Traduci

Visualizzazione post con etichetta La Perfetta Letizia. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta La Perfetta Letizia. Mostra tutti i post

venerdì 14 novembre 2014

I Vescovi siriani e 'il gioco del domino mondiale'

Trattative per la tregua di Aleppo. Il Vescovo Abou Khazen: è utile solo se ci avvicina alla pace vera


Agenzia Fides 12/11/2014

Aleppo  – “Tra la popolazione di Aleppo c'è speranza, ma anche scetticismo davanti all'ipotesi di una tregua che faccia tacere le armi nella regione di Aleppo”: così il Vescovo Georges Abou Khazen OFM, Vicario apostolico di Aleppo per i cattolici di rito latino, descrive i sentimenti contrastanti tra gli abitanti della metropoli siriana davanti alle trattative messe in campo dall'Onu per raggiungere in quell'area un cessate il fuoco nel conflitto tra esercito siriano e milizie ribelli.
La possibilità che si arrivi alla fine delle violenze è ovviamente auspicata da tutta la popolazione civile. “Ma tutti - spiega all'Agenzia Fides il Vescovo francescano - desiderano che la tregua rappresenti solo il primo passo per instaurare un processo autentico di pace e di riconciliazione. 
In caso contrario, un cessate il fuoco provvisorio darebbe solo alle parti in lotta il tempo di riorganizzarsi, provare a infiltrarsi nei territori controllati dall'altra parte e riprendere la lotta con ancor più virulenza, come è già capitato altre volte. 
In questo senso - chiarisce il Vescovo Abou Khazen - le espressioni che parlano di 'congelamento' della situazione sul campo non convincono, e finiscono per alimentare scetticismo. La popolazione è esausta, non ce la fa più, vuole la pace vera e duratura. E spera che Aleppo possa fare da battistrada a un processo di pacificazione che si allarghi gradualmente a tutto il Paese”. 

La proposta di una tregua nell'area di Aleppo è portata avanti dall'inviato delle Nazioni Unite in Siria, Staffan de Mistura, che a tale scopo in questi giorni sta svolgendo una missione nel Paese arabo. 
Ieri, durante una conferenza stampa a Damasco, ha parlato di ''interesse costruttivo'' espresso dal governo siriano davanti all'ipotesi di un cessate il fuoco nella metropoli contesa tra esercito fedele a Assad e milizie ribelli.



L'Arcivescovo Hindo: se gli Usa attaccano l'esercito siriano, avremo una seconda Libia



Agenzia Fides 14/11/2014

Hassakè - “Se l'intervento a guida Usa contro i jihadisti dello Stato Islamico finirà per rivolgersi contro l'esercito siriano, in Siria potremmo avere una seconda Libia”. Così l'Arcivescovo Jacques Behnan Hindo, titolare dell'arcieparchia di Hassakè-Nisibi, descrive le incognite e i pericoli connessi ai possibili sviluppi delle iniziative militari a guida Usa realizzate anche in territorio siriano contro le postazioni dello Stato Islamico. 
In una conversazione con l'Agenzia Fides, l'Arcivescovo cattolico di rito orientale conferma che per ora le incursioni aeree dell'esercito siriano contro le postazioni dei jihadisti si sommano a quelle compiute contro gli stessi obiettivi dagli aerei Usa. 
Descrive poi, con toni preoccupati, la condizione incerta vissuta dalle popolazioni nella regione che comprende le città di Hassake e Qamishli, nella provincia siriana nord-orientale di Jazira.
 “Più di un mese fa - riferisce a Fides mons. Hindo - l'esercito siriano ha attaccato il quartiere di Hassakè dove si trovavano circa 250 militanti dello Stato Islamico, prendendone il controllo. Da allora, nei due centri abitati si vive una relativa calma. Ma le postazioni dei jihadisti sono solo a 15 chilometri da Hassakè e a una ventina da Qamishli. Se decidono di attaccare, magari coi rinforzi delle loro milizie cacciate dall'Iraq, una loro offensiva su larga scala metterebbe in pericolo la vita di quasi un milione di persone, tra cui 60mila curdi e 120mila cristiani”.
L'Arcivescovo Hindo ridimensiona anche le notizie circolate in rete su presunte “milizie cristiane” in azione nella regione: “si tratta solo di qualche centinaio di assiri, collegati in parte alle milizie curde e in parte alle truppe dell'esercito regolare. Ma è una piccola fazione che non può avere nessun peso determinante nel caso di un'escalation degli scontri armati”.



Siria: il gioco del domino mondiale e la variabile dei gruppi jihadisti

di Patrizio Ricci


Cosa conta veramente in Siria? La vita dei civili e la democrazia? La parola ai fatti, mai ascoltati. 

leggi su: La  Perfetta Letizia  : http://nblo.gs/11mj8F


Isis in Syria: In the shadow of death, a few thousand Christians remain to defy militants

Robert Fisk ,  Qamishli, Wednesday 12 November 2014


Micalessin: "In Siria massacrano i cristiani e Obama si affida a ribelli moderati che non esistono"

     leggi qui

http://notizie.tiscali.it/articoli/esteri/14/11/14/siria-crisi-intervista-gian-micalessin.html 

domenica 1 giugno 2014

La domanda dei siriani



In questi giorni i siriani sono accorsi in massa alle urne: reclamano non un partito o un uomo ma il proprio diritto di esistere.  Riaffermare la propria dignità ha avuto un caro prezzo: i ribelli in più di un'occasione hanno compiuto attentati  che hanno causato decine di vittime innocenti e centinaia di feriti.
Sarebbe semplice capire che esiste una sola via per la pace, perchè come ha detto il Papa " è un dono da accogliere con pazienza e costruire in modo artigianale” e  "non può essere comprata" .
Purtroppo, la risposta dell'occidente sembra sorda anche a questo appello: Obama ed i suoi alleati  hanno  intensificato l'aiuto alle milizie jihadiste.  E' ormai chiaro: non interessa neppure  'comprare la pace' ma conquistare il potere, con le armi e la devastazione.  
Patrizio Ricci 

A Homs prima Messa di ringraziamento per l'uscita dei ribelli dalla città... Ma contemporaneamente l'Occidente decide di raddoppiare l'aiuto ai ribelli....


La Perfetta Letizia, 20.5.14
di Patrizio Ricci 

Homs, come tutta la Siria, può vantare secoli di tradizione di tolleranza e amicizia tra i diversi popoli e le diverse religioni che ospita: è qui che i cristiani avevano la presenza più cospicua nel Paese. Dallo stesso luogo, all'inizio del 2012 sono stati scacciati. Ma non da Assad ma dai ribelli 'democratici'. Sotto le finte spoglie delle 'istanze' di miglioramento sociale e della democrazia si celava l'estremismo religioso; e prima che la società civile si rendesse conto dei veri obiettivi e reagisse, il focolaio si era già propagato trasformandosi in guerriglia urbana . Qualcuno ha seguito, altri sono rimasti a guardare, neutrali, ma diffidenti.

La distruzione era dietro l'angolo; quando la gente ha capito, era già troppo tardi: Homs è stata uno dei primi campi di battaglia scelti dai terroristi a libro paga delle petrol-monarchie del Golfo e sostenuta dagli 'amici della Siria'. Quest'ultimo è il gruppo di Stati che si è sovrapposto ad ogni iniziativa di pace dell'Onu trasformando il negoziato in una richiesta incondizionata al governo, quindi irricevibile. E' così proseguendo per questa china che, i due inviati (Kofi Anan e Brahimi), uno dopo l'altro, hanno rinunciato all'incarico... 


