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mercoledì 1 luglio 2015

La verità emerge

Come gli Stati Uniti hanno alimentato la crescita di ISIS

 in Siria e in Iraq



The Guardian, 12 giugno 2015 (trad. ossin)

Seumas Milne


La guerra contro il terrorismo, la campagna senza fine lanciata 14 anni fa da George Bush, si contorce in contraddizioni sempre più grottesche. Lunedì, il processo a Londra di uno svedese, Bherlin Gildo, accusato di atti di terrorismo in Siria, si è interrotto quando è diventato chiaro che i servizi di informazione britannici avevano armato gli stessi gruppi ribelli nei quali l’imputato aveva militato
Il Procuratore ha ritirato l’accusa, evidentemente per non mettere in imbarazzo i servizi di informazione. La difesa aveva sostenuto che proseguire il processo sarebbe stato un “affronto alla giustizia”, dal momento che vi era la prova anche lo Stato britannico aveva fornito un “appoggio massiccio” all’opposizione armata siriana.

E non si era trattato solo “dell’aiuto non letale” proclamato dal governo (giubbotti antiproiettile e veicoli militari), ma di addestramento, appoggio logistico e approvvigionamento segreto di “armi in grande quantità”. Secondo i rapporti citati nel corso del processo, il MI6 aveva cooperato con la CIA nella realizzazione di una “rete di approvvigionamento” di armi provenienti dagli stock libici e destinati ai ribelli siriani nel 2012, dopo la caduta del regime di Gheddafi.

In tutta evidenza, l’assurdità di sbattere qualcuno in prigione per avere fatto la stessa cosa che stavano facendo i ministri e i loro agenti di sicurezza era eccessiva. Ma si tratta solo dell’ultimo di una lunga serie di casi. Meno fortunato è stato un autista di taxi a Londra, Anis Sardar, condannato due settimane fa all’ergastolo per avere partecipato nel 2007 alla resistenza contro l’occupazione dell’Iraq da parte delle forze statunitense e britanniche. L’opposizione armata ad una invasione e ad un’occupazione illegale non costituisce assolutamente un fatto di terrorismo o un assassinio, secondo le definizioni accettate, ivi compreso dalla Convenzione di Ginevra.

Ma il terrorismo è oramai una questione di punti di vista. E soprattutto in Medio Oriente, dove i terroristi di oggi sono i combattenti contro la tirannia di domani – e gli alleati dei nemici – spesso in base solo ad una incredibile conferenza telefonica di un dirigente occidentale.

L’anno scorso gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e altre forze occidentali sono tornate in Iraq, asseritamente per distruggere il gruppo iper settario terrorista dello Stato Islamico (in passato conosciuto col nome di Al Qaeda in Iraq). Ciò è avvenuto dopo che ISIS aveva invaso enormi porzioni del territorio iracheno e siriano e proclamato un sedicente califfato islamico.

La campagna non va bene. Il mese scorso ISIS ha conquistato la città irachena di Ramadi mentre, dall’altro lato di una frontiera attualmente inesistente, le sue forze hanno conquistato la città siriana di Palmira. Il franchising ufficiale di Al Qaeda, il Fronte al-Nusra, è avanzato anch’esso in Siria.

Alcuni iracheni si lamentano che gli Stati Uniti sono rimasti a guardare mentre accadevano questi fatto. Gli Statunitensi insistono nel fatto che cercano di evitare perdite civili e rivendicano successi significativi. In privato, i responsabili dicono che non vogliono che li si veda bombardare dei bastioni sunniti in una guerra settaria e correre il rischio di destabilizzare i loro alleati sunniti del Golfo.

Un po’ di chiarezza sul modo in cui siamo arrivati a questo punto viene da un rapporto segreto della intelligence USA recentemente declassificato, scritto nell’agosto 2012, che stranamente prevedeva – e addirittura apprezzava – la prospettiva della creazione di un “principato salafita” nell’est della Siria e di uno Stato islamico controllato da Al Qaeda in Iraq e in Siria. 

In contrasto evidente con le affermazione dell’Occidente all’epoca, il documento del Defense Intelligence Agency indica in Al Qaeda in Iraq (poi diventato ISIS) e in altri salafiti i “principali motori dell’insurrezione in Siria” – e dichiara che “i paesi occidentali, gli Stati del Golfo e la Turchia” appoggiano l’opposizione nel tentativo di conquistare l’est della Siria.

Evocando “la possibilità della creazione di un principato salafita dichiarato o meno”, il rapporto del Pentagono prosegue: “quello che davvero vogliono le potenze che appoggiano l’opposizione è di isolare il regime siriano, considerato come la chiave strategica dell’espansione sciita (Iraq e Iran)”.

