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domenica 13 agosto 2023

Siria. La distruzione della memoria : IL SANTUARIO DI SAN SIMEONE

veduta aerea ripresa da nord ( foto Roumi)
 

LETTURE PER CAPIRE (3° PARTE)

(1° PARTE: Le Città Morte QUI)

(2° PARTE: Le chiese paleocristiane QUI

(3° PARTE: Qalb Loze  QUI )


Di Maria Antonietta Carta

La descrizione del sito è antecedente al 2011. Nel 2013, i jihadisti lo occuparono e ne fecero un centro di comando logistico e di addestramento. Non si conosce lo stato in cui possono averlo ridotto e fino a che punto sia stato saccheggiato. Molte delle sue vestigia sarebbero finite in Turchia come altri, innumerevoli, tesori storico-artistici del Massiccio Calcare e di altre regioni della Siria. La colonna di Simeone è stata distrutta.

Per rendere schiavo o annientare un popolo, si tenta di ottenebrarne l’intelletto con messinscene di propagande ingannevoli e cultura trash, con il vile contributo di politicanti inetti o corrotti e di mestatori di ogni genere.  Quando tutto ciò non basta, si passa alle bombe, al terrorismo e all’assedio economico che genera mercato nero che genera corruzione che genera miseria; si razziano le materie prime e le coltivazioni; si condannano a immani sofferenze e all’inedia gli innocenti; si uccide chi resiste, si saccheggiano o devastano le vestigia del passato. Si cerca di cancellare la memoria, come accade in Siria da 12 anni. 
(Nota dell’autrice).

Cenni sul monachesimo siriano delle origini 

Il Cristianesimo cominciò a diffondersi in Siria a partire dal IV secolo (dopo l'editto di Costantino, 313 d.C.) e soprattutto dopo che l'imperatore Teodosio (con l'editto del 380 d.C.) aveva ordinato la chiusura dei templi non cristiani e proibito qualunque manifestazione pubblica degli altri culti, perseguitando gli oppositori con una feroce repressione. Alla nascita dell’Impero Romano d'Oriente (395 d.C.), la Siria passò sotto il dominio bizantino.

I primi cristiani del Massiccio Calcare furono anacoreti e cenobiti che, dissentendo dalla chiesa trionfante ormai partecipe del potere temporale, avevano scelto di vivere un'esistenza primitiva e di praticare la virtù stoica dell'indifferenza al piacere e al dolore. Inizialmente, non furono accettati volentieri dalle popolazioni rurali; soprattutto perché alcuni monaci integralisti, spesso arrivavano a distruggere i luoghi sacri degli autoctoni. Ma con il trascorrere del tempo gli asceti diventarono popolari in quanto al contrario del clero imperiale, che era di cultura ellenistica e si esprimeva in greco, parlavano e pregavano in siriaco, lingua del popolo; ciò facilitava i contatti ed essi finirono per assumere il ruolo sociale di guida in quelle comunità.

Agli inizi del V secolo, il Cristianesimo era ormai radicato nel Massiccio Calcare e verso la fine del VI secolo - alla vigilia delle guerre persiano-bizantine - quasi l’intera popolazione era cristiana, con circa il 4% di monaci, e i cenobi costituivano un elemento fondamentale della società rurale. Alcuni complessi monastici della regione, come quello di Teleda, furono centri insigni di cultura religiosa e profana. Il siriaco, diventato lingua scritta, acquisì anche una connotazione politica quando i frequenti contrasti dei monaci dell'Antiochene con Costantinopoli, sfociarono non solo in divisioni ma persino in lotte cruente, espressione di una volontà autonomistica e nazionalistica. In questo contesto, si inserisce la vicenda del celebre anacoreta Simeone Stilita il Vecchio. 

Chi era Simeone Stilita?

S. Simeone nacque a Sisan, villaggio al confine con la Cilicia, nel 386 d.C. Ancora adolescente, entrò nel celebre convento di Eusobonas a Teleda (odierna Tell Ade) e vi rimase dieci anni. Ne fu allontanato per l'eccesso delle sue penitenze e si trasferì a Telanissos (Deir Simaan) in un monastero reputato severo; ma anche lì i confratelli giudicarono inaccettabili le sue abitudini. Egli raggiunse allora la vicina montagna iniziò la vita anacoretica come stazionario, legandosi al piede una grossa pietra con una catena di ferro lunga meno di dieci metri. Ben presto divenne celebre e i visitatori cominciarono ad affluire al suo eremo. Trovando insopportabile la loro esagerata venerazione, Simeone decise di rifugiarsi su una colonna, eleggendola a fissa dimora. Correva l’anno 422 ed in Siria nasceva una nuova forma di ascesi: lo stilitismo. Protetto unicamente dalla cocolla (indumento con cappuccio a punta caratteristico del l'abito monastico) l'anacoreta viveva esposto ai rigori delle stagioni e praticava digiuni inumani. Recitava i salmi per quasi tutta la notte e durante il giorno fino all’ora nona. Predicava e riceveva i pellegrini che arrivavano da ogni parte dell’Impero Romano per invocare le sue virtù taumaturgiche. Appianava le controversie dei nomadi della steppa e discuteva con devoti e curiosi (anche uomini di cultura) che si recavano a migliaia ai piedi della colonna. Morì a sessantanove anni, avendone trascorso circa quaranta da stilita. All'epoca, il corpo di un asceta diventava ambita reliquia da contendersi anche a costo di lotte sanguinose e le spoglie di Simeone furono portate manu militari ad Antiochia. Più tardi, l'imperatore Zenone, allo scopo squisitamente politico di accaparrarsi il favore popolare, le fece trasferire a Costantinopoli e edificò il santuario del santo sulla montagna teatro della sua ascesi. Nella vicenda di Simeone si riassume la ragione profonda dell'anacoretismo siriano: soggiogare il corpo mantenendo la padronanza di sé e sopportando privazioni e patimenti estremi per elevare lo spirito diventava un’estrema testimonianza di fede e mezzo di santità. Ancora vivente, egli ebbe moltissimi emuli. L’ascesi su una colonna fu forse la più spettacolare, austera ed esagerata forma di penitenza tra quelle predilette dai mistici paleocristiani della Siria, tanto da essere diventata leggendaria. Nelle cronache del VII secolo si citano ‘’selve di colonne di stiliti’’.

Presto essa si diffuse nel resto dell'Impero d’Oriente e oltre.



Il complesso basilicale-monastico di San Simeone dista 36 km. da Aleppo e sorge sulla vasta spianata artificiale di uno sperone roccioso alle pendici del Jebel Simaan degradante a ovest verso la piana di Qatura, dove si trova una necropoli rupestre romana del II secolo d.C. Esso ricorda i santuari-martyrion che derivano dall’architettura funeraria greco-romana.