 Non è la prima vota in questo secolo che governi legittimi vengono rimossi perché ritenuti non corrispondenti o nocivi agli 'interessi d'area' delle grandi potenze mondiali. Agli attori di questi disegni globali non interessano i cambiamenti sociali ma realizzare affari e progetti politici proficui. Ciò su cui ci si dovrebbe interrogare è se esista al mondo qualcosa che possa giustificare il prezzo pagato dalla popolazione siriana. Il dramma più grande è che non c'è niente che valga questo prezzo e non c'è nulla che lo giustifichi. La morte di migliaia di siriani, il degrado miserabile della vita, lo scardinamento delle tradizioni, la negazione della libertà religiosa e democratica: tutto è stato venduto per una collana di perle finte, per un'impostura. La realtà attende di essere guardata! L'anima siriana, l'idea di stato e il senso di appartenenza nazionale, sentimento fortissimo tra i siriani, (e con esse le aspirazioni di riforme non violente) è tramontato con i primi califfati imposti dall'ISIS (lo Stato Islamico d’Iraq e Siria) e da al-Nusra (al-Qaeda) nelle zone da loro occupate del paese. Oggi, la vita grama dei campi profughi è conosciuta da 4 milioni di siriani, mentre il terrore della guerra è incombe su tutti. 
Il popolo fugge dalle roccaforti dell’opposizione: ad Aleppo orientale chi ha potuto si è spostato nella metà occidentale controllata dal governo; quelli nella fascia sud e sud-orientale di Quneitra si sono mossi verso il centro della regione e le zone orientali; quelli di Homs controllata dai ribelli e dell’area rurale di Hama, si erano trasferisti ad Hama City e a Salamiya in mano all’esercito regolare...

Ma torniamo ad Homs. I combattimenti hanno distrutto la maggior parte della città. I jihadisti hanno imposto la sharia ed hanno impedito agli abitanti dei quartieri di scappare, usandoli come scudo umano per rendere problematica la risposta dell'esercito. Dopo tre anni guerra la settimana scorsa la svolta: le milizie jadiste hanno lasciato la città per via di un accordo con il governo che ha previsto, come contropartita, uno scambio di prigionieri e l'incolumità.

Da allora, lentamente la gente torna a casa. Tutto o quasi è distrutto, ma si torna per i legami. Una delle foto a corredo di questo articolo mi ha molto impressionato: mostra l'immagine della prima messa di ringraziamento dopo la liberazione della città dai jihadisti. Cattolici e siro-ortodossi si sono ritrovati insieme a ringraziare Dio nella chiesa di Umma al-Zennar tra i detriti degli spari e dei combattimenti uniti nella celebrazione Eucaristica. 
 Invece che le mille utopie del mondo è quell'unità fraterna che cambia il mondo se il mondo ascolta e vede. La gente di Homs ricerca il vero, vuole la pace, vuole ricominciare e piangere i propri morti e ricostruire nella sicurezza. 

 Ma altrove emerge che la pace, per le istituzioni che dovrebbero preservarla, sembra essere il peggior nemico: ogni volta che si avvicina, esse diventano più attive nell' allontanarla. Paradossale che quasi nello stesso momento in cui ad Homs si celebrava la messa di ringraziamento, a Londra 'gli amici della Siria' si ritrovavano insieme (animati da un cinismo così pervicace da mutare la sostanza) per riacutizzare il conflitto. Quella che solo gli amici della Siria chiamano 'opposizione moderata' è una realtà numericamente irrilevante (l'80 per cento delle forze anti-Assad è costituito dalle brigate di Al-Qaeda e da varie formazioni facenti capo ai Fratelli Musulmani) ed alla pari delle milizie qaediste si è macchiata di gravi crimini contro la popolazione civile. Inoltre, la sua leadership condivide la stessa ideologia religiosa radicale dei jihadisti. 

Come se ciò non bastasse, il Summit inglese ha stabilito all'unanimità che le elezioni presidenziali siriane del 3 giugno sono una farsa. Come tutte le precedenti dichiarazioni, a supporto di questo pronunciamento ci sono solo ragioni di 'squadra', quelle di un club che agisce 'a prescindere', i cui membri sono legati ambiguamente da interessi reciproci 'molto materiali' e non dai nobili scopi tanto declamati. L'atteggiamento ostile non è stato mai abbandonato: accade che in prossimità di ogni negoziato rispuntano sempre nuovi capi di accusa per Assad; al tempo stesso gli attentati dei ribelli vengono deliberatamente ignorati. Così è accaduto ancora: l'accusa questa volta è che le truppe governative hanno usato il gas clorino. Il Segretario di stato USA Kerry ha detto che è un nuovo atto d'accusa a carico di Assad e che anche se "grezzo per la mancanza di tutti i riscontri, tutti gli indizi vanno verso unica direzione". Non ci vuole molta fantasia d indovinare quale, ma alla luce delle 'false flag' dei fatti di Ghouta l'anno scorso, la circostanza dovrebbe indurre ad usare maggiore prudenza. 


 Dunque, quelle siriane, presidenziali farsa. 
Per gli USA, ''l'unico e legittimo rappresentante del popolo siriano'' è invece Ahmed Jarba (il nuovo leader degli armati dell'esercito libero siriano), un siriano sconosciuto nel proprio paese con a carico precedenti penali per traffico di droga e l'accusa di tentato omicidio del ministro degli esteri qatariota Khalifa al-Thani (http://english.al-akhbar.com/node/16463). Difficilmente l'uomo risulterebbe gradito ai siriani: ma è gradito all'Arabia Saudita e agli Stati Uniti, ed è quanto basta. Le porte della buona società gli si sono spalancate: Jarba è andato a Washington, ha incontrato Barak Obama, poi è stato presentato al Senato degli Stati Uniti (dove Kerry ha garantito personalmente per lui). E' tornato a casa con un assegno di 287 milioni dollari per aiuti 'non letali' per le sue 'forze di opposizione' (la cifra 'donata finora dagli USA ai ribelli è di $ 1,7 miliardi). 
 E l'Italia? Il nostro paese, in una situazione di evidente cospirazione internazionale ai danni di un paese sovrano, è ancora tra gli 'amici della Siria' e finora ha appoggiato tutte le decisioni palesemente contraddittorie che ivi si sono prese, in netta contrapposizione con il nostro dettato costituzionale. 

http://www.laperfettaletizia.com/2014/05/ad-homs-prima-messa-di-ringraziamento.html

lunedì 4 novembre 2013

Rischia di naufragare ancora la Conferenza di pace 'Ginevra 2' sulla Siria


Preparazione alla conferenza di pace 'Ginevra 2' a forza di bombe


La Perfetta Letizia - 26/10/13

di Patrizio Ricci

Gli incontri preparatori della Conferenza di Pace ‘Ginevra 2’ sono finalmente iniziati, ma non con buoni auspici. Il terreno dove ci si muove è contraddistinto dall’ambiguità e la trattativa nasce malata: non è stata preparata da paesi neutrali ma dagli ‘amici della Siria’, rappresentati principalmente da USA, Francia, Gran Bretagna e Arabia Saudita, cioè gli acerrimi nemici di Assad. Sono proprio gli stessi paesi che hanno espulso gli ambasciatori siriani dal loro territorio e messo fuori gioco la diplomazia. Sono gli stessi che hanno messo in atto un rigido embargo (che ha colpito soprattutto la popolazione civile) e che solo il mese scorso erano concordi nello sferrare una campagna di bombardamenti contro Damasco. Ma tant’è, è ‘il miracolo senza miracolo’ del machiavellismo: la Conferenza non era prevista ed è stata decisa solo dopo che USA e Russia (principali attori di questo conflitto) hanno trovato un accordo sulle armi chimiche e più in generale sul destino della Siria.

