Dal sito della Chiesa Cattolica in Belgio
Intervista di Laurence D'Hondt a frère Georges Sabé, ad Aleppo.
Intervista di Laurence D'Hondt a frère Georges Sabé, ad Aleppo.
15
aprile 2020
Cathobel: Dopo 9 anni di guerra, Aleppo è entrata in un periodo di confinamento…. Questo cosa significa?
G.S.:
Le autorità hanno istituito un coprifuoco dalle 18:00 alle 06:00;
tutti i negozi non alimentari sono chiusi, anche le scuole e le
università. Rimangono aperti solo alcune farmacie e dei
supermercati. Gli Aleppini possono lasciare le loro case durante il
giorno, ma l'economia è a un punto morto, anche se fino ad oggi
nessun caso ufficiale di contagio è stato identificato ad Aleppo.
C.
Cosa significa il confinamento, per la sopravvivenza economica degli
Aleppini?
G.S.:
La situazione è molto difficile: metà degli Aleppini vive come
lavoratori a giornata, vale a dire che vivono di ciò che guadagnano
di giorno in giorno. Adesso, non hanno più risorse. Ci sono anche
persone anziane, circa 200.000 i cui figli si sono rifugiati
all'estero, sono morti, o sono ancora nell'esercito. Con l'obbligo di
restare in casa, queste persone anziane vengono lasciate a se stesse.
Siamo particolarmente attenti a questo e attualmente offriamo 125
pasti al giorno. Dopo nove anni di guerra, questo confinamento è
ovviamente molto difficile, soprattutto perché non possiamo lasciare
Aleppo. Dopo che gli ultimi distretti nella parte orientale della
città, che erano ancora nelle mani del gruppo jihadista Fronte
Al-Nosra, furono riconquistati dall'esercito, il 16 febbraio abbiamo
conosciuto tre settimane di vita normale in quasi 10 anni!
C:
In che modo la comunità cristiana sopravvive a queste prove?
G.S.:
Innanzitutto, ci sono alcune cifre da ricordare: ad Aleppo eravamo
250.000 cristiani, comprendendo tutte le confessioni ecclesiali prima
della guerra. Oggi siamo solo in 25.000. Solo il 10% di tutti i
cristiani di Aleppo. I cristiani che se ne sono andati non
torneranno, tranne alcuni anziani che non sono stati in grado di
adattarsi al loro paese di esilio. Questo è irreversibile. Ora
stiamo cercando di aiutare coloro che sono rimasti in città a
rimanere sul posto e a continuare una vita normale, ma molti se ne
andrebbero se potessero.
C:
Come avete festeggiato la Pasqua in queste condizioni?
G.S.:
Per le comunità cristiane di Aleppo, la Settimana Santa e la festa
di Pasqua sono l'occasione per grandi raduni e feste. I cristiani
cattolici della città hanno l'abitudine di recarsi nei vari luoghi
di culto per essere benedetti, poi dirsi vicendevolmente: "Cristo
è risorto", a cui la risposta è: "sì, Cristo è
veramente risorto". Quest'anno avremmo dovuto anche inaugurare
il restauro della cattedrale greco-cattolica e maronita. Niente di
tutto ciò è stato possibile.
C:
Qual è il messaggio spirituale che avete trasmesso durante questa
Pasqua confinata?
G.S.:
I siriani stanno emergendo da nove anni di una guerra che ha
focalizzato tutta la loro attenzione sul loro Paese. Ora la crisi non
è più specifica della Siria. È un'opportunità per i siriani di
condividere la stessa condizione con il resto dell'umanità. Non sono
solo i siriani che vengono respinti ai confini, che vivono in
situazioni di sofferenza. In ciò che sta accadendo, c'è un forte
appello a guardare la terra in modo diverso, come un bene comune, un
dono di Dio da condividere. Non siamo invitati a morire su questa
terra ma a viverci.
C:
La guerra si è fermata?
G.S.:
Sì. Temevamo fortemente lo scontro tra gli eserciti turco e siriano.
Ma senza alcun accordo il cessate il fuoco si è imposto, in nome di
una lotta per la vita. Spero che questo cessate il fuoco faccia
pensare ai leader, al di là della loro volontà di potere, a ciò
che vogliono veramente per i loro popoli.