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giovedì 30 giugno 2016

Commosso abbraccio a un pastore che ha dato la sua vita per il popolo affidatogli: padre Giuseppe Nazzaro


Con viva commozione, ieri 29 giugno 2016, abbiamo partecipato alla traslazione,  svolta in forma privata, di Mons Giuseppe Nazzaro ofm, dal cimitero locale alla chiesa madre di San Potito Ultra (AV).
Alla sera presso la Chiesa madre di S. Potito Ultra si è tenuta una Celebrazione Eucaristica ufficiata  da numerosi sacerdoti e confratelli, con la nutrita presenza dei devoti abitanti  del paese che ha dato i natali a padre Giuseppe.

Geppino Nazzaro era nato il 22 dicembre 1937 ed era entrato a 13 anni nel seminario minore della Custodia di Terra Santa, a Roma. Vestì il saio francescano nel 1956 ed emise la professione solenne nel ‘60. Ad Aleppo giunse per la prima volta nel 1966, un anno dopo l’ordinazione sacerdotale, avvenuta a Gerusalemme proprio 51 anni fa, il 29 giugno 1965. Vari incarichi in seno alla Custodia lo condussero a Roma (1968), ad Alessandria d’Egitto (1971) e al Cairo (1977).  Nel 1994 fondò, negli Stati Uniti d’America, la "Holy Land Foundation", per sensibilizzare i cattolici di quel Paese a sostenere la causa dei cristiani palestinesi.
Nel corso del Capitolo custodiale del 1986 venne nominato segretario della Custodia. È del 1992 la sua nomina a Custode di Terra Santa.  Al termine del mandato, nel 1998, fu trasferito in Italia, ma nel 2001 venne nuovamente inviato in Siria come Guardiano e Parroco del convento di S Antonio a Damasco (Salhieh). Un anno dopo venne scelto come vicario apostolico d’Aleppo da san Giovanni Paolo II e ordinato vescovo il 6 gennaio 2003 dal Papa stesso nella basilica di San Pietro. 
Indimenticabile ed indomito Pastore dei cattolici latini di Aleppo, mite eppure rigoroso difensore della Verità, continuò la sua opera pastorale e di aiuto alla popolazione, incurante dei pericoli, vivendo totalmente la propria responsabilità paterna verso la comunità cristiana della sua amata Siria.
Monsignor Nazzaro lasciò l’incarico nel 2013, al compimento dei 75 anni.  Tornato in Italia, spese le ultime energie della sua vita viaggiando, pronunciando discorsi e rilasciando interviste, con coraggio e senza cedimenti a opinioni 'politicamente corrette', per sensibilizzare l’opinione pubblica, i media e i politici sulla tragedia del popolo siriano, fino alla morte avvenuta il 26-10-2015.
Tutta la Siria gli resta profondamente grata, per essere stato egli l'ispiratore del gesto provvidenziale di Papa Francesco che il 7 settembre 2013, indicendo la veglia mondiale di preghiera per la pace in Siria, contribuì a fermare l'attacco annunciato da Obama.
Infinita è la riconoscenza affettuosa, e grande la nostalgia, che il nostro sito 'Ora pro Siria'  ha verso questo Padre che ci ha incoraggiato, corretto, illuminato nell'opera di informazione che, umilmente alla sua sequela, cerchiamo di svolgere; insieme alla certezza che egli continua dal Paradiso a vegliare e a intercedere per la sua cara Terra Santa e per la martoriata Aleppo in particolare.
Al Ciel! … nostro padre Giuseppe carissimo!
   la redazione di OpS





 Potete trovare qui i numerosi interventi di Mons Nazzaro  riportati sul nostri  sito :
http://oraprosiria.blogspot.it/search/label/Mons%20Nazzaro

 Inoltre qui una delle ultime conferenze pubbliche :
http://corrierefiorentino.corriere.it/firenze/notizie/cronaca/15_aprile_17/a-lezione-isis-vescovo-aleppo-normale-racconta-siria-oggi-92c4c458-e529-11e4-b285-48e62c192a8b.shtml?refresh_ce-cp

lunedì 27 giugno 2016

La proposta dei diplomatici USA: bombe su Assad (ossia guerra con Russia e consegnare la Siria alla sharia)



Analisi Difesa, 20 giugno 2016

Una “vera e propria rivolta”, come l’ha definita Ugo Caltagirone dell’Ansa. Oppure una “protesta senza precedenti”, come scrive il New York Times.
Ben 51 diplomatici americani hanno criticato duramente la strategia del presidente americano in Siria chiedendo con un documento  reso noto il 17 giugno a Barack Obama di autorizzare raid aerei contro il regime di Bashar Assad “per fermare le continue violazioni del cessate il fuoco da parte delle forze di Damasco”. La proposta propone un “uso giudizioso” di missili da crociera e raid aerei contro obiettivi del regime per spingere Assad a cercare una soluzione negoziata.
Il senso di malcontento e di frustrazione tra le feluche covava da tempo e alla fine il caso è esploso mettendo la Casa Bianca e il segretario di Stato John Kerry (nella foto sotto) in grande imbarazzo anche se lo stesso Kerry non solo non ha preso le distanze dai “ribelli” ma ha espresso pubblicamente apprezzamento per il testo firmato dai 51 diplomatici.

Del resto da tempo a Washington c’è un vero e proprio braccio di ferro sulla Siria.
Da una parte il Dipartimento di Stato che chiede un maggior interventismo per porre fine a una guerra civile che ha già fatto oltre 400 mila morti (secondo le stime statunitensi, per altri meno di 300 mila) e che crea grande instabilità nella regione.
Dall’altra il Pentagono e i vertici militari Usa che predicano cautela, viste le implicazioni dovute all’appoggio che la Russia continua a dare al regime siriano.
Finora Obama si è sempre schierato con i secondi, rifiutando ogni ipotesi di maggior coinvolgimento degli Usa nel conflitto.

Del resto il messaggio che è stato ribadito lo stesso giorno dal Cremlino è chiaro: “Rovesciare Bashar al-Assad in Siria potrebbe far sprofondare la regione nel caos più totale.
E difficilmente potrà essere d’aiuto per una lotta efficace contro il terrorismo”, sottolinea Dimitri Peskov, portavoce del presidente Vladimir Putin.
Il rischio di una escalation della guerra fredda tra Stati Uniti e Russia è dunque altissimo ma non sembra venga tenuto in grande considerazione dai diplomatici “ribelli”, tra cui l’ex vice ambasciatore americano a Damasco, che hanno firmato un memo interno inviato al cosiddetto ‘dissent channel’ del Dipartimento di Stato, una canale creato ai tempi della guerra del Vietnam attraverso il quale funzionari e diplomatici possono esprimere il loro dissenso sulle politiche dell’amministrazione senza il rischio di essere puniti disciplinarmente.

Nel documento si sottolinea come la politica americana in Siria sia stata sopraffatta da una violenza senza fine e si fa appello alla necessità di raid aerei mirati per convincere Assad a negoziare seriamente con le opposizioni.
Perché proseguendo sulla strada attuale “lo status quo in Siria continuerà a porre crescenti e disastrose sfide dal punto di vista umanitario, diplomatico e da quello del terrorismo”.

