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mercoledì 1 dicembre 2021

3 dicembre '21 : guarda e vota il film "Mother Fortress"

  2 proiezioni gratuite di 
MOTHER FORTRESS

3 dicembre 2021 - 
ore 19.05 e 22.43 

in concorso alla

MOSTRA del CINEMA di TARANTO 2021



GIURIA  di 5 esperti          

                                                     

 DIVENTA IL 6° GIURATO: 

vota il film "Mother Fortress"





Inespugnabile come una fortezza è il monastero siriano in cui si svolge l’azione di "Mother Fortress", film documentario di Maria Luisa Forenza, girato in Siria durante la guerra.

Madre Agnes, assieme a monaci, monache provenienti da Francia, Belgio, Portogallo, Libano, Cile, Venezuela, Colorado-USA (di cui alcuni ex- giornalisti), affronta gli effetti della guerra in Siria sul suo monastero, situato ai piedi delle montagne al confine con il Libano dove ISIS insidiosamente si nasconde.

Nonostante sia esso stesso obiettivo di attacchi, il monastero accoglie orfani, vedove, rifugiati (cristiani e sunniti), vittime di una guerra fratricida che dal 2011 ha prodotto caos e devastazione. Organizzando un convoglio di ambulanze e camion, che percorrono strade controllate da cecchini, Madre Agnes persegue la rocambolesca missione di fornire aiuti umanitari (cibo, vestiti, medicine) ai siriani rimasti intrappolati nel paese. Esplorazione non della guerra, ma della condizione umana in tempo di guerra, il film è un viaggio fisico e spirituale, una 'storia d'amore' con destinazione Roma dove il senso del racconto si rivela...


https://www.facebook.com/marialuisaforenza/

 
ecco il programma: entra nella Sala Online





HANNO DETTO DEL FILM…


MOTHER FORTRESS, “Testimonianza storica sul dramma della guerra in Siria”. (Avanti!, 2020)


Ida Guglielmotti (giornalista): “Film importante che parla di donne in un contesto complesso, difficile, come quello di una guerra, una delle più crudeli della nostra storia presente, che riguarda la Siria.” (Radio InBlu2000 “Le Donne per esempio”, 2021)


Claudio Ranieri (critico): “La Forenza fotografa da un punto di vista inedito la guerra in Siria, attraverso un viaggio che inizia in un monastero e prosegue nei luoghi di resistenza quotidiana, rendendo visibile quell’ordinarietà che prosegue mentre la guerra annichilisce”. (Arte Settima, 2021)


Francesco Zambon (filologo, critico letterario): “un film che nel rappresentare la realtà attuale e drammatica della Siria, ricrea la struttura dei poemi del Graal: il racconto che include altri racconti.” (Religion Today Film Festival, 2020)


Alfredo Baldi (critico cinematografico): “nonostante sia stato girato in un convento, ai piedi delle montagne al confine con il Libano, e che la protagonista sia una suora, Madre Agnes, ci troviamo di fronte a un film assolutamente laico, dove la religione che è pur presente dappertutto, sottesa in ogni momento, non viene mai presa a pretesto, a giustificazione del compimento di qualsiasi (buona) azione.” (BookCiak Magazine, 2020)


Gian Piero Brunetta (storico del cinema): “Una sola persona, una donna che ha fatto tutto: ripresa, suono, montaggio, e questo mi ha emozionato molto sin dall’inizio del progetto. Una tragedia raccontata fuori-scena: non c'è sangue eppure è piena di dolore, di tragedia di un intero paese. Al tempo stesso voglia di vivere… Da tempo la strada era stata aperta da personalità come Olmi: non c’è più differenza tra cinema documentario e cinema di finzione.” (Memoria Festival, 2021)


Cosimo Damiano Fonseca (medievista, accademico dei Lincei): “un film- culto, un documento aderente alla realtà e al tempo stesso racconto simbolico”. (2021)                       

venerdì 16 agosto 2019

Al Meeting di Rimini proiezione del film 'Mother Fortress' sul coraggio dei religiosi di Qara



Presentazione e proiezione del film documentario di Maria Luisa Forenza. Partecipa l'Autrice. 

Data: 24 Agosto 2019, ore 14:00 
Arena Percorsi, padiglione A2








...   Le immagini di Mother Fortress — accompagnate da un variegato tessuto sonoro che intreccia francese, inglese, arabo, canti liturgici nella cappella del monastero, echi di mortaio in lontananza, melodie pop alla radio, il colpo secco di un camion carico di viveri che si chiude quando viene preso d’assalto dalla folla affamata — non vogliono raccontare solo gli orrori della guerra, ma anche il mistero del tempo e la tenacia della vita che germoglia instancabile anche nel deserto del male più estremo. Quella dimensione verticale della vita umana, che nessuna angoscia, nessuna morte riesce a spegnere. «È un viaggio materiale e spirituale — si legge nelle note di regia — nella ricerca personale sul tempo come idea-guida delle riprese. Tempo mitico, tempo cronologico, tempo liturgico o kairòs, colto nell’oscillazione fra realtà quantitativa e dilatazione del presente».



