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martedì 29 marzo 2016

La tragedia dei cristiani uccisi in Oriente


Cari fratelli e sorelle, ieri, nel Pakistan centrale, la Santa Pasqua è stata insanguinata da un esecrabile attentato, che ha fatto strage di tante persone innocenti, per la maggior parte famiglie della minoranza cristiana – specialmente donne e bambini – raccolte in un parco pubblico per trascorrere nella gioia la festività pasquale. 
Desidero manifestare la mia vicinanza a quanti sono stati colpiti da questo crimine vile e insensato, e invito a pregare il Signore per le numerose vittime e per i loro cari. Faccio appello alle Autorità civili e a tutte le componenti sociali di quella Nazione, perché compiano ogni sforzo per ridare sicurezza e serenità alla popolazione e, in particolare, alle minoranze religiose più vulnerabili. 
Ripeto ancora una volta che la violenza e l’odio omicida conducono solamente al dolore e alla distruzione; il rispetto e la fraternità sono l’unica via per giungere alla pace. La Pasqua del Signore susciti in noi, in modo ancora più forte, la preghiera a Dio affinché si fermino le mani dei violenti, che seminano terrore e morte, e nel mondo possano regnare l’amore, la giustizia e la riconciliazione. 
 Papa Francesco, al Regina Coeli del 28 marzo

La lezione di speranza dal dramma dei nuovi martiri

I nuovi martiri ci invitano a guardare al Crocifisso per trovare rinnovata speranza a livello personale, ecclesiale e sociale. La loro vicenda infatti, come ogni testimonianza autentica, possiede un’imponente dimensione pubblica, culturale e sociale, che attende ancora di essere raccolta e adeguatamente valorizzata. Con la sua stessa esistenza il martire denuncia il culto della violenza che si è diffuso in ampie parti del Medio Oriente e di cui oggi si raccolgono i tragici frutti. Ma soprattutto smaschera la contro-testimonianza dell’uomo bomba.

Il jihadista che pensa di poter imporre la «sua verità» attraverso la sofferenza delle sue vittime è l’opposto del martire, è l’anti-martire. I martiri non sono andati a cercarsi la loro fine, ma nel momento della scelta non hanno avuto esitazioni: hanno creduto che il male non ha l’ultima parola. Ed è a questa certezza che noi ora abbiamo così bisogno d’attingere. Nel frastuono di commenti sui dolorosi fatti di Bruxelles, sono ancora queste umili voci a dirci la parola più vera.
Angelo Scola,  Arcivescovo di Milano 

domenica 9 agosto 2015

Il nostro dovere di proteggere i cristiani  perseguitati

La solidarietà è il minimo che si possa fare. 

È una domanda da porre anche in Italia



Anche i Cristiani di SADAD fuggono di nuovo, memori del massacro di ottobre 2013.

