all'interessante articolo di Mikhael Awad apparso sul sito Mondialisation.ca il 5 luglio 2024 dal titolo : 

Quali sarebbero le ragioni della nuova apertura di Erdogan verso la Siria? 

con la possibile ipotesi di risposta :

"Pertanto, il problema più serio, che probabilmente giustifica questa ricerca di riconciliazione con il presidente siriano, è che gli Stati Uniti non stiano seriamente accelerando l’attuazione del loro vecchio/nuovo “ progetto per creare il Grande Kurdistan ”. Un progetto che è diventato una necessità urgente per gli Stati Uniti e le sue lobby globaliste, ora che Israele è diventato un fardello pesante e la sua capacità di proteggere i loro interessi è ormai inesistente.  Gli Stati Uniti non lasceranno la regione né accetteranno di essere sconfitti. Il loro ritiro significherebbe necessariamente il loro declino a livello globale, come è avvenuto con gli imperi che li hanno preceduti e che sono stati sconfitti per mancanza di progetti alternativi.    Il Grande Kurdistan è proprio il progetto alternativo degli Stati Uniti e dei globalisti. Un’alternativa a Israele che ha fallito e ha reso il suo dispiegamento militare navale costoso e inefficace, come nel caso della guerra contro gli Houthi yemeniti...."....

  Concludiamo con  l'articolo di Steven Sahiounie , apparso su Mideast Discourse sul cambiamento monumentale nella politica del Qatar verso il ripristino dei legami diplomatici con la Siria (traduzione da Google).

L'emiro del Qatar, Tamim al Thani, ha recentemente dichiarato di sostenere le proteste di piazza a Idlib, dove la gente protesta contro il governo dittatoriale del gruppo terroristico Hayat Tahrir al-Sham (HTS).
Ciò segna un cambiamento monumentale nella politica del Qatar e forse il primo passo verso il ripristino dei legami diplomatici con la Siria.


A partire dal 2011, con la guerra condotta dall'amministrazione Obama tra Stati Uniti e NATO in Siria per un cambio di regime, il Qatar è stato un alleato stretto e leale degli Stati Uniti ed è stato utilizzato come finanziatore dei vari gruppi terroristici insediati in Turchia e trasportati attraverso il confine fino a Idlib.


Lo sceicco Hamad bin Jassim bin Jaber bin Mohammed bin Thani Al Thani, ex Primo Ministro del Qatar e Ministro degli Esteri fino al 2013, ha rilasciato un'intervista in cui ha ammesso che il Qatar ha fornito il denaro per finanziare i terroristi in Siria mentre attaccavano il popolo e lo Stato siriani. Ha chiarito che il denaro consegnato era sanzionato e amministrato dagli Stati Uniti in Turchia. Il Qatar non stava lavorando da solo, ma sotto una partnership strettamente controllata con il governo degli Stati Uniti.


Nel 2017, il presidente Trump ha chiuso l' operazione Timber Sycamore della CIA , che gestiva il fallito progetto di rovesciare il governo siriano.


Il Qatar sta ora voltando le spalle ai terroristi che occupano Idlib. Mohamed al-Julani è il leader di HTS. È siriano, cresciuto in Arabia Saudita, ha combattuto con Al Qaeda in Iraq contro gli Stati Uniti, si è alleato con il fondatore dell'ISIS Baghdadi, è arrivato in Siria dall'Iraq per sviluppare Jibhat al-Nusra, la branca di Al Qaeda in Siria.


