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giovedì 14 novembre 2024

Da Guantanamo Bay alla prigione di Gweran (Siria nord-orientale). Decifrazione di un affare oscuro


Un articolo del 2023 e ... ancora oggi novembre 2024 la straziante agonia del popolo siriano continua

René Naba, 20 maggio 2023, Décryptage

Traduzione di Maria Antonietta Carta 

  • Gli Stati Uniti hanno trasferito nel nord-est della Siria lo schema di Guantanamo Bay , affidando il subappalto dei prigionieri dell’ISIS ai Curdi; centri di detenzione senza alcun controllo, nonostante i gravi abusi che vi si stanno consumando e la corruzione delle guardie curde.

  • L’estradizione dei prigionieri dell’ISIS in Turchia durante l’assedio di Baghouz nel marzo 2019 fu il risultato di una transazione finanziaria con le autorità curde nella zona autonoma della Siria nord-orientale.

  • 270 membri dell’ISIS sono riusciti non solo a fuggire dalla prigione, ma anche a raggiungere “aree sicure”, spesso armati di “ordini di missione” con il sigillo dell’autogoverno curdo.

  • La rete di comunicazione istituita all’interno della prigione di Gweran per collegare i prigionieri dell’ISIS al mondo esterno, comprese le comunicazioni cellulari, fu istituita con la tacita connivenza delle forze curde.

  • Le autorità curde de facto della zona autonoma hanno usato il caso della prigione sia per dissuadere Ankara dall’impegnarsi in un’operazione militare contro l’area curda, sia contro gli Stati Uniti per dissuadere Washington dal ritiro dalla Siria nord-orientale.

Il 20 gennaio 2022, lo Stato Islamico (ISIS) lanciava l’assalto alla più grande prigione di jihadisti nel nord della Siria, rilasciando centinaia di suoi veterani sotto il naso e in barba alle forze curde sostenute dai loro alleati americani.

Hassakeh, una città controllata dai Curdi nel nord-est della Siria, durante quattro giorni fu teatro di combattimenti molto violenti tra le Forze democratiche siriane e i combattenti dell’ISIS in seguito all’assalto islamista contro la gigantesca prigione di Gweran, il più grande campo di detenzione di ex jihadisti e delle loro famiglie. 185 persone furono uccise da entrambe le parti. A sostegno delle forze curde, la coalizione guidata dagli Stati Uniti aveva schierato elicotteri da combattimento che bombardarono ammutinati e sacche di resistenza. La minaccia fu “contenuta”, ma centinaia di prigionieri riuscirono a fuggire. Secondo la versione americana, cellule dormienti introdotte tra le guardie carcerarie avevano lanciato l’assalto, insieme ad autobombe, armando i prigionieri dall’interno e innescando quattro giorni di feroci combattimenti.

1- MIT turco dietro la rivolta dei prigionieri dell’ISIS

Lo spettacolare assalto dell’ISIS a una prigione di Hassakeh, in mano ai delegati curdi degli Americani, fu un’eccelente operazione di ‘’fumo mediatico’’ con un duplice scopo:

- Permettere alla Turchia di conquistare nuove porzioni di territorio siriano.

- Giustificare il mantenimento della presenza militare statunitense in quella zona petrolifera della Siria, senza alcuna base legale o giuridica, sostenendo la permeabilità del settore. 

Almeno questa è l'impressione che emerge dalla dichiarazione del signor Noury Mahmoud, portavoce delle YPG (Kurd People's Protection Units) non appena finita l'insurrezione dei prigionieri dell'ISIS. Il signor Noury Mahmoud accusò la Turchia di fomentare questa insurrezione al fine di occupare Hassakeh e altre città della zona per mezzo dei prigionieri dell’ISIS liberati durante l’assalto alla prigione. Egli disse che Il MIT, servizio segreto turco, ‘’avrebbe stanziato la somma di 15 milioni di dollari per il completamento di questa operazione”, aggiungendo che con la riattivazione dell’ISIS la Turchia intendeva rilanciare la minaccia terroristica presso l’opinione occidentale, ancora sensibile sull’argomento, e quindi giustificare il proseguimento dell’occupazione militare statunitense nonostante l’illegalità della sua presenza nel nord-est della Siria.

Sullo sfondo di una prova di forza tra gli Stati Uniti e la Russia e di una guerra psicologica tra i vari protagonisti del conflitto, la drammatica situazione della popolazione è rimasta nascosta, nonostante essa fosse anche peggiore di quella in cui vivevano i prigionieri di Guantanamo. I media si sono limitati a trasmettere le dichiarazioni delle varie organizzazioni siriane; le Nazioni Unite hanno deplorato la tragedia di decine di migliaia di sfollati a causa delle ostilità e l’UNICEF ha espresso la sua preoccupazione per il destino di 700 bambini nei piani superiori della prigione.

2- Un dramma che colpisce 60.000 persone... banalizzato.

Tuttavia, quella tragedia riguardava 60.000 persone (uomini, donne, bambini), stipati in condizioni disumane nei campi di 20 prigioni; ostaggi di un conflitto trattati da alcuni come appestati o usati da altri come pedine in un gioco di negoziati. Con il tempo, quella situazione anomala si è «normalizzata». In altre parole, è diventata banale.

I militari hanno occupato il posto della politica e degli organi rappresentativi. Mutatis mutandis, l'assuefazione a quel dato di fatto ha provocato una assuefazione simile per la situazione di decine di migliaia di detenuti nelle carceri siriane; vale a dire la normalizzazione o addirittura la banalizzazione del loro status di detenuti; una banalizzazione correlata alla situazione di diverse migliaia di persone incarcerate nelle 11 prigioni costruite dai servizi di sicurezza di Jabhat al-Nusra. La presenza di un numero così elevato di prigionieri implicava che una soluzione politica poteva essere raggiunta solo attraverso negoziati tra combattenti corrotti e con le mani macchiate di sangue.

Gli organismi istituiti dai Curdi per amministrare la regione autonoma ad est dell’Eufrate sono passati sotto il diretto controllo dei leader militari, compresi i giacimenti petroliferi e le aree agricole. Di conseguenza, la maggioranza della popolazione araba ad est dell’Eufrate si è trovata, de facto, sotto l’autorità dell’esercito curdo; senza alcun contatto con un’amministrazione civile. Personale militare che non concede alcun riconoscimento della loro specificità, criminalizzandoli e accusandoli di appartenere all’ISIS se esprimono un qualsiasi reclamo.

3 - Gli Stati Uniti e l'attuazione del sistema di rendering nel nord-est della Siria.

Gli Stati Uniti hanno replicato il sistema di rendering nella Siria nord-orientale, affidando ai loro delegati curdi il subappalto dei prigionieri ingombranti. Il termine ‘’rendition’’ si riferisce infatti all’azione di trasferimento di un prigioniero da un Paese all’altro, al di fuori del quadro giudiziario; in particolare al di fuori delle normali procedure di estradizione. Questo termine è stato pubblicizzato come parte della “guerra al terrore”, in particolare sulle operazioni della CIA nel contrabbando di prigionieri, a volte precedute da un rapimento. Questi trasferimenti sono regolarmente associati a una sorta di “esternalizzazione” della tortura, con gli Stati Uniti che torturano i prigionieri nei Paesi alleati mentre la vietano sul loro territorio. Le persone interessate sono talvolta detenute in prigioni segrete della CIA al di fuori del territorio degli Stati Uniti (noti anche come “siti neri”).

Nel mondo arabo, l'Egitto sotto la presidenza di Hosni Mubarak, il Marocco durante il regno di Hassan II e la Giordania durante il regno del re Hussein praticarono il sistema di ‘’rendering’’ per conto degli Stati Uniti alla fine del XX secolo.

Nel ventunesimo secolo, gli Stati Uniti hanno replicato questo modello con i loro alleati curdi nel nord della Siria.

Per molteplici motivi, relativi sia alla situazione in Medio Oriente sia per ragioni di politica interna americana, gli Stati Uniti intendono rimanere in Siria, benché la loro presenza non abbia alcuna base giuridica, applicando la strategia “zero morti”. 

A- Una transazione commerciale alla base di un obiettivo militare: il petrolio siriano è una fonte di finanziamento per i carcerieri curdi nel nord-est della Siria.

A tal fine, gli Stati Uniti hanno fatto ricorso al ‘’rendering’’ nel nord della Siria affidando il trattamento dei prigionieri ingombranti ai Curdi e imponendo le “Forze democratiche della Siria” per questo compito, ma di fatto l’apparato di sicurezza e le YPG (Durd People’s Protection Units) sono sotto il controllo americano. In cambio, come ricompensa per questa prestazione, gli Stati Uniti assicurano ai Curdi i proventi delle risorse energetiche siriane (petrolio e gas) per finanziarsi e ridurre di conseguenza le spese americane in questo settore. Una transazione commerciale per un obiettivo militare. Di conseguenza, i Curdi si assumono la responsabilità degli eventi che si svolgono nell’area del loro dispiegamento, dei campi di raggruppamento della popolazione e delle prigioni. Allo stesso tempo, l'FBI è pronta, in caso di necessità, a dare una mano ai subappaltatori curdi degli Americani. 

B- Vetted Syrian Opposition (Opposizione siriana autorizzata) o Processo di rispettabilità degli alleati USA in Siria, i gruppi terroristici e i delegati curdi.