Nella sua pianta, originale e complessa, la croce – formata da quattro basiliche a tre navate – si fonde con l'ottagono al centro. Dal punto di vista puramente architettonico è ‘’l' edificio cristiano più grandioso prima delle cattedrali dei secoli XI-XII in Occidente.’’ Cfr. J.Mattern, Villes Mortes de Haute Syrie, Imprimerie catholique, Beyrouth 1944, pg.120.

Edificato tra il 476-491 per volere imperiale e unica ‘’isola’’ calcedonese in quella parte del Massiccio Calcare popolata da monaci monofisiti, divenne un centro di pellegrinaggio internazionale comparabile ai Luoghi Santi di Palestina. Fu trasformato in fortezza nel X secolo dai Bizantini dopo la riconquista di Antiochia, ma neppure l'occupazione bizantina e le successive - degli Hamdanidi (985) e dei Fatimidi (1017) - arrestarono l’affluenza dei devoti almeno fino al XII-XIII secolo. E prima della guerra iniqua che sta distruggendo la Siria, questo luogo straordinario raccontava ai visitatori la storia di un'epoca e la grande maestria degli artigiani siriani, depositari di un'antichissima e alta cultura scultorea ed architettonica. 

Vi si accede attraverso una breccia nella cinta muraria fortificata che dà il nome al sito: Qalaat Simaan, la cittadella di Simeone. Una breve strada in salita conduce alla spianata dove si conservano le vestigia del monastero, una torre delle mura medievali e, in fondo a nord, solenne e magnifico in cima alla montagna deserta, il tempio che custodisce al centro la colonna-reliquia del santo.    


Basilica Sud. 

L’arco centrale del nartece, più ampio e più alto dei laterali, poggia su colonne affiancate da pilastri scannellati. Le colonne sono coronate da originali capitelli corinzi con foglie di acanto piegate come per un forte colpo di vento. I timpani triangolari, ben sottolineati da cornici scolpite, poggiavano nel loro punto d'incontro su colonnette che avevano per base gli sporgenti pilastri scannellati (quasi dei contrafforti). Aveva una triplice copertura a doppio spiovente. (foto 1)

Oltre il nartece, si scorge l'alto muro della facciata della navata centrale della Basilica Sud, con due porte molto ampie e quattro finestre sottolineate da modanature e, in origine, separate in due gruppi da colonnette su beccatelli. Il muro termina con un bel cornicione scolpito, ma probabilmente era sormontato da un timpano triangolare. Le due porte più piccole, che introducono alle navate laterali, sono sormontate da archi e decorate con cornici scolpite. Due ordini di colonne (le cui basi sono in situ) separavano le tre navate di questa basilica a pianta quasi quadrata (m. 25 X 24). Anche la maggior parte degli altri elementi architettonici crollati: pietre di archi e claristori con colonnette in aggetto su cui poggiavano le travi dell’armatura del tetto, fusti di colonne, conci e capitelli corinzi giacciono al suolo. I muri perimetrali, formati da grossi blocchi disposti a secco in assise orizzontali, secondo la tradizione regionale, si conservano quasi intatti. Essi risultano alleggeriti da grandi porte e da numerose finestre, nonostante gli archivolti che circondano i tre lati dell'edificio sovrapponendosi ad altri elementi decorativi creino un effetto di gravezza singolare, rispetto all' elegante semplicità che in genere contraddistingue gli edifici sacri del Massiccio Calcare.

Ottagono

È il nucleo materiale e mistico del santuario. Nasce da otto grandi archi poggianti su sottili pilastri che acquistano slancio e leggerezza dalle alte colonne monolitiche ai loro lati. Le colonne sono decorate con foglie di acanto uguali a quelle del nartece. I quattro maestosi archi ovali diretti verso i punti cardinali introducono alle altrettante basiliche a tre navate, da cui la colonna-reliquia alta 21 metri era sicuramente ben visibile, (foto 2) creando una sintesi architettonico-simbolica di straordinaria efficacia. Gli altri quattro archi dell’ottagono, che si aprono su altrettante cappelle trapezoidali con piccole absidi nel fondo, collegano tra di loro le navate laterali e, in questo modo, avvolgono l'ottagono e la croce, conferendo maggior respiro e armonia all'imponente edificio. Queste cappelle dovevano ospitare dei sepolcri, come fa pensare anche il coperchio ad acrotèri di un sarcofago nell'abside N-E. Le decorazioni scolpite dell'ottagono sono uguali a quelle delle navate. Il pavimento di pietra risale al X secolo, epoca in cui il tempio fu trasformato in fortezza. In origine, l’ottagono doveva essere coperto da una cupola, probabilmente simile a quella del battistero a sud della spianata. La parte esterna delle piccole absidi S-E e N-E - più curate delle altre due e con tre finestre ciascuna - richiama nell'ornamentazione l'abside centrale della basilica Est. 


Al centro dell’ottagono e ancora sulla sua base originale (foto 3) - un cubo di quasi due metri di lato tagliato direttamente nella roccia - poggia la colonna di Simeone o meglio il poco che ne rimane, essendo stata per secoli reliquia taumaturgica soggetta alla venerazione devastatrice dei pellegrini. Scriveva a questo proposito lo storico Abu al-Hassan ‘Ali Ibn Bakr al-Harawi: ‘’Si trovano a Deir Sim’an (deir in arabo significa monastero e lo storico definisce impropriamente monastero il santuario) rovine come non ne esistono simili al mondo. In mezzo al Deir, un fusto di colonna utile [per guarire] dalla febbre, se si prende della polvere di questa pietra per un malato e si fa un voto per lui.’’ (J. Nasrallah, Le couvent de Saint Siméon l'Alepin, in La parole de Orient, Paris 1970, II, pg. 343). Uno spazio (detto mandra) intorno alla base della colonna, che era chiuso da una balaustra di legno (di cui si riesce a individuare la posizione originaria) proteggeva l'asceta dalla devozione esagerata dei fedeli. Evagrio lo Scolastico narra di ‘’Abitanti della regione che arrivavano in gran numero e danzavano attorno alla colonna, e di una stella folgorante che apparve varie volte nella parte sinistra del santuario. Alcuni affermavano di aver visto la figura dello stilita, con la testa incappucciata e la lunga barba, volare nella basilica. Persino i cavalieri sui loro cavalli giostravano attorno alla colonna, ma non era permesso alle donne di oltrepassare la soglia del santuario.’’ (Hevagrius, Historia Ecclesiastica, L.I, c. XIII e XIV). Quest'ultimo punto, secondo alcuni studiosi, sarebbe discutibile, dato che le donne accorrevano numerose al santuario per chiedere la grazia di una maternità.

Basilica Ovest. 

