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domenica 22 gennaio 2017

Salesiani: Il compito educativo, cambiare la vendetta in amore


Anche se piovono bombe e missili, serviamo i cristiani in Siria, dice il sacerdote salesiano padre Alejandro León 
Padre Alejandro Leon è un missionario salesiano che da oltre 13 anni vive in Medio Oriente e dal 2011 in Siria, per la precisione proprio da quando è iniziata la guerra. Ci assicura che se rimane in quel paese in guerra è per "essere segno della misericordia e dell'amore di Dio" anche se questo implica rischiare la propria vita e trovarsi, in troppe occasioni, vicino alla morte.
Questo sacerdote nato in Venezuela nel 1979 assicura che è stato testimone di vari miracoli: lavora con i giovani affinché non vivano per la vendetta ma lascino crescere dentro di loro l'amore per la riconciliazione, e questo li ha portati ad assistere anche familiari di estremisti musulmani.
"Fare questo passo è stato difficile, ma è stato molto liberatorio" e "si sono resi conto che quelle donne e quei bambini non hanno colpe e che, alla fine, sono anche i nostri fratelli", ha commentato il sacerdote nell'intervista concessa a Madrid a Aci Stampa.
Fin dal suo ingresso nella congregazione di Don Bosco, questo prete sapeva che voleva "offrire ai giovani l'istruzione e la generosità che aveva ricevuto". Per questo nel 2003, all'età di 24 anni, si è offerto di andare "dove c'era più bisogno" e i suoi superiori glielo hanno indicato: il Medio Oriente.
Dopo aver studiato in Egitto e in Italia, Padre Leon, che era appena stato ordinato sacerdote, fu inviato in Siria. "La guerra era all'inizio e io ho accettato".
Come lui dice, accettare di andare in un paese in guerra in sé lo spaventava, ma ricorda che infine vi ha capito una cosa fondamentale: "Ho avuto una vita molto felice grazie alla mia famiglia e ai Salesiani e mi dispiace molto che ci siano così tanti bambini che non possono avere la stessa opportunità. " "Il rischio vale la pena, e se finisce male e mi succede qualcosa, penso che avrò vissuto abbastanza a lungo per aver trovato il senso della vita che è riconoscere di essere profondamente amato da Dio."
"Anche se come Salesiani ci siamo impegnati all'obbedienza verso i nostri superiori, questi ci hanno dato molta libertà, in modo che rimanesse in Siria solo chi lo desiderava. Credo che ognuno di noi, dei 7 che siamo nelle tre comunità siriane, abbia vissuto momenti di forte abbandono, per consegnarci poi con decisione con tutto il cuore al Signore e dirgli che qualunque cosa accada siamo nelle Sue mani finché Lui lo vorrà ", confida il giovane missionario.
I Salesiani sono presenti in tre città della Siria: ad Aleppo dal 1958, a Damasco dal 1990 e a Kafroun dall'anno 2000. In queste comunità vivono in totale 7 sacerdoti aiutati da molti laici e giovani impegnati. Le loro case sono conosciute in Siria come "Oasi di pace", perché cercano di unire nell'abbraccio al Vangelo e alla sequela di Gesù Cristo, tutti i cristiani della zona.
Padre Leon spiega che in Siria "ci sono momenti in cui bisogna curare i malati, o i moribondi o celebrare funerali, sapendo che sulla strada stanno cadendo missili e bombe, e queste sono quelle situazioni in cui uno decide se starci interamente o solo a metà. Perché se restiamo in Siria non è per prenderci cura delle pareti, ma per servire e essere segno della misericordia e dell'amore di Dio in mezzo alla gente, e ciò comporta anche di rischiare". " rischiare a volte la nostra vita anche se cerchiamo di essere il più possibile prudenti. Ma non può essere che per proteggere noi stessi diamo un servizio a metà: restiamo qui per servire e abbiamo deciso che finché ci sono cristiani che ne hanno bisogno, noi saremo con loro in Siria ".
Quel senso di fedeltà e di servizio ai cristiani è basato, come spiega Padre Alejandro , "nel sentimento di appartenere alla famiglia che è così importante per i Salesiani". " E' la fedeltà a Dio, alla gente e lo spirito di famiglia dei Salesiani: se in tutta la mia vita ho parlato della famiglia, quando nella realtà concreta quella famiglia ha bisogno del mio sostegno e della mia presenza, anche se abbiamo un passaporto straniero che ci permette di andare via, io non posso chiudere gli occhi e voltar loro le spalle, abbandonarli ". "Io non giudico se qualcuno ha paura e decide di andarsene, questa è la libertà ed è bene usarla, ma nel mio caso non potevo fare diversamente", afferma.
Cambiare la vendetta in amore.
Nel suo lavoro con i giovani, come direttore e coordinatore generale delle attività svolte in Siria dai salesiani, Padre Leon sottolinea che la più grande sfida è formarli in modo che siano pronti per ricostruire il loro paese quando la guerra sarà finita.
" Ci saranno aziende e Paesi, disposti a costruire di nuovo i muri delle città, ma ci sarà bisogno di persone, giovani molto preparati, per ricostruire i cuori, le anime e lo spirito di quella società, e questo lo possono fare solo persone dello stesso popolo, e questa sarà la principale missione dei giovani siriani ".
Un'altra grande difficoltà è " l' idea culturale della vendetta, che è profondamente radicata che non nasce dall'odio, ma a motivo dell'amore per quel caro che è morto e che bisogna vendicare per amore ". "in Siria tutti hanno qualcuno da vendicare", deplora il prete e riferisce che il suo lavoro cerca di promuovere la riconciliazione e non la vendetta. E sembra che ci stiano riuscendo! :  "I nostri giovani siriani vanno ai centri di raccolta dei profughi, dove, oltre a molte persone abbandonate, ci sono anche le donne e i bambini degli estremisti musulmani che parteciparono agli attacchi", spiega.
"Bisognerebbe mettersi nei panni di quei ragazzi e pensare a come sono riusciti a superarsi, per aiutare e curare, per esempio, il figlio di colui che ha mandato la bomba che ha ucciso il cugino o il fratello". " Fare questo passo per molti è stato difficile ma è stato anche molto liberatorio. Si sono resi conto che alla fine, i figli di questi estremisti non hanno colpe, sono solo bambini e alla fine sono anche i nostri fratelli ".
Secondo il racconto di Padre Alejandro, la guerra e "il mistero del dolore" han fatto sì che molti dei giovani adolescenti con cui trattano i Salesiani in Siria abbiano seri problemi riguardo alla loro fede.
"II problema del male ha generato crisi di fede, ma con la testimonianza e la vicinanza, molti giovani hanno superato le loro crisi e in seguito, hanno potuto avere un'esperienza di Cristo molto più autentica", riferisce ad Aci Stampa.
In realtà, questo Paese "è stato quello che ha dato più vocazioni alla famiglia salesiana, anche da prima della guerra. Inoltre, coloro che durante la guerra hanno superato i propri dubbi hanno raggiunto una profonda vita spirituale che li spinge a chiedersi cosa Dio vuole da loro. E questo è qualcosa di prezioso ".
"Sono stato testimone di miracoli, ma tutto quel bene che siamo riusciti a fare è stato grazie alla generosità di tante persone, in particolare le missioni salesiane, perché senza il vostro aiuto sarebbe stato impossibile".