Una volta che Jibhat al-Nusra è diventato un gruppo terroristico fuorilegge, Julani ha cambiato il nome in HTS per preservare il suo sostegno da Washington, DC. Anche se gli Stati Uniti hanno una taglia di 10 milioni di dollari sulla sua testa emessa dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti, è al sicuro e protetto a Idlib, dove i giornalisti americani lo hanno visitato per interviste, in cui ha indossato un abito e una cravatta, desiderando presentarsi come un terrorista di ispirazione occidentale su cui gli Stati Uniti possono contare.
Quando l'esercito arabo siriano e l'esercito russo sparavano un proiettile verso i terroristi a Idlib, gli Stati Uniti lo denunciavano come un attacco a civili innocenti. Ciò ha mantenuto Julani al sicuro e protetto, e responsabile degli aiuti umanitari in arrivo attraverso il confine dalla Turchia. Gli aiuti provenivano dall'ONU e da varie organizzazioni benefiche internazionali. Mentre i 3 milioni di persone che vivono a Idlib non sono tutti terroristi, tutti gli aiuti passano attraverso le mani di Julani e dei suoi scagnozzi . Se ti inchini a Julani, ottieni la tua quota di razioni, ma se ti sei lamentato, ti viene negata. Coloro che sono tagliati fuori dagli aiuti possono acquistare le loro provviste da Julani nel suo Hamra Shopping Mall, che ha costruito a Idlib, dove vende tutti gli aiuti in eccesso inviati a Idlib.


I civili di Idlib sono scesi in piazza per protestare contro il governo di HTS . Molte persone sono state arrestate da HTS, alcune torturate e altre uccise. La gente chiede che Julani se ne vada.

Chiedono libertà e un'amministrazione equa. Le varie agenzie di aiuti si sono lamentate del fatto che HTS non consentirà alcun programma gratuito per le donne, come l'apprendimento di competenze occupabili . Alle donne lì non è consentito cercare lavoro, tranne in luoghi riservati alle sole donne. HTS governa con una rigida forma di legge islamica, che interpreta a proprio vantaggio.
Arabia Saudita e Siria hanno stabilito relazioni normali e complete, con uno scambio di ambasciatori. Al vertice della Lega araba di maggio in Bahrein, il principe ereditario dell'Arabia Saudita, Mohamed bin Salman (MBS), ha incontrato personalmente il presidente siriano Bashar al-Assad. Si sono incontrati anche al precedente vertice della Lega araba in Arabia Saudita.


MBS ha annunciato di recente un finanziamento umanitario all'ONU per riparare 17 ospedali in Siria, danneggiati dal terremoto di magnitudo 7.8 che ha causato la morte di 10mila persone.

MBS ha anche inviato pezzi di ricambio per gli aerei commerciali della Syrian Air, che avevano sofferto a causa delle sanzioni statunitensi e a cui Washington aveva impedito di mantenere la propria sicurezza. Di recente, i primissimi aerei siriani hanno iniziato a volare in Arabia Saudita per la prima volta in 12 anni, per compiere il pellegrinaggio dell'Haj.


Il 30 maggio, il leader dell'Iraq ha detto che spera di annunciare presto una normalizzazione Turchia-Siria. La Turchia, come il Qatar, ha sostenuto i vari gruppi terroristici in Siria in cooperazione con gli Stati Uniti.
Anche la Turchia ha cambiato posizione e sta cercando un modo per uscire da Idlib e dalle altre aree che occupa in Siria, in preparazione di un re-set con Damasco.


I rapporti tra gli USA e Ankara sono rimasti tesi dopo che gli USA hanno stretto una partnership con le Forze di difesa siriane (SDF). La Turchia considera le SDF come una branca del PKK, il gruppo terroristico internazionale fuorilegge che ha ucciso 30.000 persone in tre decenni, mentre desiderava stabilire uno Stato curdo.
Le SDF stanno pianificando di tenere elezioni l'11 giugno nel tentativo di ottenere il sostegno occidentale per uno Stato curdo. Erdogan ha dichiarato che la Turchia non permetterà mai che ciò accada.


Se le SDF deponessero le armi, potrebbero riparare i loro rapporti con Damasco e, allo stesso tempo, la Turchia potrebbe ritirare le sue forze di occupazione dalla Siria. Con la Turchia fuori dalla Siria, il loro processo di normalizzazione potrebbe iniziare.
Quando le SDF avranno riparato i loro rapporti interrotti con Damasco e la minaccia turca non esisterà più, allora l'esercito statunitense potrà ritirare la sua forza di occupazione di 900 uomini dalla Siria.