 La basilica si prolungava in una loggia, oltre il ripido pendio della montagna, per mezzo di sostruzioni artificiali: contrafforti e poderose arcate. Tre archi su colonne collegavano la navata centrale a questa loggia-belvedere da cui si poteva ammirare lo splendido panorama della piana sottostante con i suoi villaggi e borghi, il Jebel Sheikh al-Barakat, la valle dell'Afrin, la piana ed il lago di Antiochia e la catena montuosa dell'Amanus. Le navate laterali avevano due porte.

Basilica Nord. 

Dagli elementi strutturali allineati al suolo si capisce che il suo interno era praticamente uguale a quello della Basilica Sud. Nei muri esterni, che erano circondati da portici con colonne, si aprono numerose porte (foto 4) - per facilitare la circolazione delle migliaia di pellegrini che accorrevano in certi periodi - e finestre, decorate da modanature a volute. La facciata a nord è particolarmente interessante e ricca di ornamentazioni scolpite.

* Le Basiliche Sud, Nord e Ovest svolgevano essenzialmente la funzione di ambulacri. All'esterno, le porte nel lato ovest ed est della Basilica Sud e quelle nel lato sud della Basilica Est erano precedute da pròtiri. Tutti gli altri muri esterni del santuario erano completamente porticati. 

Basilica Est.

 La vera chiesa, l'unica in cui si officiava, aveva due campate in più delle altre basiliche. Al suolo, restano frammenti di mosaici a disegni geometrici del V e anche del X secolo, come testimonia una iscrizione bilingue - in greco e siriaco - del 979 d.C.: epoca in cui al suo interno fu edificato un palazzetto arabo. Il lato est termina con tre profonde absidi a emiciclo e copertura a semi-cupola. Gli archivolti delle absidi sono decorati con motivi vegetali che abbelliscono in particolar modo la cornice dell'abside centrale perfettamente allineata a est, per cui la basilica risulta leggermente spostata a nord del suo asse. L'abside centrale ha un ordine di cinque finestre nella parte inferiore e una finestra più piccola sopra la cornice che sottolinea la volta. L'archivolto delle finestre è circondato da modanature. Le absidi laterali hanno ciascuna una finestra.

La parte absidale esterna rappresenta un’innovazione nell'architettura siriana del V secolo. Qui, infatti, per la prima volta, le absidi non sono racchiuse in un muro dritto. L’abside centrale ha due ordini di colonne corinzie, un cornicione e una decorazione scultorea a conchiglie. Le absidi laterali, semplicemente circondate da un alto zoccolo che arriva alla base delle finestre e coronate da una cornice, sono affiancate dalla prothesis e dal diaconicon.


La cappella mortuaria.

 A 30 metri circa dalla Basilica Est e praticamente addossata alle mura bizantine, sorge una cappella mortuaria quasi monolitica. Essa fu infatti ricavata nello scavo da cui venivano estratti i massi di calcare per la costruzione del santuario. La facciata e i due frontoni sono le uniche parti importanti in muratura. La cappella è orientata a est, come in generale le chiese della regione. Sotto il pavimento c'era l'ossario. Altre tombe, oltre che nelle piccole absidi del santuario, erano collocate nei lati delle Basiliche Sud e Nord.

Chiesa conventuale.

 Nel lato est di una grande corte, delimitata a nord e a ovest dai muri del santuario, sorgeva una piccola basilica a tre navate per le funzioni private dei monaci. Una porta la metteva in diretta comunicazione con la prothesis del santuario. ‘’... aveva, sopra le navate laterali, tribune che comunicavano con le sacrestie del santuario e con il primo piano del convento. L’abside dritta era fiancheggiata da due torri.’’ (G.Tchalenko, Villages Antiques de la Syrie du Nord, Paris 1953, pg. 236). È particolarmente degno di nota il ciborio scolpito (foto 5) che si trova al suolo, addossato alla parete nel lato ovest della cappella.

Monastero. I lati est, sud ed ovest della corte a cui si affacciava la chiesa conventuale erano delimitati da un monastero a due e tre piani, circondato su tre lati da gallerie aperte. La pianta era piuttosto complessa. Come tutti i monasteri della regione, aveva nel lato est del piano terra un oratorio e diverse sale; scuderie nel lato sud. Esso subì diverse trasformazioni interne in epoca medievale e non è ancora perfettamente studiato. 

Battistero. Sorge all'estremità sud della spianata e presenta una pianta ottagonale inscritta in un quadrato. Nei lati nord, sud e ovest del quadrato, tre gallerie circondano l'ottagono. Nel lato est, si aprono due nicchie e una profonda abside che ospita il fonte battesimale a cui i battezzandi accedevano dalle scale di due piccoli locali che fiancheggiano l'abside. Sia il fondo del fonte battesimale sia il pavimento del battistero erano musivi. L'ornamentazione scultorea della facciata ovest è particolarmente degna di nota. Il battistero era circondato a ovest, est e nord da un portico a colonne. Nel lato sud del battistero, troviamo i resti di una basilica a tre navi destinata ai catecumeni, che per dimensioni e stile architettonico era simile alla chiesa conventuale.

- Nel Massiccio Calcare il battesimo avveniva per infusione. Durante il IV secolo, il battistero si situava nel lato est della chiesa. Nei secoli V e VI diventava un edificio indipendente, disposto a S-E.

- Ai lati est, sud e ovest del battistero, sorgevano tre edifici rettangolari. Probabilmente si trattava di ospizi per i pellegrini. L'edificio a sud aveva portici ai lati sud e nord, mentre da una porta monumentale a doppio arco (propileo) nel lato ovest entravano le processioni provenienti dal vicino centro di Telanissos (Deir Simaan). Negli edifici a ovest e a est. i porticati si aprivano sulla spianata.


Elementi decorativi

L'ornamentazione scultorea interna ed esterna di Qalaat Simaan è complessa sia per la varietà di stili e forme sia per la sua profusione. I motivi classici si uniscono alle invenzioni dell’arte locale e agli apporti regionali. Sono degni di attenzione l’aggetto delle facciate, il coronamento delle porte, le colonne addossate col capitello che serve da appoggio alla cornice, le mensole e le colonnette, i nastri e le volute che circondano i muri perimetrali, le porte e le finestre avvolgendo praticamente l'edificio. Segni cristologici (foto 6), svariate figure geometriche e motivi naturalistici sono copiosamente scolpiti in archivolti, cornicioni, capitelli e architravi. Talvolta, la scultura diventa quasi ricamo, come nel ciborio conservato nella chiesa conventuale o in certi architravi sparsi al suolo. In origine, molte parti degli interni dovevano essere dipinte e i pavimenti erano ricoperti da mosaici. Il bianco calcare - che il tempo ha tinto in parte con una tavolozza di colori che spaziano dal grigio alle varie sfumature dell'ocra - domina sovrano negli elementi strutturali e decorativi.

