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sabato 21 dicembre 2024

Come la strategia di HTS si è intersecata con il progetto americano e israeliano per la Siria

 

Come la strategia di HTS si è intersecata con il progetto americano e israeliano per la Siria


di Julia Kassem,  Al Mayadeen English, 12 dic 2024 https://english.almayadeen.net/articles/opinion/how-hts--ground-strategy-intersected-with-america---israel-s

Traduzione di Maria Antonietta Carta per OraproSiria 

La causa principale della completa destabilizzazione della Siria è stata l'erosione pluriennale della sua economia, e quindi il conseguente indebolimento delle forze militari e produttive, fortemente rallentata dall'occupazione di giacimenti petroliferi e basi statunitensi illegali nel nord-est del Paese (Unitamente al feroce embargo pluridecennale trasformatosi in vero e proprio assedio economico negli anni della guerra N.d.T.) 

Subito dopo il cessate il fuoco di Hezbollah, gli Stati Uniti e "Israele" hanno immediatamente fatto il passo successivo nel loro piano con l'improvvisa irruzione ad Aleppo da parte di Hay'at Tahrir al-Sham (HTS), guidata da Muhammad al-Jolani ex leader del fronte al-Nusra, ora sciolto; un leader vicino a Daesh (ISIS) e al-Qaeda, che ha lavorato a stretto contatto con l'ex capo di Daesh Abu Bakr al-Baghdadi. Negli ultimi anni HTS, considerato il gruppo terroristico del "male minore", si è focalizzzato sulla conquista della Siria, prendendo di mira principalmente Iran e Hezbollah. 

Al-Jolani ha oscillato nel tempo tra turbante e divise militari, destreggiandosi tra i suoi ruoli di insorto takfiro e la figura dell'opposizione in giacca e cravatta. Il cambiamento strategico di identità è tornato alla ribalta nel 2021 con una sua intervista straordinaria alla PBS. Nel 2022, l'inviato russo in Siria ha rivelato che la Turchia, con il sostegno occidentale, stava lavorando per il passaggio di HTS a "opposizione moderata", una mossa ad hoc per liberarlo dalla designazione di terrorista internazionale mentre metteva a punto l’obiettivo successivo degli Stati Uniti per la Siria e la fase post-bellica in Libano. L'Occidente, che pensa di avere indebolito la Russia in Ucraina, Hezbollah contro "Israele" e l'Iran su tutti i fronti bloccato da un presidente riconciliatore, ha lanciato gli ultimi attacchi terroristici come un’opportunità per gli Stati Uniti e "Israele" di portare a termine la partita. Questi sono i fattori effettivi che hanno indebolito i sostenitori della Siria, ribadendo che per la completa destabilizzazione del Paese sono state fondamentali sia l'erosione pluriennale della sua economia con l'occupazione di giacimenti petroliferi sia le basi statunitensi illegali nel nord-est della Siria.

Mentre la cosiddetta "opposizione siriana" veniva pompata con i finanziamenti e con il supporto logistico - direttamente dalla Turchia e indirettamente da Stati Uniti, Regno Unito e "Israele"- l'esercito siriano si disarticolava. I militari ricevevano circa 40 dollari al mese, grazie alle conseguenze delle prolungate sanzioni statunitensi e agli effetti negativi della guerra ibrida. Nel 2018, la Russia informò la Siria che il suo esercito aveva bisogno di un rinforzo dal basso e Damasco si trovò ad affrontare la sfida di dover sostenere 200 miliardi di dollari di ricostruzione a livello nazionale. Per affrontare queste sfide, Assad ricorse a riconciliazioni e negoziati che misero in secondo piano l’approccio difensivo; ma le basi che hanno consentito un facile crollo, l’ammutinamento e la presa del potere, erano state gettate sei anni prima dell'invasione di HTS di fine novembre 2024.

La Siria è caduta dopo anni di negligenze rispetto al rinforzo della sua difesa e della crescita economica.

L'era post-Astana e dei negoziati è stata segnata da concessioni, nel tentativo di tranquillizzare i Paesi del Golfo e facilitare un più facile riavvicinamento a queste potenze rifiutando le offerte iraniane di stazionamento intorno al Golan e a sud. La Siria non ha preso misure drastiche per riprendersi i territori a nord-est dove miliardi di ricchezza petrolifera sono stati rubati, per riorganizzare le istituzioni militari in rovina e impoverite e gettare le basi per l'autosufficienza economica; aspettandosi che il processo di negoziazione post-Astana e la partnership tra Iran e Russia risolvessero da soli i problemi. Mentre queste soluzioni politiche tardavano a portare risultati, l'opposizione, ben supportata e finanziata sebbene divisa, ha approfittato del cessate il fuoco post-2020. HTS ha utilizzato questo periodo per consolidare la presa su Idlib e il nord del Paese, e aumentare gli attacchi all'esercito siriano, raddoppiandoli da circa 200 nel 2021 a 400 nel 2022.

HTS ha anche approfittato delle sanzioni statunitensi sulla Siria all'indomani del disastroso terremoto nel febbraio 2023, rafforzando gli obiettivi di Washington di impedire che gli aiuti raggiungessero le aree "controllate dal regime" e consentendo il sostegno turco nelle zone che controllava. La Turchia avrebbe tratto vantaggio anche dall'aumento della circolazione della sua valuta in concomitanza con l'ulteriore crollo della valuta siriana, in favore delle sue ambizioni espansionistiche nel nord della Siria.

Fin dall'inizio, l'insurrezione takfira guidata da HTS aveva obiettivi e modelli operativi non solo allineati ma direttamente curati da Israele e dagli Stati Uniti. Dal 2017, gli obiettivi degli attacchi terroristici di HTS sono stati funzionari del governo siriano, scienziati, civili sciiti e pellegrini (prendendo spunto dalla narrativa americano/israeliana nel considerarli "agenti iraniani") e quasi esclusivamente, negli anni successivi al cambiamento strategico dell'identità di HTS, posizioni degli avversari degli Stati Uniti in Siria, che provenissero da Hezbollah, dall'IRGC o dalla Russia. Gli Stati Uniti hanno permesso che l'ISIS si dissolvesse, indebolendolo gradualmente in attacchi aerei coordinati; mentre l'HTS, più focalizzato sul terreno, è stato in grado di crescere.

Dopo la fuga di centinaia di leader takfiri dalle prigioni di Hasakeh all'inizio di quest'anno, molti di loro si sono spostati a sud verso le posizioni dell'esercito a Daraa e Damasco. Ciò è stato seguito da attacchi con l’artiglieria terrestre contro l'esercito siriano e la polizia da parte di gruppi takfiri in queste località del sud ora prese di mira dagli israeliani. Gli attacchi aerei dell'entità sionista su tutta la Siria, in particolare contro le infrastrutture militari nelle principali città, sono stati implacabili e continui negli ultimi due anni e soprattutto negli ultimi mesi. Durante la guerra in Libano, Israele ha ripetutamente colpito il valico di frontiera di Masnaa tra Siria e Libano, così come il valico di frontiera settentrionale di Arida. I ripetuti bombardamenti dei valichi tra Libano e Siria hanno mantenuto la pressione sui libanesi assediati e l’interruzione delle vie di rifornimento da e per il Libano. Mentre i gruppi takfiri attaccavano le posizioni dell'esercito siriano da terra, "Israele" bombardava l'esercito siriano dal cielo, indebolendolo ulteriormente. Uno degli ultimi attacchi mirati è stato contro un centro dell'esercito a Palmira, dove 36 persone sono state massacrate.

Il coordinamento aereo e terrestre israeliano-takfiro non è una novità, ovviamente. È stato ampiamente documentato il fatto che quasi un decennio fa Israele ha fornito a Jabhat al-Nusra (l'organizzazione precedente di HTS) mappe e progetti delle posizioni dell'esercito siriano da attaccare nel sud del Paese. Avevano anche fornito loro dispositivi di comunicazione e attrezzature mediche, consentendo persino di allestire campi profughi siriani al confine. In precedenza, un rapporto delle Nazioni Unite del 2014 confermava lo stretto coordinamento che i cosiddetti "ribelli" avevano con Israele. 