Mai privi di immaginazione quando si tratta di realizzare i loro progetti, gli Stati Uniti hanno creato una sorta di etichetta AOC (designazione di origine controllata), per conferire rispettabilità ai gruppi terroristici islamisti che intendeva utilizzzare. Ad esempio, Jabhat al-Nusra, il franchising siriano di al-Qaïda, ha beneficiato dell’etichetta “VSO” – Vetted Syrian Opposition – per beneficiare del diritto di partecipare alla coalizione dell'opposizione off-shore petro monarchica. Per sopraggiunta, gli Stati Uniti si sono impegnati a conferire una «rispettabilità» ai loro subappaltatori curdi attraverso l'apertura nella capitale della zona curda di missioni di rappresentanza dei Paesi membri della «Coalizione internazionale contro l’ISIS», favorendo inoltre visite sul campo di una decina di consoli con il pretesto di informarsi sulla sorte dei loro cittadini detenuti nelle carceri curde, o ancora la ricezione da parte delle autorità curde di personalità occidentali.

4- Il passaggio ai fatti: Il bersaglio, una prigione di 3.600 prigionieri dell’ISIS e 700 minori.

Il passaggio all'azione è avvenuto sullo sfondo di quello spettacolare dispiegamento di menzogne offerto all'opinione internazionale per abusarne. Due volontari dell’ISIS, Abu Abdel Rahman e Abu Farouk della Brigata Muhajirin (un gruppo armato jihadista composto da diaspore musulmane e molto attivo dal 2013 al 2015 durante la ‘’guerra civile siriana’’) furono impegnati in un’operazione suicida con due autobombe, colpendo le mura della prigione di Gweran, un ex istituto industriale di Hassakeh trasformato in centro di detenzione che ospitò 3.600 membri dell’ISIS e 700 minori.

Quell’assalto ha riportato sotto i riflettori la Siria, con la consueta processione di esperti sul fenomeno del terrorismo e le loro speculazioni sui danni collaterali, tra cui i rifiuti umani e guerra al terrore. Se gli Stati Uniti non si fossero subito impegnati in un'operazione commando per eliminare Abdallah Quraysh, il successore del capo dell'ISIS Abu Bakr al-Baghdadi, la Siria sarebbe stata nuovamente cancellata dall'attualità e la tragica sorte delle prigioni e dei campi di contenimento per le famiglie dei detenuti sarebbe stata occultata allo stesso modo.

5- Il precedente della prigione irachena di Abu Ghraib.

Il 'Baghdad Central Detention Center', meglio conosciuto come Abu Ghraib Prison, era una prigione della città di Abu Ghraib, 32 km a ovest di Baghdad. Fu usata dagli Statunitensi come centro di tortura per i detenuti iracheni. Lo scandalo Abu Ghraib, scoppiato nel 2004 in seguito alla trasmissione di foto delle torture inflitte dall’esercito USA ai prigionieri iracheni causò il trasferimento della prigione alle autorità irachene nel 2006.

mercoledì 9 ottobre 2024

Seymour Hersh: I miei incontri con Nasrallah

Un soldato di Hezbollah durante la campagna militare in Siria contro i miliziani di Al Nusra saluta la statua di Gesù.  Fu grazie all'impegno degli Hezbollah che molti villaggi cristiani del Qalamoun siriano furono liberati dai takfiri fanatici.
 

da Mondialisation.ca, 2 ottobre 2024 - di Seymour Hersh

Traduzione di Maria Antonietta Carta 

Il leader di Hezbollah assassinato aveva una visione per il suo Paese

Nel 2005, Bush truccò le elezioni irachene per garantire che i sunniti avessero la maggioranza dei voti. Le schede elettorali, non certo vuote, erano state stampate negli Stati Uniti e trasportate con un aereo in Iraq.

Devo ammettere che Hassan Nasrallah mi era piaciuto. Avevo avuto alcune lunghe conversazioni con lui, iniziate nell'inverno del 2003 pochi mesi dopo l’invasione americana dell’Iraq voluta da George W. Bush e Dick Cheney due anni prima, dopo l’11 settembre, anche se l’Iraq era governato dal laico Saddam Hussein, che non aveva alcun legame con al-Qaeda.

Lavoravo per il New Yorker e mi interessava la guerra al terrorismo. Ciò mi aveva condotto a Berlino, quella primavera, per una colazione sull’ 11 settembre con August Hanning, capo dei servizi segreti tedeschi. Non furono necessari i preliminari: Hanning e io sapevamo che avremo parlato solo di questioni sostanziali.

A un certo punto, interrogai Hanning sulla strana relazione, di cui ero venuto a conoscenza, tra l’ex primo ministro Ehud Barak, che durante la sua brillante carriera militare era stato comandante del Sayeret Matkal, l’unità di commando più segreta di Israele, e lo sceikh Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah, la milizia sciita con sede nel sud del Libano. C’era stato uno scambio di prigionieri tra Israele e Hezbollah, che ha avuto luogo dopo numerose conversazioni tra Nasrallah e Barak, che si era rifiutato di restituire uno dei prigionieri. I colloqui di Nasrallah con Israele attraverso Hanning continarono con Ariel Sharon, che sostituì Barak come primo ministro nel 2001. Si trattava di una notizia sbalorditiva. Sharon aveva guidato l’attacco israeliano al Libano nel 1982, svolgendo un ruolo chiave nel famigerato massacro di due campi profughi palestinesi in quel Paese. Nasrallah e lui formavano un duetto molto strano.

Non presi appunti durante quella colazione, ma fu Nasrallah a interessarmi maggiormente. Avevo amici a Beirut, che conoscevano i dirigenti di Hezbollah, e riuscii a organizzare un incontro. Non ricordo dove si svolse il primo incontro, ma le condizioni della sicurezza non erano molto buone, come scrissi in seguito nel New Yorker dopo la feroce guerra del 2006 senza vincitori tra Israele e Hezbollah. In quel primo incontro c’era stato un semplice controllo di sicurezza: la mia giacca fu perquisita e il mio vecchio registratore aperto ed esaminato velocemente.

Nasrallah era un uomo paffuto e gradevole, nel suo abito religioso. Gli chiesi, attraverso un interprete, se si considerava un terrorista o un combattente per la libertà nelle sue incessanti schermaglie al confine con Israele. Mi disse che il suo esercito aveva attaccato i soldati israeliani lungo il confine e lo avrebbe fatto di nuovo in caso di guerra. Mi sorprese aggiungendo che, se gli Israeliani e i Palestinesi che vivevano sotto l’occupazione israeliana fossero stati in grado di ottenere pieni diritti e concludere un accordo di pace degno di questo nome, egli avrebbe naturalmente onorato quell' accordo. Furono serviti tè e biscotti, e lui aveva insistito che li prendessimo, spingendo il vassoio verso di me. In sintesi, la discussione si limitò all’esposizione del suo punto di vista sulla guerra americana in Iraq. Nasrallah predisse che la rapida vittoria degli Americani sarebbe stata seguita da anni di guerra dura e che l’esercito iracheno smantellato si sarebbe alleato con l’opposizione tribale e politica. Aveva proprio ragione.

Incontrai Nasrallah una seconda volta qualche settimana prima delle elezioni parlamentari in Iraq, il 30 gennaio 2005. Quelle furono le prime elezioni generali dopo che gli USA rovesciarono Saddam e, come ho riferito in seguito, l’amministrazione Bush si adoperava in tutti i modi per truccare le elezioni e garantire che i candidati sunniti favoriti dalla Casa Bianca ottenessero la maggioranza dei voti. Un amico dei servizi segreti statunitensi mi informò che le schede elettorali solo presuntamente vuote, erano state stampate negli Stati Uniti e trasportate con un aereo in Iraq.

Nasrallah era divertito per la stupidità di Washington, che aveva inviato diplomatici e altri funzionari in Iraq che non conoscevano bene il Paese e non parlavano l’arabo. Mi disse che l’America non aveva idea di come tenere le elezioni e sembrava credere che il partito vincente avesse bisogno della maggioranza del 50% o più. Poi mi spiegò che il partito vincitore sarebbe stato sciita e avrebbe ottenuto il 48,1% dei voti. “Gli Americani, mi disse, non sanno come organizzare un’elezione qui”. (La trascrizione del testo di questa intervista insieme alle altre interviste con Nasrallah sono conservate in 95 cartelle dei miei documenti e non possono essere visualizzate su due piedi). Le elezioni furono vinte dallo sciita Ibrahim al-Jaafari con il 48,19% dei voti.

Le elezioni erano state per lo più boicottate dagli arabi sunniti e in una circoscrizione sunnita chiave votò solo il 2% degli iscritti. La comunità sunnita aveva chiaramente capito che le elezioni sarebbero state truccate, a differenza della comunità diplomatica e militare statunitense. Il giorno delle elezioni ci furono almeno 44 morti nei pressi dei seggi elettorali. Avevo scritto un libro in cui sostenevo che Jack Kennedy aveva truccato un'elezione a Chicago, ma non avrei mai pensato di chiedere a Nasrallah come avrebbe vinto al-Jaafari. Egli fu in grado di prevedere il punteggio entro un decimo di punto.

La mia ultima visita a Nasrallah avvenne nel dicembre 2006, mesi dopo che Hezbollah aveva combattuto un Israele sbigottito in una guerra brutale. (Il fallimento di quella battaglia contribuì a preparare Israele per il giorno in cui il suo primo ministro, come ha fatto la scorsa settimana, avrebbe chiamato a un assalto massiccio.)