Andrea Riccardi su Corriere della Sera
8 agosto 2015


Siamo abituati alle cattive notizie dalla Siria. Tanto abituati da essere distratti, avendo quasi rinunciato alla soluzione di una guerra terribile, lunga ormai come la Prima Guerra Mondiale. Pochi giorni fa è avvenuto un altro rapimento di civili in Siria: circa 230 nel villaggio di Al Qaryatain nella provincia di Homs. È la provincia che le truppe di Assad, appoggiate dagli hezbollah, tentano di controllare, per bloccare il passaggio tra Siria e frontiera libanese. In questo villaggio, gli uomini del «califfato» hanno prelevato circa 6o cristiani, accusati di intelligenza con il regime di Assad.
Al Qaryatain è una cittadina, trovatasi a contatto con i territori dal sedicente califfato, dopo la presa di Palmira. Qui risiedeva una cospicua comunità cristiana di tutte le confessioni, ma soprattutto appartenenti alla Chiesa siriaca (del gruppo unito a Roma). In Siria, nonostante le differenze di tradizione e confessione, da secoli i cristiani non solo vivono tra loro, ma anche assieme ai musulmani negli stessi quartieri o villaggi. 
Il «califfato» ha cominciato a imporre la Sharia con durezza ai cristiani, discriminandoli e imponendo loro di pagare una tassa speciale. Anche la condizione di dhimmi, che riduce i cristiani a cittadini di serie B, non dà nessuna sicurezza di vita. Quindi, con l`estendersi della guerra, i cristiani sono assediati nelle città come Aleppo e hanno cominciato a muoversi dai villaggi. Non è facile orientarsi nell`intrico della guerra, tra mutevoli organizzazioni, nello spostamento delle aree di controllo, in un quadro di estrema violenza. Chi poteva ha abbandonato la Siria. Oggi però il Libano (che ha chiuso le frontiere ai profughi) smantella vari campi, lasciando all`aperto i rifugiati, musulmani o cristiani. Chi fugge non sa più dove andare.
I cristiani sono considerati «nemici» dagli estremisti islamici. E` chiaro anche nel caso di Al Qaryatain. Gli uomini del «califfato» li hanno ricercati, casa per casa, seguendo una lista, come complici del regime alauita di Assad. Di fronte al caos della guerra, le autorità cristiane hanno guardato al regime come l`unica protezione possibile, criticando l`ostilità occidentale ad esso. Del resto, anche una personalità cristiana di altro sentire, come il gesuita Paolo Dall`Oglio, ostile al regime, è stata rapita dagli oppositori. Un altro sacerdote legato a Dall`Oglio, Jacques Murad, che risiedeva in un monastero vicino a Al Qaryatain (e lavorava per aiutare gli sfollati da Palmira), è stato rapito tre mesi fa. Da più di due anni non si hanno più notizie dei vescovi Mar Gregorios Ibrahim e Bulos Yazigi, che guidavano i cristiani siriaci e ortodossi ad Aleppo. Erano rispettati dal governo e avevano un`autorità morale nella regione. Sono scomparsi nel nulla. Altri religiosi, rimasti tra la gente, sono stati rapiti o uccisi.
Sembra ormai impossibile o molto difficile per i cristiani vivere in larga parte della Siria. La loro condizione (e quella del Paese) pone alla comunità internazionale il problema della pacificazione, come un obiettivo prioritario su cui concentrare l`attenzione, al di là della ritualità degli incontri internazionali e delle azioni dell`Onu.

Esiste una seconda questione che i Paesi europei devono affrontare nel caso che la guerra si protragga: il futuro dei cristiani. Dove possono andare? Non riescono a sopravvivere nelle regioni controllate dalle organizzazioni islamiste. Ieri papa Francesco, in un messaggio ai cristiani del Medio Oriente, ha avuto parole forti: «La comunità internazionale non assista muta e inerte di fronte a tale inaccettabile crimine». Non c`è un dovere verso di loro? E` vero: molti musulmani siriani e iracheni soffrono. Ma, per i cristiani, c`è una vera impossibilità a sopravvivere in terra islamista. La Francia ha accolto, lo scorso anno, alcuni cristiani iracheni. Il Belgio, recentemente, ha ricevuto 244 cristiani, trasferendoli da Aleppo. La solidarietà ai rifugiati cristiani è il minimo che si possa fare. E' una domanda anche all'Italia.


http://www.corriere.it/opinioni/15_agosto_08/siria-proteggere-cristiani-perseguitati-riccardi-c9ca95ec-3d8d-11e5-9df9-e4a39ac26db0.shtml?refresh_ce-cp

Il comunicato della chiesa syro-ortodossa di Antiochia e di tutto l'Oriente chiama al soccorso e alla preghiera per la liberazione dei 227 cristiani agli arresti domiciliari e che saranno utilizzati come scudi umani da Daesh in caso di risposta dell'esercito siriano...
Chiedono a tutte le chiese, ai responsabili nel mondo e tutte le coscienze di manifestare pacificamente il loro sostegno e di interagire per la liberazione di questi civili innocenti che vivevano pacificamente e in spirito fraterno con le altre comunità...

lunedì 11 agosto 2014

Dinanzi alla violenza in nome di Allah: la grande domanda che l’Islam ha dinanzi a sé alla quale solo gli islamici possono rispondere



Centro culturale Gli scritti (10/8/2014)
 di Giovanni Amico

Il ripetersi di fatti inauditi di violenza in nome di Allah mostra a chiunque sia in buonafede che il problema è costitutivo per l’Islam odierno. Non è sufficiente affermare che sono solo minoranze islamiche che compiono atti efferati: si ammetta pure che solo il 35% dei musulmani sia d’accordo con azioni violente[1], ne consegue che per il restante 65% non sarà sufficiente affermare che ciò non è conforme alla fede islamica, ma si tratterà piuttosto di generare un movimento di opinione che contrasti efficacemente la minoranza violenta [2].