Di recente, il generale Mazloum, leader delle SDF, ha affermato che i problemi tra curdi e Damasco sono problemi interni e ha messo in guardia contro qualsiasi ingerenza straniera, in particolare da parte della Turchia.


La situazione sta cambiando rapidamente in Siria. L'economia è crollata, con un tasso di inflazione superiore al 100% nell'ultimo anno a causa delle paralizzanti sanzioni statunitensi. Poiché l'esercito statunitense sta occupando il più grande giacimento di petrolio e gas in Siria, ciò impedisce la produzione di elettricità per la rete nazionale e i siriani vivono con tre ore di elettricità al giorno.


Le sanzioni statunitensi impediscono l'importazione di alcuni dei medicinali più essenziali, poiché le aziende mediche occidentali temono di incorrere nelle sanzioni statunitensi e hanno creato una cultura di eccessiva conformità, che priva i cittadini siriani di medicinali salvavita e forniture mediche.

I campi di battaglia sono rimasti in silenzio per anni e il silenzio si è trasformato in uno status quo, in cui la politica estera americana e turca ha impedito una risoluzione del conflitto che ha distrutto vite umane e ha provocato la più grande migrazione umana della storia recente, mentre i siriani cercano lavoro all'estero.


Turchia, Arabia Saudita e Qatar hanno tutti svolto ruoli significativi assegnati loro dal Dipartimento di Stato americano sotto l'amministrazione Obama. C'è una luce alla fine del tunnel con l'inversione di rotta delle politiche nei confronti della Siria, e Qatar e Turchia sono destinati a svolgere ruoli importanti nel processo di ripresa in Siria. Questi capovolgimenti sono anche significativi in ​​quanto segnano un cambiamento nelle relazioni tra gli Stati Uniti e diversi paesi della regione. Questo fa parte del "Nuovo Medio Oriente" che Washington ha invocato, ma il ruolo svolto dagli Stati Uniti li ha lasciati perdenti.

Fonte: https://mideastdiscourse.com/2024/06/03/syria-on-the-brink-of-recovery-as-qatar-and-turkey-change-their-policies/

martedì 4 giugno 2024

Bruxelles VIII: tangenti europee per trattenere gli sfollati siriani fuori dal loro Paese

 

Fonte: Mondialisation.ca

Il sito web della Commissione europea ha informato il mondo assetato di empatia e compassione che “  l'ottava conferenza di Bruxelles rinnova gli aiuti internazionali alla Siria e ai paesi della regione raccogliendo più di 7,5 miliardi di euro  ”. Ha aggiunto che questo impegno “  dimostra ancora una volta il desiderio dell’UE e della comunità internazionale di mitigare le conseguenze della crisi siriana e di sostenere le popolazioni sia in Siria che nei paesi vicini  ” [1] . 

Tuttavia, questi aiuti sono chiaramente e necessariamente destinati solo agli sfollati siriani che rimarranno nei paesi vicini e, probabilmente, agli sfollati rimpatriati nelle regioni siriane occupate dagli Stati Uniti d'America o dalla Turchia tramite i rispettivi mandatari, separatisti e/o terroristi . Un'opzione definita realistica dal capo della diplomazia europea che ha dichiarato: " Siamo d'accordo con le Nazioni Unite sul fatto che attualmente non sussistono le condizioni per un ritorno sicuro, volontario e dignitoso in Siria... Insistiamo sul fatto che questo sia il caso. al regime di Bashar al-Assad di stabilire queste condizioni  ” . E questo, ovviamente, accettando l’applicazione della risoluzione 2254 (2015), che approva la creazione di un organo governativo provvisorio gradito dall’Occidente, cosa che né il signor Borrell né i suoi alleati sono riusciti a stabilire nonostante una guerra spietata che dura da ben tredici lunghi anni. 