Sorprende che proprio dei diplomatici non si rendano conto che attaccare le forze lealiste siriane significa entrare in guerra con Mosca, una guerra in prospettiva ben più grave, ampia e sanguinosa di quella siriana.
In secondo luogo, ma non per importanza, far cadere Bashar Assad significa oggi consegnare la Siria non certo a forze laiche e liberal democratiche ma alla sharia del Califfato e della coalizione islamica dell’Esercito della conquista che riunisce al-Qaeda (fronte al-Nusra), Fratelli Musulmani e Salafiti.
Difficile comunque che per il momento la Casa Bianca cambi direzione ed è molto probabile che per un eventuale cambio di strategia si debba aspettare il prossimo Commander in Chief.

http://www.analisidifesa.it/2016/06/bombe-su-assad-la-pazza-idea-dei-diplomatici-usa/

LEGGI ANCHE :
ISIS è in ritirata, perchè il mirino degli USA torna su Assad?
http://www.ilsussidiario.net/News/Esteri/2016/6/20/SIRIA-L-Isis-e-in-ritirata-perche-il-mirino-degli-Usa-torna-su-Assad-/711632/

sabato 25 giugno 2016

ARMENIA: Discorso del Santo Padre alle autorità civili e corpo diplomatico


Venerdì, 24 giugno 2016


È per me motivo di grande gioia poter essere qui, toccare il suolo di questa terra armena tanto cara, fare visita ad un popolo dalle antiche e ricche tradizioni, che ha testimoniato con coraggio la sua fede, che ha molto sofferto, ma che è sempre tornato a rinascere.
«Il nostro cielo turchese, le acque chiare, il lago di luce, il sole d’estate e d’inverno la fiera borea, […] la pietra dei millenni, […] i libri incisi con lo stilo, divenuti preghiera» (Elise Ciarenz, Ode all’Armenia). Sono queste alcune immagini potenti che un vostro illustre poeta ci offre per illuminarci sulla profondità della storia e sulla bellezza della natura dell’Armenia. Esse racchiudono in poche espressioni l’eco e la densità dell’esperienza gloriosa e drammatica di un popolo e lo struggente amore per la sua Patria.
Le sono vivamente grato, Signor Presidente, per le gentili espressioni di benvenuto che Ella mi ha rivolto a nome del Governo e degli abitanti dell’Armenia, e per avermi offerto la possibilità, grazie al Suo cortese invito, di contraccambiare la visita da Lei compiuta l’anno scorso in Vaticano, quando presenziò alla solenne celebrazione nella Basilica di San Pietro, insieme alle Loro Santità Karekin II, Patriarca Supremo e Catholicos di Tutti gli Armeni, e Aram I, Catholicos della Grande Casa di Cilicia, e a Sua Beatitudine Nerses Bedros XIX, Patriarca di Cilicia degli Armeni, recentemente scomparso. In quella occasione si è fatta memoria del centenario del Metz Yeghérn, il “Grande Male”, che colpì il vostro popolo e causò la morte di un’enorme moltitudine di persone. 
Quella tragedia, quel genocidio, inaugurò purtroppo il triste elenco delle immani catastrofi del secolo scorso, rese possibili da aberranti motivazioni razziali, ideologiche o religiose, che ottenebrarono la mente dei carnefici fino al punto di prefiggersi l’intento di annientare interi popoli. E’ tanto triste che – sia in questo come negli altri - le grandi potenze guardavano da un’altra parte.
Rendo onore al popolo armeno, che, illuminato dalla luce del Vangelo, anche nei momenti più tragici della sua storia, ha sempre trovato nella Croce e nella Risurrezione di Cristo la forza per risollevarsi e riprendere il cammino con dignità. Questo rivela quanto profonde siano le radici della fede cristiana e quale infinito tesoro di consolazione e di speranza essa racchiude. 
Avendo davanti ai nostri occhi gli esiti nefasti a cui condussero nel secolo scorso l’odio, il pregiudizio e lo sfrenato desiderio di dominio, auspico vivamente che l’umanità sappia trarre da quelle tragiche esperienze l’insegnamento ad agire con responsabilità e saggezza per prevenire i pericoli di ricadere in tali orrori. Si moltiplichino perciò, da parte di tutti, gli sforzi affinché nelle controversie internazionali prevalgano sempre il dialogo, la costante e genuina ricerca della pace, la collaborazione tra gli Stati e l’assiduo impegno degli organismi internazionali, al fine di costruire un clima di fiducia propizio al raggiungimento di accordi duraturi, che guardino al futuro.
La Chiesa Cattolica desidera collaborare attivamente con tutti coloro che hanno a cuore le sorti della civiltà e il rispetto dei diritti della persona umana, per far prevalere nel mondo i valori spirituali, smascherando quanti ne deturpano il significato e la bellezza. A questo proposito, è di vitale importanza che tutti coloro che dichiarano la loro fede in Dio uniscano le loro forze per isolare chiunque si serva della religione per portare avanti progetti di guerra, di sopraffazione e di persecuzione violenta, strumentalizzando e manipolando il Santo Nome di Dio.
Oggi, in particolare i cristiani, come e forse più che al tempo dei primi martiri, sono in alcuni luoghi discriminati e perseguitati per il solo fatto di professare la loro fede, mentre troppi conflitti in varie aree del mondo non trovano ancora soluzioni positive, causando lutti, distruzioni e migrazioni forzate di intere popolazioni. È indispensabile perciò che i responsabili delle sorti delle nazioni intraprendano con coraggio e senza indugi iniziative volte a porre termine a queste sofferenze, facendo della ricerca della pace, della difesa e dell’accoglienza di coloro che sono bersaglio di aggressioni e persecuzioni, della promozione della giustizia e di uno sviluppo sostenibile i loro obiettivi primari. 
Il popolo armeno ha sperimentato queste situazioni in prima persona; conosce la sofferenza e il dolore, conosce la persecuzione; conserva nella sua memoria non solo le ferite del passato, ma anche lo spirito che gli ha permesso, ogni volta, di ricominciare di nuovo. In tal senso, io lo incoraggio a non far mancare il suo prezioso contributo alla comunità internazionale.
Quest’anno ricorre il 25° anniversario dell’indipendenza dell’Armenia. È una felice circostanza per cui rallegrarsi e l’occasione per fare memoria dei traguardi raggiunti e per proporsi nuove mete a cui tendere. I festeggiamenti per questa lieta ricorrenza saranno tanto più significativi se diventeranno per tutti gli armeni, in Patria e nella diaspora, uno speciale momento nel quale raccogliere e coordinare le energie, allo scopo di favorire uno sviluppo civile e sociale del Paese, equo ed inclusivo. Si tratta di verificare costantemente che non si venga mai meno agli imperativi morali di eguale giustizia per tutti e di solidarietà con i deboli e i meno fortunati (cfr Giovanni Paolo II, Discorso di congedo dall’Armenia, 27 settembre 2001Insegnamenti XXIV, 2 [2001], 489). 
La storia del vostro Paese va di pari passo con la sua identità cristiana, custodita nel corso dei secoli. Tale identità cristiana, lungi dall’ostacolare la sana laicità dello Stato, piuttosto la richiede e la alimenta, favorendo la partecipe cittadinanza di tutti i membri della società, la libertà religiosa e il rispetto delle minoranze. La coesione di tutti gli armeni, e l’accresciuto impegno per individuare strade utili a superare le tensioni con alcuni Paesi vicini, renderanno più agevole realizzare questi importanti obiettivi, inaugurando per l’Armenia un’epoca di vera rinascita.
La Chiesa Cattolica, da parte sua, pur essendo presente nel Paese con limitate risorse umane, è lieta di poter offrire il suo contributo alla crescita della società, particolarmente nella sua azione rivolta verso i più deboli e i più poveri, nei campi sanitario ed educativo, e in quello specifico della carità, come testimoniano l’opera svolta ormai da venticinque anni dall’ospedale “Redemptoris Mater” ad Ashotsk, l’attività dell’istituto educativo a Yerevan, le iniziative di Caritas Armenia e le opere gestite dalle Congregazioni religiose.
Dio benedica e protegga l’Armenia, terra illuminata dalla fede, dal coraggio dei martiri, dalla speranza più forte di ogni dolore.