E’ così che l’eterogenea opposizione armata si è sentita presa in giro: nessuno ha gradito la mancata spallata finale ad Assad e dopo più di 2 anni di guerra c’è da scommettere che ognuno si aspetta la sua fetta di potere (e per questo è necessario che la pace naufraghi). Ma in che modo realizzare un simile obiettivo? Il Consiglio Nazionale Siriano ha subordinato la sua partecipazione all’accettazione di condizioni insostenibili: la prima è essere riconosciuto come l’unico vero rappresentante del popolo siriano e la seconda l’ immediata dimissione di Assad. Entrambe le condizioni di fatto bloccano la trattativa: con chi si dovrebbe dialogare se Assad si dimette e come pretendere di essere l’unico interlocutore rappresentativo del popolo siriano? E’ evidente che solo la minaccia concreta di interruzione del flusso di armi possa far recedere il CNS dal porre simili precondizioni. Però questo non è possibile, attualmente americani e sauditi sono in forte disaccordo: dopo il ridimensionamento dell’aiuto americano ai ribelli, Riyadh ha riempito il vuoto e si è impegnata più che mai ad appoggiare soprattutto la componente jihadista.

Non sappiamo come andrà a finire: gli interessi reciproci si fondono con le bombe e i morti sul terreno e frenano l’attività diplomatica. Comunque i ministri degli esteri del gruppo ‘London 11’, ovvero i membri del gruppo ‘amici della Siria (compreso il nostro ministro degli Esteri Emma Bonino), stanno facendo pressione sull’opposizione armata perché accetti la Conferenza. E considerando da che posizioni si era partiti, è un mezzo successo che il Consiglio Nazionale Siriano abbia rimandato ai primi di novembre ogni decisione in merito ad una sua partecipazione.

Quindi, il maggior ostacolo alla pace (dopo la frenata della Turchia preoccupata per le proteste interne ed il dilagare di al-Qaeda lungo i propri confini) è oggi l’attivismo dell’Arabia Saudita. Riyadh ha mal digerito il dietro-front americano e l’accordo con la Russia (ricorderete che era pronta a pagare tutte le spese dei bombardamenti e che ha cercato di lusingarla con tutti i mezzi), perciò anche dopo la svolta prudenziale americana sembra aver deciso di procedere da sola. Grazie all’appoggio saudita gli jadisti hanno preso ormai il sopravvento sulle altre formazioni moderate e sono frequenti gli scontri per contendersi il territorio. I movimenti islamisti si sono unificati sotto un’unica bandiera, quella dell’Esercito Islamico. Per l’esperto statunitense Philipe Graver “questa formazione è il più grande export dell’Arabia Saudita”.

Oltre ad alimentare la guerriglia con armi pesanti e con sistemi d’arma altamente tecnologici, l’Arabia Saudita ha utilizzato i mesi estivi per organizzare una forza di 40.000 uomini appartenenti ad al-Qaeda nella località siro-libanese di Arasal, città di confine nella regione Qalamoun. La battaglia, imminente, sarà decisiva per il controllo della zona costiera e delle principali vie di comunicazione.

Sotto questa regia, non stupisce che quando un nuovo tentativo di pace sta per essere messo in atto è riscontrabile dalla cronaca il moltiplicarsi di azioni terroristiche indiscriminate. Si tratta di azioni realmente criminali che colpiscono soprattutto la popolazione civile, colpevole di non ribellarsi ad Assad, perciò, secondo i ribelli, responsabile di sostenerlo. Ne consegue che qualunque opera, fabbrica o infrastruttura civile fuori dalla linea di demarcazione delle zone conquistate diventa automaticamente obiettivo ‘legittimo’. Per punire la popolazione civile ogni giorno inoltre i colpi di mortaio mietono vittime nei quartieri di Damasco: sono ordigni buttati alla cieca, con il solo scopo di uccidere. Solo ieri i lanci di mortaio dei ribelli sul quartiere Kassaa a Damasco hanno causato 5 morti e 20 feriti; tra le vittime il formatore del coro parrocchiale Farah Shadi Shahoub, colpito mentre si recava alla chiesa parrocchiale per addestrare i bambini del coro.

Gli attentati non avvengono solo a Damasco, ma in tutto il paese: ad Hama un attentatore suicida si è lanciato in mezzo al traffico cittadino nell’ora di punta uccidendo 37 persone e provocando decine di feriti. Nelle località conquistate le formazioni jihadiste di Jabhat al-Nusrah impongono la Sharia a gente che non aveva mai conosciuto prima il fondamentalismo religioso. Il villaggio cristiano di Maloula ed i villaggi limitrofi sono stati attaccati e le chiese devastate nonostante non esistano presidi militari. Nel villaggio numerosi civili sono stati uccisi perché non hanno accettato di rinnegare la propria fede e non hanno abbracciato l’islam. Quest’attacco è stato eseguito dall’esercito libero siriano (che si definisce laico e moderato) congiuntamente ai qaedisti di Jabhat al- Nusra. Frequenti anche i sabotaggi senza alcuna valenza strategica: ieri è stata fatta saltare la centrale del gas di Damasco indispensabile per la vita della popolazione.

I rapimenti a scopo di estorsione, gli omicidi settari verso le minoranze, la rivendita dei macchinari sottratti nelle fabbriche in Turchia sono la consuetudine. Questi atti terroristici sono compiuti da coloro che si candidano a succedere ad Assad: nonostante gli organi d’informazione inopinatamente usino questo termine ancora virgolettato, tali azioni sono sanzionate dalla Convenzione di Ginevra come atti terroristici.

E’ una situazione complessa, sintomo di una prassi consolidata che non tiene conto più delle aspirazioni dei popoli ma solo degli interessi dei paesi ricchi. Far affari commerciali e impantanarsi in rapporti poco chiari che prima o poi impediranno di agire correttamente sembra aver sostituito ogni altra considerazione etica. I ‘valori’ che diciamo di avere e sostenere possono conciliarsi con questa prassi? Sono domande che occorre farsi: che tipo di benessere stiamo perseguendo e a che prezzo? Sembra proprio che ci sia un solo elemento unificatore e un solo valore in cui l’occidente crede: il danaro e gli affari. Come altrimenti fingere di credere che l’Arabia Saudita, uno dei regimi più dispotici del mondo, si faccia portatore delle istanze di libertà dei popoli?

http://www.laperfettaletizia.com/2013/10/incontri-preparativi-alla-conferenza-di.html


L'opposizione vuole l'eliminazione politica di Assad, ma è divisa al suo interno. Le condizioni poste dalla Santa Sede per un'efficace Conferenza di pace.