Nasrallah era in clandestinità dalla fine della guerra del 2006. Presi un taxi per il luogo dell’incontro nel sud di Beirut, dove vivono molti sciiti e dove un collaboratore di Hezbollah mi condusse fino a un parcheggio. Lì, fui perquisito con uno scanner portatile, messo sul retro di una berlina scura con finestre bloccate, condotto verso altri due o tre parcheggi, cambiando auto ogni volta, e infine al parcheggio di un moderno condominio. Fu più interessante che allarmante e non collegai immediatamente l’ipersicurezza alla guerra con Israele. Una volta nel parcheggio giusto, fui scortato fino a un ascensore che mi trasportò direttamente all'ultimo livello di quello che sembrava essere un edificio di 12 piani. Compresi che il successo di Hezbollah nella sua lotta contro Israele lo aveva reso un eroe per gli sciiti e i sunniti. Nasrallah respinse un assistente che voleva sottomettermi a una perquisizione completa del corpo. Mi sorpresi per le misure di sicurezza e gli chiesi: “Cosa sta succedendo, cazzo?”, ma in termini più educati. Mi spiegò che la guerra dell’estate era iniziata quando aveva ordinato il rapimento di due soldati israeliani durante un raid transfrontaliero. Era stato un errore. “Volevamo solo catturarli per uno scambio di prigionieri, mi disse, non abbiamo mai voluto trascinare la regione in guerra”.

Quando riprendemmo la conversazione, intorno a tè e biscotti, Nasrallah, chiaramente irritato, accusò il presidente Bush per il suo obiettivo di “fare una nuova mappa della regione” dividendo il Medio Oriente, dove molte religioni convivono pacificamente da molto tempo, in due Stati separati: uno sunnita e l’altro sciita. “Tra uno o due anni ci saranno aree totalmente sunnite e altre completamente sciite e completamente curde. Anche a Baghdad c’è la preoccupazione che la città sarà divisa in due aree, sunnita e sciita”.

Pochi mesi dopo, in un lungo articolo, ispirato dalla mia intervista a Nasrallah, una testimonianza poco conosciuta del Congresso e colloqui a Washington e in Medio Oriente sulla decisione dell’amministrazione Bush di “riconfigurare le sue priorità in Medio Oriente”, scrivevo: “In Libano l’amministrazione ha collaborato con il governo saudita, amministrato dai sunniti, nelle operazioni segrete per indebolire Hezbollah, l’organizzazione sciita sostenuta dall’Iran. Gli Stati Uniti hanno anche partecipato a operazioni segrete contro l’Iran e il suo alleato, la Siria. Queste attività hanno rafforzato i gruppi estremisti sunniti che aderiscono a una visione militante dell’Islam, sono ostili all’America e simpatizzano con Al Qaeda”.

Il segretario di Stato Condoleezza Rice, uno dei leader della nuova politica estera degli Stati Uniti, parlò alla Commissione Affari Esteri del Senato di “un nuovo allineamento strategico in Medio Oriente, che avrebbe separato i riformatori dagli estremisti”. La maggior parte dei sunniti veniva situata al centro della corrente moderata, mentre l'Iran sciita, Hezbollah, la Siria sunnita e Hamas stavano dall'altra parte. Qualunque cosa si possa pensare dell’analisi della Rice, un cambiamento nella politica ebbe luogo e alla fine portò l’Arabia Saudita e Israele sull’orlo di una nuova alleanza strategica attraverso gli accordi di Abramo. Entrambe le nazioni consideravano minacce esistenziali l’Iran e Hezbollah. I Sauditi, scrissi all’epoca, credevano che una maggiore stabilità in Israele e Palestina avrebbe ridotto l’influenza dell’Iran nella regione.

Questo articolo fu pubblicato oltre diciassette anni fa. È sorprendente come il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu abbia oggi distrutto quella fragile opportunità di riallineamento politico in Medio Oriente, in particolare con un Iran ora guidato da un presidente moderato e lungimirante che potrebbe presto essere nella lista degli obiettivi di Netanyahu.

Non sapremo mai se Nasrallah, nato in Libano, che mi disse più di una volta che era determinato a coinvolgere Hezbollah nella vita politica, economica e sociale del suo Paese, sarebbe riuscito a farlo. La prospettiva attuale, con un Israele nel mezzo di un’offensiva terrestre e aerea, sembra molto cupa e mortale.

Seymour Hersh

https://www.mondialisation.ca/mes-rencontres-avec-nasrallah-seymour-hersh/5692796?doing_wp_cron=1728483821.7733230590820312500000

sabato 31 agosto 2024

Memorie di Siria. Un giorno nel villaggio di ‘Ain ‘Issa

Nizar Ali Badr - Syrian Artist


Di Maria Antonietta Carta



Dopo aver attraversato l’animata pianura di Latakia e i profondi silenzi e i respiri del verdeggiante Jebel costiero che separa la Siria mediterranea dalla Siria asiatica, arrivo al villaggio turcomanno di ‘Ain ‘Issa. Anch’esso silenzioso, ma di un silenzio diverso. Un silenzio che mi sembra parli di solitudine e di abbandono. Vecchie case di fango e legno e alcune case nuove costruite con brutti blocchi di cemento nudo. In una strada quasi deserta alcune galline passeggiano indisturbate nella polvere.

La maggior parte degli abitanti ha lasciato il villaggio per vivere in città. Sono rimasti in pochi. Gli anziani si vestono ancora con lo shirual introdotto in Siria dagli Ottomani. Dei giovani indossano i jeans: il loro viaggio in Occidente. E le donne? Le donne sembrano rassegnate; invece non lo sono, penso, osservando povere finestre e muri grigi colorati da armoniose ghirlande di peperoncini e melagrane e sentendo il dolce profumo dei fiori piantati in vecchi barattoli e taniche, come in Sardegna quando ero piccola e stavamo uscendo dalla guerra.

Entro in un’umile casa nuova e siedo tra uomini che devono raccontarmi le loro fiabe. Prima bisogna celebrare il rito dell’ospitalità.

- Ahlein-u-sahlein! Kifek? Inshallah mabsūta, hone! - Benvenuta. Come stai? Se Dio vuole sei contenta qui!

- Che Dio vi dia la salute. È un posto bellissimo.

- Che cosa preferisci bere, tè o caffé?

- Del tè, grazie.

In attesa che il tè arrivi, inizio a preparare il magnetofono. Gli sguardi seguono i gesti delle mie mani. Entra una ragazza con il fazzoletto in testa e un largo pantalone con l’elastico alle caviglie sotto un vestito a colori sgargianti. Le sue mani, che portano un vassoio con bicchieri e teiera, sono giovani e già stanche.

Mi rivolge un brevissimo, timido sorriso, posa il vassoio su un tavolino e lascia la stanza. ’Dov’è la presa della corrente? ‘, chiedo.

Me la indicano e inserisco la spina. I volti degli uomini che siedono tutti composti in attesa sono un poco divertiti, curiosi e anche intimiditi, o perplessi?

- Chi vuole raccontarmi una storia? – chiedo. Si guardano, si schermiscono, tacciono. Io aspetto. Ormai sono abituata ai loro prologhi muti.

- Su! Padre, raccontale di quella volta che incontrasti una jinn. - esorta finalmente il padrone di casa, rivolto al vecchio genitore, che continua a stare zitto. Io aspetto in silenzio. Il tempo, in Siria, non si misura con il mio metro.

Bisogna dimenticare l’impazienza. Ho dovuto imparare a saper attendere.

Il vecchio siede al mio fianco con le gambe incrociate sopra una stuoia e la schiena appoggiata alla parete. Si accarezza il mento, porta il busto in avanti, sistema i gomiti sopra le ginocchia e, finalmente, mi rivolge uno sguardo. Ancora in silenzio. Poi osserva gli altri, anche loro in attesa.

- Deve essere una storia straordinaria. - dico.

- Lo è davvero. Ed è una storia vera - conviene lui, e finalmente comincia a raccontare.

- Questo fatto mi è successo trenta anni fa tornando a casa da un viaggio. Appena buio, decido di fermarmi a riposare. Allora i viaggi li facevamo a piedi. Solo i ricchi avevano i cavalli. Hai visto quella montagna, che sta di fronte alla nostra, dove adesso inizia la Turchia?

- Sì.

- Mi trovavo proprio lì quella notte. Allora era Siria. Prima che i Francesi la dessero alla Turchia.


Già! Regalarono alla Turchia una delle regioni più fertili e ricche di storia della Siria. La strafottenza criminosa dei ‘portatori di civiltà’ penso.

 Nella stanza accanto, la cucina, le donne chiacchierando ad alta voce preparano il pranzo. Effluvi di coriandolo, cipolle fritte, menta fresca, timo, e aglio annunciano piatti di burghul e lenticchie, cetrioli con delizioso yogurt appena fatto, sottili focacce cosparse di sesamo o pasta di peperoni rossi messe a cuocere alla parete di un neolitico forno verticale in terracotta collocato nel cortile, palline di formaggio acido ricoperte di timo macinato e asciugate al sole. Cibi millenari. Pietanze di una sublime semplicità.

Mi alzo per chiudere la porta accostata, ma le voci delle donne indaffarate a preparare il cibo da offrire in segno di accoglienza la attraversano e continuano ad accompagnarci. Penso alle nostre sapienti progenitrici, che sapevano scoprire la bontà dei frutti della terra e a queste donne che ne tramandano esperienze e gesti. Il vecchio riprende a raccontare.

Trovo riparo per la notte sotto un albero vicino a una sorgente. Tutto è deserto. C’è soltanto la luce della luna. Mi viene fame. Ho delle patate e inizio a sbucciarle. Sono forse le otto e tutto è deserto. C’è soltanto la luna in cielo, ma dal nulla ecco la voce di una donna!

- Che cosa fai, fratello, prepari la cena? - mi chiede.

Io alzo la testa e vedo la donna davanti a me. È una ragazza con un vestito bianco. Quel vestito bianco è lucente come la neve e gli occhi hanno luminose pupille verticali. ‘Da dove è uscita?’ penso. Nella montagna non ci sono villaggi, né case, né niente di niente.

- Si sorella, preparo la cena. - le rispondo.