Uno dei loro primi obiettivi furono gli stessi centri di ricerca e gli stabilimenti di produzione per le armi della Resistenza, che Israele ha colpito per un periodo, eseguiti in coordinamento con gli Stati Uniti e l'entità sionista. Israele è stato a lungo deluso dal fatto che i suoi attacchi non avessero "fermato o neutralizzato" la loro attività; un passo che sarebbe stato delegato ai loro alleati sul campo. Ad Aleppo, i militanti hanno assediato il Syrian Scientific Research Center, motore economico del Paese e motore di difesa sia della Siria sia dell'Asse della Resistenza, e hanno cecchinato e ucciso il direttore, dottor Yervant Arslanian. L'opposizione takfira ha anche attaccato il CERS Institute 4000 a Masyaf, bersaglio di bombardamenti israeliani e attacchi del Mossad per anni. Aiutato dall'intelligence e dal lavoro svolto da Israele nell'attaccare le strutture tra cui il più recente raid di settembre di Masyaf, che ha ucciso 18 persone, HTS ha lanciato un attacco tramite un drone ucraino il 4 dicembre all'istituto CERS durante la sua incursione ad Hama colpendo un sito da tempo preso di mira da Israele, dopo che quest'ultimo ha ammesso che era insufficiente distruggerlo con i soli attacchi aerei. 

Il loro obiettivo successivo era Homs, a soli 45 km di distanza. Ciò ha fatto pendere la bilancia a favore dei terroristi, che miravano a isolare la Resistenza libanese tramite quella che era una via essenziale di trasferimento di armi, rifornimenti e logistica. Gli obiettivi di Israele per Homs, nel preparare il terreno nell’imminente attacco dei takfiri, sono stati il bombardamento delle posizioni intorno a quella città, che ospitava siti di stoccaggio e trasferimento di equipaggiamenti da combattimento per Hezbollah e punto di ingresso per le sue unità in Siria. Il portavoce in lingua araba dell'esercito israeliano, Avichay Adraee, lo ha sottolineato in un tweet la notte dopo la presa di Hama, e non è una coincidenza che le sue parole siano state pronunciate mentre Homs era il prossimo obiettivo dei "ribelli". 

A questo punto, appariva chiaro che l'esercito siriano non avrebbe più combattuto, a causa degli ordini di generali compromessi, che andavano contro la direttiva di Assad, di deporre le armi. La profonda infiltrazione aveva dissolto i ranghi quasi all'istante. Gli attacchi aerei russi che avevano colpito le postazioni terroristiche nei primi giorni dell'assedio di Aleppo erano cessati e l'IRGC non aveva una forza attiva da mobilitare. Homs è caduta ufficialmente sabato 7 dicembre e la caduta della Siria, finalizzata dagli ordini di Assad a ridurre al minimo lo spargimento di sangue tra i civili ordinando una pacifica transizione di potere, concordata con la conclusione dei colloqui di Astana tra Iran, Russia e Turchia, aveva messo gli ultimi chiodi nella bara. 

Israele ha anche mirato ad espandere la sua zona cuscinetto nelle alture del Golan, ponendo fine al timore di lunga data di infiltrazione della Resistenza sulle alture dopo 14 mesi di operazioni di Hezbollah contro siti nel territorio occupato. Il cambio di regime in Siria ha provocato un'incursione israeliana a Quneitra con il pretesto di espandere questa cosiddetta zona cuscinetto. 

L'aggressione israeliana più violenta ha preso di mira Tartus lunedì 16 all'alba e ha causato l'uccisione e il ferimento di civili.

Contemporaneamente, Israele ha colpito tutti i siti militari critici, le infrastrutture e gli arsenali della Siria, per spazzare via qualsiasi capacità di difesa che potesse essere trasferita in Libano o utilizzata contro l'entità occupante in futuro. Ciò è stato accompagnato dalle congratulazioni di Netanyahu per la caduta "storica" ​​della "tirannia di Damasco": un progetto americano di lunga data reso possibile attraverso lo sforzo coordinato tra gruppi ‘’ribelli’’ e Israele. "Senza i colpi che avete inflitto a Hezbollah e all'Iran, non avremmo potuto liberare la Siria", ha detto ai media israeliani il portavoce dell'Esercito siriano libero Fahd Masri. "Grazie, Israele. Questa è una vittoria degli israeliani, nostri fratelli e vicini", ha ribadito, riecheggiando le dichiarazioni rilasciate da un certo numero di membri dell'"opposizione siriana" e dell'’’Esercito siriano libero’’ ai media sionisti nelle ultime settimane. 

A questo punto, è più che ovvio a chi servono gli obiettivi dell'attuale svolgimento degli eventi. La fragile situazione della Siria nell'ultimo decennio ha mobilitato le fazioni della Resistenza verso una traiettoria di produzione interna e autosufficienza in tutti i campi, un piano accelerato dal defunto comandante dell'IRGC Hajj Qassem Soleimani. Hezbollah produce già i propri missili e droni a livello nazionale con depositi di armi ignoti da Israele. Mentre la caduta della Siria è l’epilogo di un capitolo molto oscuro e difficile per l'Asse della Resistenza, i miracoli di Gaza e dello Yemen assediati per anni ci forniscono una lezione: la traiettoria per le fazioni della Resistenza altamente adattabili continuerà e raggiungerà nuove vette negli eventi futuri.



Quaranta anni di sanzioni per assoggettare e lacerare la Siria

Di Maria Antonietta Carta 

Torno ancora sul tema delle sanzioni, perché mi è impossibile non continuare a denunciare questa subdola arma di distruzione di massa che trova il suo compimento più atroce nelle rinnovate sanzioni europee contro una popolazione ormai allo stremo e sul cinicamente denominato ‘’Caesar Syria Civilian Protection Act’’: un vero e proprio strumento genocidiale che, se non sarà sospeso, sottoporrà al supplizio un intero popolo civile e valoroso.

Durante il mio viaggio a Latakia dell’autunno scorso, ho potuto constatare ancora una volta quanto i Siriani siano provati e straziati da questa persecuzione spietata e senza tregua che dura da oltre quarant’anni. Sì, perché la persecuzione economica contro la Siria non è iniziata con la guerra che attualmente la sta devastando.

Quando vi giunsi per la prima volta nel 1978, in un bel giorno di fine estate, la Siria era un cantiere in piena attività: si costruivano edifici residenziali (in parte destinati a militari reduci della guerra del 1973 o alle famiglie di chi in guerra era morto), scuole anche nei villaggi più sperduti, ospedali e Università. Poi, di repente, nel 1979 arrivò l’embargo, decretato dagli Stati Uniti e messo in pratica da tutti i suoi ‘’alleati’’ per punire la Siria che stava dalla parte dell’Iran, Paese aggredito, nella guerra con l’Iraq, Paese aggressore. Fu così che cominciai a imparare quali terribili conseguenze genera l’impiego delle sanzioni: un ricatto ignobile con gli stessi effetti deleteri dell’assedio medievale. L’embargo significò allora traffici commerciali bloccati anche per le enormi quantità di derrate di ogni genere che attraverso le vie terrestri e marittime giungevano a Latakia o ad Aleppo, destinate non soltanto al mercato locale ma a vari Paesi mediorientali. La prima conseguenza fu l’improvvisa perdita del lavoro per centinaia di migliaia di persone: impiegati, marittimi, portuali, camionisti, commercianti, artigiani, che prima conducevano un’esistenza dignitosa. Quindi fame, mancanza di tutti i prodotti essenziali di importazione dall’aspirina ai farmaci salvavita (non esistevano ancora fabbriche farmaceutiche locali), ai macchinari di ogni genere, al ferro per l’edilizia etc. etc. E ci fu una crescita aberrante della corruzione e del malaffare. Aumentarono povertà e privazioni contemporaneamente alla ricchezza scandalosa di affaristi senza scrupoli e corrotti, autoctoni e internazionali in perfetta combutta, che si trasformarono purtroppo in imprescindibili procacciatori di tutti i beni indispensabili. Proprio come accade oggi. Perché quando a un intero Paese con scarsa autosufficienza di alcune materie prime e di industrie si impedisce l’attività commerciale lecita esso diventa ostaggio e vittima dell’illegalità e dell’ingiustizia che può condurlo alla progressiva disintegrazione del legame sociale, che in uno stato di guerra può condurre a conseguenze terribili. 

E' difficile immaginare il numero di mutilati o morti per la mancanza di antibiotici, ma persino di sostitutivi del latte materno o di glucosio! o a causa di tante altre privazioni. Io, che ho vissuto in Siria per oltre trent’anni, so. I miei ricordi, indelebili e tremendi, sugli effetti nefasti delle sanzioni sono così tanti che servirebbero ore e ore per rievocarli tutti. Ho visto troppi sventurati patirne le conseguenze, perciò al solo sentirle menzionare provo sempre un dolore profondo. E rabbia, perché le sanzioni sono uno strumento irragionevole, spregevole, disumano.