- Il santuario cruciforme misura 100 metri in direzione E-O e 88 metri in direzione N-S. La sua superficie è di 3. 840 m². La superficie della spianata è di 12.000 m² e potevano sostarvi 10 mila pellegrini alla volta.

Colonne degli stiliti

Le colonne erano composte da una base su cui si fissava il fusto di uno o più tamburi uniti da sbarre o anelli di ferro che assicuravano stabilità in caso di uragani o terremoti, molto frequenti nella regione. La loro altezza massima era in genere di 13-16 metri e la piattaforma larga sufficientemente perché gli asceti potessero trascorrervi la vita. Talvolta, un tetto di frasche o pelli su una garitta di assi li proteggeva dalle intemperie, ma spesso essi si esponevano senza protezione alcuna. Tracce di canalizzazioni, che partono dalla base, fanno pensare a un tubo di piombo o terracotta che ne raggiungeva la sommità e serviva come scarico dei rifiuti organici, che defluivano verso una fossa poco distante.


Le immagini di questo articolo, esclusa la veduta aerea, sono dell’autrice.



AUGURIAMO A TUTTI I NOSTRI AMICI 
SANTA E LIETA SOLENNITA' DI MARIA ASSUNTA:
che Maria salita al Cielo ci aiuti a seguirla, nella fedeltà quotidiana ,  
per vedere con Lei il volto del Figlio e dei Santi 

giovedì 8 giugno 2023

L'archeologo italiano Paolo Matthiae ha ricevuto l'Ordine al Merito siriano in riconoscimento del suo contributo negli scavi archeologici in 59 anni

 Il ministro siriano della Cultura, Lubana Mechaweh, ha affermato che Matthiae ha trascorso quasi 40 anni della sua vita a scavare nel sito archeologico di Ebla ed è rimasto capo e direttore della missione archeologica italiana a Tell Mardikh dal 1963 al 2011 quando i lavori sul sito è stato interrotto a causa della guerra in Siria.

“Ha anche fondato una missione archeologica a Tell Afes e un'altra a Tell Tuqan”, ha aggiunto, sottolineando che Matthiae ha sempre considerato la Siria la sua seconda patria e nonostante tutti gli ostacoli e le pressioni è tornato nel 2022 dopo 11 anni di assenza obbligatoria, come direttore scientifico di una nuova missione italiana. “Tra il 1963 e il 2019 ha pubblicato circa 185 articoli scientifici sulla Siria, la sua civiltà e i suoi siti archeologici, e 23 opere che sono tra i più importanti riferimenti scientifici sulle antiche civiltà siriane, in particolare sul sito archeologico di Ebla”. 

Nel suo discorso in questa occasione, Paulo Matthiae ha espresso la sua gratitudine per aver ottenuto il più alto grado di merito per Ebla, "Paese di una civiltà molto importante",  il più importante nella storia dei secoli dell'Antico Oriente e del Medio Oriente.

Ha chiarito che l'importanza di Ebla risale all'anno 23 aC “Questo è importante per tutta la storia a causa dell'emergere di una nuova lingua e cultura dopo la scoperta del palazzo di Ebla, e quindi la Siria ha rafforzato la sua posizione e prestigio per raggiungere lo stesso livello della civiltà del Nilo e della Mesopotamia”, ha concluso.

( dal sito governativo SANA, 6-05-23)

Per comprendere, almeno come accenno, l'importanza del lavoro scientifico che il prof Matthiae ha svolto, scoprendo un'antica civiltà simile alla civiltà della Valle del Nilo e parallela alla civiltà mesopotamica, riportiamo dal sito del Meeting di Rimini la parte della conferenza tenuta nel 2014 dal professore in occasione della presentazione della Mostra DAL PROFONDO DEL TEMPO: ALL’ORIGINE DELLA COMUNICAZIONE E DELLA COMUNITÀ NELL’ANTICA SIRIA

PAOLO MATTHIAE:
Una barbarie antica e nuovissima, fondata, da un lato, sulla deprecata bramosia dell’arricchimento e, dall’altro, sull’inespiabile ed infame odio dell’”Altro”, ha riportato, in modi inattesi, nei tempi più recenti all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale quei luoghi del pianeta che usualmente si definiscono, in maniera impressionistica ma del tutto a ragione, “la culla della civiltà”. Culla della civiltà è un’espressione che vuole, non soltanto, indicare quei luoghi dove la civiltà umana ha compiuto, riguardo ai tempi, i suoi primi passi, ma anche significare che già in quei primi passi, riguardo ai modi, si realizzarono progressi nella storia dell’umanità che sempre poi, nel corso millenario del suo sviluppo, caratterizzarono quelle forme di vita associata che nelle interpretazioni moderne si definiscono appunto “forme di civiltà”. I motivi per cui, ai nostri giorni, in modi inimmaginabili solo pochi anni fa, questi luoghi memorabili della storia dell’umanità sono venuti tristemente alla ribalta dell’opinione pubblica mondiale sono stati, e sono tutt’oggi, i saccheggi depredatori e le distruzioni selvagge cui questi centri antichissimi della civiltà umana sono stati soggetti soprattutto negli ultimi quindici anni, con intensificazioni vertiginose negli ultimi tempi.
Dove è, dunque, geograficamente la culla della civiltà umana? Come si configura, ecologicamente, il paesaggio della culla della civiltà? Quando quei luoghi divennero, cronologicamente, la culla della civiltà? Perché, socialmente, in quelle regioni si crearono le condizioni per la nascita della civiltà? Chi furono, storicamente, i protagonisti di quei mutamenti che resero luoghi apparentemente inospitali l’accogliente culla della civiltà? A questi quesiti, che sono i quesiti fondamentali di ogni ricerca storica – Dove? Come? Quando? Perché? Chi? – l’archeologia orientale si è impegnata da decenni a dare risposte efficaci, spesso tanto complesse quanto problematiche, elaborando imponenti masse di dati provenienti da numerosissime esplorazioni archeologiche sviluppatesi dalla metà dell’Ottocento fino ai nostri giorni in alcune delle regioni politicamente più tormentate e umanamente più straziate del nostro pianeta.
La “culla della civiltà”, quanto ai luoghi, si localizza, primariamente, nella Bassa Mesopotamia, l’odierno Iraq meridionale, e nell’Egitto e, secondariamente, nell’Alta Siria, in regioni piuttosto differenziate ecologicamente. Infatti, l’ampia regione che gli antichi chiamavano Babilonia che corrisponde approssimativamente oggi all’Iraq meridionale tra Baghdad a nord e Bassora a sud era un’ampia valle alluvionale formata dai corsi, spesso mutevoli, del Tigri e dell’Eufrate non troppo diversa dalla straordinaria valle del Nilo, che si presenta, peraltro, come una stretta fascia fertile dove corre il gran fiume che fece dire ai Greci che l’Egitto era un “dono del Nilo”. Nella Bassa Mesopotamia, tuttavia, certo oggi non molto diversamente da 5000 anni orsono tranne che nella parte più meridionale che era allora ancora sommersa dalle acque marine del Golfo, si alternano oggi terreni coltivati con orti e giardini lussureggianti, aride steppe desolate con sabbie invadenti, acquitrini paludosi ricchi di una flora e di una fauna uniche, confondendosi e mutandosi in un ambiente naturale di eccezionale suggestione. Al contrario, nella valle del Nilo il corso del fiume pressoché immutabile, tranne che nel Delta, scorre tra le sottili fasce di terreni verdeggianti fertilizzati dall’annuale regolarissima piena fluviale, bordate dagli aridissimi deserti occidentale e orientale al punto che si è detto, a ragione, che l’Egitto è l’unico luogo al mondo dove si può passeggiare con un piede che calca la terra nera e grassa di una delle regioni più fertili del pianeta e con l’altro che affonda nella terra rossa della sabbia di un deserto desolato ed ardente. In queste regioni le precipitazioni atmosferiche, estremamente ridotte, non consentono alcun tipo di agricoltura, che, invece, è resa possibile, con rendimenti anche elevati, dalla presenza delle abbondanti acque dei grandi fiumi.
L’Alta Siria, sia nelle regioni orientali tra Eufrate e Tigri, sia in quelle occidentali tra l’Eufrate e il Mediterraneo, è un’area completamente diversa: un ondulato tavolato calcareo privo di fiumi di grande portata, perché l’Eufrate vi scorre tra alte falese, ma dove le piogge nella media annuale divengono progressivamente più intense quanto più ci si avvicina alla lunga catena montuosa del Tauro che limita a nord la cosiddetta Fertile Mezzaluna consentendo addirittura le coltivazioni della triade mediterranea, grano, vite e ulivo. 