giovedì 23 giugno 2016

Quali soluzioni al conflitto in Siria? parla il gesuita Ziad Hilal


Il paese dove  il giovane gesuita Ziad Hilal è nato 42 anni fa, è passato attraverso "cinque anni di guerra, una guerra dove tutti sono contro tutti", lamenta, con calma, nella sede di Montreal di Aiuto alla Chiesa che Soffre, un'organizzazione che sostiene finanziariamente i progetti che egli aveva iniziato a Homs, Aleppo e Damasco. Questa città, con il suo glorioso passato, ha visto violenti scontri prima della partenza di padre Hilal dalla Siria.
"La guerra ha fatto 5 milioni di rifugiati, 10 milioni di sfollati, 300.000 morti, più di 100.000 feriti, disabili e mutilati." Il gesuita lancia questi numeri di getto. Ed aggiunge che "i bambini hanno perso le loro scuole" e che "metà del paese è distrutto."
"E' questa la Siria oggi.".  Ma c'è una seconda immagine del paese, aggiunge il padre Hilal, che è raramente indicata nei media.  "Questo è un paese in cui la società civile è giorno e notte al lavoro per difendere il popolo, aiutarlo a sopravvivere, educare i bambini, ridurre le tensioni tra i gruppi militanti, cercare la pace e la riconciliazione".
"Questa crisi, per quanto mortale di fatto sia, mostra anche la bellezza del cuore dei Siriani", continua Ziad Hilal, abbozzando un sorriso furtivo.  Poi cita le parole del suo superiore, padre Frans van der Lugt. Il gesuita olandese assassinato nella sua casa a Homs, il 7 aprile 2014, ripeteva che "i siriani sono noti per la loro pazienza, e grazie a questa pazienza arriveranno un giorno a ritrovare la pace."
Il giovane gesuita ricorda che 900 metri lo separavano dal suo superiore, rimasto nella città vecchia di Homs quando questa parte della città fu assediata. "Non siamo riusciti a vederci gli uni gli altri per più di due anni. Lui era rimasto nella nostra casa. Comunicavamo per telefono.". L'assedio della città vecchia sarà tolto nel maggio 2014, poco dopo l'uccisione di Frans van der Lugt.    
"E' grazie a lui che siamo riusciti a tornare alla nostra residenza. L'omicidio di padre Frans è ciò che ha aperto le porte della città vecchia. E' la sua morte che ha fatto spostare la grande pietra, come dice il Vangelo. La casa è stata distrutta per metà, ma il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati ha installato una cucina che dà 2000 pasti caldi al giorno alle persone che hanno fatto ritorno ".
Le soluzioni?  
"Ogni guerra ha necessariamente una fine", dice il gesuita. Ma tre ingredienti sono essenziali per raggiungere questo obiettivo. Sono " il perdono, il dialogo e la riconciliazione, senza i quali si continuerà a uccidersi a vicenda."Parole che la comunità internazionale non capisce, egli crede.   "Le forze internazionali hanno iniziato a sostenere un gruppo contro l'altro. Esse non hanno favorito fin dall'inizio il dialogo tra tutte le parti e non possono accordarsi sulla risoluzione dei problemi." 
In questo paese devastato dalla guerra dove egli è nato, ogni paese coinvolto "cerca i suoi interessi personali." La prova di quello che dice? Il numero di armi che si trova oggi in Siria. "Alcuni paesi hanno aumentato la loro fortuna grazie o a causa, non so come dire, della guerra nel mio paese." 
Il Canada deve lavorare per la pace e la riconciliazione ", dice. "Non ci sono altre soluzioni. Dare armi o denaro per combattere è provocare la guerra. Se si continua ad alimentare la guerra, si giungerà davvero a distruggere la Siria ".
Ai primi di luglio, il padre Ziad Hilal tornerà a Homs?  Non lo sa ancora. "Aspetto la mia nuova missione," dice. Ma sarà nel suo paese.

lunedì 20 giugno 2016

Padre Daniel: ma l'ultima parola è di un Altro, il Signore della storia


Qara, 10 giugno 2016

La benevolenza addolcisce la convivenza
Da secoli diversi gruppi etnici e religiosi convivono in Siria in armonia, mentre tutta la stampa Atlantica parla già da cinque anni di una 'guerra civile'. Tutti i tentativi di provocare una guerra civile sono falliti e falliranno. Nonostante la tragica paralisi del paese c’è una grande benevolenza e accoglienza nella vita quotidiana.
Sono dovuto andare dal dentista. Arriviamo in tre nella sala d’attesa, piena di donne e bambini. Delle quindici donne presenti, tre sono venute subito da noi. La prima donna era un' anziana che è stata con noi al nostro rifugio durante i drammatici attacchi nel nostro villaggio ed al nostro monastero nel novembre 2013. I militari avevano trovato questa donna sulla strada e l’hanno portata da noi per la sua sicurezza. Le altre due donne erano di Qusseir. Quando la loro casa è stata distrutta hanno vissuto nel nostro unico grande appartamento quasi completato nel nuovo blocco del monastero. In questo grande appartamento convivevano tre famiglie. Queste donne dimostravano ancora la gratitudine per l’alloggio poiché non avevano più casa. Il dentista è una donna mussulmana. Suo marito è un veterinario che aiuta come volontario attivo nella nostra squadra di soccorso. Lo studio della dentista è più piccolo e meno lussuoso di quelli in Belgio, ma c’è tutto il necessario. C’è una piccola scrivania con sedie ai due lati opposti. Sulla scrivania c’è un cellulare, uno specchio, sacchetti pieni di dentiere, una grande agenda e un computer. C’è anche una linea telefonica. Dietro la scrivania, c’è sempre seduto qualcuno, perché le persone entrano insieme. La porta principale come la porta del studio è sempre aperta. Gente entra anche per annunciare la presenza, mentre la dentista sta lavorando. Nel frattempo lei parla con tutti, corre da sinistra a destra senza mai perdere tempo e sempre sorridente.

Questa settimana è cominciato il “ramadan”, il digiuno annuale per i musulmani. La sera siamo andati a felicitare l’unica famiglia musulmana che è rimasta nel grande appartamento nel nuovo blocco del monastero. La madre con i 3 bambini vengono spesso ad aiutarci con i lavori e suo marito si occupa a pieno tempo del nostro grande terreno. Quando c’è una festività, loro vengono sempre a condividerla con una visita e così abbiamo anche noi fatto visita a loro per la loro festività. Ci hanno offerto caffè e datteri. Il padre di famiglia ci ha raccontato che durante la notte beve tantissima acqua perché dalle 3 fino 8 p.m. non prende niente. Comunque, lui lavora come sempre. Ci spiega che il ramadan non è solo un questione di non bere o non mangiare, ma anche un atteggiamento di umiltà e sottomissione a Dio. E' anche importante- secondo lui- di evitare parole, pensieri e atti che offendono e danneggiano gli altri.