ASIA NEWS 22/10/2013 

  I destini della Ginevra 2, la Conferenza di pace sulla Siria che dovrebbe tenersi verso la fine di novembre, rischiano di naufragare per le resistenze che pongono i ribelli e lo stesso Assad.
Diversi gruppi di oppositori vogliono boicottare i dialoghi perché esigono che le conclusioni prevedano l'uscita di Bashar Assad dalla scena del potere.
Da parte sua Damasco non accetta tale precondizione e lo stesso Assad, in un'intervista alla televisione  libanese Al-Mayadeen ha detto che non vede "nessuna ragione" per non presentarsi alle prossime elezioni e magari essere rieletto.
Egli ha anche accusato l'opposizione di essere estranea agli interessi del popolo siriano.
"Quali forze vi prendono parte - si è domandato - quale relazione queste forze hanno con il popolo siriano? Rappresentano il popolo siriano o rappresentano gli Stati che li hanno inventati?".
In effetti l'opposizione è formata da tanti gruppi, solo in parte costituita da siriani. Oltre al Free Syrian Army, formato da soldati disertori dell'esercito di Assad, vi sono gruppi di jihadisti prevenienti da decine di nazioni islamiche (Cecenia, Tunisia, Libia, Egitto, Arabia saudita, Malaysia, Indonesia, Sudan...). A questi si aggiunge il Consiglio nazionale siriano formato da esuli siriani, sostenuti da potenze europee e medio-orientali. Tutti loro sono in lotta fra loro per chi deve rappresentare l'opposizione ai dialoghi. In più, sul terreno siriano, vi sono combattimenti fra l'opposizione "laica" del Free Syrian Army e quella radicale islamica costituita da gruppi legati ad Al Qaeda. Questi, nelle zone sotto il loro controllo impongono leggi islamiche e duri trattamenti per le minoranze cristiane e sciite (o alauite). I gruppi radicali preferiscono la guerra santa alla Conferenza di pace. Nei giorni scorsi anche il Consiglio nazionale siriano si è mostrato perplesso sulla propria partecipazione.
In questi giorni, ministri di 11 nazioni degli "Amici della Siria" (Stati Uniti, Gran Bretagna, Egitto, Francia, Germania, Italia, Giordania, Qatar, Arabia saudita, Turchia, Emirati arabi) si stanno incontrando a Londra  per convincere gli oppositori di Assad a partecipare uniti alla conferenza che essi vedono come una transizione politica oltre il regime di Assad.

Il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon è fra i più forti sostenitori della Conferenza di pace. Anche la Santa Sede desidera un incontro che raduni tutti gli interlocutori  locali, regionali e internazionali implicati nel conflitto siriano, senza alcun veto o esclusione. Lo scorso 6 settembre, mons. Dominique Mamberti, segretario per i rapporti con gli Stati, incontrando il corpo diplomatico presso la Santa Sede ha precisato alcune condizioni previe per il futuro della Siria: garantire l'unità del Paese; il rispetto delle minoranze (anche cristiane); piena cittadinanza a tutti i siriani, di qualunque religione; libertà di religione garantita; separazione dell'opposizione dall'estremismo islamico.

http://www.asianews.it/notizie-it/Rischia-di-naufragare-ancora-la-Conferenza-di-pace-sulla-Siria-29337.html

lunedì 26 agosto 2013

TORNA LA MINACCIA DELLE ARMI CHIMICHE: intervista a mons. Giuseppe Nazzaro, ex vicario apostolico di Aleppo.




Mons. Giuseppe Nazzaro, francescano, già Vicario Episcopale per la zona del Cairo e dell’Alto Egitto e poi vicario apostolico di Aleppo, a ragione può essere considerato un profondo conoscitore della realtà siriana e mediorientale. Il suo punto di vista è inequivocabile: l’Occidente sta vivendo al suo interno una grave crisi economica e morale e sta palesando invece all’esterno un’idea distorta di progresso; tutto ciò in Siria si riverbera nell’incapacità di capire che la pace non si ottiene con la guerra.

Intervista di Patrizio Ricci

D - L’intervento occidentale in Siria sembra di nuovo imminente: nonostante abbia negato, il governo siriano è accusato di aver usato armi chimiche. L’avrebbe fatto proprio a Damasco, dove gli ispettori Onu cercano la ‘pistola fumante’. E’ così o ci sfugge qualcosa?
R - Io ritengo che il Consiglio Europeo non abbia diritto ad intervenire per la semplicissima ragione che in tutto quello che è successo fino ad oggi l’Europa è fortemente coinvolta. L’Europa dovrebbe essere la meno titolata a parlare sia perché ha armato quella gente, sia perché fino ad oggi ha preso delle cantonate (ndr: le stragi di civili, avvenute in prossimità di ogni iniziativa di mediazione internazionale, si sono sempre rivelate ‘false flag’). L’Europa ha portato avanti esclusivamente un certo discorso senza mai voler guardare nell’altro campo cosa c’è.

D - Quali sono le ragioni per cui l’Europa appoggia i ribelli?
R - Secondo me (e posso sbagliarmi) l’Europa ha sposato la causa del commercio e in base a questo prende le sue decisioni. Adesso la situazione che c’è in Siria chi l’ha voluta? Chi l’ha patrocinata e chi la sostiene? In questi giorni i paesi del Golfo stanno sostenendo la causa dell’esercito egiziano, perché bisogna che combattano i terroristi: sono le notizie che ci dà la televisione italiana. Ebbene questi stessi paesi combattono Assad e sostengono i terroristi che sono in Siria. Allora, com’è possibile questa contraddizione?

D - E’ credibile che Assad abbia usato le armi chimiche a Damasco?
R - A mio avviso l’utilizzo delle bombe chimiche è tutto da provare. Se sono state utilizzate, non è certo chi le abbia gettate. Qualche tempo fa, un grosso sostenitore della ribellione siriana ha dichiarato ed ha scritto che se i terroristi fossero riusciti ad avere le armi chimiche avrebbero potuto usarle tranquillamente per lo scopo finale (ndr, la caduta di Assad). Perciò non è escluso che potrebbe venir fuori proprio lo scenario immaginato da questo personaggio che oggi si dice sia in mano ai terroristi: si gettano le armi chimiche, arrivano gli ispettori dell’Onu e s’incolpa il governo.


D - Come pensa si evolverà la situazione?
R - Il governo è già stato incolpato, c’è stata già la condanna finale da parte del ‘mondo’ e da parte dei mezzi di comunicazione: Al Jazeera e Al Arabiya hanno già stabilito chi sia il colpevole e con quello che loro dicono si è ‘aggiustata’ l’informazione. 
 A questo punto, a mio avviso, dobbiamo riflettere tutti: chi stiamo sostenendo noi? Le cose stanno in questo modo, oppure come loro vogliono farle apparire, oppure ancora ci stanno prendendo in giro? Ma attenzione: è nel DNA del potere non rivelare quello che è e quello che pensa per poter fare poi ciò che vuole. Ci sono vie traverse per raggiungere un obiettivo. Oggi si sta giocando la carta del ‘fine giustifica i mezzi’. È il machiavellismo totale.

D - Ma non sono libertà e democrazia il fine della cosiddetta ‘opposizione armata’?
R - All’origine del dramma siriano c’è una guerra tra gruppi religiosi. I Paesi del Golfo stanno sostenendo l’Egitto perché è sunnita. Allora se la Fratellanza Mussulmana, come ci dicono, dovesse prendere il potere, non si fermerebbe là , andrebbe avanti contro di loro. E’ per questo che le potenze del Golfo si sentono minacciate . Ecco, questa è la ragione per cui oggi sostengono l’Egitto e combattono il governo siriano.