Non spetta a chi non è musulmano risolvere questo problema: dall’esterno si può dare una mano, ma non risolvere i dilemmi interni dell’Islam. Farsi carico della risposta sarebbe dare corpo a quel senso di vittimismo che impedisce ad ognuno, ed in questo caso agli islamici, di prendere su di sé la responsabilità del proprio destino [3].

Il problema, a nostro avviso, è semplice e si può porre in questi termini, per aiutare i musulmani ad affrontarlo. Maometto ha combattuto ben 27 campagne militari ed ha ucciso, Maometto ha decretato lo sterminio di intere tribù nella penisola arabica, la guerra santa è stata fin dall’inizio una guerra di conquista militare per l’espansione dell’Islam che ha portato in pochissimi decenni gli arabi alla conquista del medio oriente, del Nord africa, di parte dell’Europa (Andalusia, Sicilia, Puglia, Garigliano, Saint-Tropez, ecc. ecc.), della penisola anatolica fino alle porte di Costantinopoli (per non parlare dell’avanzata delle armate turche che si sostituirono a quelle arabe a partire dal 1077): l’enunciazione di questi fatti non è un offesa all’Islam, anzi qualsiasi musulmano sarà d’accordo con queste evidenze storiche.

Il problema è piuttosto che i musulmani violenti si richiamano a queste origini dell’Islam. Chiedendo ai loro confratelli di convertirsi al vero Islam hanno gioco facile nel ricordare loro che questa è la storia primitiva  della diffusione islamica.

Agli altri musulmani spetta, allora, di mostrare che questi fatti originari erano dovuti ad eventi contingenti e non solo essenziali al vero Islam. Spetta loro mostrare che si può essere islamici e chiedere scusa, come hanno fatto altre religioni come il cristianesimo, degli eventi violenti della propria storia passata.
Se tali fatti originari non hanno più valore per l’oggi, allora sarà possibile rifiutare gli atti violenti odierni dell’Islam. Per proporre un Islam che oggi rinneghi la violenza contro le minoranze, permetta la conversione di un islamico al cristianesimo, si schieri a favore di una vera libertà religiosa, è necessaria una lettura critica della storia islamica.

Altrimenti i violenti avranno vita facile, poiché accuseranno gli islamici moderati di aver abbandonato la fede e di essersi lasciati corrompere dai costumi occidentali. In termini tecnici è in questione un’ermeneutica delle origini, una capacità di lettura critica della nascita e dei primi secoli dell’Islam, che mostri che alcuni eventi violenti originari non siano avvenuti per volontà divina, bensì siano dipesi da scelte contingenti ed opinabili dei primi musulmani.

A noi che non siamo musulmani non è possibile rispondere se può darsi un Islam che rinneghi la violenza delle sue origini, contestualizzandola e ritenendola inessenziale. Non possiamo noi rispondere come si caratterizzerebbe un Islam che accettasse che le scelte di fede sono pienamente libere, che accettasse cioè che come un cristiano può divenire musulmano, così un musulmano può divenire cristiano senza che nessuno eserciti violenza se la sua coscienza lo spinge a questo passo. Non possiamo noi rispondere alla domanda se può esistere un Islam che in uno Stato a maggioranza musulmana conceda ad altre religioni o allo stesso ateismo di predicare liberamente le proprie opinioni.

Però è non solo un nostro diritto, ma anche un nostro dovere porre ai musulmani queste domande, proprio perché vogliamo essere loro amici e non amici di facciata, bensì amici leali e sinceri, liberi come è libero ogni vero amico.
Dalle risposte a queste domande dipende molto della storia futura del mondo e dell’Islam stesso.

