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sabato 7 giugno 2014

Ebrei, cristiani e musulmani: il perdono via alla pace

Da: Missionline

06/06/2014
Ebrei, cristiani e musulmani: il perdono via alla pace

di Giorgio Bernardelli

Nella preghiera con papa Francesco, Peres e Abu Mazen tutte e tre le religioni pronunceranno una richiesta di perdono prima dell'invocazione di pace. Il tutto nei Giardini vaticani, in un nuovo prato vent'anni dopo quello della Casa Bianca




Durante un briefing questa mattina è stato presentato il momento di preghiera per la pace in Medio Oriente voluto da Papa Francesco in Vaticano insieme al presidente israeliano Shimon Peres e a quello palestinese Abu Mazen, annunciato a Betlemme durante il viaggio in Terra Santa. Come anticipato si terrà domenica a partire dalle 19 nei Giardini vaticani e vedrà presenti anche altre personalità religiose, tra cui il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I: un segno quest'ultimo di continuità con le giornate vissute da Papa Francesco a Gerusalemme e che dice come la riconciliazione tra le Chiese sia il segno chiesto oggi ai cristiani per mostrare a tutti la via della pace.
Tra le notizie anticipate oggi c'è anche lo schema di questo momento di preghiera, che è molto interessante. Ebrei, cristiani e musulmani pregheranno in maniera distinta, uno dopo l'altro, riprendendo testi del Tanakh (la Bibbia ebraica), del Nuovo Testamento e del Corano. Ma in tutte e tre le preghiere ci sarà un filo rosso ben preciso: un primo testo rivolgerà lo sguardo alla creazione, il disegno originario di Dio e quindi la radice della pace. Un secondo testo sarà una richiesta di perdono per le nostre colpe da cui nascono le guerre e ogni forma di inimicizia. E infine ciascun momento si concluderà con un terzo momento di preghiera, quello vero e proprio dell'invocazione alla pace.
È bello osservare come in questo schema - pur senza nessuna confusione tra la preghiera delle diverse religioni - ci sono punti di riferimento che accomunano, quasi a rendere visibile una grammatica profonda nello sguardo dell'uomo sul mistero di Dio. Una grammatica più forte di ogni divisione. In fondo è un modo per rendere visibile in un'altra forma quella stessa immagine dell'abbraccio tra il Papa, il rabbino e l'imam davanti al Muro del Pianto a Gerusalemme, rimasta così impressa nel cuore di tutti. L'abbraccio della pace per compiersi ha bisogno di uomini che si riconoscano figli dell'unico Padre e capaci di chiedere perdono. Forse è questa la lezione più grande che arriverà dai Giardini vaticani.
Insieme a una constatazione: si sottolinea il significato religioso e non politico di questo momento. E molti tendono a leggerlo come un modo per mettere le mani avanti rispetto ai risultati, che nel contesto di oggi è difficile immaginare immediati. Forse invece sarebbe più giusto vedere in questa sottolineatura una direzione ben precisa da dare al cammino verso la pace: troppe volte si è parlato di Gerusalemme pensando che la religione sia la causa del conflitto, illudendosi che solo mettendo da parte la fede sia possibile trovare un'intesa. Questa preghiera ribalta la prospettiva: dice che l'unica pace possibile a Gerusalemme deve per forza essere anche santa. E che non è un sogno impossibile se tutti si riparte da quella stessa grammatica del'umano.
Vent'anni fa gli accordi di Oslo - in cui erano state riposte tante speranze sulla pace tra israeliani e palestinesi - iniziarono sul prato della Casa Bianca. Domenica questo incontro avverrà su un altro prato, quello dei Giardini vaticani, all'ombra della Cupola di San Pietro. Il simbolismo è forte: dal prato della politica per eccellenza, a un prato simbolo dello sguardo dell'uomo verso il Cielo. La speranza è che - nonostante le difficoltà che tutti conosciamo - questo prato possa segnare l'inizio di una nuova strada di pace per il Medio Oriente.


