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lunedì 6 aprile 2015

Radici e frutti, la fede siriana che non muore

Ricorre il 7 aprile il primo anniversario dell'assassinio del padre gesuita Frans van der Lugt a Homs






QUI SONO LE RADICI DEL CRISTIANESIMO


"Questo audiovisivo è stato scritto e realizzato da noi 20 anni fa , per mostrare ai nostri giovani cristiani della Siria le loro radici cristiane. E' stato proiettato ( seguito da scambi e dialoghi) centinaia di volte per tantissimi gruppi di ragazzi.  Lo pubblichiamo ora in rete per: 1- visualizzare il ricco patrimonio architettonico della Siria cristiana (le città morte del nord della Siria), che è, forse, stato demolito o saccheggiato; 2 - richiamare ai cristiani siriani che le loro radici sono qui in Siria; 3 - rispondendo all'invito del Papa che chiede che i cristiani d'Oriente non l'abbandonino "
Dura 15 minuti, la musica è bizantina liturgica.
 Nabil Antaki, per i fratelli Maristi di Aleppo






«Rimaniamo ad Aleppo perché qui è nata la fede»

L'appello dei Maristi blu
Dopo quattro anni di conflitti sempre più selvaggi, non si vede una soluzione. I siriani sono stanchi di una vita costantemente in pericolo, di vedere i loro figli crescere in questo clima e i giovani rassegnati a non avere futuro, di dover constatare che il loro Paese è sull’orlo della distruzione. Molti scappano dalle loro case e cercano rifugio dove è possibile, molti emigrano. Soprattutto i cristiani: ad Aleppo la metà di loro se ne sono già andati. 
Noi che restiamo, lo facciamo solo per la fede che ci anima, che ci permette di sperare contro ogni speranza. 

Viviamo con i piedi fondati sull’essenziale: «Non temere, ti porto nel palmo della mia mano, stabilisco con te la mia alleanza». La speranza che ci tiene in piedi, che ci permette di guardare a testa alta il male che scorre sotto i nostri occhi, è alimentata da Gesù che è morto sulla croce per noi, è resuscitato e vive in noi.



La Siria è stata la culla del cristianesimo. È qui che i seguaci di Gesù sono stati chiamati per la prima volta «cristiani ». Prima della guerra non c’erano tensioni tra cristiani e musulmani: tutti si sentivano siriani prima di “marcare” la loro appartenenza religiosa. Questa guerra non è mai stata un conflitto confessionale né un conflitto contro i cristiani, anche se i jihadisti in più di un’occasione si sono scagliati contro i cristiani. Anche oggi viviamo una grande fraternità con i musulmani. Nella nostra Ong dei Maristi blu ci sono volontari islamici che lavorano avendo come riferimento i nostri stessi valori. I beneficiari del nostro aiuto alimentare, medico, scolastico, sono sia musulmani sia cristiani. E i musulmani hanno condannato più volte e con nettezza i terroristi che dicono di agire in nome dell’islam. 

Tutti i siriani desiderano la pace e rimpiangono il tempo, un tempo non così lontano, in cui si viveva in un Paese stabile, sicuro, prospero e laico, che rispettava e tutelava tutti i cittadini al di là della loro etnia e dell’appartenenza religiosa.
I siriani sanno che questa è una guerra importata, e sono persuasi che essa, anziché produrre una primavera raggiante, è precipitata in un freddo inverno. Per raggiungere la pace è necessario anzitutto che lo vogliano gli attori “esterni”, chiudendo i rubinetti dei finanziamenti agli estremisti. È necessario che i “gendarmi del mondo” pongano fine ai loro interventi nefasti. Sono sotto gli occhi di tutti i risultati di tutti i conflitti combattuti da queste potenze dopo la seconda guerra mondiale: hanno avuto come risultato la distruzione. 



Quanto ai siriani, essi sapranno – quando verrà il giorno – fare pace tra di loro perché questo conflitto non è mai stato un conflitto tra siriani.

di Nabil Antaki,  Avvenire, 5 aprile 2015