Ci piace sottolineare che queste riflessioni non sono suscitate dalla paura di una possibile affermazione planetaria dell’Islam, anzi. La nostra presa di posizione è dettata dalla paura opposta: se la maggioranza silenziosa dell’Islam non si affretterà ad affrontare queste questioni  è pensabile piuttosto una scomparsa dell’Islam a livello mondiale. O l’Islam, infatti, sarà capace di mostrare a se stesso che è in grado di maturare una visione serena della modernità, altrimenti crollerà d’improvviso. E crollerà tragicamente dopo aver ingoiato nella sua violenza un numero enorme di musulmani – è evidente agli occhi di chiunque che le vittime musulmane dell’odierna crisi che l’Islam sta attraversando sono in numero infinitamente maggiore delle morti che le minoranze violente islamiche infliggono ai non musulmani.

Fra l’altro numerosi paesi islamici sono possessori di enormi ricchezze: ma per convertire questi beni in scelte educative che si preoccupino della formazione di ragazzi e ragazze islamiche che sappiano guardare in maniera critica alle origini dell’Islam, in vista di una visione dell’Islam adeguata al XXI secolo, serve che per primi i governanti scelgano una visione chiara dell’Islam che intendono proporre.


[1] È inutile nascondersi dietro ad un dito: le minoranze islamiche favorevoli alla violenza non sono l’1% o il 5% della popolazione, ma siamo in presenza di percentuali molto più alte, sebbene alcune statistiche dell’anno in corso comincino a registrare un calo, sebbene ancora contenuto, di tali percentuali.
[2] La totale assenza di manifestazioni contro gli atti efferati compiuti in nome dell’Islam in molti paesi a maggioranza islamica e l’insignificanza di manifestazioni negli altri parla con evidenza dello stato di empasse in cui si trovano i musulmani. Ma ciò che è, a nostra avviso, ben più significativo è la mancanza di una chiara scelta educativa nei confronti delle nuove generazioni – di questo si parlerà oltre.
[3] A nostro avviso, grave è la responsabilità dei media occidentali che sposano e incoraggiano il vittimismo di alcune correnti di opinione musulmane e non le invitano ad una seria assunzione di responsabilità, a partire dalle potenzialità enormi che esse hanno ad esempio a livello economico.

http://www.gliscritti.it/blog/entry/2632

Cristiani in fuga, il futuro dei cristiani in Iraq

RaiNews24, 10 agosto 2014

vedi video: 


Sinjar, nord Iraq: la croce della chiesa viene sostituita con la bandiera nera ISIS

Nel campo dei cristiani stremati

I racconti, la paura e l’ira: una giornata con le migliaia di persone sfuggite all’offensiva dei guerriglieri islamici nella piana di Ninive. «È un massacro, dateci le armi»



Il Corriere , 10 agosto 2014
di Lorenzo Cremonesi

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«L’emergenza riguarda oltre 100.000 cristiani scappati di fronte all’avanzata dei radicali sunniti da Mosul verso l’enclave curda. Ma il dramma non è solo delle persone. E’ l’antica cultura della nostra convivenza con i musulmani che viene cancellata. Il meccanismo della coesistenza pacifica si è inceppato. Siamo di fronte a un Medio Oriente diverso da quello che avevamo sempre conosciuto», esclama allarmato Warda. Le sue parole sono un campanello di allarme. Occorre ascoltare bene i racconti della sua gente per comprenderlo. Da lontano, è difficile distinguere la valenza dei crimini che si stanno consumando nella piana di Mosul. Qui ora c’è una Chiesa molto diversa da quella che ai tempi di Saddam Hussein porgeva «l’altra guancia». C’è un disperato grido di guerra. Una richiesta di aiuto alla cristianità perché si mobiliti in difesa della fede. Tutti plaudono ai raid aerei Usa. «Per fortuna sono arrivati loro. Devono sterminare i criminali del Califfato. Speriamo che li ricaccino verso la Siria, a morire nel deserto», dicono i responsabili della Chiesa e i loro fedeli con parole sempre eguali. «Ma perché le bombe americane non sono arrivate prima? E voi europei cosa aspettate?».
«Le nostre sofferenze di oggi sono il preludio di quelle che subirete anche voi europei e cristiani occidentali nel prossimo futuro», dice il 47enne Amel Nona, l’arcivescovo caldeo di Mosul fuggito ad Erbil. Il messaggio è inequivocabile: l’unico modo per fermare l’esodo cristiano dai luoghi che ne videro le origini in epoca pre-islamica è rispondere alla violenza con la violenza, alla forza con la forza. Nona è un uomo ferito, addolorato, ma non rassegnato. «Ho perso la mia diocesi. Il luogo fisico del mio apostolato è stato occupato dai radicali islamici che ci vogliono convertiti o morti. Ma la mia comunità è ancora viva». E’ ben contento di incontrare la stampa occidentale. 
«Per favore, cercate di capirci - esclama -. I vostri principi liberali e democratici qui non valgono nulla. Occorre che ripensiate alla nostra realtà in Medio Oriente perché state accogliendo nei vostri Paesi un numero sempre crescente di musulmani. Anche voi siete a rischio. Dovete prendere decisioni forti e coraggiose, a costo di contraddire i vostri principi. Voi pensate che gli uomini sono tutti uguali - continua l’arcivescovo Amel Nona - Ma non è vero. L’Islam non dice che gli uomini sono tutti uguali. I vostri valori non sono i loro valori. Se non lo capite in tempo, diventerete vittime del nemico che avete accolto in casa vostra».  