Lei ha in mano una brocca bianca, bianca come la neve e anche le sue mani sono bianche.

- Vengo per l’acqua.- mi dice. Poi riempie la brocca e mi ordina:

- Su! Alzati! Alzati! Andiamo che ti do io da mangiare.

- No. Non importa.- le dico, chiedendomi cosa poteva darmi da mangiare se in quel luogo non c’era niente: né villaggi, né case. Nulla! Lei ripete:

-Alzati! Alzati!

Così mi alzo e insieme arriviamo in cima alla montagna; ed ecco che mi appare una casa bianca bianca. Per Dio! È una casa bianca come la neve.

Lei apre, entra e mi porta un piatto di zuppa gialla come la cera e anche un cucchiaio dicendomi:

- Mangia! fratello. - Io mangio e questa zuppa ha un sapore delizioso. Un sapore così meraviglioso non l’ho più sentito in vita mia. Mangio fino a saziarmi, ma lei insiste:

- Mangia! Mangia ancora.

- No! Non posso! Sono sazio. - le dico.

Tutto questo ha preso un bel po’ di tempo. Cioè, è trascorso molto tempo.

Così le dico: - Me ne vado a dormire.

- Bene! Ti accompagno fino all’albero.- dice lei.

- No! Non è necessario.- le dico. Giuro che le ho detto così, ma lei mi accompagna fino all’albero e lì mi fa vedere la mia casa. Era davvero la mia casa! E dopo un momento non c’era più! Scomparsa insieme alla donna.

Il giorno seguente, appena arrivato qua, al villaggio, racconto quello che mi è successo nella montagna. Tutti mi dicono: ‘Magari non avessi raccontato niente.’ Certo fu una cosa molto strana. O era una jinn o … Ancora adesso, dopo tanti anni, non riesco a capire chi era la creatura con gli occhi di gatto e in che mondo ero entrato quella notte.”  

Dopo pranzo e dopo aver rigovernato, anche le donne, un po’ serie e un po’ facete, mi hanno raccontato le loro fiabe mentre sorseggiavamo del caffé profumato al cardamomo. Mi hanno anche parlato della loro difficile vita nel villaggio e hanno voluto sapere della mia vita a Latakia. Mi hanno offerto una rosa appena colta, il dono prezioso di una calda accoglienza e di un abbraccio quando ci siamo congedate al tramonto.  

giovedì 8 agosto 2024

Il riavvicinamento di Erdogan ad Assad potrebbe segnare la fine della guerra in Siria

Mentre la Turchia cerca di unirsi alle nazioni arabe nella normalizzazione delle relazioni con Damasco, gli Stati Uniti dovrebbero prepararsi a lasciare la Siria

Joshua Landis e Hekmat Aboukhater, 29 luglio 2024

Traduzione dall’inglese di Maria Antonietta Carta

Le aperture della Turchia al presidente siriano Bashar al-Assad, la riammissione della Siria nella Lega araba, l'elezione del riformista iraniano Masoud Pezeshkian e la guerra infinita a Gaza indicano la necessità per gli Stati Uniti di ricalibrare la propria politica sulla Siria. Washington deve accettare il fatto che l'intera regione sta normalizzando le relazioni con Damasco e Assad. L'attuale politica degli Stati Uniti basata sul cambio di regime a Damasco è fallita. La risoluzione 2254 delle Nazioni Unite, che chiede una transizione democratica in Siria per portare l'opposizione siriana al potere, non ha alcuna possibilità di successo così come il progetto di separare la Siria dall'Iran. Non è più realistico il tentativo di stabilire un'enclave curda quasi indipendente nel nord-est della Siria, osteggiato da tutti i suoi vicini più potenti e in particolare dalla Turchia. Ognuna di queste tre politiche (cambio di regime, arretramento dell'Iran e preservazione di uno staterello curdo nel nord-est della Siria) si basava sul successo del cambio di regime a Damasco. Oggi, nessuna di queste ha senso. Con una presenza limitata di 900 soldati, Washington ha aiutato le Forze Democratiche Siriane (SDF), milizia guidata dai Curdi, a mantenere il controllo su un quarto della Siria nord-orientale , granaio e riserva petrolifera del Paese. Mentre l'intento iniziale era la lotta all'ISIS, la nuova politica tacita è ora quella di "ripristinare" l'Iran bloccando il principale anello della catena dell'"Asse della resistenza": la Siria. Con l'elezione di Pezeshkian, che ha indicato apertura verso l'Occidente e il desiderio di impegnarsi nuovamente con gli Stati Uniti in materia di trattato nucleare e sanzioni, Washington dovrebbe andargli incontro a metà strada.

Erdogan accetta la vittoria di Assad

Attraverso il suo confine meridionale, la Turchia, il più grande attore straniero nella guerra, aveva stabilito quella che oggi è conosciuta come la "Jihadi Highway". Questa rotta coordinata facilitò i viaggi dei terroristi dagli aeroporti internazionali turchi alle città di confine e l’introduzione di armi in Siria. Daghestani, tunisini, britannici e altri, vi confluirono per unirsi all'ISIS e ad altre formazioni jihadiste con la benedizione turca. Le conseguenze indesiderate del sostegno di Erdogan ai combattenti islamici si sono presentate alla sua porta. Ondate di rifugiati hanno attraversato il confine verso la Turchia in fuga dalla guerra civile siriana. Oggi, la Turchia sta lottando con tensioni sociali esacerbate dalla presenza di 3,7 milioni di rifugiati siriani nel Paese. Nonostante abbia ricevuto più di 11 miliardi di dollari dall'UE e dagli Stati Uniti per gestire la crisi dei rifugiati, Erdogan ha recentemente deciso che è giunto il momento per la loro partenza. Oltre alla questione dei rifugiati, egli ritiene inaccettabile lo status quo mantenuto dagli Stati Uniti nel nord-est della Siria. Il presidente turco ha chiarito che considera una condanna un'altra regione curda indipendente al confine meridionale del suo Paese, e nel 2017 e nel 2019 ha dimostrato quanto fosse disposto ad arrivare per bloccarla: l'operazione 'Scudo dell'Eufrate' e la ' Sorgente di pace', pubblicizzate come impegni essenziali per la sicurezza nazionale turca, hanno visto l'esercito turco invadere la Siria settentrionale e interrompere i collegamenti tra i tre cantoni curdi di Afrin, Kobani e Jazireh. Dopo aver sostenuto la rimozione di Assad per 12 anni, Erdogan riconosce ora che il presidente siriano è inamovibile e lo preferisce sul suo confine meridionale a un'enclave curda indipendente. Di conseguenza, questo luglio, Erdogan ha invitato Assad a una visita di stato ufficiale a Istanbul. Si è offerto di invitare i Russi come mediatori e ha affermato che è possibile una piena normalizzazione diplomatica tra i due Paesi. Sebbene Assad si rifiuti di incontrare Erdogan senza prima ricevere l’impegno che la Turchia ritirerà le sue truppe dal territorio siriano, ha dimostrato il suo interesse per questa eventualità. Egli è ansioso di ristabilire la sovranità siriana sulle terre che ha perso a causa delle forze ribelli e degli eserciti stranieri. Una ripresa del commercio con la Turchia fornirebbe anche un'ancora di salvezza tanto necessaria alla malata economia siriana.

Assad è anche ansioso di avere un alleato nell'imminente confronto con i Curdi sostenuti dagli USA nel nord-est della Siria e cerca di sfruttare la minaccia di un'invasione turca nel territorio controllato dalle SDF per negoziare un accordo con i Curdi siriani. Assad ha chiarito che non permetterà ai Curdi di mantenere il proprio esercito, un risultato che essi non accetteranno mai finché le forze statunitensi rimarranno nel nord-est della Siria per garantire la quasi indipendenza della regione. Washington, tuttavia, non può tenere le sue truppe in Siria per sempre e ha chiarito ai Curdi che non li aiuterà a stabilire uno Stato indipendente. Con la nuova amministrazione statunitense che prenderà il potere nel 2025, è giunto il momento del loro ritiro

Decisioni critiche per Washington

Mentre la guerra a Gaza si avvicina al primo anniversario, la politica e la credibilità degli Stati Uniti in Medio Oriente sono in netto declino. L’ira turca contro gli Stati Uniti è aumentata da quando hanno iniziato ad armare i Curdi siriani alla fine del 2014. La creazione di una regione autonoma guidata dai Curdi nel nord-est della Siria poco dopo, seguita dalla creazione delle Forze democratiche siriane (SDF) armate e addestrate dall’esercito USA, ha solo esacerbato la situazione. Gli Stati Uniti hanno una opportunità, usando la revoca delle sanzioni per ottenere un accordo favorevole firmato tra le SDF e il governo siriano. In un tale accordo, i Curdi manterrebbero un minimo di autonomia in cambio del ripristino della sovranità da parte del governo siriano. Dopo tutto, i Curdi siriani preferiranno sempre vivere sotto il governo siriano piuttosto che sotto quello della Turchia. Inoltre, gli Assad hanno sempre fatto affidamento sui Curdi per tenere a bada le tribù arabe della regione. Il presidente Assad ha bisogno dei Curdi per governare il nord-est proprio come ha bisogno di loro per garantire che né al-Qaeda né l'ISIS ritornino. In breve, c'è un accordo da fare tra i Curdi e Damasco; gli Stati Uniti possono usare la loro influenza per assicurarsi che sia il migliore possibile. Un ritorno all'accordo di Adana del 1998 tra Siria e Turchia sarebbe il risultato a lungo termine più probabile. Favorito dagli Stati Uniti, esso ha garantito l'unico periodo di stabilità nelle relazioni turco-siriane durante glii ultimi 100 anni. Per quanto riguarda la questione dei rifugiati, considerando i recenti attacchi ai Siriani che vivono in Turchia, il governo USA deve considerare la seguente questione: è nell'interesse degli Stati Uniti che alcuni dei 3,7 milioni di rifugiati tornino in una Siria economicamente forte che ha la scure delle sanzioni economiche allontanata dal collo, o che fuggano da una Turchia sempre più ostile in un viaggio pericoloso su gommoni diretti in Europa, creando così una seconda crisi dei migranti e rafforzando ulteriormente l'estrema destra europea?