E, ancora una volta, Bruxelles aveva riunito un sacco di gente per discuterne e decidere, ma in assenza dei rappresentanti dei principali interessati: il governo siriano e le sue legittime istituzioni . 

Bisogna quindi ammettere che nulla è cambiato da quando l’ex rappresentante della Siria presso le Nazioni Unite, Bashar al-Jaafari, ha dichiarato che le conferenze di Bruxelles sono pura propaganda  e che l’Unione europea è parte del problema piuttosto che parte della soluzione, aggiungendo che “  è ironico vedere il paese imporre misure economiche coercitive unilaterali criminali contro il popolo siriano e allo stesso tempo rivendicare la propria determinazione e impegno ad aiutare questo stesso popolo siriano  ”.

Ma diamo la parola alla giornalista libanese, Sonia Rizk, che ha intitolato il suo articolo: Il Libano ha lanciato l'allarme a Bruxelles... e l'Unione Europea ha 'risolto' la questione degli sfollati praticamente con tangenti " .

Mouna Alno-Nakhal


Mentre gli occhi dei libanesi erano rivolti all'ottava edizione della Conferenza di Bruxelles, tenutasi il 27 maggio, è accaduto ciò che ci si aspettava. 

L’Unione Europea ha stanziato più di due miliardi di euro per sostenere gli sfollati siriani nei paesi della regione e, allo stesso tempo, si è opposta a qualsiasi possibile ritorno nel loro paese, ritenendo che le condizioni per un ritorno sicuro e volontario non siano soddisfatte. In ogni caso, questo è quanto espresso chiaramente dal capo della diplomazia europea, Josep Borrell, che ha anche dichiarato:

“  Il nostro impegno non può limitarsi a promesse finanziarie, e dobbiamo raddoppiare i nostri sforzi per trovare una soluzione politica al conflitto, che sostenga le aspirazioni del popolo siriano per un futuro pacifico e democratico  ”. 

Questa è una posizione che è stata espressa con forza nel luglio 2023, quando il   Parlamento europeo ha votato a stragrande maggioranza una risoluzione a sostegno del mantenimento degli sfollati siriani in Libano. Nel frattempo, l'Unione Europea ha mostrato una certa comprensione della situazione e delle sue ripercussioni accumulatesi sul Libano dal 2011. Tuttavia, gli ultimi giorni hanno dimostrato che quest'ultima Conferenza di Bruxelles è in linea con il detto che dice: " La neve si è sciolta e il prato si svela ”, visto che l'ultima frase pronunciata significava che il Libano doveva conformarsi alla decisione dell'Unione Europea, come se sul Paese fosse tornata la tutela occidentale; ma, questa volta, attraverso la porta europea .

 In altre parole, l’Unione Europea , che agisce nel proprio interesse e cerca di sfuggire alle conseguenze delle sue azioni, ha deciso che il Libano deve incassare  i soldi e mantenere gli sfollati siriani sul suo territorio, punto. Così facendo, come al solito, mette il Libano di fronte alla tempesta, nonostante il suo chiaro piano d’azione inteso a risolvere la questione degli sfollati siriani nella regione.  

Un piano che prevede il coordinamento tra i diversi ministeri e le agenzie competenti del Paese, oltre alla formazione di un comitato guidato dal vice primo ministro libanese e alcuni dei suoi ministri, per discutere il dossier con Damasco, oltre al coordinamento con Giordania, Egitto e Iraq miravano ad adottare un piano unificato in collegamento con il governo siriano, come indicato dal primo ministro ad interim Najib Mikati martedì 28 maggio. 

Questa contraddizione tra la posizione libanese e quella europea non promette nulla di buono. Pertanto, di fronte a questa situazione, c'è preoccupazione e il quadro resta cupo, perché una direttiva del genere non è nata oggi. In realtà, tali messaggi internazionali continuano dal 2016, e continuano gli ulteriori piani per trattenere gli sfollati siriani in Libano, mentre il governo ad interim libanese resta occupato dai conflitti tra i suoi ministri su chi dovesse guidare la delegazione ministeriale in Siria. 