D - Non sta avvenendo una primavera siriana quindi…
R - Per come io la conosco, la Siria era già il paese islamico più democratico di tutto il Medio Oriente.

D - Di questo purtroppo però non se ne parla, non tutti sanno queste cose…
R - No! Non è che non lo sanno, non lo vogliono sapere. Guardi che non c’è più cieco di chi non vuol vedere e non c’è più sordo (o ignorante) di chi non vuol sentire (o ascoltare). E’ questa la situazione che noi abbiamo provato a combattere. Tutti siamo bravi a decidere sulla pelle altrui, perché non ci siamo in mezzo. Bisogna trovarsi là: ad esempio, quando l’esercito ha aperto il varco da Aleppo per far defluire la gente assediata da giorni, i terroristi hanno preso di mira i pullman, hanno fatto il tiro a segno sui pullman pieni di civili, li hanno bloccati e sequestrati, hanno lasciato la gente in mezzo alla strada senza nulla, come dire ‘arrangiatevi, fate quello che volete’. Nessuno ha parlato di questo, nessun governo, nessun giornale, radio o televisione ha parlato di questi fatti. È esattamente questa la questione: tutta l’informazione fornita è informazione voluta in un dato modo, volutamente destabilizzante. Cosicché poi chi detiene il potere può fare come vuole. Questa è un’immoralità, portata avanti fino ad oggi. Per questo io dico: che l’occidente se ne stia fuori. Non armi nessuno. Le armi a questi signori non gliele ho dato mica io o lei… gliele hanno date proprio questi governi che oggi pretendono di intervenire.

D - E’ un controsenso evidente; strano però che non si colga il paradosso e che si continui a dire che si agisce per la libertà dei popoli e per creare un futuro migliore all’umanità…
R - Non è un controsenso, perché tutti pensano solo alla spartizione finale della torta… Per creare la libertà dei popoli prima di tutto bisogna conoscere i popoli, conoscere la loro psicologia, la loro mentalità, il loro credo. Se non si conosce, è inutile intervenire negli affari altrui con il pretesto di risolvere i problemi: aumentiamo solo i guai. Posso sbagliarmi (e spero di sbagliarmi) ma mi sembra che si stia cercando di attirare l’attenzione sul vicino per distrarre l’attenzione su ciò che succede a casa propria…

D - Cosa si dovrebbe fare?
R - Ognuno dovrebbe occuparsi di casa propria e farsi un esame di coscienza per quello che si è fatto e per come si è agito. Ammesso che si abbia una coscienza, perché ormai è in dubbio anche questo. Perché è veramente ingiusto sacrificare un popolo per i miei interessi … Non posso distruggere una civiltà per portare avanti la ‘mia’ civiltà. La civiltà che noi stiamo distruggendo in Siria e in Egitto in passato ci ha insegnato molto… quanto dipendiamo da quella civiltà! E’ evidente che l’Occidente è in una grave crisi e c’è una visione distorta dell’uomo: noi stiamo praticamente distruggendo le basi di noi stessi. 

http://www.laperfettaletizia.com/2013/08/torna-la-minaccia-delle-armi-chimiche.html 

domenica 12 maggio 2013

Usa e Russia organizzano una conferenza di pace, la Chiesa orientale una giornata di preghiera

 Le bombe di Israele, la bomba della Dal Ponte, le speranze di pace ( se qualcuno non boicotterà ad ogni costo)




da "La Perfetta Letizia" - di Patrizio Ricci

Nella situazione in Siria non c’è nessuno veramente super-partes se non la Chiesa siriana, che da tempo preme per la riconciliazione. Con l’aiuto concreto alla popolazione e con l’iniziativa “Mussalaha” ha unito alawiti, sunniti, drusi, cristiani, sciiti, arabi: una riconciliazione dal basso a partire dalle famiglie, dai clan, dalle diverse comunità della società civile siriana che non parteggia per nessuna delle parti in lotta. Sarebbe stato facile capire che la via della riconciliazione era l’unica soluzione possibile. Solo ora, ad un passo dal baratro, a distanza di più di due anni dall’inizio del conflitto e con quasi 90.000 morti alle spalle, i grandi della terra sembra comincino a rendersene conto.

La settimana scorsa gli eventi sembravano ulteriormente precipitare. L’argomento delle famigerate ‘armi di distruzioni di massa’ sembrava dovesse portare ancora una volta ad un passo dall’intervento militare unilaterale, con tutte le sue catastrofiche conseguenze per la popolazione. “L'uso delle armi chimiche in Siria sono una linea rossa invalicabile: se sorpassata, il gioco potrebbe cambiare”, aveva detto Obama. Il presidente americano si era dimenticato che una linea può essere oltrepassata anche all’inverso; lo abbiamo visto di lì a poco: dalla TV svizzera il commissario ONU Carla Del Ponte (membro della Commissione sui crimini di guerra) a proposito dei gas proibiti aveva raccontato un’altra verità: “Ci sono concreti sospetti, se non ancora prove inconfutabili, che è stato usato del gas sarin, per come le vittime sono state curate”, ed ha aveva aggiunto: “Abbiamo potuto avere delle testimonianze sull’utilizzo di armi chimiche ed in particolare il gas nervino, ma non da parte delle autorità governative, bensì da parte degli opponenti, dei resistenti”. La precisazione dell’ONU non ha cambiato la sostanza, anzi ha aumentato l’impressione di un conflitto globale: “Le prove non sono definitive né dall’una né dall’altra parte”, peccato che avesse taciuto prima, quando l’indice era diretto verso i cattivi.

Comunque mentre teneva banco il solito balletto delle interpretazioni e dei distinguo, i jet israeliani bombardavano il monte Qassiyoun a est di Damasco. Obiettivo: i missili iraniani destinati a Hezbollah. Quindi si colpiva la Siria ma si mirava all’Iran. Anche per questo il commento USA al raid è stato assolutorio: “Israele ha agito nel proprio interesse sovrano”. L’ambiguità di questa dichiarazione è estrema: è proprio il diritto di usare le armi per salvaguardare il ’proprio interesse sovrano' che è causa del perdurare del conflitto. Ognuno ha armato i suoi nel proprio interesse. Se quest’idea fosse adottata su larga scala, non è difficile immaginare cosa succederebbe nel mondo.

E’ evidente che con tali prospettive c’erano ormai tutti i segnali visibili di un imminente allargamento del conflitto che avrebbe incendiato tutto il Medioriente. E’ con questa consapevolezza che a Mosca si è svolto il summit Usa-Russia fra il Presidente russo Vladimir Putin e il Segretario di Stato americano John Kerry. Al termine dell’incontro, le parole del ministro degli esteri russo Lavrov lasciano ben sperare: “Russia e Stati Uniti incoraggeranno il governo siriano e i gruppi d’opposizione a cercare una soluzione politica”. L’accordo è di organizzare al più presto una conferenza di pace, probabilmente a fine mese, “come seguito della Conferenza che si tenne a giugno dello scorso anno a Ginevra”.

Anche l’Europa plaude all’iniziativa, e il portavoce di Catherine Ashton ha così commentato: "L'Unione europea è molto soddisfatta. Abbiamo ripetuto all'infinito che la soluzione del conflitto viene solo con un accordo politico globale. Siamo pronti a dare il nostro contributo in qualsiasi forma e speriamo che la conferenza sia l'inizio di un processo di pace".