La risposta sembra chiara. Allinearsi ai nostri alleati

Un accordo di allentamento delle sanzioni con il governo siriano aiuterebbe a garantire i diritti dei Curdi e, altrettanto importante, stimolerebbe abbastanza l'economia da convincere alcuni rifugiati siriani a tornare e impedire ai residenti siriani di andarsene. Gli Stati Uniti non dovrebbero resistere alla volontà dei loro alleati arabi e turchi che cercano la normalizzazione e il ritorno dei Siriani nella loro patria. Molti degli alleati europei degli Stati Uniti sono anche ansiosi di riprendere le relazioni diplomatiche con Damasco e revocare le sanzioni. Otto Paesi dell'UE hanno recentemente presentato un documento per proporre che l'UE rinnovi i legami diplomatici con il governo di Assad, sostenendo che la politica europea di "cambio di regime" e sanzioni è "fallita". "I passi compiuti finora", sottolineano, "hanno danneggiato principalmente i civili e non il regime e le autorità". I ministri degli esteri chiedono una nuova politica che crei "una realtà in cui i residenti hanno la volontà e l'interesse di rimanere in Siria o tornarci". Solo revocando le sanzioni l'economia siriana potrebbe ricominciare a crescere e la speranza in un futuro più luminoso ad alcuni dei Siriani che vivono in povertà, il 90%. Se gli Stati Uniti continueranno a ostacolare il processo di normalizzazione perseguito dai loro più stretti alleati, Washington verrà spinta fuori dalla regione. Il tentativo di Erdogan di riallacciare la sua antica amicizia con Assad è guidato dal desiderio reciproco di vedere le truppe statunitensi fuori dalla Siria nord-orientale. Gli Stati Uniti danneggeranno solo se stessi e i loro alleati del Golfo e dell'Europa resistendo a questo intento.

Per quanto riguarda l'Iran, gli Stati Uniti devono trovare un accordo. Non sarà facile, ma il nuovo governo riformista guidato da Pezeshkian presenta un'apertura che dovrebbe essere esplorata. La politica degli Stati Uniti nei confronti della Siria è rimasta impantanata nella guerra ombra tra Israele e Iran. A lungo termine, solo una tregua tra i due garantirà la stabilità regionale. Mentre il loro ritiro dalla Siria contribuirebbe a rilanciare l'economia del Paese, a ridurre le tensioni con i nostri principali alleati nella regione e ad alleviare il problema dei rifugiati che sta travolgendo l'Europa.

Fonte:   https://responsiblestatecraft.org/turkey-syria-war/

domenica 4 agosto 2024

Memorie di Siria. Il nonno

artista siriano Boutros-Al-Maari
 

di Maria Antonietta Carta

Si chiamava Mohammad, ma per me fu da subito il nonno. Era un vecchietto minuto e gentile, lieto e sicuro. Da giovane, aveva lavorato come bigliettaio nel primo cinema aperto a Lattakia e di lui parlavano, con simpatia e sorridente affetto, diverse generazioni di ex ragazzi che avevano nutrito la loro immaginazione in quella magica stanza dei sogni.

La prima volta che lo incontrai fu quando decisi di mettermi in cerca delle fiabe siriane. Viveva con sua moglie, costretta a letto da una paralisi, e si prendeva cura di lei e anche del figlio di un nipote: un bimbo di cinque anni con occhi che lasciavano indovinare la serenità di chi trascorre molto tempo in compagnia di una forza tranquilla e gioiosa. Frequentandoli, mi sarei accorta che quei due, il vecchio e il bambino, erano una bella storia d’amore.

Il nonno mi offrì un’accoglienza senza enfasi, ma speciale, calorosa e attenta.

Volle sapere perché mi interessavo alle fiabe e ascoltò le mie risposte con gravità e rispetto. Poi, dopo aver ben riflettuto, accettò di diventare il mio primo narratore. Subito, quello stesso giorno senza indugi si mise a raccontarmi le storie che sapeva. Il mio nuovo viaggio cominciò con lui e compresi immediatamente di aver incontrato un uomo che mai, durante la sua lunga e difficile esistenza, aveva rinunciato a sognare.

Era un narratore incantevole. Aveva una voce evocativa, tenera, commovente, e la gestualità appassionata di chi vive quel che racconta. Egli raccontava anche con gli occhi, con le mani, col capo, con l’anima. Rappresentava ogni situazione, ogni personaggio in maniera palpitante, ma ogni tanto usciva dalla storia e, sollecito, mi chiedeva: ‘’Hai scritto tutto?’’. Ci salutammo con l’intesa di rivederci presto. Dopo alcuni giorni, tornai con il magnetofono. Il nonno, accogliendomi già come una vecchia amica, mi mostrò, fiero, un quadernetto sgualcito e pareva avesse tra le mani un trofeo. Vi aveva segnato un elenco di fiabe ritrovate nella sua memoria. Fece un breve riassunto di una di quelle fiabe cercate per me e mi chiese: ‘’Questa ti piace? Vuoi che te la racconto?’’

A ogni nostro incontro, da allora, avrebbe fatto il riassunto preliminare di qualcuna delle sue storie per sapere se mi conveniva.

Anni prima, era stato operato di un tumore alla gola e quando parlava a lungo la voce gli si faceva rauca.

Io, sentendomi colpevole, gli dicevo:

- Basta, per oggi, nonno.

- No! Dobbiamo finire. - mi rispondeva deciso.

Soltanto quando stabiliva che, finalmente, ci potevamo concedere una pausa, mi ordinava: ‘’ Spegni.’’ Poi si alzava, lasciava la stanza e si assentava per qualche minuto, tornando con un piatto di arance o di mele, secondo le stagioni. Si risedeva con il piatto in grembo, sbucciava le mele o le arance, me le porgeva e io, guardandogli le mani solcate dalla vita, mangiavo la frutta insaporita dalla sua premurosa tenerezza. Egli, intanto, suggeva una caramella per pacificare la gola stanca. Dopo, riprendevamo. Lui a raccontare, io ad ascoltare. Le sue storie, spesso con intrecci complessi come mitici labirinti, mi facevano conoscere metamorfosi di Amore e Psiche specchi della sua terra e Cenerentole che non si accontentavano della magia per realizzare le loro storie d’amore, ma affrontavano prove difficili e altre ne imponevano ai loro innamorati per conquistarsi il diritto alla felicità. Raccontava l’amore con la semplicità che meritano le cose essenziali della vita e le sventure come cammini segnati, e io cominciavo a intravedere un universo d’immagini che, pensavo, doveva essere costato ai nostri progenitori fatica e costante ascolto dei silenzi per riuscire a concepirle.

Quando il silenzio era sacro e si sapeva ascoltarlo.

Quel viaggio nelle ormai arcane costellazioni di simboli e metafore, poetico linguaggio dei pensieri che forse soltanto i vecchi che sanno essere davvero vecchi e i bambini che sono davvero bambini e i poeti che nascono poeti e i folli possono ancora capire pienamente, avveniva dentro un piccolo salotto arredato con poltrone di legno scolpito, minuscoli tavolini ricoperti da arabescati centrini all’uncinetto e un unico quadro di seta nera che, racchiuso in una cornice argentata, adornava le nude pareti bianche di calce.

Sulla seta buia, ricamati a caratteri cufici con fili d’argento lucevano alcuni versetti della sura coranica chiamata Del trono: 

Dio, non vi è dio all’infuori di lui, il vivificante, il sussistente.

né la sonnolenza né il sonno avranno presa su di lui;

a lui appartiene tutto ciò che si trova nei cieli e sulla terra.

Chi potrà intercedere presso di lui, se non con il suo permesso?

Egli conosce ciò che è stato prima e ciò che verrà dopo,

e le sue creature non abbracciano della sua sapienza

se non ciò che egli vuole. Il suo trono si estende per i cieli e la terra,

e non lo affatica la loro custodia. Egli è l’altissimo, l’immenso.  

Si narra che il profeta Muhammad, ispirato dal Signore, avesse detto queste parole ad alcuni uomini che si erano recati da lui per chiedergli come sconfiggere i jinn: creature con poteri tremendi; ed esse, intessute in un quadro, sono diventate numi tutelari delle famiglie musulmane. O un talismano dalle magiche virtù. I versi coranici sembravano vigilare anche nel salottino del nonno. Atto di fede e leggenda che si fondono e confondono.

artista siriano Boutros-Al-Maari

Nei giorni d’estate, entravano dalla finestra aperta i confusi rumori di un quartiere popolare: venditori ambulanti, bambini giocherellanti, muezzin che pregavano, massaie ciarliere. Radio e magnetofoni a volume scatenato spargevano canzoni di Michel Jackson a quell’epoca molto in voga presso i giovanissimi Siriani, poetici canti monodici della divina Umm Kalthum e l’ultima canzonetta urlata della hit parade mediorientale.