In altre parole, la gestione della questione non è seria e la corruzione continua a svolgere il suo ruolo politico in Libano, dato che le valute forti stuzzicano sempre l’appetito di alcuni funzionari e che la comunità europea lo sa bene. Per questo motivo afferma di essere preoccupato per il futuro degli sfollati a scapito del Libano, mentre l'unica cosa importante ai suoi occhi è che gli sfollati non raggiungano i territori UE, né via terra né via mare. Di conseguenza, gli interessi particolari giocano perfettamente il loro ruolo, mentre i “grandi” giocano con le sorti del Libano che paga sempre i conti politici degli altri. 

Tuttavia, a Bruxelles, il Libano ha lanciato l'allarme attraverso il suo ministro degli Esteri, Abdallah Bou Habib, che ha indicato che il Libano è arrivato a un punto di non ritorno e che continuare a finanziare gli sfollati "  dove si trovano  " costituisce un pericolo per i paesi vicini alla Siria. . Ha chiesto una revisione delle politiche dei paesi donatori e ha sottolineato che l'esplosione libanese, se dovesse verificarsi, avrebbe ripercussioni anche sull'Europa. 

Per questo motivo afferma che questa volta la posizione del Libano sarà ferma e insisterà davanti ai funzionari europei sulla necessità di tener conto delle misure concrete adottate, da più di un anno, dal suo Consiglio dei ministri e dai suoi servizi di sicurezza; misure giustificate dal titolo: “ Il Libano è un paese di transito e non un paese di asilo ”. Un titolo che implica la concessione di aiuti finanziari a chi ritorna in Siria e non a chi si trova in Libano, il rifiuto assoluto di legare il ritorno degli sfollati a una soluzione politica della crisi siriana e la revoca delle sanzioni imposte ai Siria con l’abrogazione della “Legge Cesare”. 

Tuttavia, ci sono molti libanesi che non sperano in alcun cambiamento nella posizione europea e nel suo scenario già pronto per la regione. Questo è il motivo per cui la maggior parte dei partiti politici contrari al mantenimento degli sfollati siriani in Libano ritengono che sia necessario l’aiuto dei paesi arabi attraverso gli sforzi di Giordania, Egitto e Iraq, per aiutare il Libano a risolvere questa crisi. Altrimenti il ​​Libano non potrà più uscirne, secondo osservatori ben informati sulla faccenda in questione. 

I quali osservatori ben informati affermano che l'Occidente si è abituato alle posizioni assunte da alcuni pilastri del potere libanese; cioè: accettare denaro in cambio della risoluzione di questioni in sospeso, anche se a spese del Paese e della sua gente. 

Sonia Rizk*

Fonte: Addiyar (Libano)

*Sonia Rizk è una giornalista libanese, attualmente redattrice di articoli e analisi politiche per il quotidiano libanese Addiyar e il sito Lebtalks.

sabato 14 ottobre 2023

Guerra e gas naturale: l'invasione israeliana e i giacimenti offshore di Gaza

I giacimenti di gas di Gaza fanno parte dell'area di valutazione del Levante. 
Ciò che è accaduto è che questi giacimenti di gas adiacenti, compresi quelli appartenenti alla Palestina, sono stati portati nell'orbita di Israele (si veda la mappa). È importante notare che l'intera costa orientale del Mediterraneo, che si estende dal Sinai egiziano alla Siria, è un'area con notevoli riserve di gas e petrolio.

Del Prof. Michel Chossudovsky e Philip Giraldi

Quasi quindici anni fa, nel dicembre 2008, Israele invase Gaza come parte dell’operazione “Piombo Fuso” (2008-2009).

Sabato 7 ottobre 2023, Hamas ha lanciato l'operazione "Al-Aqsa Storm", guidata dal suo leader militare Mohammed Deif . Lo stesso giorno, Netanyahu ha confermato la cosiddetta “preparazione alla guerra”.  Israele ha ora dichiarato ufficialmente una guerra illegale contro la Palestina.