domenica 27 gennaio 2013

Uno sguardo umano sulla tragedia siriana

Segnaliamo due toccanti articoli di Giorgio Bernardelli : dove la pietas cristiana si china con rispetto sugli aspetti meno conosciuti del dramma della popolazione 


Nomi e volti dal dramma siriano

Non ci sono più parole per descrivere lo strazio della tragedia della Siria. Ma proprio perché non ci sono parole, il rischio è sempre più quello di abituarsi al massacro e alle sofferenze quotidiane, quasi fossero una fatalità. Per questo è fondamentale tenere davanti agli occhi dei volti, che ci ricordino come non sia di numeri o di equilibri geopolitici ma di persone in carne ed ossa che stiamo parlando.

Pensavo a tutto questo guardando sul blog dell'amico Andres Bergamini - fratello della famiglia religiosa della Visitazione, che vive a Gerusalemme - le fotografie di suor Rima. Da un paio d'anni, d'estate, Andres promuove un corso di iconografia con un piccolo gruppo di persone che si vuole avvicinare a questa forma d'arte che è anche spiritualità. L'estate scorsa a Gerusalemme da Aleppo era arrivata anche suor Rima, delle Suore maestre di santa Dorotea. Nella città siriana - dove lei stessa è nata quarant'anni fa - gestisce insieme a una consorella un pensionato per ragazze che si trova vicino all'università. Sì, proprio quell'università, sventrata lo scorso 15 gennaio da due sanguinose esplosioni. Da allora chiunque la conosce vive nell'angoscia, perché non si hanno più notizie di lei. L’ultimo a vedere suor Rima - ha raccontato ad AsiaNews il nunzio apostolico a Damasco mons. Giovannni Zenari - è stato il giardiniere del convento delle suore carmelitane, anch’esso situato a poche decine di metri dall’università. L’uomo stava conversando con la religiosa quando i due sono stati investiti da un muro di fuoco. Una volta riaperti gli occhi il giardiniere, rimasto ferito, ha visto intorno a sé solo macerie. È anche questo oggi Aleppo: l'angoscia per un volto amico che a più di una settimana di distanza da un'esplosione non sai ancora con certezza che fine abbia fatto.

Altri volti sono quelli di cui parla un articolo di Al Monitor che mi ha lasciato di stucco: quelli dei profughi palestinesi che si trovavano in Siria e che nella loro fuga sono arrivati fino a Gaza.
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continua a leggere su:

http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=4754&wi_codseq= &language=it



Le voci delle vittime dei sequestri di persona nel caos di Damasco. La paura e la fede di fronte al rischio di morire. «Ma il Vangelo continua a rinascere anche in mezzo alla sofferenza»

 
Non ci sono solo i morti nei bombardamenti e negli attacchi delle milizie nella tragedia della Siria. Un dramma nascosto in questa situazione ormai totalmente fuori controllo sono i rapimenti a scopo di estorsione. Il sito dell'Oeuvre d'Orient, una storica realtà francese attiva nell'aiuto ai cristiani d'Oriente, ha raccolto una serie di testimonianze di alcuni cristiani che hanno vissuto questo incubo e fortunatamente sono poi stati rilasciati. «È una pratica - spiegano all'Oeuvre d'Orient - che aumenta giorno per giorno, facendo crescere l'inquietudine tra le famiglie, gli amici, le parrocchie e la popolazione civile, anche nelle zone finora risparmiate dai combattimenti. Si ha paura di uscire di casa da soli anche solo per andare al lavoro, a scuola, in chiesa. Una volta rilasciate le vittime di solito si rifugiano nel silenzio. Noi invece abbiamo potuto raccogliere qualche testimonianza discreta».
Qui sotto MISSIONLINE propone una traduzione del testo integrale pubblicato sul sito francese.