Finalmente hanno portato un altro container questa settimana con cose per il monastero, che stanno già da qualche anno a Tartous. Due suore sono andate a Tartous per aiutare la famiglia responsabile a selezionare le cose che servono per il monastero al momento e cosi hanno riempito un container intero. Quando è arrivato il container, tanti volontari della regione sono venuto a dare un mano per scaricarlo. Dentro il container ci sono tutti tipi di carrozzine, carrelli, stampelle, tanti materiali per gli handicappati, mobili, tavoli, sedie, coperte e lenzuola, vestiti, giocattoli, materiali per la cucina etc. Sotto il sole ardente tutto è stato trasportato nel posto giusto del monastero. In seguito, quasi tutti hanno accettato il rinfresco e così si vede chi è musulmano o cristiano.
Ogni giovedì arrivano i bambini handicappati del villaggio al nostro monastero, ma questo giovedì arrivano solo alle 18.30 a causa del ramadan. Erano 15 con i loro 8 accompagnatori. Così potevamo distribuire tanti strumenti musicali: xilofoni, flauti dolci, nacchere, tamburi,…ed è cominciata in modo spontaneo una festa nell’ atrio con musica, canti e danza. Qualche bambino era piuttosto silenzioso e un altro era molto attivo. Verso le 19.30 abbiamo cenato insieme. Comunque dovevo prima benedire il pasto per loro. Un legame di amicizia sta crescendo sempre di più tra questi bambini e la nostra comunità per il bene di entrambi.

Dov’è Dio in questa guerra?
Tra tutta la benevolenza e l’armonia ci siamo spesso confrontati con una domanda insistente. Un musulmano ci ha chiesto : “Dov’è Dio in questa guerra? I terroristi sono aiutati e armati, ricevono cibo e soldi in abbondanza , mentre noi veniamo massacrati, le nostre case distrutte e ci tolgono le speranze di vita. Sopravviviamo a malapena e in più la comunità internazionale ci punisce con sanzioni economiche.”
Questa infatti è una domanda che un credente si è posta già nel Vecchio Testamento: perché ai cattivi le cose vanno bene e ai buoni vanno male? (il problema si pone solo se ci consideriamo fra i buoni)
In ogni notte oscura c’è sempre una stella che brilla. Infatti, in questa guerra Dio è presente in tutti gli incontri di cui abbiamo parlato prima. Dio vive negli uomini di buona volontà. Nonostante tutta la miseria, vediamo tanta bontà fra le persone. E soprattutto Dio è dalla parte delle vittime innocenti. Dio soffre con loro. Dio è comunque presente in tutti gli eventi di questa guerra, come Dio era presente alla nascita del cristianesimo. Come sovrano, l’imperatore romano Augusto determinava la vita di quasi tutti gli abitanti del mondo. Non si rendeva conto per niente che solo Dio, con la nascita di Gesù Cristo, determinava la storia in un modo unico e permanente - dove la megalomania di Augusto non valeva nemmeno una nota a piè di pagina.
Dopo la serie di imperatori e dopo la caduta dell’impero Romano, la croce e la chiesa invece sono rimaste in piedi. Alcune persona, infatti, non erano accecate dalla dimostrazione di un eccesso di potere e dall’ atrocità degli imperatori. Si chiamavano cristiani e seguaci di Cristo, il Figlio di Dio, diventato uomo, il Messia di Israele e Il Salvatore del mondo. Il dominio dell’imperatore Augusto era per loro una tempesta che rimuove i rami morti dagli alberi. Gli imperatori non potevano cambiare la vita dei cristiani con la loro onnipotenza, neanche uccidendoli. No, infatti alla fine furono i cristiani che hanno cambiato le leggi pagane. Precisamente in quel modo il nostro Dio è presente in questa tragedia Siriana e Dio ci invita a entrare nella storia vera e propria.
Questo richiede una conversione permanente e radicale. Anche i cristiani devono ancora impegnarsi nell’unità e ad un modus vivendi più autentico della fede cristiana.

Capi ignoranti, ingenui o criminali, d’Europa
Giocare alla guerra con la Russia è l’occupazione centrale della NATO. Lo scorso 7 giugno è iniziata un' esercitazione militare mostruosa denominata “Anaconda”. L’anaconda è un serpente gigante dell’Amazzonia di circa 9 metri, si attorciglia intorno alla preda per soffocarla e divorarla. Il nome dell’esercitazione rivela esattamente – volutamente o meno - le intenzioni della NATO. Questa volta la Polonia era l’arena di 25.000 soldati provenienti di 19 paesi (USA, Germania, UK, Turchia,…) e 6 “partner” (Georgia, Ucraina, Kosovo,..) Naturalmente sotto la guida della Polonia (per quello hanno cambiato il c in k: operazione “Anakonda”) con il scopo di “impedire che la Russia si impadronisca della Polonia, come ha fatto con l’Ucraina !” Con questo vogliono far credere agli ignari cittadini europei che la Russia si sta preparando per invadere la Polonia, come se la Russia non avesse nient’altro da fare!! In realtà sono gli US che stanno manipolando il tutto con il scopo di promuovere gli interessi americani in Europa e nell’Eurasia. La propaganda militare contro la Russia ha raggiunto adesso l’apice ed è sostenuta dalle grande “democrazie” europee (fra l’altro dalla Turchia che non appartiene neanche all’Europa nè per ragioni geografiche o culturali o religiose. Nel frattempo hanno trasformato l’Hagia Sofia in una vera moschea durante il tempo del ramadan. I Turchi più fanatici hanno saltato di gioia!). Se gli USA sono capaci di provocare una guerra contro la Russia, avremo una guerra nucleare, dove le prime e più grandi vittime saranno gli Stati Europei stessi, grazie ai loro stessi capi ignoranti, ingenui o criminali.

L’ennesima nuova guerra contra la Siria
C’è di più: la Russia ha chiesto ripetutamente agli USA di garantire insieme “una tregua” e di eliminare con azioni coordinate lo stato islamico e anche Al-Qaida. Questo infatti era premesso come lo scopo finale. Adesso gli USA rifiutano pubblicamente di cooperare a questo piano. Nel loro arroganza senza limiti vanno ancora più lontano: gli USA hanno chiesto alla Russia di non bombardare i gruppi di Al-Qaida, nonostante questo ordine fosse incorporato in due risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Chi capisce ancora che sta succedendo? Ogni giorno la Siria ha dato informazione sui flussi illegali di soldi e armi ai terroristi e anche su attacchi terroristici, sostenuti dall' estero. Nessuna reazione ufficiale dalla comunità internazionale e neanche dall’ONU. E così la comunità internazionale e ONU hanno continuato ad accusare la Siria per tutte le uccisioni e distruzioni che sono state organizzate. La Russia ha fornito 5 rapporti su attività illegali (traffico di petrolio, recluta di terroristi all’estero, traffico in reperti archeologici, fornitura di armi e munizioni e fabbricazione di esplosivi). Anche i risultati di questi rapporti non sono menzionati da nessuna parte nei rapporti ufficiali. Ma dall’altra parte, questi rapporti continuano a chiedere alla Russia di fermare le sua attività militare. Nonostante il fatto che la Russia (insieme con Hezbollah e Iran) è l’unico paese che agisce in conformità con il diritto internazionale e che la Russia è l’unico paese che veramente e effettivamente combatte il terrorismo insieme con il paese stesso. Il 3 giugno la Russia ha fornito un video con una centinaia di camion pieno di terroristi, armi e munizioni, che stavano attraversando il confine della Turchia per entrare in Siria.
E’ chiaro che la Russia ha esaurito adesso tutte i mezzi politici per ottenere la pace: né gli USA né Obama e neanche l' EU vogliono la pace in Siria. Non vogliono per niente fermare l’ostilità contro la Siria. Vogliono distruggere la Siria completamente e nel frattempo giocano davanti al mondo intero un pezzo di teatro con grandi lacrime per la deplorevole situazione in Siria dove l’unico colpevole è la Siria stessa e la Russia.
Il 22 ottobre 2015, a Valdai, Vladimir Putin aveva annunciato in un discorso storico che su domanda esplicita del governo siriano, la Russia avrebbe collaborato per combattere il terrorismo. Putin ha spiegato le sue intenzioni e ha effettuato quello che ha detto, cioè combattere i terroristi in modo diretto ed efficiente. In seguito, Putin ha dichiarato: - secondo la sua propria esperienza - se ti vogliono fare la guerra, che tu non vuoi, è meglio di colpire per primo. Tutto questo vuol dire che stiamo di fronte ad una nuova guerra lunga o saranno le popolazioni d’occidente che si ribelleranno contro la follia di loro capi? Le elezioni presidenziali in America aggraveranno ancora la situazione in Siria o la diminuiranno? O lo scopo dei dominatori mondiali è di prolungare la miseria in Siria il più a lungo possibile finchè il paese crolli per arrivare comunque al loro scopo?

