Il
futuro della Siria passa
per l’incontro che si terrà il 23 gennaio ad Astana,
capitale del Kazakistan. Qui si sono dati convegno russi,
iraniani e turchi per dare avvio ai negoziati tra il governo di
Damasco e i suoi oppositori, assenti ovviamente i gruppi terroristi
Isis e al Nusra, mentre non è ancora del tutto chiaro se
parteciperanno i curdi, che i turchi non vogliono.
Significativo
che sia stato scelto un giorno successivo all’insediamento
di Donald
Trump,
che diventerà formalmente presidente il 20, a rimarcare l’importanza
che ha per Mosca l’inizio di una nuova fase della politica
estera americana.
Trump
dovrebbe mollare la presa sulla Siria, questo almeno nei suoi
propositi elettorali, lasciando maggior libertà di azione ai russi e
abbandonando al loro destino i cosiddetti ribelli siriani (ovvero le
bande dei jihadisti ivi scatenate).
Questi
ultimi ne sono consapevoli, ed è il motivo per cui si sono convinti
ad accettare l’invito al tavolo di Astana, che comporta
un’accettazione previa della sussistenza di Assad al potere, cosa
prima inaccettabile (anche se forti saranno ancora le resistenze sul
punto).
Negoziati
senza Stati Uniti, a indicare il nuovo ruolo russo nella regione e la
parallela perdita di influenza di Washington. Ma Putin ha tentato la
mossa del cavallo, facendo filtrare la notizia di un possibile invito indirizzato agli americani. Ipotesi che non ha trovato risposta nella
controparte e che ha pure incontrato la netta e pubblica
opposizione iraniana.
Tra
Iran e Stati Uniti pesa la controversia legata all’accordo
sul nucleare stipulato
tra Teheran e l’amministrazione Obama, accordo che Trump
ha detto di voler denunciare. Una controversia esplosiva, che
evidentemente non poteva che essere motivo di scandalo anche
ad Astana.
Con
gli americani l’appuntamento è rimandato ai primi di febbraio,
a Ginevra,
dove si valuterà in chiave più globale quanto emergerà in
Kazakistan.
Detto
questo, è probabile che Trump dia il suo placet alle iniziative
patrocinate dalla Russia di comune accordo con la Turchia,
che da tempo ha legato il suo destino a Mosca.
Trump
troverebbe in questa disposizione un
certo consenso nell’apparato militare americano che, nel
segreto, da tempo valuta positivamente il ruolo di Mosca nella crisi
siriana, al contrario dei suoi dirigenti, come aveva rivelato in un
ponderato articolo il premio pulitzer Seymour Hersh.
Ma
avrebbe contro tutta quella parte di America che ha puntato tante
delle sue fiches sul regime-change siriano,
in particolare i neocon,
gran parte dell’apparato militare industriale (che ha fatto buoni
affari con questa guerra) e parte degli apparati di sicurezza.
Per
Trump, quindi, si tratterà di far fronte a non poche resistenze
interne, che però non dovrebbero influire sull’esito finale della
trattativa, che nel medio periodo dovrebbe chiudersi positivamente
(almeno in certa misura ché ri-stabilizzare la regione sarà
durissima).
Questo
perché Trump non può rischiare di rimanere impantanato nel
conflitto siriano: si è ripromesso di fare una vera e propria
rivoluzione in America e la Siria è l’ultimo dei suoi problemi.
Cosa che dovrebbe facilitare l’iniziativa dei russi e dei suoi
alleati.
Resta
appunto l’opposizione sorda degli apparati americani, ma anche
quella aperta delle Monarchie del Golfo, anzitutto l’Arabia
Saudita,
che rischia di essere l’unica sconfitta di questa partita di giro.
Tenterà di vender cara la pelle attraverso un rinnovato attivismo
delle sue pedine locali, leggi milizie
jihadiste.
Favorite
da queste resistenze pubbliche e meno pubbliche, anche le formazioni
dichiaratamente terroriste sono
tornate all’offensiva, cercando di sfruttare al massimo
le opportunità loro spalancate negli ultimi giorni
dell’amministrazione Obama.
Oltre
a perseverare nei consueti crimini contro la popolazione civile,
i terroristi di stanza in Siria hanno inquinato l’acqua di Damasco,
avvelenando le risorse idriche di milioni di persone…
Ma
la situazione che li vede più attivi è presso la città chiave
di Deir
Ezzor,
contro la quale l’Isis ha scagliato una massiccia offensiva.
Da tempo la città è sotto assedio, e la sua resistenza è diventata
una sorta di leggenda del conflitto. Ma stavolta sembra sul punto di
cadere, attaccata da circa 14mila attivisti del terrore.
Val
la pena, en
passant,
ricordare che sulle postazioni difensive della città aveva infierito
proditoriamente l’aviazione
americana, uccidendo oltre sessanta militari e consentendo
all’Isis un attacco che ne aveva minato nel profondo le difese,
oggi messe nuovamente a durissima prova.
Se
capitolerà, l’Isis riuscirebbe ad aprirsi un corridoio
strategico per congiungere i suoi domini siriani con quelli in Iraq,
nella speranza di ritagliarsi il sedicente Califfato la
cui nascita, bizzarria del destino, coinciderebbe con la
realizzazione di quel sunnistan tanto
agognato dai profeti neocon (basterà in futuro cambiare nome alla
gang criminale per tentare di rendere la nuova entità
politica accetta al mondo, come ha fatto di recente al
Nusra).
A
complicare le cose il convitato di pietra di questo
conflitto, Israele,
la cui destra, e non solo quella, da tempo vede questa guerra
come un’opportunità irripetibile per sbarazzarsi dell’odiato
Assad, da sempre percepito come nemico esistenziale.
Non
si rassegnerà facilmente al fallimento di tale prospettiva. Come ha
dimostrato l’inspiegabile, o spiegabilissimo, attacco compiuto una
settimana fa dalla sua
aviazione contro una base aerea militare
situata nei pressi di Damasco.
Segno
di pervicacia nella sua posizione anti-Assad, ma anche di nervosismo
per il cambiamento di scenario (val la pena accennare che si tratta
di un atto
di guerra,
al quale per fortuna Damasco non ha reagito: si sarebbe incendiata la
regione).
Sviluppi
tutti da decifrare, dunque, e però, nonostante tutto, ad Astana si
aprirà una nuova fase del conflitto, dove a dar le carte per la
prima volta sarà Mosca.
Ad
oggi quanti hanno sperato di rovesciare in maniera irrimediabile il
tavolo dei negoziati sono andati delusi, al massimo hanno prolungato
il conflitto. E la permanenza di Assad al potere rende tale
prospettiva stabilizzante sempre più provvisoriamente
definitiva.