Ed è esattamente quello che è accaduto due anni dopo. Il rapporto non era un documento politico. Esso è pieno di omissis e di espressioni ambigue. Ma sono chiarissime le implicazioni. Un anno dopo la ribellione siriana, gli Stati Uniti e i suoi alleati hanno, non solo armato e sostenuto un’opposizione che sapevano essere dominata da gruppi settari estremisti: erano perfino pronti ad approvare la creazione di una sorta di “Stato Islamico” – nonostante il “grave pericolo” che esso rappresentava per l’unità dell’Iraq – come un cuscinetto sunnita destinato ad indebolire la Siria.

Ciò non significa che siano stati gli USA a creare ISIS, ovviamente, anche se qualcuno dei loro alleati del Golfo vi ha giocato un ruolo – e il vice presidente statunitense Joe Bilden lo ha riconosciuto l’anno scorso. Ma certamente, in Iraq, Al Qaeda non c’era prima che Stati Uniti e Gran Bretagna invadessero il paese. E certamente gli Stati Uniti hanno sfruttato l’esistenza di ISIS, come di altre forze estremiste, nel quadro del tentativo di mantenere il controllo occidentale sull’area.

La situazione è mutata quando ISIS ha cominciato a decapitare gli Occidentali e pubblicato queste atrocità on line, e i paesi del Golfo sostengono attualmente altri gruppi nella guerra siriana, come il Fronte al-Nusra. Ma questa abitudine occidentale e statunitense di giocare coi gruppi jihadisti, che poi si rivoltano e mordono, risale almeno alla guerra del 1980 contro l’Unione Sovietica in Afghanistan, quando è nata Al Qaeda originale sotto tutela CIA.

La situazione è stata aggiustata durante l’occupazione dell’Iraq, quando le forze statunitense al comando del generale Petraeus hanno patrocinato una sporca guerra di squadroni della morte alla salvadoregna, per indebolire la resistenza irachena. 

E riaggiustata nel 2011 durante la guerra della NATO contro la Libia, dove la settimana scorsa ISIS ha preso il controllo di Sirte, la città natale di Gheddafi.

In realtà la politica statunitense e occidentale in questa polveriera che è diventata il Medio Oriente rientra nella classica linea del “divide et impera”. Le forze statunitensi bombardano un gruppo di ribelli, mentre ne sostengono un altro in Siria e montano operazioni militari congiunte con l’Iran contro ISIS in Iraq, pur sostenendo la campagna militare dell’Arabia Saudita contro le forze Houthi, sostenute dall’Iran, in Yemen. E tuttavia, per quanto confusa possa sembrare la politica degli USA, un Iraq e una Siria indebolite e divise convengono loro assolutamente.

Ciò che è chiaro è che ISIS e le sue mostruosità non saranno sconfitte dalle stesse potenze che le hanno aiutate a vincere in Iraq e in Siria, le cui guerre dichiarate o clandestine hanno favorito il loro affermarsi. Gli interventi militari senza fine in Medio oriente hanno portato solo distruzioni e divisioni. Solo i popoli della regione possono guarire questa malattia – non coloro che hanno incubato il virus.


http://www.ossin.org/crisi-siriana/la-verita-emerge-come-gli-stati-uniti-hanno-alimentato-la-crescita-di-isis-in-siria-e-in-iraq.html

venerdì 14 dicembre 2012

TESTIMONI STRAORDINARI TRA LE TENDE DEI PROFUGHI SIRIANI

La difficile situazione dei cristiani in Medio Oriente mi ha riportato in Libano.   Sono tornato nel posto in cui sono stato tenuto in ostaggio per aiutare le centinaia di migliaia di cristiani in fuga dalla Siria, dall'Iraq e dall'Egitto


Picture of Terry Waite  di Terry Waite

The Guardian . 11 dicembre 2012
La settimana scorsa sono tornato in Libano, un quarto di secolo dopo essere stato rapito e tenuto prigioniero per quasi cinque anni, per la maggior parte del tempo incatenato ad un muro mentre mi erano  negati molti comfort essenziali. Si potrebbe pensare ad un viaggio temerario, ma lo sviluppo della crisi ha disperatamente bisogno di attenzione.
 