RINASCERE NELLA SOFFERENZA

B.T. 42 anni, padre di cinque figli, commerciante di legumi

È stato rapito una sera, davanti al suo negozio, è stato bendato e chiuso nel bagagliaio di una macchina ... Ha trascorso quattro giorni senza vedere il sole, alimentato solo a pane e acqua.
Si preparava a morire e ha trascorso il tempo a pregare e a pensare a Gesù abbandonato sul Monte degli Ulivi. Dal suo rilascio B.T. è sempre più convinto dell'importanza della fede cristiana. Non lascia più la chiesa, invita tutti al pentimento e alla meditazione della Sacra Scrittura, ha sempre il Rosario in mano.

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 continua a leggere su:

http://www.missionline.org/index.php?l=it&art=5273



sabato 22 dicembre 2012

«Natale nella nostra Aleppo sfigurata»

È un Natale che richiede una grande fede quello che si apprestano a vivere i cristiani della Siria. Ed è il Natale che ci racconta questa lettera inviata agli amici e sostenitori dalla comunità di Aleppo delle Suore di San Giuseppe dell'Apparizione, una congregazione francese che presta il suo servizio nell'ospedale Saint Louis, uno dei pochi rimasti aperti nella città sventrata da mesi dalla guerra.


Tratta dal sito dell'Oeuvre d'Orient , MISSIONLINE  la propone in una sua traduzione.

22-12-2012   Natale è ormai vicino ... E quest'anno è un Natale particolare in tutto il mondo, sembra quasi che ogni Paese sia segnato da disordine e violenza.

Qui in Siria viviamo una guerra senza nome che non finisce mai. Ed è da questo luogo sfigurato che vogliamo condividere la nostra vita di ogni giorno e offrirvi i nostri migliori auguri di Buon Natale, nella speranza che il nuovo anno porti pace e riconciliazione.

L'attesa è lunga nella notte in cui viviamo, ma è una notte che sperimentiamo riempita dalla Sua presenza. Avvertiamo il sostegno che ci state dimostrando con le vostre preghiere e la vostra vicinanza fin dall'inizio di questi eventi, e per questo diciamo un grande grazie a ciascuno di voi.

La situazione ad Aleppo sta diventando sempre più critica e sempre più difficile. Le parole non sono sufficienti per descrivervi l'orrore e la sofferenza che le persone vivono. La città è diventata irriconoscibile per la sua economia, la vita sociale, e ogni giorno nuove notizie ci rattristano profondamente: le aree industriali, le fabbriche, le attività che davano lavoro a migliaia di persone sono state bruciate, i negozi saccheggiati, diversi ospedali, uffici pubblici, chiese, moschee, monasteri devastati.... 

Nei rari momenti di calma, quando le armi da fuoco tacciono, speriamo che la situazione migliori, ma poi improvvisamente torna il rumore di mitragliatrici, mortai, attacchi a diffondere il terrore. I morti e feriti nelle strade sono stati soccorsi a rischio della vita, perché i cecchini continuano a sparare dai loro rifugi.

La povertà si sta trasformando in miseria e fame a causa del costo della vita che è quadruplicato, soprattutto per gli alimenti di base. L'elettricità si è interrotta a causa di un attacco alla centrale: tutta la città è rimasta al buio per tre giorni ed è stato impressionante. Black-out più brevi si susseguono tuttora e lo stesso vale per le linee telefoniche, quelle dei cellulari, le reti internet...

Il carburante e il gas sono difficili da reperire. Fortunatamente il nostro generatore riceve ancora il necessario per rifornire tutte le attrezzature dell'ospedale e il generatore d'ossigeno, altrimenti dovremmo bloccare l'ammissione dei pazienti. Il pane è scarso ed è distribuito a seconda dell'operatività dei forni, che dipende da quando riescono ad arrivare la farina e l'olio. L'acqua arriva solo poche ore al giorno, quando arriva... Potete immaginare la sofferenza della gente, soprattutto nei quartieri più a rischio.