Le operazioni militari vengono sempre pianificate con largo anticipo . L’operazione “Tempesta Al-Aqsa” è stata un “attacco a sorpresa”? Netanyahu e il suo vasto apparato di intelligence militare erano a conoscenza dell’attacco di Hamas? È stato preso in considerazione un piano attentamente formulato per intraprendere una guerra totale contro la Palestina prima del lancio dell’operazione Al-Aqsa Storm?

L'analisi del Dott. Filiph Giraldi:

La lotta tra Gaza e Israele è “una falsa bandiera”? Hanno lasciato che accadesse? Il loro obiettivo è “cancellare Gaza dalla mappa”?

 Sono l’unico che ha letto di un discorso tenuto da Netanyahu o da qualcuno nel suo gabinetto circa una settimana fa in cui lui/loro hanno fatto riferimento di sfuggita ad una “situazione di sicurezza in via di sviluppo” che  piuttosto suggerisce (a me) che avrebbero potuto sapere sviluppi a Gaza e hanno scelto di  lasciare che ciò accadesse in modo da poter cancellare Gaza dalla mappa come rappresaglia e, forse facendo affidamento sull’impegno degli Stati Uniti di “coprire le spalle” di Israele, coinvolgendo poi l’Iran e attaccando quel paese?

Non riesco a trovare un collegamento, ma ho un ricordo abbastanza forte di ciò che lessi perché all'epoca pensavo che sarebbe servito come pretesto per un altro massacro di palestinesi.

Come ex ufficiale dell’intelligence, trovo impossibile credere che Israele non avesse molteplici informatori all’interno di Gaza e dispositivi di ascolto elettronici lungo tutto il muro di confine che avrebbero rilevato i movimenti di gruppi e veicoli.

In altre parole, l’intera faccenda potrebbe essere un intreccio di bugie, come spesso accade.  E come sempre accade, Joe Biden si prepara a inviare alcuni miliardi di dollari al povero piccolo Israele per pagare la sua “difesa”.

Bisogna anche comprendere che la dichiarazione di guerra illegale di Netanyahu contro Gaza il 7 ottobre 2023 è una continuazione dell’invasione di Gaza nel 2008-2009 come parte dell’Operazione Piombo Fuso . L’obiettivo di fondo è l’occupazione militare totale di Gaza da parte delle forze di difesa israeliane e l’espulsione dei palestinesi dalla loro terra natale (patria).


Uno sguardo al passato: l’operazione “Piombo Fuso” (2008-2009)

Gaza appartiene alla Palestina. Nel dicembre 2008, le forze israeliane hanno invaso la Striscia di Gaza come parte dell’operazione Piombo Fuso. Questa invasione è stata giustificata da “persistenti attività terroristiche e una costante minaccia di missili provenienti dalla Striscia di Gaza e diretti contro i civili israeliani”.

Qual era l'obiettivo nascosto?

L’operazione “Piombo Fuso” mirava a confiscare le riserve marittime di gas naturale della Palestina.

Dopo l’invasione, i giacimenti di gas palestinesi furono di fatto confiscati da Israele, in violazione del diritto internazionale.

Un anno dopo l’operazione Piombo Fuso, Tel Aviv annunciò la scoperta del giacimento di gas naturale Leviathan nel Mediterraneo orientale “al largo delle coste di Israele”.

All’epoca, questo giacimento di gas era “…il più grande giacimento mai scoperto nell’area sottoesplorata del bacino levantino, che copre circa 83.000 chilometri quadrati della regione del Mediterraneo orientale”. Se a ciò aggiungiamo il giacimento Tamar, situato nello stesso luogo e scoperto nel 2009, le prospettive sono quelle di una manna energetica per Israele, per Noble Energy, con sede a Houston (Texas), e per i suoi partner Delek Drilling, Avner Oil Esplorazione e rapporto di esplorazione petrolifera.