 
Ero stato invitato a tornare per vedere di persona la difficile situazione dei numerosi rifugiati cristiani che si stanno riversando di là del confine siriano / libanese, e ho viaggiato verso la Valle della Bekaa per visitare i profughi che sono stati costretti all'esilio dalla Siria. La situazione è tragica. La Siria ha una storia unica e ricca di diversità e tolleranza religiosa, e in passato i cristiani e musulmani hanno condiviso lo stesso luogo di culto. Fin dall'inizio dell'Islam, hanno vissuto in relativa armonia - ma la guerra sta spingendo via i cristiani, e molti credono non ci sarà ritorno.

Così come i fautori del cambiamento politico potevano essere meritevoli, ora ci sono elementi della Primavera Araba che sono stati dirottati da parte di estremisti islamici che vogliono imporre la sharia e bandire i cristiani siriani, che costituiscono circa il 10% della popolazione. Questo ha creato un ambiente molto ostile per le minoranze. Ho incontrato famiglie di rifugiati che vivono in condizioni terribili in città di confine libanese, e sentito in prima persona le loro storie strazianti.
Nel 20esimo secolo, i cristiani, costituivano fino al 20% della popolazione del Medio Oriente, che risulta ora ridotta a circa il 5%. Prima della primavera araba, i cristiani in Siria erano uomini d'affari, ingegneri, avvocati e farmacisti. Mentre Assad ha brutalmente limitato le libertà politiche, il regime ha permesso al popolo siriano libertà religiosa - più che in altre parti del Medio Oriente. Ora i cristiani stanno lasciando il Paese. Anche i territori occupati della Palestina stanno rapidamente perdendo le loro comunità cristiane. L'Egitto è in subbuglio, con una serie di rivolte anti-cristiani copti, la Libia è un disastro. In Iraq 300 mila cristiani sono fuggiti dalle persecuzioni dopo la caduta di Saddam Hussein. Circa 100.000 cristiani hanno lasciato la Siria, molti verso città di confine come al-Qaa. Il Libano è l'ultimo paese del Medio Oriente dove i cristiani possano vivere in relativa pace e sicurezza.

Al-Qaa è una città  polverosa, un po' sgangherata, che è stata teatro di numerosi scontri di confine nel corso degli anni. E' qui che molte delle famiglie cristiane che sono fuggite dal terrore della guerra in Siria hanno trovato una casa temporanea. Più di 200 famiglie sono alloggiate dentro e intorno al-Qaa, principalmente accolte nelle case di altre famiglie cristiane o affittando proprietà . Le persone che ho incontrato non erano benestanti. Le famiglie che ho visitato mi hanno raccontato storie simili. Il conflitto era diventato così grave che erano stati costretti a lasciare le loro case. In un posto, c'erano 15 persone che vivevano in quattro piccole stanze. "La primavera araba è una beffa", ha detto uno dei rifugiati. "E' diventata un' altra forma di persecuzione".
Lasciando al-Qaa, mi sono recato a Zahle, un'altra città di confine, per parlare con l'arcivescovo melchita, John Darwish. Un uomo mite e gentile, gravemente preoccupato per la rottura dei rapporti umani in Siria e per il numero di rifugiati che accorrono in Libano. Mi ha detto di un accordo straordinario che ha avuto luogo nel 2006 tra Hezbollah, il gruppo che mi ha rapito, e il Movimento Patriottico Libero, un tradizionale partito politico cristiano, che conta molti membri della enclave cristiana di al-Qaa.

I cinici potrebbero considerare questo accordo come niente di più che opportunità politica, e, naturalmente, i politici della situazione possono giocare pesantemente nella situazione. Tuttavia, può anche darsi che questo accordo apra la strada per l'unica soluzione possibile per il Libano, e in effetti per i Paesi circostanti. Dato il mix etnico e religioso in Libano, l'unica soluzione ragionevole è per le diverse comunità il rispettarsi l'un l'altro e vivere e lavorare insieme per il bene del Paese.


Il perdono è un insegnamento cristiano centrale. Con questo in mente, ho chiesto e ottenuto un incontro con un alto funzionario di Hezbollah e ha trascorso due ore di discussione con lui. Hezbollah ha un'immagine negativa nell'Occidente, e ci sono quelli che mi accusano di combutta con i terroristi. Vorrei ricordare loro che Hezbollah è diventato un vero e proprio partito politico con seggi in parlamento del Libano, e si trova ora in una posizione unica per lavorare per la pace nella regione. Ho fatto una richiesta speciale ad Hezbollah per dare assistenza ai profughi siriani e iracheni cristiani in Libano, in particolare nel periodo natalizio. Questa richiesta è stata accolta favorevolmente.

