Gestito
da AVSI, finanziato dall'Unione Europea in Libano, sostenuto
da UNICEF Libano e attuato dall'associazione Biladi, il progetto
"Siria in my mind" introduce i bambini siriani nell'eredità
siriana e li collega alla loro patria creando un senso di
appartenenza attraverso varie attività centrate sulla Siria. Le
attività includono canti tradizionali, danza popolare, giochi e
l'apprendimento di siti archeologici sulla mappa della Siria:
"
iniziamo dal valore della persona, che non è mai definita dalle
circostanze in cui vive.", è il metodo di AVSI
Negli
ultimi anni, quasi 800
mila bambini siriani hanno
cercato rifugio con le loro famiglie in Libano,
secondo il rapporto pubblicato
da Unicef ad
agosto 2015. C’è chi è nato nel paese dei cedri, chi ci è
arrivato molto piccolo e chi ha qualche in anno in più. Ma quando
chiedi loro “di dove sei?”, molto spesso non ricordano né da
dove arrivano né com’era il proprio paese prima della guerra.
Abil,
un rifugiato siriano di sette anni che vive con la sua famiglia nel
campo di Marshajoun nel sud del Libano da quasi tre anni, non
conserva più alcun vivido ricordo della sua casa o della sua terra
natia. A Saida, una grande città del sud, quando a questi
bambini viene chiesto "da dove vieni" la maggior parte di
loro risponde "da Saida".
Il
progetto Syria
in my mind,
ideato dalla Ong
Biladi (in
arabo significa “Il mio paese”) nasce proprio per mantenere viva
la memoria della Siria e creare un legame tra questi bambini e la
propria terra. Attraverso varie attività come il cantastorie, le
danze tradizionali, il percorso culinario con la mappa della Siria,
il gioco dell’oca sui più importanti siti archeologici siriani, il
progetto, finanziato da Unicef e gestito dall’Ong
italiana Avsi,
aiuta i bambini a ricordare la loro patria, l’eredità culturale e
le ricchezze storico-archeologiche della Siria.
“Il
progetto è iniziato nel 2014, quando ho dato a un bambino siriano un
pezzo di pane chiamato Tannour,
che è un tipo di pane tradizionale. Lui mi ha guardato e mi ha
chiesto ‘dov’è la nonna?’. Era la sua nonna che preparava quel
tipo di pane. Lui voleva il pane perché gli ricordava la nonna, non
per il valore che aveva il pane. E’ stato in quel momento che ho
capito che non potevamo restituire i ricordi ma potevamo dare
qualcosa che aiutava loro a ricordarsi
della Siria e della propria identità”,
racconta Joanne
Farchakh Bajjaly archeologa
libanese e ideatrice del progetto.
Circa
duemila bambini siriani tra i cinque e i quindici anni hanno preso
parte alle attività pedagogiche all’interno dei centri educativi
gestiti da Avsi a Nabatiyeh,
Saida, Jounieh, Khiam e Marjayoun.
“Alcuni bambini non hanno mai visto la Siria o erano troppo piccoli
per ricordarsela. Quello che vogliamo dare è un’immagine della
Siria senza guerra e far loro capire la storia e la propria cultura,
affinché possano avere una maggior responsabilità e consapevolezza
per il futuro. Per farlo abbiamo scelto il gioco e attività pratiche
come far costruire la cittadella di Aleppo o
il castello per creare una connessione tra loro e la Siria”,
spiega Tarek
Awwad,
archeologo siriano e monitore dell’Ong Syria Eyes.
“All’inizio
quando aprivamo la mappa della Siria o quando nominavamo alcune città
come Palmira o Raqqa molti
bambini si spaventavano perché le associavano a una situazione di
rischio. Con il passare dei giorni cercavamo di far capire quali
erano le bellezze, gli animali o i fiori di quelle regioni”,
racconta sempre il giovane archeologo, anch’egli rifugiato in
Libano. Il progetto ha permesso non solo ai bambini di avere
un’immagine
positiva della propria terra,
senza sangue e morte, ma ha aiutato a ritrovare il dialogo con i genitori e di frequentare la scuola con maggior coinvolgimento
e interesse.
“Grazie
al progetto Syria in my mind, molti bambini tornavano a casa dalle
famiglie cantando le canzoni che avevano imparato o chiedendo loro se
si ricordavano del souk e
se andavano lì a fare la spesa. E’ importante che inizino a
parlare con i genitori e che si ricordino della Siria in maniera
positiva perché dà loro la speranza e la voglia di ritornarci”,
spiega un’insegnante del centro educativo di Saida.
Ma il risultato più importante è senza dubbio la riscoperta
della propria identità.
I loro animatori sono siriani, parlano la loro lingua, per cui si
sentono valorizzati e non hanno più paura di dire dov'è veramente
la loro patria.
"Anche
il nostro paese ha attraversato una guerra. E sappiamo che il
conflitto siriano finirà un giorno ", dice Joanne Farchakh
Bajjaly. Con questa convinzione, in Libano, si prepara i
bambini siriani al ritorno.
https://en.annahar.com/article/290432-syria-on-my-mind-offers-hope-to-refugee-children
https://www.lorientlejour.com/article/944319/faire-revivre-aux-petits-refugies-syriens-leur-pays-perdu.html