VEDI : -di F. William Engdahl  Gas e petrolio nel Bacino di Levante

-di Imad Fawzi Shueibi La Siria al centro della guerra del gas nel Medio Oriente

e su - IL SOLE 24ORE  Dopo la terra tocca al mare dividere israeliani e libanesi 


L' articolo seguente è stato originariamente pubblicato il 12 gennaio 2009:

L’invasione militare della Striscia di Gaza da parte delle forze israeliane è direttamente collegata al possesso e al controllo delle riserve strategiche di gas in mare.

È una guerra di conquista: nel 2002 sono state scoperte vaste riserve di gas al largo di Gaza.

In un accordo firmato nel novembre 1999, l’Autorità Palestinese (AP) ha garantito 25 anni di diritti di esplorazione di gas e petrolio a British Gas (BG Group) e al suo partner con sede ad Atene Consolidated Contractors International Company (CCC), di proprietà della libanese Sabbagh e famiglie Koury.

Questi diritti sui giacimenti di gas offshore sono del 60% per British Gas, 30% per Consolidated Contractors e 10% per il Fondo di investimento palestinese. (Haaretz, 21 ottobre 2007) L'accordo AP-BG-CCC prevede lo sfruttamento dei giacimenti e la costruzione di un gasdotto. Digest economico del Medio Oriente , 5 gennaio 2001)

La licenza della BG copre l'intera area marittima al largo della costa di Gaza, contigua a diversi impianti di gas israelianiVa notato che il 60% delle riserve di gas lungo la costa di Gaza e Israele appartengono alla Palestina.

BG Group ha perforato due pozzi nel 2000: Gaza Marine-1 e Gaza Marine-2. British Gas stima che le riserve siano nell’ordine di 1,4 trilioni di piedi cubi, per un valore di circa 4 miliardi di dollari. Questi sono i dati pubblicati da British Gas. La dimensione delle riserve di gas palestinesi potrebbe rivelarsi molto maggiore. 

Chi possiede le riserve di gas?

La questione della sovranità sui giacimenti di gas di Gaza è cruciale. Da un punto di vista legale, queste riserve appartengono alla Palestina.

La morte di Yasser Arafat, l’elezione del governo di Hamas, così come la debacle dell’Autorità Palestinese hanno consentito a Israele di assumere  di fatto  il controllo di queste riserve.

British Gas (BG Group) ha negoziato con il governo di Tel Aviv. D'altro canto, il governo di Hamas non è stato consultato per quanto riguarda la prospezione e lo sfruttamento dei giacimenti di gas.

L’elezione del Primo Ministro Ariel Sharon nel 2001 ha rappresentato un importante punto di svolta in questa vicenda. All'epoca, la sovranità palestinese sulle riserve di gas offshore era messa in discussione dalla Corte Suprema israeliana. Sharon ha affermato senza ambiguità che "Israele non comprerebbe mai il gas dalla Palestina", suggerendo così che le riserve marine di Gaza appartenessero a Israele.

Nel 2003, Ariel Sharon pose il veto a un accordo iniziale, che avrebbe consentito alla British Gas di fornire a Israele gas naturale dai pozzi marini di Gaza. The Independent , 19 agosto 2003).

La vittoria elettorale di Hamas nel 2006 ha contribuito alla caduta dell'Autorità Palestinese, di conseguenza confinata in Cisgiordania sotto il regime mandatario di Mahmoud Abbas.

Nel 2006, la British Gas “era vicina a firmare un accordo per portare il gas in Egitto. » (Times, 28 maggio 2007). Secondo alcuni rapporti, l'allora primo ministro britannico Tony Blair sarebbe intervenuto in favore di Israele per far fallire l'accordo con l'Egitto.

L'anno successivo, nel maggio 2007, il governo israeliano approvò la proposta del primo ministro Ehud Olmert di "acquistare gas dall'Autorità Palestinese". Il contratto proposto era di 4 miliardi di dollari e i profitti proposti ammontavano a 2 miliardi di dollari, di cui 1 miliardo sarebbe andato ai palestinesi.