Prendiamo tutto, come cristiani, non dimentichiamo l'arma principale, la preghiera.
padre Daniel M.

( trad A.Wilking)

domenica 19 giugno 2016

Patriarca siro-ortodosso Efrem sfugge ad attentato a Qamishli


Un attentatore suicida si è fatto esplodere al passaggio del seguito del Patriarca siro-ortodosso Mar Ignazio Efrem II, in visita a Qamishli .
Una fonte del Comando di Polizia in Hasaka ha detto al corrispondente dell'agenzia Sana che l'attacco terroristico è avvenuto vicino al giardino di Al-Kindi nel quartiere di al-Wastani e che ha causato 3 morti e 5 feriti.

sabato 18 giugno 2016

Assad riceve il Patriarca e sei Vescovi siro cattolici: “una nuova Costituzione del tutto laica”


Agenzia Fides 17/6/2016


 Il Presidente siriano Bashar Assad ha in programma una riforma della Costituzione per la nazione da lui guidata, e immagina un testo costituzionale dove dovrebbero venir meno i riferimenti alla Sharia come fonte principale della legislazione, così da eliminare ogni pretesto legale alle discriminazioni, anche striscianti, verso le minoranze religiose. Sono questi alcuni dei progetti per il futuro confidati dallo stesso Assad a una delegazione della Chiesa siro cattolica, composta dal Patriarca Ignace Youssif III accompagnato da sei Vescovi, ricevuti dal Presidente siriano a Damasco lunedì 13 giugno. 

Durante l'incontro, durato un'ora e mezza, Assad ha manifestato l'intenzione di togliere dalla nuova Costituzione, pienamente laica, anche la disposizione che vincola il Capo dello Stato siriano a professare la religione musulmana. 
Il leader siriano – riporta all'Agenzia Fides chi era presente all'incontro – si è anche mostrato convinto che in pochi giorni la situazione di conflitto riesplosa ad Aleppo – e adesso congelata con una tregua di due giorni – sarà completamente risolta, con la creazione di un blocco militare intorno alla città che impedisca il rifornimento di armi ai sobborghi periferici in mano alle forze antagoniste, in gran parte di matrice islamista, ma senza attacchi contro i quartieri, per evitare nuove sofferenze ai civili.
“Il Presidente Assad ha definito anche loro come 'nostri figli”, e ha molto insistito sulla matrice internazionale e non nazionale del conflitto siriano, sottolineando che adesso a parole tutti vogliono combattere i jihadisti dello Stato Islamico (Daesh), ma ancora distinguono nettamente tra costoro e i gruppi qaidisti come Jabhat al Nusra” riferisce all'Agenzia Fides l'Arcivescovo Jacques Behnan Hindo, alla guida della diocesi siro cattolica di di Hassakè-Nisibi, presente all'incontro.

Nella conversazione tra il Presidente e i membri della delegazione ecclesiale, ci sono stati anche accenni alla voci di una possibile spartizione della Siria su base etnico-settaria, con la creazione di uno Stato curdo indipendente e di uno islamista, scenari che Assad ha sempre respinto come irricevibili. Nell'incontro con il Patriarca e con i Vescovi siro cattolici, il Presidente siriano non ha fatto alcun cenno diretto al Papa o alla Santa Sede, e ha invece invitato i suoi interlocutori a intensificare contatti e condividere giudizi e iniziative rispetto alla tragica situazione mediorientale con la Chiesa ortodossa russa. 
http://www.fides.org/it/news/60256-ASIA_SIRIA_Assad_riceve_il_Patriarca_e_sei_Vescovi_siro_cattolici_il_Presidente_progetta_una_nuova_Costituzione_del_tutto_laica#.V2QYGruLSM8


"Nell'incontro con il Presidente Bachar al-Assad, Sua Eminenza il Patriarca Younan e la delegazione dei religiosi hanno espresso grande dolore per quello che ha subito l'amata Siria ed il suo popolo in questa guerra, fatta in nome della democrazia ma con le mani dei nemici dell'umanità che non rispettano i diritti dell'uomo usando proprio la religione, e con quelle di quegli Stati che cercano di dominare popoli poveri usando ragioni machiavelliche che provocano morte e conflitti. 
Il Presidente ha confermato che i Siriani devono ritornare fratelli sinceri, grazie alla riconciliazione... Ha chiesto di lavorare insieme affinchè i siriani si fermino nella loro terra e invitando quelli profughi a tornare per partecipare alla ricostruzione della Siria e della sua civiltà lontana dal settarismo, basata su un sistema laico e non confessionale. Dove tutti i cittadini rispettino l'appartenenza alla Nazione Siriana ed abbiano pari diritti e doveri. Il Presidente ha sottolineato che il venir meno della presenza cristiana nel Medio-Oriente farebbe perdere il valore e l'importanza al Medio-Oriente stesso." 
da:  Patriarcato Siro-Cattolico di Antiochia

mercoledì 15 giugno 2016

Fra Ishak da Aleppo: siamo bersaglio dei missili ribelli


Radio Vaticana, 15 giugno 2016

In Siria, militari tedeschi, americani e francesi fiancheggiano le "forze democratiche siriane" (SDF) nella battaglia contro l'Is, sul fiume Eufrate. Lo affermano attivisti dell'Osservatorio siriano per i diritti umani. Sempre secondo l'Osservatorio, le forze straniere non sarebbero coinvolte in azioni militari, ma forniscono supporto disinnescando le mine dell'Is. 
Per il Ministero degli esteri siriano, si tratta di “violazione della sovranità nazionale”. 