Anche quelle dal 2006 fino al 2012 causarono danni molto gravi.  La Siria attraversava una difficile crisi a causa di una lunga siccità e per un conseguente aumento del proletariato urbano. Inoltre, doveva affrontare un aggiuntivo costo economico e sociale dovuto alle centinaia di migliaia di rifugiati iracheni, dopo la seconda guerra del Golfo, e di quelli libanesi in seguito alla seconda guerra israelo-libanese del 2006; perché è da sempre accogliente: con gli Armeni perseguitati dai Turchi, con i Palestinesi, con i vicini Libanesi, persino con gli Italiani durante la Seconda guerra mondiale e con tanti altri.

Il motivo pretestuoso fu dare una risposta alla "minaccia inusuale e straordinaria del governo siriano agli interessi economici, di sicurezza nazionale e di politica estera degli Stati Uniti’’ (sic!). Sinceramente: vi sembra davvero credibile che un Paese più piccolo dell’Italia e con poco più di venti milioni di abitanti potesse costituire una così terribile minaccia per la prima potenza mondiale? Di certo, posso dire che dopo aver demolito l’Iraq si apprestavano a ripetere gli stessi crimini scellerati. Insomma, sanzioni propedeutiche all’inizio del caos in Siria. Ancora di più, molto di più, sono ferali oggi che questo infelice popolo è stanco, anzi stremato e dilaniato da un conflitto brutale che dura da oltre nove anni. Il costo della vita diventa proibitivo anche per chi prima era benestante, perché l’economia di un intero Paese è condannata. Una condanna iniqua contro vecchi, bambini, malati, mutilati, uomini e donne incolpevoli, con la giustificazione paradossale di ‘’misure umanitarie’’. e contro un Paese patrimonio prezioso dell’intera Umanità. 

Leggi Settembre 2022 https://oraprosiria.blogspot.com/2020/09/voci-dalla-siria.html


Oggi, la Siria è precipitata nel caos e i signori del «divide et impera» possono esultare ancora una volta con il loro orrido ghigno.

giovedì 14 novembre 2024

Da Guantanamo Bay alla prigione di Gweran (Siria nord-orientale). Decifrazione di un affare oscuro


Un articolo del 2023 e ... ancora oggi novembre 2024 la straziante agonia del popolo siriano continua

René Naba, 20 maggio 2023, Décryptage

Traduzione di Maria Antonietta Carta 

  • Gli Stati Uniti hanno trasferito nel nord-est della Siria lo schema di Guantanamo Bay , affidando il subappalto dei prigionieri dell’ISIS ai Curdi; centri di detenzione senza alcun controllo, nonostante i gravi abusi che vi si stanno consumando e la corruzione delle guardie curde.

  • L’estradizione dei prigionieri dell’ISIS in Turchia durante l’assedio di Baghouz nel marzo 2019 fu il risultato di una transazione finanziaria con le autorità curde nella zona autonoma della Siria nord-orientale.

  • 270 membri dell’ISIS sono riusciti non solo a fuggire dalla prigione, ma anche a raggiungere “aree sicure”, spesso armati di “ordini di missione” con il sigillo dell’autogoverno curdo.

  • La rete di comunicazione istituita all’interno della prigione di Gweran per collegare i prigionieri dell’ISIS al mondo esterno, comprese le comunicazioni cellulari, fu istituita con la tacita connivenza delle forze curde.

  • Le autorità curde de facto della zona autonoma hanno usato il caso della prigione sia per dissuadere Ankara dall’impegnarsi in un’operazione militare contro l’area curda, sia contro gli Stati Uniti per dissuadere Washington dal ritiro dalla Siria nord-orientale.

Il 20 gennaio 2022, lo Stato Islamico (ISIS) lanciava l’assalto alla più grande prigione di jihadisti nel nord della Siria, rilasciando centinaia di suoi veterani sotto il naso e in barba alle forze curde sostenute dai loro alleati americani.

Hassakeh, una città controllata dai Curdi nel nord-est della Siria, durante quattro giorni fu teatro di combattimenti molto violenti tra le Forze democratiche siriane e i combattenti dell’ISIS in seguito all’assalto islamista contro la gigantesca prigione di Gweran, il più grande campo di detenzione di ex jihadisti e delle loro famiglie. 185 persone furono uccise da entrambe le parti. A sostegno delle forze curde, la coalizione guidata dagli Stati Uniti aveva schierato elicotteri da combattimento che bombardarono ammutinati e sacche di resistenza. La minaccia fu “contenuta”, ma centinaia di prigionieri riuscirono a fuggire. Secondo la versione americana, cellule dormienti introdotte tra le guardie carcerarie avevano lanciato l’assalto, insieme ad autobombe, armando i prigionieri dall’interno e innescando quattro giorni di feroci combattimenti.

1- MIT turco dietro la rivolta dei prigionieri dell’ISIS

Lo spettacolare assalto dell’ISIS a una prigione di Hassakeh, in mano ai delegati curdi degli Americani, fu un’eccelente operazione di ‘’fumo mediatico’’ con un duplice scopo:

- Permettere alla Turchia di conquistare nuove porzioni di territorio siriano.

- Giustificare il mantenimento della presenza militare statunitense in quella zona petrolifera della Siria, senza alcuna base legale o giuridica, sostenendo la permeabilità del settore. 

Almeno questa è l'impressione che emerge dalla dichiarazione del signor Noury Mahmoud, portavoce delle YPG (Kurd People's Protection Units) non appena finita l'insurrezione dei prigionieri dell'ISIS. Il signor Noury Mahmoud accusò la Turchia di fomentare questa insurrezione al fine di occupare Hassakeh e altre città della zona per mezzo dei prigionieri dell’ISIS liberati durante l’assalto alla prigione. Egli disse che Il MIT, servizio segreto turco, ‘’avrebbe stanziato la somma di 15 milioni di dollari per il completamento di questa operazione”, aggiungendo che con la riattivazione dell’ISIS la Turchia intendeva rilanciare la minaccia terroristica presso l’opinione occidentale, ancora sensibile sull’argomento, e quindi giustificare il proseguimento dell’occupazione militare statunitense nonostante l’illegalità della sua presenza nel nord-est della Siria.

Sullo sfondo di una prova di forza tra gli Stati Uniti e la Russia e di una guerra psicologica tra i vari protagonisti del conflitto, la drammatica situazione della popolazione è rimasta nascosta, nonostante essa fosse anche peggiore di quella in cui vivevano i prigionieri di Guantanamo. I media si sono limitati a trasmettere le dichiarazioni delle varie organizzazioni siriane; le Nazioni Unite hanno deplorato la tragedia di decine di migliaia di sfollati a causa delle ostilità e l’UNICEF ha espresso la sua preoccupazione per il destino di 700 bambini nei piani superiori della prigione.

2- Un dramma che colpisce 60.000 persone... banalizzato.

Tuttavia, quella tragedia riguardava 60.000 persone (uomini, donne, bambini), stipati in condizioni disumane nei campi di 20 prigioni; ostaggi di un conflitto trattati da alcuni come appestati o usati da altri come pedine in un gioco di negoziati. Con il tempo, quella situazione anomala si è «normalizzata». In altre parole, è diventata banale.

I militari hanno occupato il posto della politica e degli organi rappresentativi. Mutatis mutandis, l'assuefazione a quel dato di fatto ha provocato una assuefazione simile per la situazione di decine di migliaia di detenuti nelle carceri siriane; vale a dire la normalizzazione o addirittura la banalizzazione del loro status di detenuti; una banalizzazione correlata alla situazione di diverse migliaia di persone incarcerate nelle 11 prigioni costruite dai servizi di sicurezza di Jabhat al-Nusra. La presenza di un numero così elevato di prigionieri implicava che una soluzione politica poteva essere raggiunta solo attraverso negoziati tra combattenti corrotti e con le mani macchiate di sangue.

Gli organismi istituiti dai Curdi per amministrare la regione autonoma ad est dell’Eufrate sono passati sotto il diretto controllo dei leader militari, compresi i giacimenti petroliferi e le aree agricole. Di conseguenza, la maggioranza della popolazione araba ad est dell’Eufrate si è trovata, de facto, sotto l’autorità dell’esercito curdo; senza alcun contatto con un’amministrazione civile. Personale militare che non concede alcun riconoscimento della loro specificità, criminalizzandoli e accusandoli di appartenere all’ISIS se esprimono un qualsiasi reclamo.

3 - Gli Stati Uniti e l'attuazione del sistema di rendering nel nord-est della Siria.