Sono quindi giorni decisivi per una cessazione della guerra in Siria. Per questo, rilanciamo con ancora più convinzione l'invito rivolto dalle Chiese Siriane (di tutte le confessioni) alle Chiese cristiane sorelle di tutto il mondo perché si uniscano al loro grido nella giornata di preghiera per la pace in Siria, sabato 11 maggio, che hanno chiamato "La preghiera di un cuore spezzato". Quattro le intenzioni suggerite: il ritorno della pace, la liberazione di tutti gli ostaggi, l’aiuto e il sostegno ai bambini traumatizzati dalla guerra e gli aiuti umanitari per i profughi siriani.

http://www.laperfettaletizia.com/2013/05/le-bombe-di-israele-la-bomba-della-del.html

"Noi speriamo davvero che ci sia un’iniziativa annunciata da Papa Francesco, dal Vaticano"


Proprio ieri si celebrava la Giornata mondiale di preghiera delle Chiese cristiane per la pace in Siria.

Un momento di forte unità di tutte le comunità cristiane presenti in questa terra, che si sono mobilitate insieme pregando secondo quattro intenzioni: il ritorno della pace, la liberazione di tutti gli ostaggi, il sostegno ai bambini traumatizzati dalla guerra e gli aiuti umanitari per i profughi.
La Giornata è stata battezzata “la preghiera del cuore spezzato”.
Salvatore Sabatino ne ha parlato con padre Ghassan Sahoui, gesuita libanese che vive a Homs, una delle città più colpite dalla guerra:RealAudioMP3

R. – In tutte le chiese si sono organizzate preghiere per far crescere la nostra consapevolezza di essere cristiani e per capire meglio la nostra vocazione in questa crisi, in questo dramma davvero brutale; sentiamo la nostra incapacità di risolvere i problemi e quindi non ci rimane altro che chiedere a Dio, che è nostro Creatore e che ci ha dato la pace, di darci questo dono: di cambiare i cuori.

D. – E’ la prima volta che tutte le comunità cristiane insieme prendono una tale iniziativa comune nel Paese: un segnale, questo, importantissimo di unità …
R. – Un passo che dà la gioia di vedere finalmente che noi cristiani siamo uniti nella preghiera, che è un dovere e una grazia allo stesso tempo, chiedere a nome nostro e a nome di tutti i siriani, certamente uniti con tutti i cristiani del mondo e tutti quelli che davvero amano la Siria, per pregare e chiedere a Dio la misericordia e la pace per questo Paese martoriato.

D. – Il Patriarca Gregorios III Laham ieri ha detto: “I cristiani in Siria non sono una Chiesa o una minoranza da difendere, ma un elemento costitutivo del popolo siriano”. Quindi, proprio all’interno del tessuto di questo Paese …
R. – La Chiesa è davvero nata a Gerusalemme, ma poco a poco e subito si è diffusa in tutta la regione, e i cristiani sono stati chiamati come tali ad Antiochia e Antiochia faceva parte della Siria, ora fa parte della Turchia … Siamo qui, quindi, fin dall’inizio della cristianità e questa è la nostra terra. Siamo radicati in questa terra, e sentiamo anche che è la nostra missione fare da ponte tra le fazioni in guerra che purtroppo non riescono a mettersi d’accordo o dialogare. E solo Dio può dare questa grazia: cambiare i cuori e le menti, per trovare finalmente una soluzione pacifica in dialogo, senza armi, senza questa logica della violenza che distrugge non solo il Paese, ma l’uomo come tale.

D. – Una sua personale speranza, per il futuro della Siria...
R. – Malgrado tutto, noi speriamo – io spero, in modo davvero personale – che questa crisi finisca, che la pace ritorni nei cuori di tutti i cittadini siriani, ma che si instauri un dialogo davvero fruttuoso e sincero tra le parti, e che la Siria torni a trovare la sua vocazione di un ponte di pace, di elemento di stabilità nella regione e nel mondo.

D. – In questa speranza siete supportati da Papa Francesco che molte volte ha lanciato appelli per la pace in Siria …
R. – Sì, grazie a Dio, sentiamo la sua vicinanza a noi, davvero. E rendiamo grazie a Dio per lui e per la sua preghiera; sappiamo che è un uomo delle sorprese, ci fa sempre belle sorprese. E quindi, noi speriamo davvero che ci sia un’iniziativa annunciata da lui, dal Vaticano.

Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2013/05/12/la_turchia_accusa_il_regime_siriano_per_gli_attentati_a_reyhanli/it1-691326
del sito Radio Vaticana, 12/05/2013

lunedì 8 aprile 2013

In Africa c’è la piaga dei ‘bambini soldato’, ad Aleppo li chiamano ‘combattenti’


Amhed, il combattente siriano di 8 anni

da La Perfetta Letizia, 6.4.13

di Patrizio Ricci

Il quotidiano britannico ‘The Telegraph’ ha diffuso, come tutte le principali testati on line, un video in cui, tra le rovine di Aleppo, nel quartiere Salahedddin, un bambino parla, seduto tra due ribelli siriani armati (uno è suo zio): un colpo di mortaio ha ucciso suo padre (combattente a seguito dell’Esercito Siriano Libero) e tutto il resto della famiglia. Amhed ha 8 anni; sigaretta in bocca e fucile AK7 in braccio, risponde alle domande e spiega: "Ho finito per aiutare mio zio ed i suoi compagni perché non ho altra scelta, non c'è scuola, la mia famiglia è morta, che scelta ho?".

Di fronte a questa vicenda i media italiani (compresi quelli cattolici) si sono mostrati come rassegnati  all’ineluttabilità dei fatti: i commenti sono stati univoci e in quelle immagini di bambino ‘combattente’ hanno visto solo la ‘spavalderia della giovinezza, la vulnerabilità giovanile e la tristezza delle guerre che costringe i bambini a crescere troppo presto’. E’ una spiegazione che non convince e alla quale, come uomini, non possiamo rassegnarci. 

Ci vuole un giudizio chiaro: bisogna dire forte che esiste una terza via ed è quella del bene. Papa Francesco l’ha gridato forte nel messaggio pasquale rivolto alla Siria: “Quanto sangue è stato versato! E quante sofferenze dovranno essere ancora inflitte prima che si riesca a trovare una soluzione politica alla crisi?”. Il messaggio del Santo Padre non è rivolto ai soli religiosi: è l’unico criterio ragionevolmente valido per la salvezza di Amhed e per la Siria. Per quel paese oltraggiato si dovrebbe usare la stessa tenerezza che si usa per un bambino, anzi per un bambino orfano (a chi ha visto solo brutture ed ha perso entrambi i genitori non metti in mano una granata come nel filmato e non dici di sparare ad altri uomini). 

Si tratta di cose semplici da comprendere, persino banali: è possibile allora che il Thelegraph e gran parte dei principali media italiani si siano dimenticati di come ci si prende cura di un bambino e si siano allineati alle giustificazioni della guerriglia? Improponibile riportare di ‘sana pianta’ esclusivamente le giustificazioni fornite dai ribelli: “I bambini sono usati solo per fare il tè, per i rifornimenti, per contrabbando e compiti logistici”. E’ noto che i dati sono di altro segno: secondo un recente rapporto di Human Right Watch, sono centinaia i bambini al di sotto dei 14 anni addestrati dall’opposizione armata e inviati a combattere. E’ prassi conosciuta, ma ‘silenziata’: la guerra non si combatte solo sul campo di battaglia ma purtroppo coinvolge (consapevolmente o inconsapevolmente) anche l’informazione, spesso usata per formare un’opinione pubblica favorevole alle decisioni dei governi.

