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mercoledì 21 gennaio 2015

Il pericolo degli jihadisti tornati dalla Siria



La rete del terrore nel cuore d'Europa



di Riccardo Redaelli

 L’effetto mimetico, di imitazione, è da sempre una delle conseguenze più temute da chi combatte il terrorismo: perché il terrore genera terrore. Da un lato, acuisce le paure – e talora le ossessioni – di chi subisce le violenze, con il dilagare fra la popolazione della paura di finire vittima della cieca violenza terroristica. Dall’altro lato, gli attentati – e tanto più quelli clamorosi, che riescono a imporsi sui media di tutto il mondo – scatenano la corsa all’emulazione, alla ripetizione. Proprio nel giorno in cui venivano seppelliti i vignettisti e i collaboratori di Charlie Hebdo, in Belgio ieri sera le forze dell’ordine, nell’ambito di una vasta operazione, hanno neutralizzato un commando di altri reduci dalla Siria che, a quanto risulta, erano in procinto di compiere un grande attentato, forse a Bruxelles. 

Ancora una volta, la guerra civile siriana si rivela un germinaio che contamina l’intero scenario mediorientale, con migliaia di jihadisti che si muovono agevolmente fra Europa, Levante e le altre regioni del Medio Oriente. Verrà il momento in cui si potrà riflettere con maggior pacatezza sugli errori compiuti da troppi Stati, fra cui molti europei, all’indomani dello scoppio delle rivolte contro 'il regime del crudele Bashar al-Assad': nella foga di sostenere i suoi oppositori, in pochi hanno prestato attenzione ai demoni che si andavano annidando in quel territorio. E oggi paghiamo il prezzo di questo errore di valutazione: abbiamo in qualche modo permesso la crescita di gruppi salafiti-jihadisti e, ora che stiamo bombardando (qualcuno dice un po’ svagatamente) il califfato di al-Baghdadi, subiamo la vendetta jihadista.

Il conto è particolarmente salato per l’Europa, che si ritrova a gestire ormai numeri consistenti dei cosiddetti returnees mujaheddin, ossia di jihadisti che si sono addestrati e hanno acquisito quelle capacità dei professionisti del terrore viste sanguinosamente all’opera a Parigi in questi giorni. La cancrena nel Levante ha fatto così da moltiplicatore sia quantitativo sia qualitativo del terrore: ha attratto grandi numeri di combattenti, li ha ulteriormente radicalizzati e ne ha migliorato le capacità operative. Soprattutto è preoccupante la capacità di network informale – ma non per questo meno efficace – dei nuovi gruppi jihadisti.
 E il Belgio è un caso da manuale: grandi comunità musulmane, predicatori radicali attivi da anni, strutture di 'hub del terrore' come Sharia4 belga, ossia una struttura jihadista estremamente flessibile e mutevole. Una struttura nata in Gran Bretagna, poi sviluppatasi in tutta Europa e in particolare in Belgio, che opera lungo due direttrici: da una parte il proselitismo, che serve a raccogliere sempre nuove reclute per i diversi teatri in cui si combatte il jihad, dall’altra parte l’azione di sostegno alle attività terroristiche. Le varie branche di Sharia4 forniscono armi agli aspiranti terroristi, li riforniscono di soldi, pagano loro il viaggio di andata (o di ritorno) verso le zone di combattimento.

E infatti, le armi con cui Amedy Coulibaly ha trucidato le sue vittime sembrano venire proprio dal Belgio. Dobbiamo aspettarci altri possibili attentati o tentativi di cellule terroristiche? Probabilmente sì: il clamore suscitato da un attentato di successo spinge all’imitazione gruppi organizzati e cani sciolti, spesso 'invisibili' alle forze di sicurezza perché mai legatisi strutturalmente alle organizzazioni jihadiste. Dobbiamo per questo cedere alla paura? Assolutamente no: il primo alleato del terrore è il nostro terrore. La paura che ci ossessiona e che ci spinge a reazioni esasperate, come l’idea ventilata di sospendere Schengen o ricorrere «a mezzi eccezionali».
Washington inizia a capire oggi come l’idea di ricorrere alla tortura per combattere il terrorismo jihadista sia stato un frutto avvelenato che ha danneggiato gli Stati Uniti molto più di quanto abbia fatto con i loro nemici. L’Europa non è un’isola felice, lontana da ogni guerra e violenza, ma non è neppure nelle mani di milioni di fanatici. Non perdere la testa, non etichettare ogni musulmano come un possibile assassino, non rinunciare alle nostre leggi e ai nostri valori. Al terrore rispondiamo con la nostra determinazione a non essere (troppo) spaventati.