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martedì 30 aprile 2024
lunedì 13 novembre 2023
Padre Karakash: Siria una tragedia dimenticata. La gente soffre fame e miseria
Alla XVI Giornata delle Associazioni di Terra Santa (Roma 11 novembre 2023), uno speciale focus sulla Siria con il parroco della parrocchia San Francesco di Aleppo
da Vatican News
Il supporto dei francescani
I religiosi francescani si adoperano in vari modi per prestare aiuto. Offrono un supporto psicologico ai bambini, sia cristiani che musulmani, con l’ausilio di psicologi e psicoterapeuti, coinvolgono i più piccoli in varie attività. Al Centro Tau, nato per il catechismo e l’educazione cristiana, oggi si ritrovano circa 1200 bambini e giovani e per gli anziani c’è il Centro Simeone ed Anna. I cristiani oggi in Siria sono appena il 2% della popolazione, ma il Paese ha ancora “un bagaglio di valori cristiani e religiosi” e per fra Bahjat “far leva su questi valori aiuterebbe a risollevare il popolo e la nazione”. Tuttavia, la diminuzione dei cristiani, “che sono mediatori culturali tra l’occidente e l’oriente, presenza provocatoria di pace, dialogo ed educazione” mette a rischio un’intera società.
Intervista di Vatican News a fra Bahjat
Fra Bahjat Karakash, qual è la situazione adesso ad Aleppo?
La situazione è una tragedia purtroppo dimenticata, soprattutto dopo il terremoto. Molte persone hanno perso il lavoro, molte famiglie hanno avuto la casa danneggiata e questo si aggiunge a una tragedia previa, quella della guerra, della crisi economica, per cui è una situazione molto critica.
Quali sfide dovete affrontare voi religiosi?
La prima sfida da affrontare è quella di dare speranza. Non è facile, perché non c'è all'orizzonte una soluzione a livello politico. La nostra risposta è rimboccarci le maniche e aiutare la gente a vivere con dignità e dare anche un messaggio spirituale, cioè quello del Vangelo e della speranza.
Che cosa si può fare dall'estero?
Anzitutto informarsi sulla situazione siriana, sapere che è una tragedia ancora non finita, diffondere le notizie, interessarsi, cercare di venire, se è possibile, a vedere la situazione in Siria. Tutto ciò oltre all'aiuto materiale, alla carità e alla preghiera che sicuramente ci sostiene.
Quali sono le maggiori emergenze?
È molto difficile stabilire priorità, perché tutti i fronti sono un’emergenza, da quella educativa a quella sanitaria a quella economica. Davvero quella siriana è una realtà molto precaria, che avrebbe bisogno di sostegno su tutti i fronti.
Come vede il futuro della Siria?
Se dovessi contare su qualcosa conterei sulla società, sulla gente che ancora conserva valori spirituali e religiosi, valori umani capaci di rimettere in piedi queste forze per il futuro del Paese. Ma tutto questo sicuramente avrebbe bisogno di una cornice a livello istituzionale e questo non è possibile nella situazione attuale. Bisogna aiutare i siriani a sedersi a un tavolo, a dialogare e a trovare anche una forma di aiuto perché il Paese rinasca.
martedì 30 maggio 2023
Aleppo. Il racconto dopo il terremoto. A che punto è la notte?
In una città determinata a sopravvivere, dopo anni di guerra e i devastanti terremoti del 6 febbraio, fra Bahjat Karakach, parroco francescano della chiesa cattolica latina, racconta come la comunità sta reagendo
da Eco di Terrasanta - maggio giugno 2023
“La nostra gente ha vissuto una tragedia dopo l'altra; portando la croce e percorrendo la via del calvario, la croce della paura e della povertà, la croce dell'incertezza di ciò che riserva il futuro. Non c'è dubbio che la vita ad Aleppo sia cambiata radicalmente a causa dei due terremoti. È un'esperienza forte, potente e violenta che richiederà del tempo per essere superata”.
Fra Bahjat Elia, francescano della Custodia di Terra Santa e, da pochi mesi, parroco della comunità cattolica latina della più grande città siriana, racconta la situazione di Aleppo in una lettera che prima di Pasqua ha indirizzato ad amici e sostenitori.
Dopo le sofferenze di 12 anni di conflitto e la pandemia, è stata la volta delle due fortissime scosse di terremoto del 6 febbraio, con epicentri in territorio turco, ma che hanno interessato tutta la Siria nord occidentale.