Nelle piane alluvionali del Tigri e dell’Eufrate a Oriente e nella valle del Nilo ad Occidente attraverso un lento processo evolutivo, fortemente favorito dall’eccezionale situazione ecologica particolarmente adatta ad un’agricoltura intensiva, che si colloca per tutto il IV millennio a.C. e che conobbe accelerazioni decisive negli ultimi secoli prima del 3000 a.C., nelle fasi archeologiche dette di Uruk Tardo e di Gemdet Nasr tra 3300 e 2900 a.C., da un lato per la Mesopotamia, e di Nagada IIIB-C tra 3300 e 3000 a.C., dall’altro per l’Egitto, si determinò quella che è stata definita in maniera assai efficace anche se in parte impropria la “rivoluzione urbana”. Sono questi i secoli che, con l’urbanizzazione primaria, videro l’attuarsi di un epocale rivolgimento nella storia dell’umanità: la formazione delle prime città-stato nella Mesopotamia meridionale e del primo stato territoriale nella valle del Nilo, due sviluppi di grandissimo significato e di grandissime conseguenze nella storia economica, sociale, ideologica del nostro pianeta. Le prime città e il primo stato della storia trovarono la loro forma storica in Mesopotamia e in Egitto negli anni attorno al 3000 a.C., condizionati dalla straordinariamente favorevole situazioni ecologica delle grandi valli alluvionali del Tigri ed Eufrate e del Nilo.
Le prime città della storia nella Bassa Mesopotamia, soprattutto nella regione di Nippur e di Uruk, ma forse parallelamente nella regione di Ninive nell’Alta Mesopotamia, erano caratterizzate da una concentrazione demografica prima sconosciuta, dall’esistenza di una cerchia di mura che le separava dal contado, dalla presenza di un’architettura monumentale pubblica di natura sacra e secolare, dal configurarsi di una particolare gerarchia insediamentale, dal consolidarsi di una complessa economia agraria integrata, dall’affermarsi di classi professionali di artigiani specializzati, dal costituirsi di una stabile élite dirigente che esercita il controllo amministrativo e assicura il governo, dallo sviluppo di una crescente diseguaglianza sociale conseguente ad un’incipiente formazione di classi, dall’impiego sempre più sistematico della scrittura per rispondere ad esigenze amministrative.
Questi elementi dello sviluppo culturale mostrano con evidenza quanto rivoluzionaria sia stata questa fase della storia sulle sponde dell’Eufrate e del Tigri e del Nilo. L’irreversibilità delle innovazioni, pur apparentemente fragili e soggette a crisi, si palesò ben presto attraverso tre modalità maggiori dell’espansione di questa nuova originalissima formula della vita associata. In primo luogo, l’incremento della popolazione che si trasferì all’interno del protetto e delimitato circuito delle mura urbane crebbe presto in maniera esponenziale, fino a far ritenere che tra il 50 e l’80% della popolazione attorno al 3000 a.C. vivesse nelle città. In secondo luogo, la dimensione delle città, che agli inizi era stata molto varia da una ventina di ettari delle minori fino ai poco meno di 500 ettari della gigantesca Uruk del XXX secolo a.C., due volte l’Atene di Pericle del V secolo a.C., si dilatò dovunque in maniera notevole. In terzo luogo, aumentarono sensibilmente il numero e la densità dei centri urbani, per cui le cinte turrite e gli alti santuari su terrazze che dominavano l’ambiente urbano divennero visibili da una città all’altra e mutarono radicalmente il panorama insediativo di tutta la regione con segni impressionanti imposti al territorio.
Ma un limite grave e all’apparenza insormontabile doveva sembrar incombere sulla rivoluzionaria svolta impressa allo sviluppo di quella remota umanità delle due grandi valli alluvionali mesopotamica e egiziana, che, se veramente si fosse rivelato rigidamente condizionante, avrebbe impedito una diffusione ampia del nuovo modello non solo insediamentale e territoriale ma economico, sociale e ideologico creato in Mesopotamia ed in Egitto: l’ambiente appunto della valle alluvionale.
Fu proprio il definitivo affermarsi del modello della città mesopotamica e dello stato egiziano nella prima metà del III millennio a.C., con le fiorenti città-stato dell’Età Protodinastica nei paesi di Sumer e di Akkad, da un lato, e con lo straordinario stato faraonico dell’Antico Regno egiziano dall’altro che lanciò alle donne e agli uomini di quei secoli lontanissimi una sfida epocale, che, se vinta, avrebbe segnato la diffusione universale e il trionfo durevole di quelle affascinanti modalità di vita associata. Poteva il modello urbano e statale della Mesopotamia e dell’Egitto riprodursi, sussistere ed espandersi anche in condizioni ecologiche molto diverse, dove non fossero presenti l’abbondanza delle acque di grandi fiumi e le ampie piane delle valli alluvionali ovvero quelle condizioni ecologiche erano vincolanti nel senso che senza di esse quei modelli non si sarebbero potuti non solo temporaneamente riprodurre, ma soprattutto durevolmente affermare?
E’ nella risposta positiva a questo quesito che le genti della terza regione che abbiamo citato all’inizio, l’Alta Siria, dimostrarono, nei secoli attorno alla metà del III millennio a.C., una straordinaria originalità e contribuirono in maniera decisiva, attraverso quella che noi chiamiamo oggi la fase dell’”urbanizzazione secondaria”, al definitivo affermarsi della città e dello stato in ambienti ecologicamente diversi da quelli delle valli alluvionali. L’età dell’urbanizzazione “secondaria” vide nella Siria Occidentale e nell’Alta Mesopotamia, territori oggi nei confini della Repubblica Araba Siriana, nei secoli compresi tra circa il 2700 e il 2500 a.C., mentre si consolidavano definitivamente le città sumeriche nella Bassa Mesopotamia e lo stato faraonico nell’Egitto, la crescita vertiginosa e quasi improvvisa di centri urbani formatisi al di fuori e lontano dalle valli alluvionali.
L’incanto di quel condizionamento era spezzato e si apriva una nuova prospettiva, perché le nuove città dell’area siriana nascevano e crescevano, certo in parte e per certi aspetti in funzione dei floridi grandi centri urbani dei paesi di Sumer di Akkad e del potente stato unitario dei faraoni d’Egitto, ma soprattutto traevano le ragioni del loro sviluppo da differenziate basi economico-sociali e da diversi fondamenti ideologici, le une e gli altri non determinate dal condizionamento delle situazioni ecologiche delle valli dei grandi fiumi, anche se i contatti frequenti e decisivi con quelle poderose e suggestive realtà sociali non fu certo senza influenza.
In regioni dove l’agricoltura non poteva che essere dipendente dalle precipitazioni atmosferiche, le nuove città di Siria Occidentale e Nord-Orientale si formarono e prosperarono perché ad un’agricoltura irrigua intensiva si sostituì un’agricoltura secca estensiva e perché una diversa e paradossalmente più ricca e variegata integrazione alimentare si riuscì ad istituire tra più differenziate colture agrarie, tra le quali accanto ai cereali primeggiavano l’ulivo e la vite, e più differenziate specie animali sul versante complementare della pastorizia, in cui i bovini sfruttavano i pur limitati pascoli collinari e i capro-ovini le ampie estensioni della steppa. Anche al di là del puro orizzonte alimentare, l’originalità delle nuove e nascenti formazioni urbane di Siria rispetto a quelle più antiche ed affermate di Mesopotamia, si manifestava sul piano economico più generale per lo sfruttamento delle risorse di materie prime fondamentali, assenti nel mondo alluvionale sud-mesopotamico e presenti invece nelle regioni collinari e pedemontane adiacenti ai luoghi delle città nord-siriane: il legname delle foreste e i metalli, rame e argento soprattutto, delle montagne del Tauro, dell’Amano, dell’Antilibano e del Libano.
Tra i centri urbani che emersero fuori delle valli alluvionali soprattutto nel secondo quarto del III millennio a.C., per motivi diversi, un ruolo fondamentale per l’importanza del potere politico, la complessità della struttura sociale, l’originalità dell’elaborazione ideologica ebbero certo Ebla nella Siria Occidentale e Urkish nella Siria Nord-Orientale, riportate alla luce rispettivamente dalle Missioni italiana e americana guidate, nel primo caso, da chi vi parla e nel secondo da Giorgio e Marilyn Buccellati. Riferendosi ora all’ultimo dei quesiti che ci eravamo proposti all’inizio di questa presentazione, riguardo a chi furono i protagonisti di questa “urbanizzazione secondaria”, non v’è alcun dubbio che ad Ebla protagonisti furono Semiti nord-occidentali, che parlavano un’antichissima lingua semitica molto prossima morfologicamente all’akkadico della Mesopotamia, ma da esso abbastanza differenziata lessicalmente e che ad Urkish protagonisti furono invece Hurriti orientali, il cui idioma è tuttora tra le grandi lingue di cultura dell’Oriente antico quella meno conosciuta e più misteriosa per il suo singolare isolamento linguistico.
In ambienti etnicamente differenziati, dunque, quasi negli stessi decenni in regioni separate da spazi geografici non brevi, ma in ambienti ecologicamente simili, Ebla ed Urkish hanno avuto una funzione essenziale come centri promotori della grande seconda urbanizzazione dell’Oriente antico. Le scoperte di Ebla e di Urkish, già solo per l’identificazione sul terreno di queste due città a lungo ricercate dagli archeologi durante gran parte del Novecento in contrade non molto esplorate dall’archeologia tradizionale, sono di fondamentale importanza perché, con la loro formazione e la loro fioritura dimostrarono alla consapevole attenzione dell’umanità di oltre 4500 anni orsono nell’Alta Siria e nell’Alta Mesopotamia che la sfida contro i condizionamenti della natura era stata trionfalmente vinta dalle straordinariamente duttili capacità di adattamento e di adeguamento degli uomini per l’affermazione del modello della città e dello stato in qualunque situazione ecologica.
L’efficienza economica, la solidità amministrativa, la complessità sociale, l’originalità ideologica, il prestigio politico di centri urbani come la semitica Ebla e la hurrita Urkish subito dopo i decenni centrali del III millennio a.C. furono la dimostrazione, di cui certo presero atto anche i potenti di quei tempi remoti dalle rive del Nilo alle sponde del Golfo – i faraoni dell’età delle Piramidi e i principi dei paesi di Sumer e di Akkad – che nuove civiltà urbane erano sorte lontano dai corsi dei fiumi, che erano in grado di controllare vie commerciali importanti, che potevano gestire imprese militari rischiose e soprattutto che, pur con particolarità istituzionali originali, nuove città e nuovi stati, in ambienti etnicamente fino a quegli anni trascurabili, come quello semitico occidentale e hurrita orientale, avrebbero presto arricchito uno scenario internazionale dominato fino ad allora quasi soltanto da due orgogliosi protagonisti nel mondo sumerico e nel mondo egiziano.