L'assistenza sanitaria è in condizioni disastrose. I centri e gli ospedali che non sono stati colpiti (come il nostro) continuano a funzionare, ma con perdite enormi, buona parte dei medici hanno lasciato la città perché minacciati. E a questo va aggiunta la difficoltà nel reperire i farmaci... Problemi molto gravi toccano le migliaia di rifugiati, con l'arrivo dell'inverno si muore di freddo. Gli aiuti umanitari non vengono più distribuiti con continuità, e per i bambini non si trova il latte.

I cristiani sono presi di mira e minacciati, gli insorti distruggono le loro case per farli fuggire e prenderne possesso. Molti sono stati uccisi e altri sono sfollati altrove o hanno lasciato il Paese. Le strade sono ancora pericolose. La scorsa settimana due vescovi maroniti e armeni sono sfuggiti alla morte sulla strada per l'aeroporto, il loro autista Joseph al suo ritorno come tanti altri è stato arrestato e ucciso. I rapimenti sono senza sosta con richieste di riscatto ingenti. E quante auto rubate in pieno giorno. «Perisce il giusto, nessuno ci bada. I pii sono tolti di mezzo, nessuno ci fa caso. Il giusto è tolto di mezzo a causa del male» (Isaia 57,1).

In questa situazione dura e difficile noi continuiamo ad essere presenti per alleviare le sofferenze, ma siamo preoccupate per il futuro, perché ci chiediamo per quanto tempo ancora potremo andare avanti.
Noi crediamo alla Provvidenza, che fino ad ora non ci ha abbandonato per venire aiuto ai bisognosi, agli ammalati, ai feriti della guerra, al nostro personale che rimane qui da noi perché non può tornare a casa oppure una casa non ce l'ha proprio più; ma le risorse diminuiscono e la cassetta delle offerte per i poveri è vuota.

In questo contesto talvolta proprio molto duro ciascuna di noi è determinata a donarsi fino alla fine nell'amore e nella fedeltà al nostro carisma, finché il Signore vorrà conservarci in questa nostra missione.
Scrivendo questa lettera vogliamo dirvi che è il Signore a continuare a proteggerci. In teoria la nostra zona dovrebbe essere calma e iper protetta, dal momento che siamo circondati da barriere di difesa avendo una caserma della polizia accanto a noi. E invece ieri per la terza volta un obice di mortaio (una bomba da 35 chilogrammi di esplosivo) è caduto sul nostro terrazzo e come le altre due volte non è esploso. Si tratta di un miracolo di Dio!
San Giuseppe, sentinella disarmata, continua a proteggerci e a vegliare su di noi e lo farà fino alla fine.
Credeteci con noi!

Continuiamo a rimanere in comunione nella preghiera, in questo Anno della fede, perché l'Emmanuele, Dio con noi, ci rafforzi nella speranza e ci conceda pace e salvezza, per continuare la sua opera di misericordia.

Con tutto il cuore vi auguriamo un Buon Natale e un felice anno nuovo 2013

Le suore della Comunità di Aleppo
http://www.missionline.org/index.php?l=it&art=5196

venerdì 31 agosto 2012

Cristiani al lavoro per la costruzione tenace e paziente di una nuova Siria

COSTRUIRE OPERE CHE SIANO "FORME DI CIVILTA' NUOVA" (GIOV.PAOLO II): ECCO L'IMPEGNO DELLA CHIESA PER LA SALVEZZA ED IL FUTURO DELLA SIRIA
I SALESIANI AD ALEPPO
Una scuola per salvare Homs

Gli Scouts de Cluses in France in Haute-Savoie  consegnano aiuti umanitari  a Mère Agnès Mariam de la Croix


 