Ci siamo incontrati a tarda notte, in un condominio anonimo nel sud di Beirut, probabilmente a meno di un chilometro da dove io sono stato tenuto prigioniero tanti anni fa, anche se non sarà mai certo dove la mia cella sotterranea fosse situata. Inizialmente è stato difficile: perché ero lì? Che cosa volevo? Ma, mentre parlavamo davanti a un caffè e succo di mela le cose si sono alleggerite, ed ho spiegato che il mio piccolo atto di riconciliazione con loro potrebbe far presagire un centinaio di altri, più grandi atti di pace per questa regione e per tutti i suoi popoli.

Passarono quasi due ore  e l'atmosfera si era rilassata notevolmente. Mi hanno invitato a tornare in Libano, quando sarei stato in grado di incontrare altre persone da Hezbollah, un invito che ho detto che sarei felice di accettare. Ho lasciato presto il Libano, la mattina seguente, per Londra, dopo aver fatto qualche passo in avanti, sia personalmente che per conto degli altri. I vecchi rancori e conflitti devono essere confinati nel passato e tutti i gruppi all'interno del paese devono essere incoraggiati e sostenuti ad andare avanti insieme.


Dal punto di vista cristiano, il Libano sta rapidamente diventando l'unico paese rimasto in tutto il Medio Oriente in cui vi è una significativa presenza cristiana. Ci vorrà un sacco di atti di riconciliazione prima che i cristiani, ancora una volta si sentano sicuri nella loro patria.



http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2012/dec/11/terry-waite-plight-christians-lebanon
(traduzione FMG)

Fra le tende dei profughi siriani, senza scarpe e cibo, arriva il Natale. C’è speranza                               

 

TEMPI, 12 dicembre - di Benedetta Frigerio
 



Una valle bellissima, detta “la valle delle vigne e della frutta”. Ora, però, della sua ricchezza non c’è traccia, solo il grigio gelato. E pioggia e fango. Quello che inghiotte gli scarponi di una donna che sta fuori da una tenda. Hope è giunta qui dall’Occidente per offrire il suo aiuto. È coperta da vestiti invernali, che però non bastano a ripararla dal gelo che li trapassa. Il vento soffia così forte che le gocce di pioggia le pungono la faccia come aghi. Eppure c’è chi nelle stesse condizioni vive senza più di qualche straccio addosso.

GLI AIUTI AI RIFUGIATI. Siamo nel villaggio libanese di Karaun, nella valle di Bekaa, al confine con la Siria. Qui ci sono circa dieci tende di profughi, i più abbandonati, quelli che i campi di tende se li sono costruiti da soli e che non sono nemmeno registrati presso la Commissione per i rifugiati delle Nazioni Unite (Unhcr). E che quindi non ricevono aiuti da nessuno. Se non dalla carità della gente del luogo e dalla Ong italiana Avsi. È tramite Avsi che Hope, presidente della fondazione Saint Camille de Lellis di Lugano legata ad Avsi, è qui. Hope rimane ferma qualche istante davanti alla tenda di pochi metri quadrati dove un uomo circondato da bambini brucia la plastica rimasta per non gelare. «Madonna aiutami, dimmi cosa devo fare perché io non lo so, posso solo stare qui e accettare come te. Fa’ tu, io ti seguo!».
Così la donna entra, spiega che anche i suoi amici di Tripoli hanno perso tutto, che sa cosa vuol dire: «Sono venuto a cercarti – dice all’uomo – chi sei?». È così che dal timore iniziale cominciano a svelarsi le storie di chi ha perso moglie o marito durante la fuga, di chi ha subìto violenze, valicando illegalmente il confine. La maggioranza di loro viene da Homs e da Damasco, ma anche dalla città più lontana Raqqa.
A condurre Hope è il capo scout del luogo. È lui che aiuta Avsi a gestire il suo intervento. «Veniamo qui per cercare i profughi non presenti in nessuna lista d’aiuto con educatori e volontari. Stiamo con la gente, giochiamo con i loro bambini, poi, a seconda di quanto c’è bisogno, si portano coperte, stufe, gasolio e voucher per comprarlo nei mesi invernali, poi cerchiamo scarpe e vestiti, perché la gente è scappata nei mesi estivi senza nulla, se non quello che aveva in dosso», spiega Marco Perini, rappresentante di Avsi in Libano. «Questo intervento d’urgenza primario si chiama winterization e coinvolge circa un migliaio famiglie. Poi agiamo sul fronte dell’educazione recuperando circa settecento bambini sia libanesi sia siriani. Ci sono educatori che si preoccupano di comprendere lo stato psicologico dei bambini e abbiamo organizzato corsi in lingua perché i siriani sanno solo l’arabo e le scuole libanesi usano spesso il francese e l’inglese».