L’importanza storica fondamentale di scoperte archeologiche epocali, come quelle di Ebla e di Urkish, è proprio nel fornire una documentazione impressionante su un’epoca di assoluto rilievo nella storia dell’umanità: l’epoca che vide il definitivo affermarsi della città e dello stato, agli inizi della civiltà urbana, come modelli di insuperabile significato per la diffusione e il progresso della civiltà.
Se il modello della città sumerica e dello stato faraonico avesse dovuto esser vincolato da una determinata situazione ambientale, quel vincolo avrebbe, nei secoli futuri, condizionato duramente e limitato enormemente lo sviluppo della civiltà. Sarebbe certo accaduto, come in effetti accadde, che quei modelli sarebbero stati adottati in luoghi anche lontanissimi del pianeta, come la valle dell’Indo in India e la valle del Fiume Giallo in Cina, ma solo il trionfo, nell’Alta Siria, in siti come Ebla e Urkish, di quella aspra sfida contro le difficoltà frapposte dalla natura alla universalizzazione dei modelli di città e di stato, fece sì che la città divenisse, da allora per millenni ed ancora oggi, sinonimo di civiltà. Grazie

martedì 22 settembre 2020

Taybet Al Imame et le drame de l'immense patrimoine de la Syrie

Les mosaïques de l'Église des Saints Martyrs (Achevée en 442) 
A Taybet Al-Imam, à Hama, au centre-nord de la Syrie

C'est l'un des plus grands pavements d'église en mosaïque découverts en Syrie (600 m²). 

