Il viaggio in Siria era una vacanza attesa per me e i miei due figli che da poco hanno perso la loro mamma.
Siamo partiti per Beyrut dall’aeroporto di Venezia via Istambul, poiché non ci sono voli diretti Italia – Siria, e abbiamo proseguito via terra. Il tassì di linea che trasporta passeggeri tra Libano e Siria ci attendeva all’aeroporto. Per raggiungere Aleppo, la nostra prima tappa e mia città natale, abbiamo impiegato sette ore, compreso il tempo per attraversare le frontiere. Alla frontiere siriana non ci sono state difficoltà per il controllo dei passaporti, ma come cittadini siriani abbiamo dovuto cambiare cento dollari in lire siriane, misura presa per versare un contributo in valuta straniera al Paese disastrato dall’altissima inflazione monetaria. Lungo il tragitto abbiamo incontrato spesso dei posti di blocco dell’esercito.
Siamo arrivati ad Aleppo alle sette di sera e mi ha colpito la grande animazione della città, anche se non tanto pulita. Osservando i passanti sembrava che tutta la popolazione si fosse riversata nelle strade senza una meta. I cittadini, che sembrano tranquilli e non sentirsi in pericolo, amano uscire di casa, andare nei caffé e trascorrere le serate estive in compagnia anche dopo la mezza notte.
La corrente elettrica arriva per 2 ore in 24 ore e chi ne ha i mezzi si fornisce di corrente privatamente pagando un abbonamento settimanale, ma gli altri restano senza corrente. Si stanno diffondendo i pannelli solari: un progetto costoso realizzabile con contributi caritatevoli e per mezzo dei familiari che risiedono all’estero. Il 50 % del popolo vive della borsa alimentare e aspetta l’aiuto delle associazioni che contribuiscono alla cura di gravi malattie, all’acquisto dei farmaci e alle spese per gli studi universitari.
Siamo rimasti due settimane ad Aleppo, che fino alle 11.00 del mattino sembra una città deserta con negozi chiusi e ogni attività sospesa. Quando alle 11.30 arriva la corrente, si aprono i negozi e comincia il movimento nelle strade, soprattutto dei giovani, fino a notte inoltrata, come ho già raccontato all’inizio. Le parrocchie con grandi spazi hanno aperto dei bar e piccoli ristoranti frequentati dalle famiglie della comunità cristiana, che pagando prezzi ragionevoli vi trascorrono le serate. Diciamo quindi che la città si sveglia tardi e dome tardi.
Ho cercato i miei amici per andare a trovarli. Tanti hanno lasciato il Paese, ma alcuni sono rimasti; insieme abbiamo trascorso una serata in un ristorantino e come tutti hanno ripetuto che ‘’la vita qua non ha prospettive e avete fatto bene a partire perchè chi è rimasto in questo Paese cerca di sopravvivere quando non è possibile vivere’’. Osservando le facce della gente e alcuni conoscenti del passato, dopo questi anni di guerra le loro facce sono come fiori appassiti, siano donne o uomini.
Nelle due settimane vissute in Aleppo non ho trovato differenza tra un giorno e l’altro, però ho potuto trascorrere le mie vacanze con i parenti e pochi amici.
Il mio Paese di origine è comunque bello nonostante tutto e camminando per le strade anche i muri degli edifici ti parlano e ti senti nel posto giusto. Amin Maalouf, uno scrittore libanese immigrato in Francia, dice nel suo romanzo I disorientati: ‘’Il tuo Paese sarà sempre un Paese di fazioni, di disordine e di favoritismi, ma è anche il Paese del gusto della vita, del calore umano, della generosità e dei tuoi amici più veri.’’
Queste parole mi riempiono di gioia e sono un motivo per cui ogni anno vi faccio ritorno.