Gli Stati Uniti hanno replicato il sistema di rendering nella Siria nord-orientale, affidando ai loro delegati curdi il subappalto dei prigionieri ingombranti. Il termine ‘’rendition’’ si riferisce infatti all’azione di trasferimento di un prigioniero da un Paese all’altro, al di fuori del quadro giudiziario; in particolare al di fuori delle normali procedure di estradizione. Questo termine è stato pubblicizzato come parte della “guerra al terrore”, in particolare sulle operazioni della CIA nel contrabbando di prigionieri, a volte precedute da un rapimento. Questi trasferimenti sono regolarmente associati a una sorta di “esternalizzazione” della tortura, con gli Stati Uniti che torturano i prigionieri nei Paesi alleati mentre la vietano sul loro territorio. Le persone interessate sono talvolta detenute in prigioni segrete della CIA al di fuori del territorio degli Stati Uniti (noti anche come “siti neri”).

Nel mondo arabo, l'Egitto sotto la presidenza di Hosni Mubarak, il Marocco durante il regno di Hassan II e la Giordania durante il regno del re Hussein praticarono il sistema di ‘’rendering’’ per conto degli Stati Uniti alla fine del XX secolo.

Nel ventunesimo secolo, gli Stati Uniti hanno replicato questo modello con i loro alleati curdi nel nord della Siria.

Per molteplici motivi, relativi sia alla situazione in Medio Oriente sia per ragioni di politica interna americana, gli Stati Uniti intendono rimanere in Siria, benché la loro presenza non abbia alcuna base giuridica, applicando la strategia “zero morti”. 

A- Una transazione commerciale alla base di un obiettivo militare: il petrolio siriano è una fonte di finanziamento per i carcerieri curdi nel nord-est della Siria.

A tal fine, gli Stati Uniti hanno fatto ricorso al ‘’rendering’’ nel nord della Siria affidando il trattamento dei prigionieri ingombranti ai Curdi e imponendo le “Forze democratiche della Siria” per questo compito, ma di fatto l’apparato di sicurezza e le YPG (Durd People’s Protection Units) sono sotto il controllo americano. In cambio, come ricompensa per questa prestazione, gli Stati Uniti assicurano ai Curdi i proventi delle risorse energetiche siriane (petrolio e gas) per finanziarsi e ridurre di conseguenza le spese americane in questo settore. Una transazione commerciale per un obiettivo militare. Di conseguenza, i Curdi si assumono la responsabilità degli eventi che si svolgono nell’area del loro dispiegamento, dei campi di raggruppamento della popolazione e delle prigioni. Allo stesso tempo, l'FBI è pronta, in caso di necessità, a dare una mano ai subappaltatori curdi degli Americani. 

B- Vetted Syrian Opposition (Opposizione siriana autorizzata) o Processo di rispettabilità degli alleati USA in Siria, i gruppi terroristici e i delegati curdi.

Mai privi di immaginazione quando si tratta di realizzare i loro progetti, gli Stati Uniti hanno creato una sorta di etichetta AOC (designazione di origine controllata), per conferire rispettabilità ai gruppi terroristici islamisti che intendeva utilizzzare. Ad esempio, Jabhat al-Nusra, il franchising siriano di al-Qaïda, ha beneficiato dell’etichetta “VSO” – Vetted Syrian Opposition – per beneficiare del diritto di partecipare alla coalizione dell'opposizione off-shore petro monarchica. Per sopraggiunta, gli Stati Uniti si sono impegnati a conferire una «rispettabilità» ai loro subappaltatori curdi attraverso l'apertura nella capitale della zona curda di missioni di rappresentanza dei Paesi membri della «Coalizione internazionale contro l’ISIS», favorendo inoltre visite sul campo di una decina di consoli con il pretesto di informarsi sulla sorte dei loro cittadini detenuti nelle carceri curde, o ancora la ricezione da parte delle autorità curde di personalità occidentali.

4- Il passaggio ai fatti: Il bersaglio, una prigione di 3.600 prigionieri dell’ISIS e 700 minori.

Il passaggio all'azione è avvenuto sullo sfondo di quello spettacolare dispiegamento di menzogne offerto all'opinione internazionale per abusarne. Due volontari dell’ISIS, Abu Abdel Rahman e Abu Farouk della Brigata Muhajirin (un gruppo armato jihadista composto da diaspore musulmane e molto attivo dal 2013 al 2015 durante la ‘’guerra civile siriana’’) furono impegnati in un’operazione suicida con due autobombe, colpendo le mura della prigione di Gweran, un ex istituto industriale di Hassakeh trasformato in centro di detenzione che ospitò 3.600 membri dell’ISIS e 700 minori.

Quell’assalto ha riportato sotto i riflettori la Siria, con la consueta processione di esperti sul fenomeno del terrorismo e le loro speculazioni sui danni collaterali, tra cui i rifiuti umani e guerra al terrore. Se gli Stati Uniti non si fossero subito impegnati in un'operazione commando per eliminare Abdallah Quraysh, il successore del capo dell'ISIS Abu Bakr al-Baghdadi, la Siria sarebbe stata nuovamente cancellata dall'attualità e la tragica sorte delle prigioni e dei campi di contenimento per le famiglie dei detenuti sarebbe stata occultata allo stesso modo.

5- Il precedente della prigione irachena di Abu Ghraib.

Il 'Baghdad Central Detention Center', meglio conosciuto come Abu Ghraib Prison, era una prigione della città di Abu Ghraib, 32 km a ovest di Baghdad. Fu usata dagli Statunitensi come centro di tortura per i detenuti iracheni. Lo scandalo Abu Ghraib, scoppiato nel 2004 in seguito alla trasmissione di foto delle torture inflitte dall’esercito USA ai prigionieri iracheni causò il trasferimento della prigione alle autorità irachene nel 2006.

mercoledì 9 ottobre 2024

Seymour Hersh: I miei incontri con Nasrallah

Un soldato di Hezbollah durante la campagna militare in Siria contro i miliziani di Al Nusra saluta la statua di Gesù.  Fu grazie all'impegno degli Hezbollah che molti villaggi cristiani del Qalamoun siriano furono liberati dai takfiri fanatici.
 

da Mondialisation.ca, 2 ottobre 2024 - di Seymour Hersh

Traduzione di Maria Antonietta Carta 

Il leader di Hezbollah assassinato aveva una visione per il suo Paese

Nel 2005, Bush truccò le elezioni irachene per garantire che i sunniti avessero la maggioranza dei voti. Le schede elettorali, non certo vuote, erano state stampate negli Stati Uniti e trasportate con un aereo in Iraq.

Devo ammettere che Hassan Nasrallah mi era piaciuto. Avevo avuto alcune lunghe conversazioni con lui, iniziate nell'inverno del 2003 pochi mesi dopo l’invasione americana dell’Iraq voluta da George W. Bush e Dick Cheney due anni prima, dopo l’11 settembre, anche se l’Iraq era governato dal laico Saddam Hussein, che non aveva alcun legame con al-Qaeda.

Lavoravo per il New Yorker e mi interessava la guerra al terrorismo. Ciò mi aveva condotto a Berlino, quella primavera, per una colazione sull’ 11 settembre con August Hanning, capo dei servizi segreti tedeschi. Non furono necessari i preliminari: Hanning e io sapevamo che avremo parlato solo di questioni sostanziali.

A un certo punto, interrogai Hanning sulla strana relazione, di cui ero venuto a conoscenza, tra l’ex primo ministro Ehud Barak, che durante la sua brillante carriera militare era stato comandante del Sayeret Matkal, l’unità di commando più segreta di Israele, e lo sceikh Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah, la milizia sciita con sede nel sud del Libano. C’era stato uno scambio di prigionieri tra Israele e Hezbollah, che ha avuto luogo dopo numerose conversazioni tra Nasrallah e Barak, che si era rifiutato di restituire uno dei prigionieri. I colloqui di Nasrallah con Israele attraverso Hanning continarono con Ariel Sharon, che sostituì Barak come primo ministro nel 2001. Si trattava di una notizia sbalorditiva. Sharon aveva guidato l’attacco israeliano al Libano nel 1982, svolgendo un ruolo chiave nel famigerato massacro di due campi profughi palestinesi in quel Paese. Nasrallah e lui formavano un duetto molto strano.

Non presi appunti durante quella colazione, ma fu Nasrallah a interessarmi maggiormente. Avevo amici a Beirut, che conoscevano i dirigenti di Hezbollah, e riuscii a organizzare un incontro. Non ricordo dove si svolse il primo incontro, ma le condizioni della sicurezza non erano molto buone, come scrissi in seguito nel New Yorker dopo la feroce guerra del 2006 senza vincitori tra Israele e Hezbollah. In quel primo incontro c’era stato un semplice controllo di sicurezza: la mia giacca fu perquisita e il mio vecchio registratore aperto ed esaminato velocemente.