La Syrie fut une des terres d’élection du mysticisme des premiers siècles du christianisme. On y découvre beaucoup de mosaïques qui couvraient le sol des églises, aujourd’hui en ruines. La représentation en mosaïque des scènes de de la Bible était considérée comme un des meilleurs moyens de catéchiser. 

Les mosaïques syriennes révèlent la complexité de l’interaction entre les deux mondes ; le temporel et le spirituel. Avec une spontanéité dans l’expression, la mosaïque orientale, se démarque de la rigueur des canons byzantins et s’en affranchit. C'est une catéchèse visuelle offerte aux catéchumènes et aux assemblées en prière.

Nous pouvons en admirer plusieurs scènes très instructrices sur l’histoire du Salut et l’histoire de l’église locale. Cette séquence représente l'arrivée à l'église des reliques des martyrs, transportés dans un reliquaire en pierre par deux mules. 

Cette autre séquence, située dans la partie orientale de la mosaïque, représente le « Paradis » promis par Dieu aux « fidèles croyants ». C’est le lieu de la paix éternelle qui est symbolisé par les deux villes de Jérusalem et de Bethléem, comme cela est relaté et décrit dans le livre de l’Apocalypse dans l’Evangile. Bethlehem symbolise la nativité et Jérusalem symbolise la mort et la résurrection de notre Sauveur Jésus-Christ. 

Les inscriptions en grec (Ci-dessus), mentionnent les fleuves du paradis Ghéon, Phison, le Tigre et l’Euphrate. C'est « l'eau vive de la vie éternelle » qui coule, qui nous désaltère et qui abreuve notre foi chrétienne. Celle-ci « se communique, se répand et se propage » par la Charité fraternelle et le témoignage. 


L'Aigle symbolise le Christ glorifié et éternel perché en haut du « mont du Paradis ». 


Au centre du pavement est représenté "l'Agneau de Dieu" qui enlève les péchés du monde, sous une lanterne qui éclaire autour d’elle. 


Le phœnix, symbole emprunté à la mythologie égyptienne et phénicienne, vit sur « plusieurs siècles », meurt et devient cendres. Il s’anéantit et se consume en cendres avant de renaitre de ses propres cendres. Sa renaissance, en beauté et en luminosité, évoque la résurrection du Christ. Le passage de la mort terrestre vers la vie céleste et éternelle s’actualise en chaque baptisé qui reçoit le Corps et le Sang du Christ (Le calice du Sang précieux au milieu de la croix). Par cette Communion et cette participation à la vie, la mort et la résurrection du Christ, le baptisé entre dans la vie éternelle. 


Nous retrouvons, ci-dessus, le symbole du poisson. C’est le ICTHUS – ΙΧΘΥΣ ; mot grec signifiant poisson. Au début du christianisme, ce symbole était utilisé par les chrétiens pour se reconnaître entre eux. ICTHUS est composé des initiales des cinq mots grecs : «Ièsous Christos Theou Uios Sôter» = « Jésus Christ Fils du Dieu Sauveur ».  L'église de St Siméon le Stylite le syrien qui est représentée en forme de croix. 


En novembre 2013, ces précieuses mosaïques ont été malheureusement détruites par les bandes armées agissant sur le territoire de la Syrie et la grande Basilique de Saint Siméon le Stylite (VIème siècle) est devenue un champ d’entrainement des femmes djihadistes. 

3.000 ans de civilisation, 3.000 ans d’histoire.  C’est ce que représentait le temple d’Aïn Dara pour les Syriens et les historiens. Ces 3.000 ans se sont effondrés suite à une frappe aérienne de l’armée turque, fin janvier 2018, qui cherche à reprendre le contrôle sur la région d’Afrine tenue par les Kurdes. 

Quand s’arrêtera cette folie meurtrière destructrice de l’homme, des communautés humaines et du patrimoine civilisationnel commun à notre humanité ? 

CLAUDE ZEREZ

Versione Italiana : https://oraprosiria.blogspot.com/2018/03/siria-i-tesori-perduti.html

lunedì 25 maggio 2020

Notre-Dame: le segrete origini siriane dell'arte medievale francese

La ricerca mostra come varie caratteristiche 
architettoniche della storica cattedrale 
possano essere rintracciate in Siria. 

Per l'approfondimento sulla Basilica 'madre' 
di Qalb Loze:
di Diana Darke, aprile 2020
trad Gb.P. OraproSiria

