«Aleppo è davvero la Sarajevo del XXI secolo. Noi cristiani siamo terrorizzati, ma sempre più attaccati alla fede»
Tempi, 29 giugno 2015
«Non
siamo sicuri né in casa, né in strada, né in chiesa, né in
moschea». Così si vive ad Aleppo,
un tempo capitale economica della Siria, invasa nel luglio 2012 dai
ribelli e dai jihadisti di Al-Qaeda. Ora la seconda città più
importante del paese è divisa in due (Aleppo ovest in mano al
governo, Aleppo est sotto il controllo dei ribelli) e ogni giorno le
bombe che cadono sui quartieri civili mietono vittime. Nel numero
di Tempi in
edicola è
presente un ampio servizio sulla “Sarajevo del XXI secolo”,
con testimonianze dalla città martoriata. Di seguito,
riportiamo l’intervista integrale a Georges Abou Khazen, vicario
apostolico di Aleppo, che vive nella parte ovest insieme a tutti gli
altri cristiani: «I jihadisti stanno cercando di entrare e occupare
tutta la città. Noi abbiamo paura».
Monsignor Abou Khazen, di che
cosa avete paura? La pioggia di mortai e altri esplosivi
continua. Soprattutto dopo la presa di Palmira, la gente è
terrorizzata, ha paura che la città cada. Sono tanti quelli che
scappano. Ora che gli esami di maturità sono finiti,
sempre più persone vogliono lasciare Aleppo.
Quante persone scappano? Ogni
giorno ci sono intere famiglie che se ne vanno, perché dal punto di
vista della sicurezza e della sopravvivenza, la situazione è
sempre più difficile. La disoccupazione e le difficili condizioni di
vita fanno il resto.
Confidate in una soluzione
pacifica del conflitto? L’inviato speciale dell’Onu, Staffan De
Mistura, è stato a Damasco. Siamo molto scettici. Qui si
parla di un accordo politico, di una soluzione, quando sul terreno ci
sono centinaia di combattenti che ogni giorno entrano dalla frontiera
con la Turchia. Questi combattenti sono armati e addestrati
dall’Occidente, arrivano dall’Europa e da altri paesi musulmani.
Come si concilia questo fatto con l’accordo da trovare? Io non lo
so. Voi lo sapete chi li sta armando e allora le parole non valgono
niente, bisogna smettere di addestrarli e armarli. Allora sì che si
possono obbligare le parti a dialogare, altrimenti è facile parlare,
tanto poi è la povera gente che ci rimette la pelle.
Come si favorisce la fine
della guerra? Come ho detto. Ogni giorno centinaia di
combattenti entrano in Siria da nord e da sud per ammazzarci.
Bisogna obbligare le parti in conflitto a non armarli più.
Aleppo
è la “Sarajevo del XXI secolo”? Sì,
il cardinale Angelo Scola ha ragione a fare questo paragone.
Davvero non ci si può immaginare le difficoltà in cui
viviamo. La gente è in quotidiano pericolo di vita, eppure
continua a vivere, a resistere, anche se tutto ciò che ha viene
distrutto.
Che cosa fa la Chiesa locale in
mezzo alla guerra? Prima di tutto bisogna ringraziare la
Chiesa universale, a cominciare dal Papa, per l’appoggio e
l’interesse che dimostra verso i cristiani del Medio Oriente.
Noi cerchiamo di aiutare la povera gente che ancora vive qui, ma
anche quelli costretti a scappare con i soli vestiti addosso.
Sono migliaia le famiglie che la Chiesa aiuta. Ma c’è anche un
altro aspetto.
Quale? La Chiesa offre
appoggio morale e spirituale. La presenza qui dei sacerdoti è
una grande grazia: nessun vescovo o parroco o religioso ha
lasciato il suo posto. Questo per la gente è importante, è un segno
di speranza e incoraggiamento. Quando mi chiedono che cosa dovremmo
fare, io rispondo: non lo so, non ho una risposta, ma sono qui e
resterò qui. Per costruire.
Che cosa?
Noi
continuiamo a fare programmi per i bambini: abbiamo oratori nelle
parrocchie a cui partecipano centinaia di bambini. Così loro possono
uscire un po’ dal solito ambiente e vedere qualche cosa di
diverso. Questa presenza sta dando i suoi frutti, le persone
cambiano.
Può farci un esempio? Io
vedo che la gente è sempre più attaccata alla fede e alla pratica
religiosa. Questa è una cosa grande, che mi commuove. Non so come
sia possibile, ma la Chiesa cerca di trasmettere alla gente
la fede in Dio e loro la approfondiscono.
Quali sono le conseguenze di
questo approfondimento? Pensi che qui molte persone parlano di
perdono. Non appena riconciliazione, ma perdono per tutti. Non è un
caso che questi cristiani del Medio Oriente siano figli e nipoti di
martiri. Basta pensare alla comunità armena, sopravvissuta a
massacri, discendenti di persone che hanno lasciato tutto o
hanno dato la vita per la fede. Speriamo che il Signore ci esaudisca
e ci dia la pace.