Non è stato detto, ma bisogna dirlo e chiaramente: usare i bambini sul capo di battaglia è un crimine di guerra. Usare bambini al di sotto dei 18 anni è proibito dalla Convenzione sui Diritti dell’Infanzia, nonché dalla risoluzione 1261 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che accoglie interamente lo Statuto della Corte Penale Internazionale, secondo cui “è un crimine di guerra la coscrizione e l’arruolamento di bambini di età inferiore di 15 anni o la loro utilizzazione per la partecipazione attiva alle ostilità, sia in conflitti armati interni che internazionali e sia che essi vengano impiegati da eserciti regolari o da milizie armate”. Questo vuol dire che di fronte alla legge internazionale chi ha messo le armi in mano ad un bambino ha compiuto un reato perseguito severamente dalla giustizia internazionale. Al cospetto di un bimbo che di fronte alla violenza ed all’omicidio dice ‘non ho scelta’ un uomo adulto che tace, o addirittura insegna solo la via della vendetta , è colpevole di ‘disumanità’.

In Siria esempi di pace e metri di terra redenta e riconciliata ci sono ancora e sono esempi a cui guardare (come i maristi e le suore di Aleppo); sono tutte quelle realtà che offrono, pur con sempre con maggiore difficoltà, aiuto e sostegno ai profughi ed ai bambini come Amhed. Informati direttamente dal Vicariato cattolico di Aleppo abbiamo appreso che nella città la ‘Casa di Gesù operaio’ accoglie molti orfani e vittime di questa guerra fratricida; sono realtà che i governi occidentali (presi soprattutto a fomentare ulteriormente la guerra) dovrebbero sostenere direttamente e che dimostrano che un’altra via è sempre possibile. Abbiamo bisogno di simili esempi di carità e umanità nuova: non è vero che lo scempio e la rovina siano inevitabili. Anche un bambino orfano può trovare nuovi padri, se questi padri guardano ad una speranza più grande della vendetta e della sopraffazione. A molti, anche qui da noi, sembra essere sfuggito.


http://www.laperfettaletizia.com/2013/04/amhed-il-combattente-siriano-di-8-anni.html

mercoledì 6 febbraio 2013

L'anelito di libertà può ancora giustificare la distruzione di un Paese?

Il cambiamento era possibile senza il ricorso alle armi, come è accaduto altrove


da La Perfetta Letizia
di Patrizio Ricci

La popolazione civile ha a che fare da una parte con milizie raggruppate sotto la sigla di ‘Esercito libero siriano’ e dall’altra con l’esercito governativo regolare: il primo, pur di imporre la propria supremazia, compie azioni militari spregiudicate, compresi atti contro la popolazione civile; il secondo agisce come qualunque esercito in una simile situazione: cerca di riprendere possesso del territorio. Tutto normale allora? No, il peggioramento, dopo due anni di guerra senza regole, è evidente: i crimini si moltiplicano. Si potrebbe dire allora che entrambi le parti sono egualmente responsabili della sofferenza inflitta alla popolazione? Il nostro codice penale dice di no: “Chi commette un fatto diretto a suscitare la guerra civile nel territorio dello Stato è punito con l'ergastolo” (art. 286 del c.p.). Probabilmente il legislatore aveva soppesato bene gli effetti di una guerra civile ed ha elaborato una norma così severa perché una insurrezione armata destabilizza non solo il governo, ma la struttura dello stato, ad ogni livello, con risultati devastanti per la popolazione. E questo è un concetto applicabile dovunque: è evidente che nel caso siriano gli esiti e le violazioni del diritto umanitario sono stati peggiori della sopravvivenza del potere da abbattere. Senza rinunciare alle giuste richieste iniziali, sarebbe bastato accettare un compromesso, considerando come positiva la riforma costituzionale, che ha sostanzialmente accolto tutte le richieste degli insorti, compreso il multipartitismo. Non è accaduto così: l’opposizione armata (che non è la componente maggioritaria del dissenso) ha derubricato tutti i provvedimenti attuati dal governo giudicandoli demagogici ed è passata alla guerriglia.

Ad aggravare questa situazione c’è un secondo aspetto, che è la vera causa del perdurare del conflitto: molti stati, animati da fini terzi, sostengono, finanziano e armano la ribellione. Il caos e le difficoltà dello stato nazionale ha dato adito a Stati storicamente nemici di inserirsi nella guerra civile. Europa e USA sono animati da interessi economici-strategici convergenti che purtroppo sono da tempo diventati motore della loro politica estera, tutta rivolta a neutralizzare l’Iran, storico alleato della Siria. L’attacco degli F16 israeliani è da inserire in questo contesto: generare il ‘casus belli’ per un intervento diretto, finora impossibile per il veto russo-cinese.

Dello stesso segno l’attivismo di Qatar ed Arabia Saudita quali improbabili paladini della democrazia: sospinti dal desiderio di portare avanti il proprio progetto egemonico su tutto il mondo arabo, sono i principali sostenitori della rivolta. La recente condanna all’ergastolo del poeta Mohammed al Ajami, reo in Qatar di aver osato criticare il regime, dà però conto del concetto di democrazia in atto in questi paesi.

Testimonianza del carattere intollerante ormai assunto dalla rivolta sono i numerosi attentati in quartieri cristiani o alauiti, la deportazione di migliaia di persone, la distruzione di chiese. Inoltre, nelle zone cosiddette ‘liberate’ dall’opposizione armata, i rapimenti a scopo di riscatto sono abituali e le esecuzioni sommarie sono settarie e spesso decise per semplice capriccio.  
Le testimonianze del disordine che imperversa nel paese sono continue. Purtroppo, su di esse non si accendono mai i riflettori dei media. Essi sono rivolti solo verso le notizie provenienti da un’unica fonte: quella dell’Osservatorio siriano per i diritti umani (con sede a Londra e legato sul territorio ai coordinamenti locali dei ribelli), mentre la chiesa cristiana siriana, nonostante conti milioni di fedeli (contro i circa 30.000 ribelli), è del tutto ignorata. Tuttavia, attraverso l’Agenzia Fides e canali meno conosciuti, i patriarcati e i singoli religiosi tornati in Italia raccontano spesso un'altra storia. Per ragioni di spazio non possiamo riportare qui tutto, ma ricordiamo Pascal Zerez, che a Homs, all'età di 20 anni, il 9 ottobre 2012 è stata uccisa nell'attacco dei ribelli al bus che la trasportava da Lattakia ad Aleppo. Il padre Claude, conosciuto prima della guerra come guida di pellegrinaggi cristiani in Siria, scrisse un'accorata lettera al Presidente Hollande. E ricordiamo l’appello delle monache : “Il cuore sanguina continuamente nel vedere queste persone che sono prima di tutto siriani e poi cristiani, musulmani, eccetera, e che invece i ribelli vogliono lacerare come accaduto in Iraq, Egitto, Libia, togliendo loro la libertà di credere in ciò in cui credono!“.
Mentre l’Arcivescovo siro-ortodosso Eustathius Matta Roham, Metropolita di ‘Jazirah ed Eufrate’, ricorda a Fides l’incubo costante dei rapimenti “Circa sei mesi fa i sequestri di persone hanno iniziato a moltiplicarsi, opera di alcune bande. Oggi le vittime sono 43, appartengono e tutte le componenti della società (cristiani, musulmani, yazidy, curdi e arabi), sono di età e ceto sociale diversi: bambini, studenti, medici, ingegneri, commercianti e gente comune”. L’Arcivescovo racconta a Fides “i momenti molto difficili, la paura e il dolore delle famiglie” anche perché i rapitori, nota, “utilizzano forme di tortura verso vittime innocenti, in spregio alle virtù umane, morali e religiose, per ottenere un forte riscatto”.