Musiche, rumori e voci si mischiavano nell’aria afosa impastata di umidità, e a me, che prima infastidita-stordita da tutto quel frastuono ingarbugliato poi incuriosita vi riflettevo, essi finivano per sembrare simili, nella loro pur grande diversità. Come le fiabe della mia infanzia in Sardegna e quelle che stavo scoprendo in Siria. Il nonno, quando il rumore diveniva intollerabile, smetteva di raccontare, aggrottava per un momento la fronte, infastidito-pensieroso, si alzava senza dire una parola, chiudeva i vetri, tornava a sedersi rasserenato, cercava di schiarire quella sua voce rauca che mi inteneriva e mi stringeva il cuore, poi diceva: ‘’Riprendiamo ma fai attenzione, cara, controlla che non sia finito il nastro.’’

La vita, poi, mi portò nuove vicende e io mi allontanai da lui. Alcune volte, che adesso, come spesso accade dopo le separazioni definitive, mi sembrano desolatamente rare, gli avevo portato altri sacchetti di caramelle ed egli mi aveva offerto, contento, qualche altra storia ritrovata.

Un giorno, seppi che era morto.

giovedì 4 luglio 2024

Memorie di Siria. Damasco 1997

bottega di ramai a Damasco- 1894

Di Maria Antonietta Carta

Luoghi incontrati per caso mi sfidano coi loro silenzi e con le loro penombre che custodiscono storie. E io mi lascio attirare. 

Sono le tre del pomeriggio e la calura agostana avvolge Damasco, s’insinua nelle pietre degli edifici, nell’asfalto, nelle foglie delle svettanti palme del quartiere Abu Rummane e nell’acqua del fiume Barada. Le mie gambe si trascinano nella città estenuata per il torrido splendore del sole. Finalmente arrivo a un suq quasi deserto. Devo trovare un regalo da spedire domani in Italia per l’anniversario di nozze dei miei genitori, e ho pensato di donargli per l’occasione - o imporgli? - un pezzetto del mio mondo lontano dal loro. 

Ecco la bottega di un ramaio, forse l’unica bottega di ramaio a Damasco che non conosco, benché vi sia passata davanti molte volte. Adesso sembra invitarmi a entrare. Ancora stordita dalla camminata nell’abbacinante solleone, varco la soglia. La stanza è un tacito vuoto buio e io mi smarrisco in quest’oscurità quieta, finché un rumore  mi fa tornare alla realtà. Gli occhi ancora ciechi non riescono a capire, ma immaginando il ramaio al lavoro saluto voltandomi verso il rumore.

La pace sia su di te. – dico.

Su di te sia la pace. – risponde una voce. Poi torna il silenzio. Un silenzio che giunge dalla corte assopita, dall’aria affaticata, da tutta la città in attesa del soffio di brezza che la sera dell’oasi porta sempre con sé. I miei occhi stanno tornando a vedere e la bottega, che riceve soltanto una luce fioca dalla porta d’ingresso, mi appare adesso velata di penombra. Riesco a scorgere il ramaio che siede su uno sgabello basso in fondo alla stanza. Mi avvicino. L’uomo, anziano, ma di un’età indefinibile, ha il capo chino su un grande vassoio di rame che le sue mani, mani attente, preparano per l’incisione. Solleva la testa e mi rivolge uno sguardo distratto o forse indifferente o forse un poco infastidito. Non sembra ciarliero. Strano! Gli artigiani damasceni sono di solito loquaci e accoglienti. Neppure io mi sento di ottimo umore. Sono stanca, disidratata, impolverata.

Poco a poco la penombra fresca, che il tenue riverbero dei metalli rende ancora più accogliente e riposante, mi ristora. Comincio a cercare tra l’infinità di oggetti accatastati sul pavimento o appesi alle pareti fino al soffitto: incensieri, bracieri, aspersori per l’acqua di rose, caffettiere e boccali dalle forme soavi, piatti e vassoi arabescati. Osservandone le decorazioni mi lascio prendere da uno dei miei giochi preferiti: cercare simboli, scoprire linguaggi che traducono fedi o speranze.

Ecco degli zig-zag che disegnano l’acqua: principio di ogni cosa. Ecco la rosetta di Astarte: fonte della vita divina, linfa della natura e della donna. Ecco volute intrecciate: oceano primordiale, mare metafisico. Ecco la pianta e la croce: sigilli universali. Ecco spirali: l’essenza dell’Universo, labirinto del cosmo o dello spirito, principio e fine, vita e morte. Ecco fiori di loto: porte che introducono all’ignoto. E ancora e ancora segni arcaici mai completamente svelati. Ecco il nome di Dio, tracciato con ricercate calligrafie che diventano un solenne tributo all’insondabile. Potrei trovarmi in una bottega di tanti secoli fa. Una di quelle botteghe di ex-voto che prosperavano in prossimità degli antichi luoghi di culto. Non finiranno mai di affascinarmi questi disegni forse nati con l’uomo e che in questa parte della terra, spesso, sembrano essere, ancora, inconsapevolmente chiari. Il ramaio inizia a incidere il vassoio. Io seguito a vagare nella costellazione di simboli scolpiti nel rame, commentando a voce alta. «Nemmeno mi sente.» penso, vedendolo sempre intento al suo lavoro. Invece, a un tratto egli solleva la testa e si mette a osservarmi. Adesso si alza, si avvicina, cerca tra un mucchio di ciotole di rame. Cerca a lungo, senza impazienza finché senza impazienza ne raccoglie una delicatamente, come se si trattasse di un oggetto troppo fragile e infinitamente prezioso. Si volta e me la mostra sollecitando la mia attenzione con lo sguardo. Senza dire una parola. La ciotola nelle sue mani è una di quelle che si adoperano negli hammam per rovesciarsi addosso acqua fresca, quando il vapore cocente diventa insopportabile e il corpo ansia un poco di refrigerio. Appena comprende che sono attenta, la colpisce con il bulino e onde, onde morbide di suoni limpidi, si spandono nella stanza muta, mi avvolgono, mi conducono lontano. Lontano dai pensieri. Per un tempo lunghissimo. Poi, svaniscono.

È una ciotola dei jinn. – mi confida il ramaio, nel nuovo silenzio.

Ah! I jinn. – dico io senza sorprendermi.

Da quando, anni fa, cominciai a occuparmi di cultura popolare, addentrandomi nel mare sconfinato delle fiabe e delle leggende siriane, l’anima di questa regione del mondo sembra condurmi spesso, a mia insaputa, presso quelli che mi diverto a chiamare i suoi archivi viventi. Nelle città, nei villaggi, negli accampamenti dei nomadi, accanto a siti antichi e presso le rive dell’Eufrate e dell’Oronte ho incontrato persone che sembravano attendermi per raccontarmi storie.

Nel mio quartiere, quando ero bambino, c’erano il palazzo e l’hammam del re dei jinn. Li hanno distrutti per fare case nuove. Non resta quasi niente. Se l’Unesco l’avesse saputo, forse li avrebbe protetti. – mi dice il ramaio, con la disarmante innocenza di un bimbo ancora innocente. E la sua voce rivela il rimpianto per il vecchio quartiere della sua infanzia.

Io non ho paura dei jinn – continua – neanche di notte quando i jinn escono da sotto terra, si mettono a girare per casa e si arrabbiano se li disturbi. Bene! Io mi alzo al buio tranquillamente. Entro in bagno e in cucina senza temere. Gli hammam e tutti i luoghi in cui vi è dell’acqua sono affollati di jinn durante la notte, quando gli uomini dormono. Lo sai? Succede anche che, talvolta, mentre lavoro non trovo un utensile che un momento prima avevo in mano. Non perdo tempo a cercarlo. Sarebbe inutile. So che l’hanno preso loro. Evidentemente ne hanno bisogno. O vogliono giocarci. So che lo rimetteranno al suo posto, quando vorranno rendermelo.

Il ramaio ha smesso di parlare e aspetta. Aspetta, lo so, che anch’io gli confidi qualcosa.

Capita anche a me con una penna o un foglio di carta o un libro. Talvolta scompaiono proprio quando ne ho bisogno. Erano davanti a me e d’improvviso svaniti! Prima impazzivo a cercare. Poi ho imparato a fare come te: mi prendo una tregua – gli dico, pensando divertita ai miei invisibili e dispettosi folletti della distrazione. O dell’immaginazione? Forse i jinn m’infastidiscono ma anche mi aiutano, quando mi arriva un’idea che stavo aspettando di avere.

Mi diresti un racconto di jinn? – chiedo. Glielo chiedo con voce rispettosa perché, da queste parti, i jinn, buoni e cattivi, sono davvero, per fede, vivi e veri. Creature a cui si deve riguardo. Esseri che bisogna lasciare tranquilli o temere. Arcani a cui bisogna testimoniare lo stesso timore sacro che un tempo tutti gli uomini dovevano avere per la Natura e per il mondo dell’immaginazione. Lo stesso mondo nel quale forse, inconsapevoli, siamo tutti immersi?

Sì. – mi risponde indicandomi una seggiola e mettendo da parte il suo vassoio, perché raccontare una storia significa oltrepassare una soglia, iniziare un viaggio, celebrare un rito, e richiede dedicazione assoluta. 

Banconota siriana del 1977 con l'immagine della moschea degli Omayyadi  e l'effigie di un ramaio che incide con il bulino un grande vassoio di rame  

«Un re di un regno antichissimo ha quattro figli: tre femmine e un maschio» 

Il numero: l'essenza di tutta la realtà, le Madri, penso, lasciandomi attrarre dalla storia. 

Il ramaio vede svegliarsi la mia curiosità e i suoi occhi approvano.

Va bene? – mi chiede.

Si, si, vai avanti – dico, ed egli riprende il suo racconto. 

«Per il figlio del re, sorella mia, arriva il tempo del matrimonio. Gli trovano una bellissima ragazza. Si preparano le nozze. La ragazza va all’hammam, dove la massaggiano con unguenti, le colorano le dita e i capelli con la henna, le mettono un abito bello.»