Intanto, la situazione umanitaria sta peggiorando in tutta la Siria, in particolare nella zona di Aleppo. ecco la testimonianza di Fra Samhar Ishak, vicario parrocchiale di Aleppo:
R. – Purtroppo, la situazione va male. Speriamo sempre che migliori ma invece peggiora. Aleppo è divisa a metà: una parte è sotto il controllo governativo e metà sotto il controllo dei ribelli. C’è una guerra intensa, soprattutto in questi giorni, missili e razzi non si sono fermati. I ribelli colpiscono la parte ovest della città dove si trova la nostra parrocchia, zona controllata dal governo siriano. C’è poi il problema dell’acqua e dell’elettricità, che mancano da giorni perché controllate dai ribelli. Ma, oltre a tutto ciò, ci sono tanti morti e feriti, ci sono tante case danneggiate e tante famiglie che stanno ancora fuggendo da Aleppo, perché non ce la fanno più a vivere questa situazione che va sempre più peggiorando rispetto a prima.
D. – Aleppo è divisa tra i soldati del governo siriano e i ribelli. Chi sono i ribelli?  R. – Sono composti in realtà da gruppi diversi. Non possiamo dire che si tratti di un gruppo ribelle compatto. Non possiamo dire che sia l’Is o al-Nusra. No, sono diversi e sono tanti gruppi. Non si tratta di un solo gruppo…
D. – Questi gruppi sono uniti tra loro?    R. – No, no. Sono anche in guerra tra di loro, soprattutto al-Nusra e l’Is.
D. – L’esercito siriano prova a prendere il controllo dell’intera Aleppo?     R. – Lo speriamo. Sta operando intorno ad Aleppo e sta riconquistando molte zone che erano sotto il controllo dell’Is o di al-Nusra o di altri gruppi. Sta riprendendo l’area attorno ad Aleppo, ma speriamo che pian piano riesca a entrare nella zona est di Aleppo, in modo che anche la zona di Aleppo ovest sia più sicura.
D. – I cristiani in Siria riescono a mantenere la loro fede?   R. – Ad Aleppo ma anche in tutto il resto della Siria, i cristiani si sentono perseguitati, anche se in modo indiretto: la guerra infatti non è contro i cristiani, ma contro tutto il Paese. Vediamo anche che certe volte sia l’Is che al-Nusra entrano nei villaggi cristiani e massacrano, uccidono o li obbligano a scappare. I cristiani sentono questa persecuzione, ma dicono anche che non sono soltanto loro a essere perseguitati. Lo sono anche tanti musulmani che sono moderati. Noi abbiamo sempre vissuto assieme a loro. Faccio un esempio, quello di una famiglia di Aleppo che ha perso un figlio unico, di 21 anni, per un missile che ha colpito la loro casa: quando sono andato a trovarli mi hanno dato testimonianza di una fede veramente forte, dicendomi: “Sappiamo che Dio non c’entra in questa cosa. Ringraziamo il Signore per tutto e chiediamo a Lui che ci dia la forza e la fede di andare avanti, perché senza di Lui non possiamo fare niente”.

lunedì 13 giugno 2016

Due anni di occupazione ISIS. Dichiarazioni dei Patriarchi

Una dichiarazione congiunta sull'occupazione da parte di ISIS dei villaggi assiri nel nord dell'Iraq è stata promulgata dal Patriarca siro-ortodosso e dal Patriarca siro-cattolico. La dichiarazione definisce le azioni di ISIS "un atto criminale, che equivale ad un genocidio etnico-religioso".
ISIS ha catturato Mosul il 10 giugno 2014 e si è espanso nella Piana di Ninive, una roccaforte assira, nel nord Iraq, il 7 agosto, obbligando quasi 200.000 Assiri ad abbandonare le loro case e villaggi. ISIS ha anche distrutto chiese assire, monasteri e siti archeologici.

Ecco il testo della dichiarazione:
Due anni da quando è stato strappato il nostro Popolo proveniente da Mosul e dalla Piana di Ninive: la ferita dell' emigrazione forzata sanguina ancora.
Due anni sono passati dallo sradicamento del nostro popolo siriaco dalla terra dei nostri antenati a Mosul e la piana di Ninive, seguendo l'atto criminale, che equivale ad un genocidio etnico-religioso, commesso da ISIS e altri gruppi terroristici che considerano infedeli tutti coloro che non condividono la loro religione o non credono nelle loro dottrine confessionali.
Il 10 giugno 2014, il nostro popolo è stato costretto a lasciare Mosul. Alla vigilia del 7 agosto dello stesso anno, lo sradicamento è continuato e la nostra gente è stata costretta a lasciare Qaraqosh, Bartelly, Bahzani, Bashiqa, Telosqof, Al-Qosh, Karamlis, e altri villaggi e città della piana di Ninive. Sono diventati rifugiati e senza casa nella regione del Kurdistan iracheno e dei paesi vicini del Libano, Giordania e Turchia.
Oggi, due anni dopo la calamità che si è abbattuta sulle nostre persone, i paesiche hanno potere decisionale e la comunità internazionale rimangono silenziosi e inerti verso la pulizia etnica di un popolo storico che ha fondato la civiltà della zona. Noi siamo i discendenti dei martiri che hanno difeso la loro fede, la terra e l'onore. Hanno testimoniato fino al punto di versare il proprio sangue per la loro causa.
Accogliamo con favore la decisione di alcuni paesi di riconoscere questi atti di terrorismo come un genocidio contro i cristiani e le altre minoranze etniche e religiose. Tuttavia, denunciamo con forza l'assenza di azioni effettive da parte della comunità internazionale e del governo iracheno per intensificare la liberazione di Mosul e dei villaggi della Piana di Ninive dai gruppi terroristici. Hanno distrutto le nostre chiese e monasteri, in particolare del monastero di S. Behnam e Sarah in cui è stata bombardata la tomba del santo. Hanno rubato le proprietà e i beni del nostro popolo, diffondendo le tenebre della morte, distruzione e degrado morale.
Come padri spirituali di questo popolo, i nostri cuori sono stati trafitti dal dolore e gli occhi si sono riempiti di lacrime ogni volta che abbiamo visitato, insieme e separatamente, i nostri figli sfollati che si sono stabiliti nelle città e cittadine della regione del Kurdistan in Iraq. Abbiamo visto la loro sofferenza e la mancanza dei più basilari elementi necessari per una vita dignitosa, vale a dire l'alloggio, il lavoro, l'assistenza sanitaria o l'istruzione per i bambini. Ringraziamo il Governo della Regione del Kurdistan in Iraq per i suoi sforzi per offrire i servizi di base in questi tempi difficili. Noi, allo stesso modo riaffermiamo la nostra richiesta per la liberazione immediata di Mosul e della Piana di Ninive e il ritorno dei nostri figli e figlie alla loro terra e case. Essi dovrebbero godere di sicurezza e stabilità, nonché le condizioni di vita che assicurino la loro dignità e li aiutino a ristabilire la loro fiducia nel loro paese e la loro speranza in un futuro luminoso.
Quindi, diciamo ai nostri figli spirituali che sono stati costretti a lasciare le loro case e comunità:
Siamo con voi in ogni momento, vi esortiamo a rimanere la lampada che brilla nel buio di questa tribolazione, per il ritorno alle vostre case presto. Confidiamo nella promessa del Signore che Egli rimarrà in mezzo alla sua Chiesa e Lei non cadrà mai.
Non perdete la fede, incoraggiatevi e rimanete saldi nel Signore Gesù Cristo che ci invita a non avere paura, dicendo: «Coraggio, io ho vinto il mondo" (Giovanni 16: 33). 
10 giugno 2016
Ignatius Aphrem II 
Syriac Orthodox Patriarch of Antioch and All the East


Ignatius Youssef III Younan 
Syriac Catholic Patriarch of Antioch


(trad. OpS)   http://www.aina.org/news/20160612033007.htm


Dichiarazione in occasione del secondo anniversario dell'occupazione di Mosul da Daesh (SI)

del Patriarca Louis Raphael Sako
Con tristezza, dolore e preoccupazione, celebriamo il secondo anniversario della tragedia che ha colpito la popolazione di Mosul: l'occupazione della città da parte dei jihadisti dello Stato Islamico (Daesh), avvenuta 10 Giugno 2014, seguita dall'esodo della sua popolazione e soprattutto i cristiani, e dall'esodo degli abitanti della Piana di Ninive due mesi più tardi. Ci ricordiamo anche tutto ciò che è stato fatto per sradicare la loro cultura, la loro storia e la loro memoria.