Nasrallah era un uomo paffuto e gradevole, nel suo abito religioso. Gli chiesi, attraverso un interprete, se si considerava un terrorista o un combattente per la libertà nelle sue incessanti schermaglie al confine con Israele. Mi disse che il suo esercito aveva attaccato i soldati israeliani lungo il confine e lo avrebbe fatto di nuovo in caso di guerra. Mi sorprese aggiungendo che, se gli Israeliani e i Palestinesi che vivevano sotto l’occupazione israeliana fossero stati in grado di ottenere pieni diritti e concludere un accordo di pace degno di questo nome, egli avrebbe naturalmente onorato quell' accordo. Furono serviti tè e biscotti, e lui aveva insistito che li prendessimo, spingendo il vassoio verso di me. In sintesi, la discussione si limitò all’esposizione del suo punto di vista sulla guerra americana in Iraq. Nasrallah predisse che la rapida vittoria degli Americani sarebbe stata seguita da anni di guerra dura e che l’esercito iracheno smantellato si sarebbe alleato con l’opposizione tribale e politica. Aveva proprio ragione.

Incontrai Nasrallah una seconda volta qualche settimana prima delle elezioni parlamentari in Iraq, il 30 gennaio 2005. Quelle furono le prime elezioni generali dopo che gli USA rovesciarono Saddam e, come ho riferito in seguito, l’amministrazione Bush si adoperava in tutti i modi per truccare le elezioni e garantire che i candidati sunniti favoriti dalla Casa Bianca ottenessero la maggioranza dei voti. Un amico dei servizi segreti statunitensi mi informò che le schede elettorali solo presuntamente vuote, erano state stampate negli Stati Uniti e trasportate con un aereo in Iraq.

Nasrallah era divertito per la stupidità di Washington, che aveva inviato diplomatici e altri funzionari in Iraq che non conoscevano bene il Paese e non parlavano l’arabo. Mi disse che l’America non aveva idea di come tenere le elezioni e sembrava credere che il partito vincente avesse bisogno della maggioranza del 50% o più. Poi mi spiegò che il partito vincitore sarebbe stato sciita e avrebbe ottenuto il 48,1% dei voti. “Gli Americani, mi disse, non sanno come organizzare un’elezione qui”. (La trascrizione del testo di questa intervista insieme alle altre interviste con Nasrallah sono conservate in 95 cartelle dei miei documenti e non possono essere visualizzate su due piedi). Le elezioni furono vinte dallo sciita Ibrahim al-Jaafari con il 48,19% dei voti.

Le elezioni erano state per lo più boicottate dagli arabi sunniti e in una circoscrizione sunnita chiave votò solo il 2% degli iscritti. La comunità sunnita aveva chiaramente capito che le elezioni sarebbero state truccate, a differenza della comunità diplomatica e militare statunitense. Il giorno delle elezioni ci furono almeno 44 morti nei pressi dei seggi elettorali. Avevo scritto un libro in cui sostenevo che Jack Kennedy aveva truccato un'elezione a Chicago, ma non avrei mai pensato di chiedere a Nasrallah come avrebbe vinto al-Jaafari. Egli fu in grado di prevedere il punteggio entro un decimo di punto.

La mia ultima visita a Nasrallah avvenne nel dicembre 2006, mesi dopo che Hezbollah aveva combattuto un Israele sbigottito in una guerra brutale. (Il fallimento di quella battaglia contribuì a preparare Israele per il giorno in cui il suo primo ministro, come ha fatto la scorsa settimana, avrebbe chiamato a un assalto massiccio.)

Nasrallah era in clandestinità dalla fine della guerra del 2006. Presi un taxi per il luogo dell’incontro nel sud di Beirut, dove vivono molti sciiti e dove un collaboratore di Hezbollah mi condusse fino a un parcheggio. Lì, fui perquisito con uno scanner portatile, messo sul retro di una berlina scura con finestre bloccate, condotto verso altri due o tre parcheggi, cambiando auto ogni volta, e infine al parcheggio di un moderno condominio. Fu più interessante che allarmante e non collegai immediatamente l’ipersicurezza alla guerra con Israele. Una volta nel parcheggio giusto, fui scortato fino a un ascensore che mi trasportò direttamente all'ultimo livello di quello che sembrava essere un edificio di 12 piani. Compresi che il successo di Hezbollah nella sua lotta contro Israele lo aveva reso un eroe per gli sciiti e i sunniti. Nasrallah respinse un assistente che voleva sottomettermi a una perquisizione completa del corpo. Mi sorpresi per le misure di sicurezza e gli chiesi: “Cosa sta succedendo, cazzo?”, ma in termini più educati. Mi spiegò che la guerra dell’estate era iniziata quando aveva ordinato il rapimento di due soldati israeliani durante un raid transfrontaliero. Era stato un errore. “Volevamo solo catturarli per uno scambio di prigionieri, mi disse, non abbiamo mai voluto trascinare la regione in guerra”.

Quando riprendemmo la conversazione, intorno a tè e biscotti, Nasrallah, chiaramente irritato, accusò il presidente Bush per il suo obiettivo di “fare una nuova mappa della regione” dividendo il Medio Oriente, dove molte religioni convivono pacificamente da molto tempo, in due Stati separati: uno sunnita e l’altro sciita. “Tra uno o due anni ci saranno aree totalmente sunnite e altre completamente sciite e completamente curde. Anche a Baghdad c’è la preoccupazione che la città sarà divisa in due aree, sunnita e sciita”.

Pochi mesi dopo, in un lungo articolo, ispirato dalla mia intervista a Nasrallah, una testimonianza poco conosciuta del Congresso e colloqui a Washington e in Medio Oriente sulla decisione dell’amministrazione Bush di “riconfigurare le sue priorità in Medio Oriente”, scrivevo: “In Libano l’amministrazione ha collaborato con il governo saudita, amministrato dai sunniti, nelle operazioni segrete per indebolire Hezbollah, l’organizzazione sciita sostenuta dall’Iran. Gli Stati Uniti hanno anche partecipato a operazioni segrete contro l’Iran e il suo alleato, la Siria. Queste attività hanno rafforzato i gruppi estremisti sunniti che aderiscono a una visione militante dell’Islam, sono ostili all’America e simpatizzano con Al Qaeda”.

Il segretario di Stato Condoleezza Rice, uno dei leader della nuova politica estera degli Stati Uniti, parlò alla Commissione Affari Esteri del Senato di “un nuovo allineamento strategico in Medio Oriente, che avrebbe separato i riformatori dagli estremisti”. La maggior parte dei sunniti veniva situata al centro della corrente moderata, mentre l'Iran sciita, Hezbollah, la Siria sunnita e Hamas stavano dall'altra parte. Qualunque cosa si possa pensare dell’analisi della Rice, un cambiamento nella politica ebbe luogo e alla fine portò l’Arabia Saudita e Israele sull’orlo di una nuova alleanza strategica attraverso gli accordi di Abramo. Entrambe le nazioni consideravano minacce esistenziali l’Iran e Hezbollah. I Sauditi, scrissi all’epoca, credevano che una maggiore stabilità in Israele e Palestina avrebbe ridotto l’influenza dell’Iran nella regione.

Questo articolo fu pubblicato oltre diciassette anni fa. È sorprendente come il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu abbia oggi distrutto quella fragile opportunità di riallineamento politico in Medio Oriente, in particolare con un Iran ora guidato da un presidente moderato e lungimirante che potrebbe presto essere nella lista degli obiettivi di Netanyahu.

Non sapremo mai se Nasrallah, nato in Libano, che mi disse più di una volta che era determinato a coinvolgere Hezbollah nella vita politica, economica e sociale del suo Paese, sarebbe riuscito a farlo. La prospettiva attuale, con un Israele nel mezzo di un’offensiva terrestre e aerea, sembra molto cupa e mortale.

Seymour Hersh

https://www.mondialisation.ca/mes-rencontres-avec-nasrallah-seymour-hersh/5692796?doing_wp_cron=1728483821.7733230590820312500000

sabato 31 agosto 2024

Memorie di Siria. Un giorno nel villaggio di ‘Ain ‘Issa

Nizar Ali Badr - Syrian Artist


Di Maria Antonietta Carta



Dopo aver attraversato l’animata pianura di Latakia e i profondi silenzi e i respiri del verdeggiante Jebel costiero che separa la Siria mediterranea dalla Siria asiatica, arrivo al villaggio turcomanno di ‘Ain ‘Issa. Anch’esso silenzioso, ma di un silenzio diverso. Un silenzio che mi sembra parli di solitudine e di abbandono. Vecchie case di fango e legno e alcune case nuove costruite con brutti blocchi di cemento nudo. In una strada quasi deserta alcune galline passeggiano indisturbate nella polvere.