La rossa henna la proteggerà dagli spiriti invidiosi.


«Si fanno le nozze con una grande festa. Cento montoni arrostiti, dolci, datteri.»


A me tornano in mente alcuni versi dell’Epopea di Gilgamesh, incisi in una tavoletta cuneiforme nella Mesopotamia di 5.000 anni fa. ‘’E t’innamorasti d’Ishullanu, giardiniere di tuo padre, che a sporte ti portava i datteri, e ogni giorno una splendida mensa t’imbandiva.’’


«Musica, giostre di cavalieri, e danze. Gli sposi entrano in casa. Lui prende la ragazza e la fa sua. Però, questo figlio del re del regno antichissimo sogna una nuova vita. Si! Una nuova vita. Una vita in un altro Paese. E appena arriva l’alba, lascia la casa del padre con sua moglie per cercare un’altra terra. Viaggiano per molte Lune. Cavalcano a lungo nella steppa cercando il luogo adatto. Finché un giorno Dio li fa giungere al posto giusto. Ci sono le palme e un pozzo e un mare d’erba. L’oasi! Sia benedetto l’Altissimo! Il figlio del re ferma il suo cavallo e dice:

Ecco il Paradiso! Questa sarà la nostra patria.

Va bene, o mio signore. – dice sua moglie.

Piantano la tenda. Cenano. Si mettono a dormire nella loro casa.»


La casa di lana bruna. La dimora dell’errante

«Da questo momento, il figlio del re vive una nuova vita. Ogni giorno si alza all’alba e va a caccia nella steppa con il suo falcone. Torna al tramonto. Presto, però, desidera conoscere altri luoghi. Ricomincia il viaggio. Percorrono molte piste. Finché, un giorno, giungono a un accampamento.»


Che ne pensi, sorella mia? Beviamo una tazza di tè? – mi chiede il ramaio.

Beviamola, fratello.

Il tè dolce e denso ha il colore del sole al tramonto e odora di cannella. Lo sorseggiamo in silenzio dai piccoli bicchieri di vetro così caldo che brucia le dita, e intanto il mio sguardo vagabonda tra i metalli scolpiti. I muezzin chiamano alla preghiera del vespro.

Allaaah u-Akbar, Allaaaah u-Akbar!

Dio è il più Grande, Dio è il più Grande!

La salmodia si leva in volo dai minareti, aleggia nell’aria, ridiscende sulla città. Le voci oranti sembrano arrivare da ogni parte. Per rispondere al richiamo, il ramaio posa il bicchiere sopra un minuscolo banchetto traballante, passa le mani, nel gesto di un lavacro rituale, sul suo volto intenso di credente e rivolge i palmi verso il cielo:

Nel nome di Dio Benevolo e Misericordioso. – dice. Poi recita i sette versetti della fatiha. Il Padre Nostro dell’Islam.


La lode spetta a Dio il Signore dei mondi,

Il Benevolo, il Misericordioso,

Re del giorno del Giudizio.

Te solo adoriamo. Te solo invochiamo a nostro soccorso.

Guida i nostri passi verso il retto sentiero.

Il sentiero di coloro verso i quali sei stato benevolo,

Che non hanno meritato la tua ira, che non hanno deviato.

Amin. Conclude. Così sia.


Il canto dei muezzin risale verso il cielo e si dissolve. Il tè è ormai tiepido.

Dov’eravamo rimasti? Chiede il ramaio

Il figlio del re e sua moglie arrivano a un accampamento. – rispondo.

Ah, sì, sì.


« Il figlio del re e sua moglie arrivano a un accampamento. Sono accolti con tutti gli onori dovuti agli ospiti. Gli porgono cibo e acqua. Quel giorno l’accampamento è in festa. I cavalieri giostrano, le donne danzano. Anche la moglie del figlio del re entra nella danza.»


La danza è il teatro dei miti e dei misteri.

il viaggio attraverso il labirinto

L’incessante turbinio del mondo.


«Il figlio del re dice a sua moglie: – Vado a caccia. Tu divertiti. Qui sarai al sicuro. – È ancora giorno e la luce illumina ogni cosa, ma appena egli si allontana, sull’accampamento discende una nube nera. È una nube portata da un tornado. Una nube tenebrosa che abbuia e sconquassa il mondo! Oh Dio! Che il Signore misericordioso ci risparmi una simile sventura! Tutto accade in un istante. È giorno, ma fa buio come di notte. Una notte di furia che annienta l’accampamento. Tutto accade in un istante: giorno e notte insieme. Poi, torna il sereno, ma ogni cosa è distrutta. Si! Ogni cosa è distrutta. E la moglie del figlio del re non c’è più! È scomparsa! Tutti la cercano. Invano. Torna anche il figlio del re e vede quella devastazione. Vede i nomadi annichiliti, ma sua moglie non c’è!

Dov’è mia moglie? – chiede.

È venuto l’uragano e l’ha portata via. – gli dicono.

Come?! Impossibile.

Per Dio! È la verità. Nessun essere vivente si è avvicinato al nostro accampamento. – gli rispondono.

Andrò a cercarla. – dice il figlio del re. – La cercherò nelle quattro regioni del mondo, se necessario.

Torniamo adesso nel regno antico, e vediamo cosa vi accade.

Un giorno arriva uno straniero, vede la sorella maggiore del figlio del re, gli piace, la chiede in moglie, si fanno le nozze e la porta via. Il giorno dopo arriva un altro straniero, s’innamora della seconda sorella, vuole sposarla, si fanno le nozze e la porta via.

Il terzo giorno passa da lì un altro straniero, vede la terza sorella, gli piace, la chiede in moglie, si fanno le nozze e la porta via.»


Tre è il numero magico delle fiabe e dei sentieri che conducono al mondo invisibile.


«Adesso, torniamo dal figlio del re che cerca sua moglie. Cammina e cammina, finché arriva in un Paese sconosciuto. Cerca, cerca, e arriva in un giardino. Nel mezzo del giardino c’è un palazzo. E chi vedono i suoi occhi? La sorella maggiore!

Cara sorella! Che cosa fai qui?! – le chiede, sorpreso.

Ho sposato il re dei Venti. Questo è il suo regno. E tu, caro fratello? Cosa ti porta da queste parti?

Ho perso mia moglie e la cerco. – dice il fratello. Mentre si scambiano queste informazioni si ode un fragore che fa tremare la terra.

Presto! Devi nasconderti! Arriva mio marito, che mangia carne umana. – dice la principessa al fratello, e lo nasconde in un armadio. Entrato in casa il re dei Venti dice:

Sento odore di carne umana.

Non c’è nessuno. – dice sua moglie.

Ti assicuro che c’è una creatura umana. – dice il re dei Venti. La poverina deve confessare:

Signore, in verità c’è mio fratello dentro l’armadio.

Come! Il mio caro cognato ci visita e tu lo nascondi?

Avevo paura che l’avresti mangiato.

Fallo uscire. – Il principe esce dal suo nascondiglio.

Come mai da queste parti? – gli chiede il re dei Venti.

Ho perso mia moglie, e la cerco.

Raccontami la tua storia. – dice il re dei Venti e il figlio del re racconta la sua storia.

Povero te! Da ciò che mi hai detto deduco che ti attendono prove terribili. Il rapitore di tua moglie è il Signore dalle tre gambe, il re dei jinn infedeli, l’imperatore del Mondo – dice il re dei Venti.

Lo cercherò per liberarla. – dice il figlio del re.

Sei pazzo? Nessuna creatura umana può riuscirci. Nessuna creatura è più forte di lui, ma se proprio sei deciso a continuare nella tua impresa ti accompagno da mio fratello, che è il re dei Mari e anche tuo cognato. – gli dice il re dei Venti. E lo porta in un Paese sconosciuto. Lì, cammina e cammina il figlio del re arriva a un giardino dove trova la seconda sorella, che gli chiede:

Come mai da queste parti, caro fratello?

Hanno rapito mia moglie e la cerco. – risponde. In quel momento, si sente un muggito spaventoso!

È mio marito! Il re dei Mari, che mangia carne umana! – dice la principessa a suo fratello e lo nasconde in un armadio. In verità, appena entra in casa, il re dei Mari dice:

Moglie! Sento odore di carne umana.

No. Ti sbagli. Non c’è nessuno. – dice la principessa.

Invece sì, c’è un uomo.

No.

Sì. – e va a finire che il re dei Mari trova il figlio del re, ma non lo mangia; anzi, gli fa una grande accoglienza.

Come potrei nuocere al fratello di mia moglie! – dice.

Cosa ti ha portato da noi, caro? – gli chiede.

L’imperatore del Mondo ha preso mia moglie e devo liberarla. - dice il figlio del re.

Se il re dalle tre gambe ha rapito tua moglie, nessuno può portargliela via, ma se tu vuoi, ti accompagno da mio fratello, il re delle Aquile, che è anche tuo cognato. Dopo averlo sentito, deciderai se continuare o no.

Va bene. – dice il figlio del re. E il re dei Mari lo conduce in un Paese sconosciuto, dove trova un giardino che ha al centro un palazzo. Nel giardino trova la terza sorella, che gli chiede:

Caro fratello, come mai da queste parti?

L’imperatore del Mondo ha preso la mia sposa e io cerco il suo regno per liberarla. – risponde. In quel momento sopra di loro il cielo comincia a tremare.

Arriva mio marito! Il re delle Aquile, che mangia carne umana. – gli dice la sorella, e lo nasconde nell’armadio. Tutto accade come le altre due volte.

La tua è un’impresa impossibile. Nessuno può vincere l’imperatore del Mondo, però, se lo desideri, ti porto alle frontiere del suo regno. Di più non posso. Ma devi fare attenzione! Appena trovi tua moglie, fuggite senza mai fermarvi e senza mai voltarvi. – dice il re delle Aquile.