Non difetta di chiarezza Mons. Mario Zenari (Nunzio Apostolico in Siria), che non ha mezzi termini: “C’è un problema interno, in quanto la Siria da tempo sentiva il bisogno di andare verso una maggiore democrazia e una maggiore libertà. Nello stesso tempo, ci sono dei conflitti regionali o mondiali. Quanto sta avvenendo in Siria quindi non può più essere risolto con un grado maggiore di democrazia e con delle elezioni libere, perché qualcuno ha scelto il Paese come campo per regolare dei conti che riguardano ben altre potenze”.
A giudicare da come si sta muovendo, la comunità internazionale non sembra aver imparato ancora molto dalle ‘primavere arabe’ o dalla guerra libica e della sua ‘somalizzazione’. Facciamo nostre le parole di Mons. Tomasi (Osservatore Vaticano presso l'ONU) che è più che esplicito: “Esiste una nuova tipologia di conflitti, composta da una “galassia” di gruppi oppositori ai governi, i quali, strumentalizzando la religione per ottenere risorse e potere, danno vita a guerre civili che lacerano intere popolazioni”. Ecco la sua esortazione: “Dobbiamo capire che la guerra e la violenza non risolvono i problemi ma soltanto li accentuano in maniera più drastica e dannosa. Bisogna ascoltare la saggezza della Chiesa che continua sempre a dire attraverso i diversi Papi che la guerra è una via di non ritorno, una via che distrugge, che si sa quando comincia ma non quando finisce e fino a che punto di distruzione porta”.

http://www.laperfettaletizia.com/2013/02/siria-lanelito-di-liberta-puo-ancora.html


sabato 29 dicembre 2012

Te Deum laudamus 1: Per quelle voci che domandano la vera libertà per la Siria

La guerra in Siria: l'informazione , il Papa, gli interessi globali



Il conflitto continua senza sosta e le parole del Papa, o di chiunque voglia la pace, sono inascoltate da media e governi

La Perfetta Letizia 29/12/12

di Patrizio Ricci

Tutti sanno qual è il vero bisogno dei siriani, ma tutti ci girano intorno, anche in Italia. Tutti tranne uno: il Papa. Il Pontefice è una delle poche voci che ha esortato sempre, nei suoi interventi pubblici, la riconciliazione, il negoziato, la transizione politica pacifica. Il giorno di Natale, dopo il messaggio Urbi et Orbi, Benedetto XVI ha detto queste testuali parole: “Sì, la pace germogli per la popolazione siriana, profondamente ferita e divisa da un conflitto che non risparmia neanche gli inermi e miete vittime innocenti. Ancora una volta faccio appello perché cessi lo spargimento di sangue, si facilitino i soccorsi ai profughi e agli sfollati e, tramite il dialogo, si persegua una soluzione politica al conflitto".
Nel mondo, al di fuori del Papa, dei Patriarcati siriani e del movimento Mussalaha, nessuno ha abbracciato la scomoda via della pace. Ma queste voci sono tuttora inascoltate: i media continuano a darci conto della guerra civile con la malcelata convinzione che un intervento internazionale ‘stile Libia’ riporti pace, concordia e giustizia. Anche i governi, che hanno chiuso le loro sedi diplomatiche ed espulso gli ambasciatori, hanno sposato le linee più intransigenti della ribellione armata e non hanno trovato di meglio che decretare un embargo durissimo che colpisce soprattutto la popolazione. “L’unico colpevole di tutto quello che succede - ci ripetono - è Assad”. La vulgata generale ha accettato ormai questa ‘verità’ e non ha il tempo né la voglia di cambiare idea né prospettare nuove soluzioni. 

.... LEGGI TUTTO SU:
 
 
 
MADRE MARIE AGNES: " La maggioranza del popolo siriano chiede riforme, ma dentro la pace civile!"
 
 


sabato 23 giugno 2012

Kofi Annan: "Bisogna agire in fretta per riportare la pace in Siria." Ma nel frattempo ...

“E' necessario il sostegno di tutta la comunità internazionale per risolvere la situazione in Siria” ed è necessario agire in fretta. E’ l’appello lanciato da Kofi Annan, inviato dell'Onu e della Lega Araba in Siria, parlando in conferenza stampa a Ginevra. La situazione del Paese si sta sempre più deteriorando: oggi ore di scontri a Qudsaya, sobborgo vicino Damasco hanno provocato diverse vittime. Secondo le Nazioni Unite oltre un milione e mezzo di siriani hanno bisogno di aiuti umanitari. "
Alzare il livello di pressione" per convincere le parti a fermare le uccisioni e a iniziare il dialogo". E’ quanto ha chiesto alla comunità internazionale e soprattutto ai Paesi con più influenza, incluso l’Iran, l’inviato dell’ONU in Siria, Kofi Annan. ''Bisogna agire ora, ha insistito, quello in Siria non può essere un processo senza fine' perché più tempo passa più il futuro del Paese “sarà nero''. Annan ha anche riferito di essersi recato in questi giorni in diverse capitali del mondo per parlare dei prossimi passi per l'attuazione del piano di pace'' e organizzare una conferenza internazionale in Svizzera alla fine del mese. Un richiamo a fare di più per trovare una soluzione è venuto anche dal ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov in un colloquio con il suo omologo siriano.
http://www.radiovaticana.org/it1/articolo.asp?c=598899

Siria, la CIA arma e seleziona i ribelli
da "La Perfetta Letizia" 23- 06-12

Gli Stati Uniti armano i ribelli in Siria. Non è un novità, ma quando lo scrive il New York Times fa sempre un certo effetto
Secondo il più importante quotidiano Usa, un gruppo di agenti della Cia, l’intelligence degli Stati Uniti, si trova nella Turchia meridionale, sul confine con la Siria, e partecipa alla consegna di armi ad alcuni gruppi di opposizione al regime di Bashar al-Assad. Il New York Times cita funzionari statunitensi e fonti di servizi di intelligence arabi. In particolare, secondo le fonti, gli uomini inviati dagli Stati Uniti partecipano alla scelta dei gruppi a cui consegnare le armi e operano per evitare che finiscano in mano a combattenti vicini ad al-Qaeda o ad altri gruppi terroristici.Gli Stati Uniti non forniscono direttamente le armi, il cui acquisto è invece finanziato da Turchia, Arabia Saudita e Qatar. Si tratta in gran parte di fucili automatici, lanciarazzi, munizioni e un certo numero di armi anticarro, fatte entrare in Siria attraverso il confine turco e consegnate ai combattenti da intermediari, come i Fratelli Musulmani locali. L’obiettivo degli Stati Uniti non e’ solo quello di armare un gruppo selezionato di combattenti, ma anche di raccogliere informazioni sulla galassia piuttosto ambigua e mutevole dell’opposizione siriana.
http://www.laperfettaletizia.com/2012/06/siria-la-cia-arma-e-seleziona-i-ribelli.html