Tuttavia, Tel Aviv non aveva intenzione di condividere le proprie entrate con la Palestina. Una squadra di negoziatori israeliani è stata riunita dal governo israeliano per raggiungere un accordo con il gruppo BG escludendo sia il governo di Hamas che l'Autorità Palestinese.

“I funzionari della difesa israeliani vogliono che i palestinesi siano pagati in beni e servizi, e insistono affinché il governo di Hamas non riceva denaro ”.

L'obiettivo era soprattutto quello di rendere obsoleto il contratto firmato nel 1999 tra il Gruppo BG e l'Autorità Palestinese, allora guidata da Yasser Arafat. Secondo l’accordo proposto nel 2007 con la BG, il gas palestinese proveniente dai pozzi marini di Gaza doveva essere trasportato al porto israeliano di Ashkelon attraverso un gasdotto sottomarino, trasferendo così il controllo della vendita di gas naturale a Israele. Il piano fallì e le trattative furono sospese.

Qual è il rapporto tra Mossad e Hamas?  Hamas è una “risorsa di intelligence”? C'è una lunga storia.

Hamas (Harakat al-Muqawama al-Islamiyya) (Movimento di Resistenza Islamica), è stata fondata nel 1987 dallo sceicco Ahmed Yassin . All’inizio è stato sostenuto dall’intelligence israeliana come mezzo per indebolire l’Autorità Palestinese: “Grazie al Mossad (l'Istituto israeliano per l'intelligence e i compiti speciali), Hamas ha potuto rafforzare la sua presenza nei territori occupati. Nel frattempo, il Movimento Fatah per la Liberazione Nazionale di Arafat, così come la Sinistra Palestinese, furono sottoposti alla forma più brutale di repressione e intimidazione. Non dimentichiamo che è stato Israele a creare di fatto Hamas: secondo Zeev Sternell , storico dell'Università Ebraica di Gerusalemme, “Israele pensava che fosse uno stratagemma intelligente per spingere gli islamisti contro l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) ”. ( L'Humanité, tradotto dal francese)


Gaza e la geopolitica dell’energia


L’occupazione militare di Gaza mira a trasferire la sovranità sui giacimenti di gas a Israele, in violazione del diritto internazionale.

Cosa possiamo aspettarci dopo l’invasione? Qual è l'intenzione di Israele riguardo al gas naturale palestinese? Ci sarà un nuovo assetto territoriale, con lo stazionamento di truppe israeliane e/o la presenza di “forze di pace”? Assisteremo alla militarizzazione di tutta la costa di Gaza, strategica per Israele?


I giacimenti di gas palestinesi verranno confiscati a titolo definitivo e la sovranità israeliana sulle zone marittime della Striscia di Gaza sarà dichiarata unilateralmente? Se ciò dovesse accadere, i giacimenti di gas di Gaza verrebbero integrati con le adiacenti installazioni offshore di Israele.

Queste varie strutture offshore si collegano anche al corridoio di trasporto energetico israeliano, che si estende dal porto di Eilat, il porto marittimo terminale del gasdotto sul Mar Rosso, al terminal del gasdotto di Ashkelon e ad Haifa nel nord. Il corridoio si collegherebbe infine, tramite un gasdotto israelo-turco, attualmente in fase di studio, al porto turco di Ceyhan.  Ceyhan è il terminale del gasdotto transcaspico Baku-Tbilisi-Ceyhan (BTC). “Stiamo valutando la possibilità di collegare il gasdotto BTC al gasdotto trans-israeliano Eilat-Ashkelon, noto anche come Israel’s Tipline. » (Vedi Michel Chossudovsky, La guerra al Libano e la battaglia per il petrolio , Global Research, 23 luglio 2006).


FONTI: 

https://www.globalresearch.ca/is-the-gaza-israel-fighting-a-false-flag-they-let-it-happen-their-objective-is-to-wipe-gaza-off-the-map/5835310