Va bene. – dice il figlio del re. E il re delle Aquile lo porta ai confini del mondo. Alla porta di una grotta.»


La porta che introduce al regno nascosto. Il Paese delle ombre


«– Da qui si passa nel regno del re dei jinn infedeli, l’imperatore del Mondo. – dice il re delle Aquile. E se ne va. I figlio del re entra nella grotta, cammina e cammina finché arriva a un luogo desolato. E cosa vedono i suoi occhi? Un palazzo che sembra nascere dalle viscere della terra! É' il palazzo in cui l’imperatore del Mondo ha imprigionato la principessa. Entra e la trova legata con la testa in giù. Devi sapere che l’imperatore del Mondo l’ha legata in questo modo perché non vuole fare all’amore con lui. Il figlio del re la libera e insieme corrono a rifugiarsi nel Paese del re delle Aquile.

Vedi che sono riuscito? – dice il figlio del re a suo cognato.

Correte senza fermarvi e non dovete mai voltarvi. - lo avverte il re delle Aquile. Corrono. Corrono a lungo. Corrono finché la paura di essere ripresi non li fa voltare e l’imperatore del Mondo li raggiunge.

Credevate di farla franca, poveri stupidi? – dice. Poi afferra il figlio del re, lo scaglia verso il cielo e gli porta via la moglie. Il corpo del figlio del re ricade a terra in venti pezzi. Un domestico del palazzo del re delle Aquile, passando di lì, vede i pezzi del corpo del principe e informa la padrona. Lei chiede aiuto al marito, che le dice:

Portali e bagnali alla sorgente della vita. – Nella sorgente della vita, tutti i pezzi del corpo tornano a unirsi tra loro e il figlio del re risuscita. Esce vivo dall’acqua. Vivo!

Vado a riprendere mia moglie. – dice il figlio del re.

L’imperatore del Mondo ti ucciderà, fratello! – lo avverte sua sorella.

Sono pronto a tentare l’impossibile. – le risponde.

Quando arriva nel regno proibito, l’imperatore del Mondo è a caccia. Il figlio de re libera sua moglie e insieme fuggono via. Questa volta corrono senza mai voltarsi fino al regno del re dei Venti.

Mi raccomando! Correte senza mai fermarvi. – li avverte il re dei Venti. Essi corrono, corrono finché, troppo stanchi, si fermano per riposare all’ombra di un albero. E lì trovano ad aspettarli l’imperatore del Mondo!

Credevate davvero di potervi salvare? – dice l’imperatore del Mondo, che scaglia il figlio del re verso il cielo e si riprende la principessa. Il corpo del figlio del re cade al suolo in venti pezzi. Un abitante del palazzo, passando di lì, vede tutto e ne informa la padrona. Lei chiede aiuto al marito e anche il re dei Venti consiglia di bagnarli alla sorgente della vita. Il principe risuscita per la seconda volta. Il re dei Venti gli dice:

C’è una sola maniera per riuscire nell’impresa. Potresti farcela, ma devi trovare lo spirito dell’imperatore del Mondo. Fai cosi: dì a tua moglie di essere cortese con lui e di farsi rivelare dove lo nasconde. Appena saprete dove si trova, cercate di rubarglielo. – Il figlio del re torna dalla moglie, le racconta tutto e lei, quella sera stessa, dice all’imperatore del Mondo:

Caro! Sarò tua, ma a una condizione.

Quale?

Devi dirmi dove si trova il tuo spirito.

È qui – dice l’imperatore del Mondo, mostrandole un armadietto. L’indomani, appena l’imperatore del Mondo esce per andare a caccia, lei coglie dei fiori e ne orna l’armadietto.

Che cosa hai fatto! – le chiede l’imperatore del Mondo, al suo ritorno, vedendo quei fiori.

Ti amo e voglio prendermi cura del tuo spirito.

Quanto sei sciocca! Davvero credi che potrei lasciare indifeso il mio spirito? Però, adesso so che mi ami e voglio rivelarti un segreto. Il mio spirito è custodito da un maiale. Si trova nella sua pancia. Questo maiale è quasi invulnerabile. Può morire soltanto se si colpisce un neo che ha sulla faccia.»


Il neo! La macchia oscura. Il segno del disfacimento.


«Informato dalla moglie, il figlio del re trova il maiale, colpisce il neo con una freccia, uccide il maiale, gli apre la pancia e trova una scatola.»


Nelle fiabe, le scatole racchiudono prove difficili.


«Dentro la scatola ne trova un’altra, e dentro la seconda un’altra ancora! E un’altra e un’altra, fino a sette. Sette scatole una dentro l’altra! Sorella, potresti mai indovinare cosa trova in fondo all’ultima scatola? Un verme!»


Il verme, l’infima degradazione. E il rinnovamento


«Il figlio del re del regno antico lo prende, e cerca di schiacciarlo con le sue mani, ma il verme non muore. Allora lo mette in tasca e torna al palazzo. Torna anche l’imperatore del Mondo che sembra mezzo morto.

Non sto bene. – dice gettandosi sul letto.

Vuoi una tisana? – gli chiede la principessa.

Voglio soltanto dormire. – dice lui.

Va bene caro. – dice la principessa.

Il figlio del re schiaccia ancora il verme, ma l’imperatore del Mondo non muore. Allora, fugge con sua moglie. Corrono senza fermarsi e senza voltarsi mai fino al regno del re dei Mari.

Che cosa succede? – chiede il re dei Mari, vedendoli arrivare. Il figlio del re del regno antico racconta tutto.

Stai attento a non perdere il verme! L’imperatore del Mondo guarirebbe.

Non lo perderò. – dice il figlio del re, ma sua moglie, curiosa, per osservarlo meglio prende il verme in mano. Questo le sfugge e si getta nel mare. Appena il verme entra nell’acqua, l’imperatore del Mondo si alza dal letto guarito, li raggiunge per la terza volta, uccide e fa a pezzi il figlio del re, e gli porta via la moglie. Intanto, un pesce trova il verme e lo mangia. Ma il re dei Mari pesca il pesce che ha mangiato il verme. Il re dei Mari trova il verme nella pancia del pesce e lo rende a suo cognato, che risuscitato ancora una volta alla sorgente della vita torna al palazzo dell’imperatore del Mondo per riprendersi la moglie.

Dov’è il mio spirito? – chiede l’imperatore del Mondo appena lo vede.

Nella mia mano. – dice il figlio del re.

Rendimi lo spirito e tieniti pure tua moglie. – gli dice l’imperatore del Mondo.

Va bene. – concede il figlio del re, ma mentre glielo porge il verme cade a terra! Il verme cade a terra poi entra in una gamba dell’imperatore del Mondo. L’imperatore del Mondo muore. Il figlio del re e sua moglie se ne vanno.»


Il ramaio ha smesso di raccontare.

Termina così? – gli chiedo. Proprio come quando, da bambina, esortavo mia madre a raccontarmi epiloghi più esaurienti, che preparassero il commiato dalla fiaba; che mi riconducessero il più lentamente possibile alla realtà.

Si. – dice il ramaio.

Chi è l’imperatore del Mondo secondo te?

Mia cara, chissà! Ognuno vede o crede quel che gli conviene. – conclude riprendendo in mano il vassoio a cui lavorava quando sono entrata nella bottega e che aveva messo da parte per raccontarmi la storia. Lo osserva attentamente il suo vassoio, poi ricomincia a inciderlo. Io riprendo a cercare il regalo per i miei genitori. Vedo un vassoio con il bordo decorato da due anelli. Uno, dorato, è scolpito con piccolissimi crescenti lunari che al loro interno hanno una minuscola losanga con un punto e affiancata da due triangoli. L’altro, argenteo, racchiude una miriade di piccolissime spirali. Dal centro del vassoio nascono dodici grandi petali, color dell’oro e dell’argento, che creano, alternandosi, due rosette a sei petali. I petali argentati recano piccoli poligoni in rilievo che formano un intricato labirinto. I petali d’oro, che racchiudono al loro interno foglie e fiori minuscoli, sembrano giardini. Le due rosette sono immerse in un campo di fiori di loto. È un oggetto troppo esagerato, troppo complicato. Ne guardo altri molto più semplici. Come piacciono a me. Li ammiro, ma torno al vassoio con le due rosette gemelle che brillano come il sole e come la luna illuminata dal sole. Lo compro. Il ramaio e io ci congediamo.

Bkhatrak. Col tuo permesso – lo saluto

Maasalameh. Addio. – mi risponde.

Prima di allontanarmi, osservo ancora una volta le sue mani che scolpiscono il metallo. Sta disegnando delle lettere alfabetiche: aleif…lam…lam…ha… Allah: Dio in arabo. Forse, inciderà nel rame una formula apotropaica. O forse una preghiera.

Tornando a casa, passo davanti alla moschea Suleimanyeh, con le sue numerose cupole e i sottili minareti svettanti. Il sole a Occidente é quasi nascosto dal Jebel Qassium, che sovrasta la città e dove, secondo una leggenda, Caino uccise Abele. Più in alto la luna appena nata quasi si confonde con il cielo ancora azzurro, che però si sta preparando ad accogliere il crepuscolo vespertino. Quanto è lontana questa luna diafana come un bioccolo rotondo di nuvola leggera! É percettibile appena nella luce del sole che se ne va, ma fra poco splendidamente argentea essa adornerà la notte sopra Damasco. E, forse, fra qualche respiro, il nero tornado che abbuia e sconquassa il mondo, e che in questa sventurata regione si chiama guerra, tornerà per ingoiarsi tutto questo. Poi tutto ricomincerà. Forse.