La maggior parte degli abitanti ha lasciato il villaggio per vivere in città. Sono rimasti in pochi. Gli anziani si vestono ancora con lo shirual introdotto in Siria dagli Ottomani. Dei giovani indossano i jeans: il loro viaggio in Occidente. E le donne? Le donne sembrano rassegnate; invece non lo sono, penso, osservando povere finestre e muri grigi colorati da armoniose ghirlande di peperoncini e melagrane e sentendo il dolce profumo dei fiori piantati in vecchi barattoli e taniche, come in Sardegna quando ero piccola e stavamo uscendo dalla guerra.

Entro in un’umile casa nuova e siedo tra uomini che devono raccontarmi le loro fiabe. Prima bisogna celebrare il rito dell’ospitalità.

- Ahlein-u-sahlein! Kifek? Inshallah mabsūta, hone! - Benvenuta. Come stai? Se Dio vuole sei contenta qui!

- Che Dio vi dia la salute. È un posto bellissimo.

- Che cosa preferisci bere, tè o caffé?

- Del tè, grazie.

In attesa che il tè arrivi, inizio a preparare il magnetofono. Gli sguardi seguono i gesti delle mie mani. Entra una ragazza con il fazzoletto in testa e un largo pantalone con l’elastico alle caviglie sotto un vestito a colori sgargianti. Le sue mani, che portano un vassoio con bicchieri e teiera, sono giovani e già stanche.

Mi rivolge un brevissimo, timido sorriso, posa il vassoio su un tavolino e lascia la stanza. ’Dov’è la presa della corrente? ‘, chiedo.

Me la indicano e inserisco la spina. I volti degli uomini che siedono tutti composti in attesa sono un poco divertiti, curiosi e anche intimiditi, o perplessi?

- Chi vuole raccontarmi una storia? – chiedo. Si guardano, si schermiscono, tacciono. Io aspetto. Ormai sono abituata ai loro prologhi muti.

- Su! Padre, raccontale di quella volta che incontrasti una jinn. - esorta finalmente il padrone di casa, rivolto al vecchio genitore, che continua a stare zitto. Io aspetto in silenzio. Il tempo, in Siria, non si misura con il mio metro.

Bisogna dimenticare l’impazienza. Ho dovuto imparare a saper attendere.

Il vecchio siede al mio fianco con le gambe incrociate sopra una stuoia e la schiena appoggiata alla parete. Si accarezza il mento, porta il busto in avanti, sistema i gomiti sopra le ginocchia e, finalmente, mi rivolge uno sguardo. Ancora in silenzio. Poi osserva gli altri, anche loro in attesa.

- Deve essere una storia straordinaria. - dico.

- Lo è davvero. Ed è una storia vera - conviene lui, e finalmente comincia a raccontare.

- Questo fatto mi è successo trenta anni fa tornando a casa da un viaggio. Appena buio, decido di fermarmi a riposare. Allora i viaggi li facevamo a piedi. Solo i ricchi avevano i cavalli. Hai visto quella montagna, che sta di fronte alla nostra, dove adesso inizia la Turchia?

- Sì.

- Mi trovavo proprio lì quella notte. Allora era Siria. Prima che i Francesi la dessero alla Turchia.


Già! Regalarono alla Turchia una delle regioni più fertili e ricche di storia della Siria. La strafottenza criminosa dei ‘portatori di civiltà’ penso.

 Nella stanza accanto, la cucina, le donne chiacchierando ad alta voce preparano il pranzo. Effluvi di coriandolo, cipolle fritte, menta fresca, timo, e aglio annunciano piatti di burghul e lenticchie, cetrioli con delizioso yogurt appena fatto, sottili focacce cosparse di sesamo o pasta di peperoni rossi messe a cuocere alla parete di un neolitico forno verticale in terracotta collocato nel cortile, palline di formaggio acido ricoperte di timo macinato e asciugate al sole. Cibi millenari. Pietanze di una sublime semplicità.

Mi alzo per chiudere la porta accostata, ma le voci delle donne indaffarate a preparare il cibo da offrire in segno di accoglienza la attraversano e continuano ad accompagnarci. Penso alle nostre sapienti progenitrici, che sapevano scoprire la bontà dei frutti della terra e a queste donne che ne tramandano esperienze e gesti. Il vecchio riprende a raccontare.

Trovo riparo per la notte sotto un albero vicino a una sorgente. Tutto è deserto. C’è soltanto la luce della luna. Mi viene fame. Ho delle patate e inizio a sbucciarle. Sono forse le otto e tutto è deserto. C’è soltanto la luna in cielo, ma dal nulla ecco la voce di una donna!

- Che cosa fai, fratello, prepari la cena? - mi chiede.

Io alzo la testa e vedo la donna davanti a me. È una ragazza con un vestito bianco. Quel vestito bianco è lucente come la neve e gli occhi hanno luminose pupille verticali. ‘Da dove è uscita?’ penso. Nella montagna non ci sono villaggi, né case, né niente di niente.

- Si sorella, preparo la cena. - le rispondo.

Lei ha in mano una brocca bianca, bianca come la neve e anche le sue mani sono bianche.

- Vengo per l’acqua.- mi dice. Poi riempie la brocca e mi ordina:

- Su! Alzati! Alzati! Andiamo che ti do io da mangiare.

- No. Non importa.- le dico, chiedendomi cosa poteva darmi da mangiare se in quel luogo non c’era niente: né villaggi, né case. Nulla! Lei ripete:

-Alzati! Alzati!

Così mi alzo e insieme arriviamo in cima alla montagna; ed ecco che mi appare una casa bianca bianca. Per Dio! È una casa bianca come la neve.

Lei apre, entra e mi porta un piatto di zuppa gialla come la cera e anche un cucchiaio dicendomi:

- Mangia! fratello. - Io mangio e questa zuppa ha un sapore delizioso. Un sapore così meraviglioso non l’ho più sentito in vita mia. Mangio fino a saziarmi, ma lei insiste:

- Mangia! Mangia ancora.

- No! Non posso! Sono sazio. - le dico.

Tutto questo ha preso un bel po’ di tempo. Cioè, è trascorso molto tempo.

Così le dico: - Me ne vado a dormire.

- Bene! Ti accompagno fino all’albero.- dice lei.

- No! Non è necessario.- le dico. Giuro che le ho detto così, ma lei mi accompagna fino all’albero e lì mi fa vedere la mia casa. Era davvero la mia casa! E dopo un momento non c’era più! Scomparsa insieme alla donna.

Il giorno seguente, appena arrivato qua, al villaggio, racconto quello che mi è successo nella montagna. Tutti mi dicono: ‘Magari non avessi raccontato niente.’ Certo fu una cosa molto strana. O era una jinn o … Ancora adesso, dopo tanti anni, non riesco a capire chi era la creatura con gli occhi di gatto e in che mondo ero entrato quella notte.”  

