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mercoledì 10 maggio 2017

Papa Francesco ha accettato la rinuncia del Patriarca melkita Gregorio Laham "zelante servitore del Popolo di Dio"

“Pace e amore. Sono le parole con le quali ho iniziato il patriarcato nel duemila e che rinnovo ancora oggi “con maggior vigore. Non abbiamo tempo che per amare e per ricercare la pace”. È quanto racconta ad AsiaNews l’ormai ex patriarca melchita Gregorio III Laham, che dopo 17 anni lascia la guida di una delle comunità più numerose e ricche della Chiesa d’Oriente. “Questa è la mia eredità - prosegue - e voglio ribadirla una volta di più nella giornata di oggi, 8 maggio, in cui la Chiesa orientale ricorda san Giovanni Evangelista il quale ha affermato con forza che ‘Dio è amore’”.
Lo scorso fine settimana papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della Chiesa greco-melkita presentato da sua beatitudine Gregorio III Laham, patriarca di Antiochia dei Greco-Melkiti. In una lettera il pontefice lo ha definito un “servitore zelante del popolo di Dio” e ha riconosciuto il suo impegno per la pace in Siria, sconvolta da un conflitto sanguinoso.  “La speranza - afferma il prelato - è che ora potrò avere più tempo per essere al servizio degli altri, come ha detto Giovanni Paolo II: essere per gli altri, che siano cristiani, musulmani o giudei… io sono per voi!”.
Alcuni fonti interne alla comunità parlano di un malumore dell’ormai ex patriarca per i modi e tempi che ne hanno dettato la fine del mandato. Tuttavia, lo stesso Gregorio sottolinea a più riprese la comunione con il pontefice e il desiderio di unità all’interno della Chiesa. Secondo quanto prevede il codice, ora l’amministrazione è ora affidata a mons. Jean-Clément Jeanbart, arcivescovo di Aleppo, in qualità di vescovo più anziano per ordinazione del Sinodo permanente.
Gregorio III Laham è nato il 15 dicembre 1933 a Daraya, sobborgo di Damasco. Patriarca di Antiochia dei greco-melkiti, egli è stato eletto nel novembre del 2000 dal sinodo della sua Chiesa, ricevendo la “comunione ecclesiastica” da san Giovanni Paolo II, e ha guidato la comunità negli ultimi 17 anni. Il prelato ha vissuto in prima persona il dramma del conflitto nella sua terra natale, di cui ha denunciato a più riprese violenze e crimini, e ha lanciato a più riprese appelli alla pace e alla preghiera.
“Ho amato il mio popolo - dice ancora - e mi sento padre di tutti, dei vescovi e del mio popolo. In questi anni ho potuto avviare e vedere realizzati molti progetti a Gerusalemme, in tutta la Terra Santa, in Egitto. Ho visitato i Paesi dell’emigrazione, Nord e Sud America, e poi l’Europa; e poi vi è anche il cammino in chiave ecumenica con i patriarchi delle diverse comunità”. Fra i molti progetti promossi o ancora allo studio egli ricorda la costruzione di una chiesa dedicata a san Paolo a Damasco di cui “avrò la possibilità di benedire la prima fase di realizzazione il prossimo 13 giugno”. E ancora, la costruzione “di una scuola e di un ospedale a sud di Damasco, oltre che l’allestimento di un’altra struttura nei quartieri poveri della capitale siriana”. “Anche se non in qualità di patriarca - aggiunge - continuerò a vegliare perché questi progetti possano prendere forma”.
La nota dolente di questi anni è invece la guerra in Siria, un conflitto sanguinoso iniziato nel 2011 che ha sconvolto il Paese, provocando centinaia di migliaia di vittime e milioni di rifugiati. “Oggi ho incontrato il presidente del Libano Michel Aoun - conclude - e abbiamo parlato dell’avvenire della Siria. Sono Russia e Stati Uniti che si devono mettere d’accordo, perché non vi è possibilità alcuna di vincere con le armi. Un successo potrà essere raggiunto solo attraverso un consenso internazionale fra le grandi potenze, compresa l’Unione europea, sconfiggendo Daesh e preparando un futuro migliore per la nazione e il suo popolo”.
Durante il suo patriarcato, Gregorio III Laham ha accolto in Siria il pontefice polacco che il 6 maggio 2001 ha fatto il suo ingresso - primo papa della storia ad entrare in un luogo di culto musulmano - nella Grande Moschea degli Omayyadi a Damasco. Nell’area la tradizione suole collocare la tomba di san Giovanni Battista. Alla morte di Wojtyla è stato proprio Gregorio III a benedirne la bara, durante i funerali a Roma l’8 aprile 2005.
Il nome melkita (o greco-cattolica) indica i cristiani orientali di rito bizantino, legati a Roma dal 1724, che dispongono di un clero proprio e di un capo spirituale. Essa annovera fedeli non solo in Medio oriente (Siria, Libano, Giordania, Palestina), ma anche in Africa (soprattutto Egitto), in America del Nord, in Brasile e in Francia.