Contributo socio-educativo dell'Ispettoria Salesiana nelle città siriane di Aleppo, Kafroun e Damasco
di Eugenio Fizzotti
ROMA, venerdì, 31 agosto 2012 (ZENIT.org).- L’Ispettoria Salesiana del Medio Oriente, con sede ispettoriale a Betlemme, ha due comunità in Libano, tre in Egitto, cinque in Israele, una in Turchia, una in Iran e tre (di cui una però con attività religiosa sospesa) in Siria. Volendo informare i confratelli salesiani di tutto il mondo sulla situazione della Siria, sulla tragica situazione degli sfollati e dei profughi, e in modo particolare sulla presenza salesiana a Damasco, Aleppo e Kafroun, l’Ispettore Don Munir El Rai ha inviato un comunicato particolarmente apprezzato e fonte di preghiera oltre che di solidarietà.
Partendo dalla considerazione, nota a livello mondiale, che «la situazione del paese sta peggiorando e le ultime notizie riferiscono cheAleppo e Damasco e dintorni sono attaccate e bombardate», Don Munir informa che «la carenza di carburante, elettricità, acqua, pane, gas, benzina e auto, oltre alle paralisi dei mercati e alla disoccupazione, si aggiunge alla mancanza di sicurezza e al caos», con la conseguenza che, essendo diventate difficili le comunicazioni elettroniche, «la situazione economica generale peggiora a vista d’occhio, a causa della chiusura di fabbriche e attività e della conseguente dilagante disoccupazione».

martedì 29 maggio 2012

Da cristiani nell'inferno siriano

La solidarietà dei gesuiti verso tutte le vittime. Antidoto alle nuove divisioni create dal conflitto  di Giorgio Bernardelli 
DI FRONTE AL DRAMMA della Siria, che con il suo dolorosissimo carico di sangue va avanti ormai da mesi, c'è il rischio di fermarsi alle analisi. Perché effettivamente il contesto è complesso e le partite che si giocano sulla pelle di questo Paese sono molteplici (cfr. M.M. marzo 2012, p. 12). Ma non si capisce mai un conflitto fino in fondo se non si parte dalle sue storie. E una delle più emblematiche in questo senso è quella della comunità cristiani di Homs. Sì, proprio la città martire da tempo epicentro degli scontri tra l'artiglieria del presidente Bashar al Assad e le milizie sunnite è in realtà uno dei centri più importanti della storia cristiana della Siria. Nel secondo secolo ha addirittura donato un Papa alla Chiesa (Aniceto, il decimo successore di Pietro) e per alcuni secoli - secondo una tradizione antichissima - fu meta di pellegrinaggi perché qui sarebbe stata custodita la reliquia della testa di Giovanni il Battista. Ancora nel Novecento fu da Homs che la Chiesa siriaca si riorganizzò dopo gli anni durissimi del genocidio. Ma soprattutto si tratta di una città che fino a ieri - nei suoi quartieri di Bustan el-Diwan, Hamiddyyé e Arzoun - era abitata da oltre 90 mila cristiani.
Oggi invece a Homs non restano che una manciata di fedeli: prostrati dalle bombe che cadono su tutti, impauriti dalle minacce dei miliziani filo-qaedisti infiltratisi tra le file della «resistenza siriana», in decine di migliaia hanno abbandonato le loro case per cercare rifugio sulle montagne vicine, a Damasco o addirittura in Libano. Tra i pochi rimasti a Homs c'è la piccola comunità dei gesuiti, due padri olandesi e uno siriano, cui faceva capo la scuola di Bustan el-Diwan. «Nel quartiere non siamo rimasti che noi ad occuparci della nostra casa e di quelle di quanti sono partiti», hanno scritto qualche settimana fa in una lettera pubblicata dal quotidiano francese La Croix. Un messaggio in cui non hanno nascosto le difficoltà: i colpi di artiglieria non hanno risparmiato le loro mura. E poi ci sono state le tensioni create dallo spostamento di popolazioni da un quartiere all'altro: quando la battaglia infuriava più violenta dai quartieri sunniti molti musulmani si sono spostati nelle case lasciate vuote dai cristiani. E oggi non c'è più nessuno che a Homs sia in grado di ridare a ciascuno il suo. Il che sta creando nuove pericolosissime divisioni.