Dopo pranzo e dopo aver rigovernato, anche le donne, un po’ serie e un po’ facete, mi hanno raccontato le loro fiabe mentre sorseggiavamo del caffé profumato al cardamomo. Mi hanno anche parlato della loro difficile vita nel villaggio e hanno voluto sapere della mia vita a Latakia. Mi hanno offerto una rosa appena colta, il dono prezioso di una calda accoglienza e di un abbraccio quando ci siamo congedate al tramonto.  

giovedì 8 agosto 2024

Il riavvicinamento di Erdogan ad Assad potrebbe segnare la fine della guerra in Siria

Mentre la Turchia cerca di unirsi alle nazioni arabe nella normalizzazione delle relazioni con Damasco, gli Stati Uniti dovrebbero prepararsi a lasciare la Siria

Joshua Landis e Hekmat Aboukhater, 29 luglio 2024

Traduzione dall’inglese di Maria Antonietta Carta

Le aperture della Turchia al presidente siriano Bashar al-Assad, la riammissione della Siria nella Lega araba, l'elezione del riformista iraniano Masoud Pezeshkian e la guerra infinita a Gaza indicano la necessità per gli Stati Uniti di ricalibrare la propria politica sulla Siria. Washington deve accettare il fatto che l'intera regione sta normalizzando le relazioni con Damasco e Assad. L'attuale politica degli Stati Uniti basata sul cambio di regime a Damasco è fallita. La risoluzione 2254 delle Nazioni Unite, che chiede una transizione democratica in Siria per portare l'opposizione siriana al potere, non ha alcuna possibilità di successo così come il progetto di separare la Siria dall'Iran. Non è più realistico il tentativo di stabilire un'enclave curda quasi indipendente nel nord-est della Siria, osteggiato da tutti i suoi vicini più potenti e in particolare dalla Turchia. Ognuna di queste tre politiche (cambio di regime, arretramento dell'Iran e preservazione di uno staterello curdo nel nord-est della Siria) si basava sul successo del cambio di regime a Damasco. Oggi, nessuna di queste ha senso. Con una presenza limitata di 900 soldati, Washington ha aiutato le Forze Democratiche Siriane (SDF), milizia guidata dai Curdi, a mantenere il controllo su un quarto della Siria nord-orientale , granaio e riserva petrolifera del Paese. Mentre l'intento iniziale era la lotta all'ISIS, la nuova politica tacita è ora quella di "ripristinare" l'Iran bloccando il principale anello della catena dell'"Asse della resistenza": la Siria. Con l'elezione di Pezeshkian, che ha indicato apertura verso l'Occidente e il desiderio di impegnarsi nuovamente con gli Stati Uniti in materia di trattato nucleare e sanzioni, Washington dovrebbe andargli incontro a metà strada.

Erdogan accetta la vittoria di Assad

Attraverso il suo confine meridionale, la Turchia, il più grande attore straniero nella guerra, aveva stabilito quella che oggi è conosciuta come la "Jihadi Highway". Questa rotta coordinata facilitò i viaggi dei terroristi dagli aeroporti internazionali turchi alle città di confine e l’introduzione di armi in Siria. Daghestani, tunisini, britannici e altri, vi confluirono per unirsi all'ISIS e ad altre formazioni jihadiste con la benedizione turca. Le conseguenze indesiderate del sostegno di Erdogan ai combattenti islamici si sono presentate alla sua porta. Ondate di rifugiati hanno attraversato il confine verso la Turchia in fuga dalla guerra civile siriana. Oggi, la Turchia sta lottando con tensioni sociali esacerbate dalla presenza di 3,7 milioni di rifugiati siriani nel Paese. Nonostante abbia ricevuto più di 11 miliardi di dollari dall'UE e dagli Stati Uniti per gestire la crisi dei rifugiati, Erdogan ha recentemente deciso che è giunto il momento per la loro partenza. Oltre alla questione dei rifugiati, egli ritiene inaccettabile lo status quo mantenuto dagli Stati Uniti nel nord-est della Siria. Il presidente turco ha chiarito che considera una condanna un'altra regione curda indipendente al confine meridionale del suo Paese, e nel 2017 e nel 2019 ha dimostrato quanto fosse disposto ad arrivare per bloccarla: l'operazione 'Scudo dell'Eufrate' e la ' Sorgente di pace', pubblicizzate come impegni essenziali per la sicurezza nazionale turca, hanno visto l'esercito turco invadere la Siria settentrionale e interrompere i collegamenti tra i tre cantoni curdi di Afrin, Kobani e Jazireh. Dopo aver sostenuto la rimozione di Assad per 12 anni, Erdogan riconosce ora che il presidente siriano è inamovibile e lo preferisce sul suo confine meridionale a un'enclave curda indipendente. Di conseguenza, questo luglio, Erdogan ha invitato Assad a una visita di stato ufficiale a Istanbul. Si è offerto di invitare i Russi come mediatori e ha affermato che è possibile una piena normalizzazione diplomatica tra i due Paesi. Sebbene Assad si rifiuti di incontrare Erdogan senza prima ricevere l’impegno che la Turchia ritirerà le sue truppe dal territorio siriano, ha dimostrato il suo interesse per questa eventualità. Egli è ansioso di ristabilire la sovranità siriana sulle terre che ha perso a causa delle forze ribelli e degli eserciti stranieri. Una ripresa del commercio con la Turchia fornirebbe anche un'ancora di salvezza tanto necessaria alla malata economia siriana.

Assad è anche ansioso di avere un alleato nell'imminente confronto con i Curdi sostenuti dagli USA nel nord-est della Siria e cerca di sfruttare la minaccia di un'invasione turca nel territorio controllato dalle SDF per negoziare un accordo con i Curdi siriani. Assad ha chiarito che non permetterà ai Curdi di mantenere il proprio esercito, un risultato che essi non accetteranno mai finché le forze statunitensi rimarranno nel nord-est della Siria per garantire la quasi indipendenza della regione. Washington, tuttavia, non può tenere le sue truppe in Siria per sempre e ha chiarito ai Curdi che non li aiuterà a stabilire uno Stato indipendente. Con la nuova amministrazione statunitense che prenderà il potere nel 2025, è giunto il momento del loro ritiro

Decisioni critiche per Washington

Mentre la guerra a Gaza si avvicina al primo anniversario, la politica e la credibilità degli Stati Uniti in Medio Oriente sono in netto declino. L’ira turca contro gli Stati Uniti è aumentata da quando hanno iniziato ad armare i Curdi siriani alla fine del 2014. La creazione di una regione autonoma guidata dai Curdi nel nord-est della Siria poco dopo, seguita dalla creazione delle Forze democratiche siriane (SDF) armate e addestrate dall’esercito USA, ha solo esacerbato la situazione. Gli Stati Uniti hanno una opportunità, usando la revoca delle sanzioni per ottenere un accordo favorevole firmato tra le SDF e il governo siriano. In un tale accordo, i Curdi manterrebbero un minimo di autonomia in cambio del ripristino della sovranità da parte del governo siriano. Dopo tutto, i Curdi siriani preferiranno sempre vivere sotto il governo siriano piuttosto che sotto quello della Turchia. Inoltre, gli Assad hanno sempre fatto affidamento sui Curdi per tenere a bada le tribù arabe della regione. Il presidente Assad ha bisogno dei Curdi per governare il nord-est proprio come ha bisogno di loro per garantire che né al-Qaeda né l'ISIS ritornino. In breve, c'è un accordo da fare tra i Curdi e Damasco; gli Stati Uniti possono usare la loro influenza per assicurarsi che sia il migliore possibile. Un ritorno all'accordo di Adana del 1998 tra Siria e Turchia sarebbe il risultato a lungo termine più probabile. Favorito dagli Stati Uniti, esso ha garantito l'unico periodo di stabilità nelle relazioni turco-siriane durante glii ultimi 100 anni. Per quanto riguarda la questione dei rifugiati, considerando i recenti attacchi ai Siriani che vivono in Turchia, il governo USA deve considerare la seguente questione: è nell'interesse degli Stati Uniti che alcuni dei 3,7 milioni di rifugiati tornino in una Siria economicamente forte che ha la scure delle sanzioni economiche allontanata dal collo, o che fuggano da una Turchia sempre più ostile in un viaggio pericoloso su gommoni diretti in Europa, creando così una seconda crisi dei migranti e rafforzando ulteriormente l'estrema destra europea?

La risposta sembra chiara. Allinearsi ai nostri alleati

Un accordo di allentamento delle sanzioni con il governo siriano aiuterebbe a garantire i diritti dei Curdi e, altrettanto importante, stimolerebbe abbastanza l'economia da convincere alcuni rifugiati siriani a tornare e impedire ai residenti siriani di andarsene. Gli Stati Uniti non dovrebbero resistere alla volontà dei loro alleati arabi e turchi che cercano la normalizzazione e il ritorno dei Siriani nella loro patria. Molti degli alleati europei degli Stati Uniti sono anche ansiosi di riprendere le relazioni diplomatiche con Damasco e revocare le sanzioni. Otto Paesi dell'UE hanno recentemente presentato un documento per proporre che l'UE rinnovi i legami diplomatici con il governo di Assad, sostenendo che la politica europea di "cambio di regime" e sanzioni è "fallita". "I passi compiuti finora", sottolineano, "hanno danneggiato principalmente i civili e non il regime e le autorità". I ministri degli esteri chiedono una nuova politica che crei "una realtà in cui i residenti hanno la volontà e l'interesse di rimanere in Siria o tornarci". Solo revocando le sanzioni l'economia siriana potrebbe ricominciare a crescere e la speranza in un futuro più luminoso ad alcuni dei Siriani che vivono in povertà, il 90%. Se gli Stati Uniti continueranno a ostacolare il processo di normalizzazione perseguito dai loro più stretti alleati, Washington verrà spinta fuori dalla regione. Il tentativo di Erdogan di riallacciare la sua antica amicizia con Assad è guidato dal desiderio reciproco di vedere le truppe statunitensi fuori dalla Siria nord-orientale. Gli Stati Uniti danneggeranno solo se stessi e i loro alleati del Golfo e dell'Europa resistendo a questo intento.