Davanti a questi eventi crudeli e spaventosi, continuiamo a credere che la soluzione deve venire dal "dentro", vale a dire dagli iracheni stessi, che mettano da parte le loro differenze e cambino il loro modo di pensare ed agiscano per trovare una reale volontà politica di riconciliazione, adottando una visione chiara  e un piano di riforma sistematica per risolvere i problemi.
Questa guerra non è una guerra tra musulmani e cristiani, ma copre lotte, in nome della religione, per il potere e il denaro. Sono tanti i legami tra cristiani, musulmani e seguaci di altre religioni: questi sono storici, e le differenze sono naturali perché  "Dio ci ha creato diversi".  

Pertanto, faccio appello a tutti - nel corso del mese di digiuno del Ramadan per i musulmani, e in questo anno di misericordia per i cristiani - a non indulgere in sedizioni confessionali, a non dilaniarsi l'un l'altro, né ad essere presi dalla paura. Invito tutti a mantenere la fede, la pazienza e la speranza, unificare le forze e cooperare per liberare le città, raggiungere la pace, la sicurezza e l'uguaglianza per tutti.
Ai cristiani che sono colpiti in modo particolare, desidero indirizzare un messaggio: li invito ad essere solidali con la loro gente, a restare radicati alla loro terra e continuare la loro gloriosa storia e la loro missione con coraggio, promuovendo la cooperazione e la coesistenza armoniosa con i loro concittadini.

venerdì 10 giugno 2016

Il patto con il diavolo. Come abbiamo consegnato il Medio Oriente al fondamentalismo e all’Isis

Terrorismo wahabita, guerre, flussi finanziari, colossali compravendite di armi: in un libro di Fulvio Scaglione storia, dati e numeri su ciò che per ragioni di business le democrazie occidentali fingono di non vedere




VaticanInsider , 10 giugno 2016
di Andrea Tornielli

«La conclusione, inevitabile, è una sola: sappiamo, ma facciamo finta di non sapere. Continuiamo a parlare di lotta al terrorismo islamico, ai jihadisti, ma non interveniamo abbastanza sul denaro, cioè sul motore che tiene in vita e promuove quello stesso terrorismo. Ci teniamo stretti come amici proprio coloro che sostengono chi anima quella che molti di noi considerano addirittura una minaccia alla sopravvivenza della nostra civiltà. E li armiamo, li rendiamo sempre più potenti e, all’occorrenza, devastanti». È l’amara ma realistica conclusione a cui arriva il giornalista Fulvio Scaglione, inviato di guerra e conoscitore del Medio Oriente, nel suo ultimo libro: «Il patto con il diavolo» (BUR, pp. 208, 15 euro), un saggio a metà tra storia e cronaca che spiega «come abbiamo consegnato il Medio Oriente al fondamentalismo e all’Isis». Leggendo il saggio di Scaglione si comprende ancora meglio perché Papa Francesco, quando parla o viene interpellato sul terrorismo e sulla guerra, non ometta di citare spesso i trafficanti di armi, i flussi finanziari e una certa ipocrisia da parte di alcuni leader.  

Soldi e armi al fondamentalismo wahabita  
L’autore fa notare ciò che è - o dovrebbe - essere sotto gli occhi di tutti: l’attuale terrorismo, quello dell’Isis e di Al Qaeda, ha origini nel fondamentalismo wahabita che ha ricevuto e riceve sovvenzioni e armi da finanziatori che abitano nei paesi considerati i migliori alleati dell’Occidente. Nel libro molto spazio è dedicato al ruolo dell’Arabia Saudita che storicamente ha sempre tenuto sotto controllo e stroncato certi movimenti fondamentalisti in casa propria, ma li ha foraggiati per destabilizzare altri Paesi islamici, com’è stato fatto ad esempio con la Siria di Assad. «Per decenni l’Arabia Saudita ha giocato su questo schema - scrive Scaglione - e per decenni i suoi alleati occidentali hanno accettato di sottoscrivere un patto con il diavolo di cui ignoravano le implicazioni, o convinti di trarne comunque un guadagno. Senza notare, o facendo finta di non vedere, quanto i due piani fossero intrecciati, perché proprio la spinta alla diffusione mondiale del radicalismo aggressivo insito nella variante wahabita dell’islam garantisce alla monarchia saudita la legittimità e il consenso necessari a conservare il trono e le ricchezze». 

Davvero «moderati»?  
I danni che questo atteggiamento ha procurato ai Paesi occidentali sono enormi. È curioso, sottolinea l’autore del libro, che i più restii ad ammetterlo siano proprio coloro che più agitano la bandiera dello scontro di civiltà e dipingono a tinte sempre più fosche l’ipotetico futuro di un’Europa assediata da orde di potenziali terroristi. Non pare incredibile che questi stessi personaggi ci abbiano tanto a lungo raccontato la favola dei sauditi e delle altre monarchie del Golfo come “arabi moderati”?». Scaglione fa notare come non sia un caso che proprio Bruxelles sia stato il luogo di «allevamento» dei terroristi che hanno recentemente colpito la Francia e il Belgio, ricordando che proprio lì dal 1969 si è insediato il primo importante centro di propaganda wahabita d’Europa. Pur essendo patria di non più del 2 per cento dei musulmani del mondo, l’Arabia Saudita esercita «un’influenza importante o decisiva su quasi il 90 per cento delle istituzioni islamiche mondiali, soprattutto nelle scuole». 
Ricorda pure che i terroristi qaedisti degli attacchi dell’11 settembre 2001 erano in maggioranza di nazionalità saudita e ricevevano denaro in gran quantità da persone residenti a Dubai. La «guerra al terrore» dichiarata da George W. Bush dopo gli attacchi agli Stati Uniti non ha cambiato nulla nei meccanismi di finanziamento del jihadismo, ed è per questo, sostiene Scaglione, che il terrorismo oggi riesce a colpire con maggiore frequenza e crudeltà. 

Il business delle democrazie europee  
Anche se l’Arabia Saudita non è stato e non è l’unico Paese che alimenta l’estremismo e il jihadismo, nessuno «ha potuto mettere in campo una potenza finanziaria, diventata poi potenza di fuoco, paragonabile a quella dei sauditi». Secondo una proiezione inglese «magari aleatoria ma comunque indicativa», nei 74 anni della sua storia l’Unione Sovietica avrebbe speso quasi cinque miliardi di sterline per fare propaganda al comunismo fuori dai propri confini; l’Arabia Saudita, diventata prospera grazie allo sfruttamento del petrolio a partire dalla fine degli anni Trenta, per diffondere il wahabismo ne avrebbe già investiti quasi novanta». Forse il motivo per cui molti in Occidente fingono di non vedere è il business. L’Arabia Saudita è, ad esempio, il primo partner commerciale del Medio Oriente per la Gran Bretagna, con 200 joint ventures che producono un giro d’affari di circa 18 miliardi di sterline l’anno. Le forze armate saudite sono il miglior cliente dell’industria britannica degli armamenti, con ordini per 4 miliardi di sterline tra il 2010 e il 2015. Per la Francia sta accadendo qualcosa di simile, dopo la firma di contratti per 10 miliardi di euro siglati da duecento industriali francesi guidati a Ryad nell’ottobre scorso dal primo ministro Manuel Valls. L’Italia ha raggiunto nel 2014 un interscambio commerciale di 9 miliardi di euro, e punta a incrementarlo. 