Chi avrebbe mai pensato che il fuoco catastrofico dell'anno scorso a Notre-Dame avrebbe rivelato così tanti segreti dalle sue ceneri?
Un team di scienziati si è riunito per condurre ricerche approfondite sui materiali della cattedrale, nella speranza di capire come i muratori e gli artigiani medievali hanno innalzato l'edificio. Nulla è stato scritto; non sono stati utilizzati piani . Lo studio richiederà circa sei anni, contribuendo a guidare i lavori di restauro.
L'incendio ha anche suscitato il mio desiderio di studiare ulteriormente l'argomento. L'anno scorso di questi tempi, ho scritto della storia architettonica della cattedrale: come tutte le cattedrali gotiche medievali, le origini delle sue torri gemelle che fiancheggiano un monumentale ingresso rivolto a ovest, i suoi archi a punta, i suoi rosoni e le sue volte a vela, possono essere tutti rintracciati in Medio Oriente.
Ora, dopo approfondite ricerche, ho scoperto molte più connessioni, tutte inaspettate. Le ho incluse nel mio libro "Rubare dai Saraceni".
La rosetta è vista durante i lavori a Notre-Dame a luglio 2019 (AFP)
Il rosone visto durante i lavori a Notre-Dame a luglio 2019 (AFP)
Vetrate istoriate
Cominciamo con le vetrate, per fortuna ancora intatte dopo l'incendio. Le recenti analisi delle vetrate nelle principali cattedrali di Inghilterra e Francia tra il 1200 e il 1400 mostrano tutte la stessa composizione di ceneri vegetali, tipica delle materie prime siriane.
Il carbonato di sodio di alta qualità della Siria, noto come "la cenere della Siria", era considerato superiore alla cenere di natron egizia pre-islamica usata dai romani e dai bizantini nella loro produzione di vetro; e tutto il vetro veneziano analizzato dall'XI al XVI secolo mostra il suo uso coerente.
L'Europa continentale medievale importava le materie prime per tutto il suo vetro, poiché non esistevano fonti locali conosciute.
Finestre di vetro colorate sono state un elemento integrale e innovativo dell'architettura islamica sin dal VII secolo, a partire dalla cupola della Roccia di Gerusalemme, che aveva vetri colorati nelle sue molte alte finestre.
Erano conosciuti come shamsiyyat (dall'Arabo: per il sole) e qamariyyat (dall'Arabo: per la luna), mostrando come l'immaginario solare e lunare delle finestre continuasse nell'architettura religiosa europea.
I Cavalieri Templari adottarono la Cupola della Roccia come principale santuario cristiano dopo la prima crociata, scambiandola per il Tempio di Salomone, un errore che fece sì che molte chiese fossero modellate su un santuario musulmano.
I famosi rosoni di Notre-Dame sulle facciate ovest e nord risalgono al 1225-50 e sono progettati per far irradiare la luce dal centro, da cui il cosiddetto stile Rayonnant (radiante).
La luce era anche centrale nel progetto della cattedrale gotica. Saint-Denis, nel nord di Parigi, è stato il luogo in cui il ricco e potente abate Suger ha usato per la prima volta il pensiero illuminazionista come principio guida nella sua nuova basilica. Ma chi era Denis?
Il 'fleur-de-lis'
L'abate e i suoi contemporanei credevano che fosse un discepolo di Paolo, che in seguito fu confuso con il primo vescovo di Parigi e santo patrono della Francia, martirizzato a Montmartre.
Secoli dopo, gli studiosi si resero conto che l'opera influente di Denis, La Gerarchia Celeste , era in realtà un falso, scritta da un monaco mistico siriano del V° secolo che si faceva chiamare Denis per far conoscere la sua filosofia. Di conseguenza, è conosciuto nei circoli ecclesiastici come Pseudo-Denis, ma il suo trucco ha funzionato. Oggi, la Basilica di Saint-Denis è universalmente riconosciuta come il primo vero esempio di "gotico", con archi a sesto acuto che permettono l'elegante coro elevato. Da allora è stato usato come luogo di sepoltura dei re francesi.
Il simbolo stesso della Nazionalità Francese e dei sovrani francesi è il giglio. Ma dov'è stato visto per la prima volta come emblema? Nelle pianure della Siria, i Crociati hanno copiato lo sport locale dei tornei di Jerid, tornei cavallereschi in cui i giocatori a cavallo tentavano di disarcionarsi a vicenda con un giavellotto smussato.
L'araldica e l'uso di simboli di famiglia o dinastici erano già in uso sotto gli Ayyubidi , e il fleur-de-lis apparve per la prima volta nella sua vera forma araldica, le tre foglie separate legate nel mezzo da un nastro, come il blasone di Nur al-Din ibn Zanki nel XII° secolo e su due dei suoi monumenti a Damasco.

Nuruddin Zanki - YouTubePiù tardi, i caschi Mamluk avevano spesso protezioni nasali che terminavano in un giglio. Il giovanissimo re d'Inghilterra, Enrico VI°, fu incoronato re di Francia all'età di 10 anni all'interno di Notre-Dame nel 1431, su uno sfondo di giglio.
Una scoperta improbabile
Il portale centrale di Notre-Dame porta un'allegoria scolpita in pietra dell'alchimia, una statua di una donna che regge libri con una scala e un bastone. La stessa parola alchimia deriva dall'arabo al-kimya e, in epoca medievale, il Medio Oriente era ampiamente riconosciuto come la patria della scienza sperimentale avanzata.
Albarello Siria, Damasco, inizio secolo XV
Damasco, inizio secolo XV
L'uso della cenere di piante nel vetro era di per sé una sorta di alchimia, un esperimento in cui l'aggiunta della pianta alcalina chiamata ushnaan alla silice dei ciottoli schiacciati dell'Eufrate produceva il vetro più fine e delicato del mondo, con sede a Raqqa, il centro dell'industria siriana del vetro dal IX° al XIV° secolo.
L'aggiunta di altri prodotti chimici ha colorato il vetro - cobalto per blu, ossido di rame per turchese e così via.
Ma le ceneri di Ushnaan avevano anche altre proprietà. Erano state usate fin dai tempi biblici come agente per la pulizia in luoghi in cui non c'era accesso all'acqua, sia per l'igiene personale che per il bucato. Fino ad oggi, rimane un ingrediente naturale essenziale nell'industria del sapone siriano, poiché la pianta cresce particolarmente bene a sud di Aleppo attorno al lago salato di Jaboul. Questo è ciò che dona al sapone di Aleppo una sensazione meravigliosamente morbida e setosa sulla pelle; ha anche le bolle intrappolate all'interno, proprio come il vetro siriano. Queste bolle conferiscono inoltre una maggiore resistenza al vetro, rendendolo meno fragile, meno soggetto a fratture, il che potrebbe aiutare a spiegare il miracolo del perché il vetro è sopravvissuto al fuoco.
Gli scienziati di Notre-Dame hanno fatto la loro improbabile scoperta di pulizia: che consiste nel modo migliore per rimuovere la polvere tossica gialla di piombo dalle vetrate, senza mettere in pericolo i colori, è usare le salviette per neonati di Monoprix. Le salviette chimiche commerciali rischiavano di essere troppo abrasive; il sapone delicato di Aleppo sarebbe senza dubbio ancora meglio.
Così come sarebbe appropriato se la cattedrale potesse essere ripulita usando la stessa cenere delle piante che si trova già all'interno delle sue vetrate.
Diana Darke
Diana Darke è un'esperta di cultura mediorientale, specializzata in Siria. Laureata in arabo all'Università di Oxford, ha trascorso più di 30 anni specializzandosi in Medio Oriente e Turchia, lavorando sia nel settore governativo che in quello commerciale. Ha scritto diversi libri sulla società mediorientale, tra cui "My House in Damascus": una vista dall'interno della crisi siriana (2016) e "The Merchant of Syria” (2018), una narrazione socio-economica e "The Last Sanctuary in Aleppo" (2019). Il suo ultimo libro, "Stealing from the Saracens": Come l'architettura islamica ha plasmato l'Europa, sarà pubblicato da Hurst.
https://www.middleeasteye.net/opinion/syrian-secrets-notre-dame