La telecamera non cerca mai l’effetto facile; gli orrori di Daesh, i rapimenti, le minacce, le torture, le decapitazioni, vengono raccontati alle suore dalle profughe ospitate in monastero in cucina, mentre tagliano le verdure per preparare il pranzo o scaricano i sacchi di riso. «Il ceceno ha sposato la moglie. Poi l’ha uccisa davanti a suo marito. Poi ha ucciso anche il marito».
 Accanto ai fornelli c’è anche una giovane mamma musulmana, che non rinuncia a un filo di kajal, da ritoccare subito quando viene lavato via dalle lacrime. «Mio marito è morto in guerra due anni fa. Ho due bambini, sono sola, se non mi avessero accolto qui non avrei saputo dove andare». Gli scheletri dei palazzi di Deir ez Zor, completamente distrutti da un assedio durato tre anni, vengono inquadrati mentre le camionette dell’Isis sono ancora a duecento metri di distanza, dietro le colline. Gli abitanti del quartiere si fanno largo in mezzo alle macerie con orgoglio, per mostrare alla troupe che la ricostruzione è già iniziata.
Alla suora sudamericana, arrivata a Qara pochi mesi prima che scoppiasse il conflitto, sfugge un sorriso; sta parlando della pace profonda che sente nel cuore da quando è in convento, e si è appena sentita l’eco di un colpo di mortaio.     «Sono a est, e sono anche a ovest. Noi siamo in mezzo» continua un frate — capelli rossi e accento yankee, viene dal Colorado — spiegando quanto sia strategica la vallata in cui sorge il convento. Soli a presidiare la fortezza, parafrasando il titolo di uno splendido libro della scrittrice americana Flannery O’ Connor, durante una guerra che, quando la troupe ha iniziato a girare rischiando, letteralmente, la vita ogni giorno durante le riprese, ha raggiunto vertici di ferocia difficili da immaginare.
Il titolo del documentario, Mother Fortress, spiega Maria Luisa Forenza, è un diretto richiamo alla fortezza romana di Qara, trasformata in monastero dalle prime comunità cristiane, splendente sotto il sole con le sue pietre bianche murate di fresco. Il convento venne completamente distrutto dagli ottomani nel 1720; durante l’attacco furono uccisi gli oltre cento monaci che vivevano nell’edificio. Nel 1993 il vescovo di Homs ha dato mandato a madre Agnes di ridare vita a queste rovine, è così è stato. Insieme alle consorelle, ha avviato la rinascita materiale e spirituale di questo luogo, in collaborazione attiva con i villaggi limitrofi, che ha visto il fiorire di cooperative agricole e forme di mutua assistenza sociale. Prima della guerra, ovviamente; solo otto anni fa, ma sembrano passati secoli. Adesso la priorità è assistere orfani, profughi e vedove, cristiane o sunnite, nel modo più concreto possibile, scaricando casse di attrezzi chirurgici, organizzando ospedali da campo, sistemando rotoli di bende sugli scaffali, spostando sacchi di cibo in magazzino.
«La parola fortezza — spiega la regista — è anche un richiamo alla forza dei monaci che hanno resistito alla guerra. E un riferimento alle quattro virtù cardinali, perché siano monito per tutti».
  Durante i viaggi in macchina, in mezzo alla desolazione della guerra in corso, nel mirino di armi sofisticate che possono uccidere anche a quattro, cinque chilometri di distanza, le suore pregavano incessantemente Maria recitando il rosario per chiedere aiuto e protezione. «Il mio amico tassista adesso ha una luce negli occhi che umanamente è inspiegabile — racconta un giovanissimo frate siriano — perché è stato plasmato dalla sofferenza. A causa del suo lavoro è passato ogni giorno, per settimane, accanto a corpi che non potevano essere sepolti se non a rischio della vita». Anche madre Agnes ha visto centinaia di cadaveri abbandonati ai lati della strada, come racconta mentre riempie di pigmento bianco l’aureola di un’icona.
«Ho trovato una grande forza — spiega la regista — una grande vitalità e un amore per la vita che non immaginavo possibile in tempi di guerra». Un amore che giunge a vertici incomprensibili nel terribile, struggente racconto finale. Che sarebbe riduttivo descrivere qui: meglio ascoltarlo dalla voce di madre Agnes, quando il documentario sarà proiettato (a ingresso libero)....