Il caso Stati Uniti  
L’Arabia Saudita, ricorda Scaglione, ha un volto moderno, da Paese sviluppato, perché nella seconda metà del Ventesimo secolo gli americani gliel’hanno costruito pezzo per pezzo. Fino all’anno 2000 anche i ministeri e le principali agenzie governative saudite si servivano di personale americano i cui contratti erano firmati dal Dipartimento del Tesoro Usa. Nel 2010 Barack Obama ha autorizzato la più imponente vendita di armi nella storia degli Stati Uniti, proprio a favore dell’Arabia Saudita: 60 miliardi di dollari in aerei, elicotteri, missili terra-aria e terra-terra, mitragliatrici, radar. Con quella sola firma il Nobel per la Pace che si prepara a concludere il suo secondo mandato alla Casa Bianca aveva quasi eguagliato 56 anni di commercio di armamenti tra i due Paesi, dato che nel periodo 1950-2006 gli Usa hanno fornito ai sauditi armamenti per 62,7 miliardi di dollari. Lo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri) che monitora il commercio di armi nel mondo, informa che nel periodo 2011-2015 i quattro maggiori importatori di armi sono stati nell’ordine: India, Arabia Saudita, Cina, Emirati Arabi Uniti. «L’India e la Cina - commenta Scaglione - contano insieme 2 miliardi e 620 milioni di abitanti. L’Arabia Saudita e gli Emirati ne contano insieme 36 milioni. Eppure competono, quanto ad acquisto di armi, con questi colossi asiatici». Possiamo davvero stupirci, si domanda l’autore del libro, se poi il Medio Oriente è in fiamme? «E davvero crediamo - continua - che tutte quelle armi siano acquistate a mero scopo di difesa? Siamo davvero convinti che mitragliatrici, cannoni e pallottole stiano chiusi nei magazzini sauditi e degli Emirati a prendere polvere... oppure avremo l’audacia di immaginare che un po’ di quella roba se ne vada in giro ad alimentare la violenza in questo o quel gruppo jihadista?». 

Le verità della candidata Hillary  
Fulvio Scaglione domanda poi quali cambiamenti possiamo attenderci nel prossimo futuro da Hillary Clinton, la prima candidata donna alla Casa Bianca - al momento favorita - dato che una delle principali fonti di finanziamento della fondazione che fa capo a lei e al marito Bill «risulta essere il denaro in arrivo non solo da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti ma da tutti i Paesi e i soggetti in qualche modo beneficiari del commercio internazionale di armi?». Eppure, grazie alla diffusione delle comunicazioni riservate dello scandalo WikiLeaks, sappiamo che proprio Hillary il 30 dicembre 2009, quando era Segretario di Stato (durante il suo mandato approverà vendite di armi per 165 miliardi di dollari, quasi il doppio di quanto approvato da Bush jr nel suo secondo mandato), in un documento catalogato con il numero 131801 scriveva: «L’Arabia Saudita resta una base decisiva di supporto finanziario per Al-Qaeda, i talebani, Lashkar-e-Taiba e altri gruppi terroristici, compreso Hamas». In quello stesso documento la futura candidata democratica alla Casa Bianca, osservava: «I donatori privati dell’Arabia Saudita costituiscono la più significativa fonte di finanziamento per i gruppi di terrorismo sunnita nel mondo» e che era «una sfida senza fine quella di convincere le autorità saudite ad affrontare il finanziamento dei terroristi che nasce nel loro Paese come una priorità». 

Le parole di Joe Biden  
Le comunicazioni riservate di Hillary non erano affatto considerazioni isolate nell’amministrazione Obama. Nell’ottobre 2012 il vicepresidente Biden, incontrando gli studenti di Harvard, per spiegare la crisi in Siria e la genesi dell’Isis ha detto: «Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti... che cos’hanno fatto? Hanno riversato centinaia di milioni di dollari e decine di migliaia di tonnellate di armi su chiunque dicesse di voler combattere Assad. Peccato che tutti quei rifornimenti andassero a finire ad Al-Nusra, ad Al-Qaeda e ai jihadisti accorsi a combattere in Siria da ogni parte del mondo». Qualche anno prima, nel 2007, il vice-segretario del Tesoro Stuart Levey, che aveva la delega all’intelligence sui reati finanziari e sul terrorismo, aveva più volte dichiarato anche in Tv: «Se potessi schioccare le dita e tagliare ai terroristi i finanziamenti di uno specifico Paese, sceglierei senz’altro l’Arabia Saudita». 

Quei dubbi del vescovo Hindo  
Nella parte finale del libro, Scaglione dà voce a quegli inascoltati leader delle Chiese cristiane orientali che vivono in Medio Oriente. E ricorda come ha reagito lo scorso marzo monsignor Jacques Behnan Hindo, vescovo siro-cattolico di Hassaké-Nisibi, a cavallo tra Siria e Turchia, il quale nel marzo scorso, di fronte all’accusa di genocidio rivolta dal Segretario di Stato americano John Kerry, in un’intervista invitava a non puntare ogni riflettore sull’Isis, e così «censurare tutte le complicità e i processi storico politici che hanno portato alla creazione del mostro jihadista, a partire dalla guerra fatta in Afghanistan contro i sovietici attraverso il sostegno ai gruppi armati islamisti. Si vogliono cancellare con un colpo di spugna tutti gli strani fattori che hanno portato all’emersione rapida e repentina di Daesh». 

mercoledì 8 giugno 2016

Benvenuto al nuovo Custode di Terra Santa

L'abbraccio tra fra Pierbattista Pizzaballa e fra Francesco Patton
Fra Francesco Patton ha fatto il suo ingresso ufficiale a Gerusalemme lunedì 6 giugno, diventando il 168esimo Custode di Terra Santa. Secondo una tradizione secolare, l'accoglienza è avvenuta alla porta di Jaffa.

Della situazione della Terra Santa oggi, segnata da profondi conflitti, fra Francesco Patton parla come di una «scommessa di Dio».
«Credo che abbia un significato il fatto che quando Dio ha scelto d’incarnarsi, lo abbia fatto proprio in Terra Santa. La storia di questa terra è segnata da conflitti e scontri. Il fatto che Dio abbia scelto d’incarnarsi qui, sembra proprio una scommessa. Quasi a dire: se si realizzeranno qui, allora è possibile che pace e giustizia possano regnare su tutta la terra. Tutti noi siamo chiamati ad andare e a restare in Terra Santa, sapendo che siamo parte di questo “sogno di Dio”. La possibilità cioè che “il lupo pascoli con l’agnello”, come ci dice la visione di Isaia. E che venga un tempo, come ci testimoniano i profeti, “di cieli nuovi e terra nuova”. Noi dobbiamo credere che tutto ciò accadrà. Perché quello che impedisce la realizzazione dei progetti di Dio è anche la nostra mancanza di fede».
I primi tempi del suo mandato – fra Francesco ne è certo – saranno una sorta di «noviziato». «Non ho la presunzione di riuscire ad entrare subito in una realtà complessa come quella della Custodia di Terra Santa e del contesto ecclesiale e sociale nel quale come frati minori siamo chiamati a lavorare. Mi metterò in ascolto. Credo che le esperienze di internazionalità a servizio dell’Ordine mi possano aiutare a prestare attenzione alle varie sensibilità e culture».
Di una cosa è però certo fra Patton: «Il mio cuore è in Terra Santa. Da quando mi hanno comunicato la nomina, ho iniziato a ricordare quotidianamente nella preghiera i confratelli che vivono in Siria, tutti coloro che servono con tanta dedizione nei santuari e sono impegnati nelle parrocchie e nelle tante realtà sociali della Custodia; coloro che si impegnano nei vari centri di per non dimenticare i padri Commissari impegnati a diffondere l’opera della Custodia in tutto il mondo. Sento per loro grande affetto e riconoscenza. Mi sono preziosi e li sento tutti uniti nella preghiera».