Per quanto riguarda l'Iran, gli Stati Uniti devono trovare un accordo. Non sarà facile, ma il nuovo governo riformista guidato da Pezeshkian presenta un'apertura che dovrebbe essere esplorata. La politica degli Stati Uniti nei confronti della Siria è rimasta impantanata nella guerra ombra tra Israele e Iran. A lungo termine, solo una tregua tra i due garantirà la stabilità regionale. Mentre il loro ritiro dalla Siria contribuirebbe a rilanciare l'economia del Paese, a ridurre le tensioni con i nostri principali alleati nella regione e ad alleviare il problema dei rifugiati che sta travolgendo l'Europa.

Fonte:   https://responsiblestatecraft.org/turkey-syria-war/

domenica 4 agosto 2024

Memorie di Siria. Il nonno

artista siriano Boutros-Al-Maari
 

di Maria Antonietta Carta

Si chiamava Mohammad, ma per me fu da subito il nonno. Era un vecchietto minuto e gentile, lieto e sicuro. Da giovane, aveva lavorato come bigliettaio nel primo cinema aperto a Lattakia e di lui parlavano, con simpatia e sorridente affetto, diverse generazioni di ex ragazzi che avevano nutrito la loro immaginazione in quella magica stanza dei sogni.

La prima volta che lo incontrai fu quando decisi di mettermi in cerca delle fiabe siriane. Viveva con sua moglie, costretta a letto da una paralisi, e si prendeva cura di lei e anche del figlio di un nipote: un bimbo di cinque anni con occhi che lasciavano indovinare la serenità di chi trascorre molto tempo in compagnia di una forza tranquilla e gioiosa. Frequentandoli, mi sarei accorta che quei due, il vecchio e il bambino, erano una bella storia d’amore.

Il nonno mi offrì un’accoglienza senza enfasi, ma speciale, calorosa e attenta.

Volle sapere perché mi interessavo alle fiabe e ascoltò le mie risposte con gravità e rispetto. Poi, dopo aver ben riflettuto, accettò di diventare il mio primo narratore. Subito, quello stesso giorno senza indugi si mise a raccontarmi le storie che sapeva. Il mio nuovo viaggio cominciò con lui e compresi immediatamente di aver incontrato un uomo che mai, durante la sua lunga e difficile esistenza, aveva rinunciato a sognare.

Era un narratore incantevole. Aveva una voce evocativa, tenera, commovente, e la gestualità appassionata di chi vive quel che racconta. Egli raccontava anche con gli occhi, con le mani, col capo, con l’anima. Rappresentava ogni situazione, ogni personaggio in maniera palpitante, ma ogni tanto usciva dalla storia e, sollecito, mi chiedeva: ‘’Hai scritto tutto?’’. Ci salutammo con l’intesa di rivederci presto. Dopo alcuni giorni, tornai con il magnetofono. Il nonno, accogliendomi già come una vecchia amica, mi mostrò, fiero, un quadernetto sgualcito e pareva avesse tra le mani un trofeo. Vi aveva segnato un elenco di fiabe ritrovate nella sua memoria. Fece un breve riassunto di una di quelle fiabe cercate per me e mi chiese: ‘’Questa ti piace? Vuoi che te la racconto?’’

A ogni nostro incontro, da allora, avrebbe fatto il riassunto preliminare di qualcuna delle sue storie per sapere se mi conveniva.

Anni prima, era stato operato di un tumore alla gola e quando parlava a lungo la voce gli si faceva rauca.

Io, sentendomi colpevole, gli dicevo:

- Basta, per oggi, nonno.

- No! Dobbiamo finire. - mi rispondeva deciso.

Soltanto quando stabiliva che, finalmente, ci potevamo concedere una pausa, mi ordinava: ‘’ Spegni.’’ Poi si alzava, lasciava la stanza e si assentava per qualche minuto, tornando con un piatto di arance o di mele, secondo le stagioni. Si risedeva con il piatto in grembo, sbucciava le mele o le arance, me le porgeva e io, guardandogli le mani solcate dalla vita, mangiavo la frutta insaporita dalla sua premurosa tenerezza. Egli, intanto, suggeva una caramella per pacificare la gola stanca. Dopo, riprendevamo. Lui a raccontare, io ad ascoltare. Le sue storie, spesso con intrecci complessi come mitici labirinti, mi facevano conoscere metamorfosi di Amore e Psiche specchi della sua terra e Cenerentole che non si accontentavano della magia per realizzare le loro storie d’amore, ma affrontavano prove difficili e altre ne imponevano ai loro innamorati per conquistarsi il diritto alla felicità. Raccontava l’amore con la semplicità che meritano le cose essenziali della vita e le sventure come cammini segnati, e io cominciavo a intravedere un universo d’immagini che, pensavo, doveva essere costato ai nostri progenitori fatica e costante ascolto dei silenzi per riuscire a concepirle.

Quando il silenzio era sacro e si sapeva ascoltarlo.

Quel viaggio nelle ormai arcane costellazioni di simboli e metafore, poetico linguaggio dei pensieri che forse soltanto i vecchi che sanno essere davvero vecchi e i bambini che sono davvero bambini e i poeti che nascono poeti e i folli possono ancora capire pienamente, avveniva dentro un piccolo salotto arredato con poltrone di legno scolpito, minuscoli tavolini ricoperti da arabescati centrini all’uncinetto e un unico quadro di seta nera che, racchiuso in una cornice argentata, adornava le nude pareti bianche di calce.

Sulla seta buia, ricamati a caratteri cufici con fili d’argento lucevano alcuni versetti della sura coranica chiamata Del trono: 

Dio, non vi è dio all’infuori di lui, il vivificante, il sussistente.

né la sonnolenza né il sonno avranno presa su di lui;

a lui appartiene tutto ciò che si trova nei cieli e sulla terra.

Chi potrà intercedere presso di lui, se non con il suo permesso?

Egli conosce ciò che è stato prima e ciò che verrà dopo,

e le sue creature non abbracciano della sua sapienza

se non ciò che egli vuole. Il suo trono si estende per i cieli e la terra,

e non lo affatica la loro custodia. Egli è l’altissimo, l’immenso.  

Si narra che il profeta Muhammad, ispirato dal Signore, avesse detto queste parole ad alcuni uomini che si erano recati da lui per chiedergli come sconfiggere i jinn: creature con poteri tremendi; ed esse, intessute in un quadro, sono diventate numi tutelari delle famiglie musulmane. O un talismano dalle magiche virtù. I versi coranici sembravano vigilare anche nel salottino del nonno. Atto di fede e leggenda che si fondono e confondono.

artista siriano Boutros-Al-Maari

Nei giorni d’estate, entravano dalla finestra aperta i confusi rumori di un quartiere popolare: venditori ambulanti, bambini giocherellanti, muezzin che pregavano, massaie ciarliere. Radio e magnetofoni a volume scatenato spargevano canzoni di Michel Jackson a quell’epoca molto in voga presso i giovanissimi Siriani, poetici canti monodici della divina Umm Kalthum e l’ultima canzonetta urlata della hit parade mediorientale.

Musiche, rumori e voci si mischiavano nell’aria afosa impastata di umidità, e a me, che prima infastidita-stordita da tutto quel frastuono ingarbugliato poi incuriosita vi riflettevo, essi finivano per sembrare simili, nella loro pur grande diversità. Come le fiabe della mia infanzia in Sardegna e quelle che stavo scoprendo in Siria. Il nonno, quando il rumore diveniva intollerabile, smetteva di raccontare, aggrottava per un momento la fronte, infastidito-pensieroso, si alzava senza dire una parola, chiudeva i vetri, tornava a sedersi rasserenato, cercava di schiarire quella sua voce rauca che mi inteneriva e mi stringeva il cuore, poi diceva: ‘’Riprendiamo ma fai attenzione, cara, controlla che non sia finito il nastro.’’

La vita, poi, mi portò nuove vicende e io mi allontanai da lui. Alcune volte, che adesso, come spesso accade dopo le separazioni definitive, mi sembrano desolatamente rare, gli avevo portato altri sacchetti di caramelle ed egli mi aveva offerto, contento, qualche altra storia ritrovata.

Un giorno, seppi che era morto.