   leggi qui l'articolo completo:
http://www.corriere.it/esteri/14_agosto_10/nel-campo-cristiani-stremati-990dca94-2058-11e4-b059-d16041d23e13.shtml

Lettera d'addio : a voi, che pensavamo ci avreste protetti... 

dello scrittore iracheno cristiano Majed Aziza alla sua città, Mosul


Espulsi lasciamo la nostra città Mossul, umiliati dai detentori del nuovo islam. La lasciamo per la prima volta nella storia. E, partendo, ringraziamo i nostri vicini, vicini che pensavamo ci avrebbero protetto come lo facevano un tempo e che si sarebbero ribellati contro la furia di questi criminali del XXI° secolo dicendo loro che noi siamo gli autentici figli di questa città e che ne siamo i fondatori. Ci facciamo coraggio dicendoci che possiamo contare su di loro, fratelli valorosi che mostreranno di che pasta sono fatti (lett. “di che legno si scaldano”).
Ma ci hanno abbandonato, lasciandoci trascinare fuori dalla città, verso l’ignoto. Hanno chiuso gli occhi, mentre lasciavamo dietro di noi la nostra storia, le tombe dei nostri antenati, le nostre case, il nostro patrimonio e tutto ciò che è caro al nostro cuore. Ci hanno abbandonato, mentre dicevamo addio ai nostri quartieri, alla moschea di Giona (che conteneva anche la tomba di questo profeta e che, per questo motivo, è stata distrutta dagli jihadisti dello stato islamico in Iraq e nel Levante (ISIS). Addio anche all’arcivescovado, alla chiesa di Maskinta e a quella d’Ain Kibrit… Addio a tutti voi! Non ci saremo più per le vostre feste e cerimonie, matrimoni e funerali. 

La fine dei millenni passati insieme
Addio ai nostri parenti seppelliti a Mossul. Li lasciamo, cacciati dalla nostra città. Ci perdonino se non possiamo andare sulle loro tombe in occasione delle feste religiose. Addio ai resti mortali di mio nonno Elias, del mio zio paterno – padre Mikhail –, ai miei zii materni Ibrahim et Mikhail Haddad che mi hanno trasmesso la passione del giornalismo, addio al mio zio paterno Estefan Aziza, il primo martire della famiglia, addio al convento di San Giorgio, addio ai ponti della mia città, alle sue mura e ai suoi terreni di gioco, alla sua università e al suo centro culturale. 

Perdonateci, vecchi amici, fratelli e nobili figli della nostra città. Perdonate le nostre mancanze. Se possiamo aver mancato ai nostri doveri nei vostri confronti ciò non toglie che abbiamo vissuto insieme centinaia, anzi migliaia di anni, costruendo Mossul con il sudore della nostra fronte. 

E oggi, ci guardate da lontano, mentre siamo scacciati, umiliati agli occhi di tutti. Gli assassini del Daech (acronimo arabo di ISIS) ci hanno cacciato dalle nostre case e dalle nostre città. Addio a tutti voi. E grazie. Lasciamo, sotto costrizione, una terra che abbiamo nutrito con il nostro sangue.

Traduzione di Don Pierre Laurent Cabantous



http://www.culturacattolica.it/default.asp?id=17&id_n=35829