ANCHE IN UN CONTESTO così difficile, però, la comunità dei gesuiti di Homs ha scelto di spendersi al servizio di chiunque abbia bisogno. «All'inizio - hanno raccontato ancora - avevamo deciso di sostenere una sessantina di famiglie particolarmente bisognose. Ma sono diventate molto in fretta cinquecento. E adesso siamo a diverse migliaia». A sostenere questo impegno è l'Oeuvre d'O¬rient, storica ong francese attiva nell'aiuto alle Chiese d'Oriente; ma non è un compito facile: manca tutto e sotto i colpi dell'artiglieria le stesse comunicazioni diventano spesso impossibili. Del resto il volto della solidarietà è quello attraverso cui già da anni li conosceva la gente di Homs. Anche attraverso l'esperienza del progetto Al Ard, il centro realizzato negli anni Ottanta su una collina a qualche chilometro dalla città da padre Frans Van der Lugt, con l'obiettivo di far lavorare insieme cristiani e musulmani allo sviluppo rurale della zona. E dal 2000 si è affiancata anche un'opera ancora più significativa: un centro per ragazzi con handicap mentale, una quarantina provenienti dai villaggi vicini, anche loro coinvolti nelle attività agricole come attività di inserimento sociale. Luogo di incontro tra gli uomini e le donne delle diverse religioni, aperto alla voce dello spirito.
È chi ha vissuto come padre Frans questa esperienza che resta oggi sotto le bombe di Homs. Scommettendo su una fraternità più forte di ogni bagno di sangue. E provando ad ascoltare la voce di Dio anche dentro questa tragedia. Un racconto emblematico in questo senso la comunità lo ha affidato qualche giorno fa al sito dei gesuiti del Medio Oriente: la storia di un incontro con una famiglia di profughi, una quindicina di persone ferme a lato della strada, cariche delle loro borse. «Dove andate?», chiede loro uno dei padri. «A qualsiasi fermata dell'autobus verso Damasco». Il pulmino sarebbe omologato per otto persone, ma riesce comunque a ospitare tutti. «Da dove venite?». La risposta è quella più prevedibile: Bab Omar, uno dei quartieri più devastati dagli scontri. «Ci hanno cacciato via», precisa il capofamiglia. «Chi?», domanda il padre. Silenzio. La paura è ancora tanta, meglio non sbilanciarsi di fronte a uno sconosciuto.
«Avete parenti o amici a Damasco?». L'uomo scuote la testa. «E allora da chi andrete?», insiste il religioso. «Dovunque ci siano persone buone - risponde l'uomo -. Anche tu ti sei fermato e ci hai caricati sul pulmino senza che fossimo tuoi parenti». «"Dovunque ci siano persone buone": c'è rimasta nelle orecchie a lungo questa meta - hanno scritto i gesuiti di Homs -. Insieme alle parole del Vangelo di Giovanni: "Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati" (Gv 1,11-13)».
http://www.missionline.org/index.php?l=it&art=4667

Dopo l’ultimo grave attentato, al centro della scena ancora la violenza e non il bene comune
..... La realtà richiederebbe di essere raccontata con lealtà, invece nessun avvenimento sembra sia più sufficiente per portare gli uomini a riflettere, a pensare, a cambiare opinione. I paesi occidentali, in questa situazione, sembrano non sapere più che cosa sia la moralità, la pietà e il bene comune. E’ difficile comprendere come qualcuno possa ancora affermare che la pace si può costruire in questo modo. Pensare che il trionfo del bene e della giustizia possa solo avvenire sradicando il male identificato nel tiranno è un’illusione, e lo stiamo vedendo: si sta andando incontro a mali ben peggiori.....
Patrizio Ricci su http://www.laperfettaletizia.com/2012/05/quale-futuro-per-la-siria.html