Le vittime sono state oltre 57.000, di cui almeno 7000 in Siria, e 120.000 in tutto i feriti.
Per questo, come osserva fra Bahjat, sembra che ad Aleppo sia impossibile vivere senza ansia e paura. “Oggi la città sta gradualmente tornando alla normalità, ma molte famiglie sono ancora sfollate perchè innumerevoli case sono diventate invivibili e molte scuole, perfino gli edifici universitari, hanno subito danni. Quindi la prima sfida è ricostruire e riparare questi edifici. Le Chiese di Aleppo hanno lanciato un'iniziativa unitaria e congiunta per restituire case e pace alle loro famiglie”.
Fra Bahjat spiega che sono stati invitati tecnici e ingegneri dall'Italia per aiutare a valutare lo stato degli edifici dopo il sisma. Quattro di loro sono stati ospitati nel convento francescano, hanno fatto i sopralluoghi, anche in collaborazione con le autorità cittadine.
Nella parrocchia di San Francesco ad Aleppo, dopo aver messo in sicurezza la chiesa, sono riprese le celebrazioni e i momenti di preghiera. Sono state riavviate le attività della confraternita che raccoglie gli anziani, dei gruppi scout, il catechismo, il doposcuola, eccetera.
Un aiuto viene dato alle famiglie musulmane povere che abitano nella parte orientale di Aleppo: “ Cerchiamo di fornire loro un sostegno psicologico e un po' di materiale di prima necessità, attraverso i quattro centri di assistenza francescani lì presenti”.
Continua poi l'attività della mensa di beneficenza “ cinque pani e due pesci”, che fornisce pasti quotidiani a tutti i bisognosi della nostra città.
Ad Aleppo, conclude fra Bahjat, all'approssimarsi della Pasqua crediamo che il Signore non ci lascerà, anzi tenderà la sua mano attraverso voi verso di noi, verso ogni persona sofferente e addolorata, povera e affamata, sola e senza speranza, e insieme aiuteremo Aleppo a rialzarsi in piedi, rispolverando le sue macerie, per risorgere di nuovo con la forza di Cristo “.
martedì 7 marzo 2023
Padre Bahjat, parroco di Aleppo: “Regna la paura e lo sconforto”
“La paura e lo sconforto sono rimaste, insieme alle macerie, a fare compagnia alla popolazione terremotata” racconta al Sir padre Bahjat Elia Karakach, frate della Custodia di Terra Santa e parroco latino di Aleppo. La speranza di una ricostruzione veloce non trova spazio nei cuori di una popolazione segnata da quasi 13 anni di guerra, dalla pandemia e dalla povertà.
di Daniele Rocchi , SIR 6 marzo 2023
“La maggior parte della gente che ha l’abitazione lesionata ma agibile non vuole rientrare perché le scosse continuano. Il timore di crolli è tangibile – spiega il parroco -. Il fattore psicologico in questo frangente ha un peso importante nella vita degli abitanti di Aleppo e delle zone colpite”.
“Nel frattempo i centri di accoglienza allestiti dalle autorità locali sono pieni di terremotati e la convivenza comincia ad essere difficile. Si tratta di strutture in qualche modo improvvisate con servizi insufficienti per fare fronte ai bisogni di così tanta gente”.
L’aiuto delle Chiese. Le Chiese locali continuano a offrire sostegno materiale e spirituale ai terremotati, grazie anche all’aiuto che arriva dalla Chiesa universale.
“Nel Terra Santa College oggi sono ospitate circa 3mila persone, tra queste anche quelle che erano alloggiate nei locali della parrocchia latina che ha ripreso le attività pastorali e catechetiche. È importante, infatti, ridare ai nostri fedeli una parvenza di normalità, per quanto possibile. Dopo un mese, però, anche gli ampi spazi del College non bastano più. Non ci sono servizi igienici sufficienti per tutta questa gente e il rischio di problemi di natura igienico-sanitaria è alto. Ecco perché è importante riuscire a convincere le persone, quelle che possono, a fare rientro in casa. Il nemico principale è la paura, alimentata anche da alcune pagine social che predicono prossime scosse di grande magnitudo”.
L’impegno della Chiesa, un mese dopo il sisma, non si esaurisce con l’accoglienza e il supporto materiale ma prosegue anche nel campo di una difficile ricostruzione. Ad Aleppo le undici comunità cristiane presenti (cattoliche, ortodosse e protestanti) hanno costituito una Commissione ecumenica – per coordinare le azioni di aiuto – che ha incaricato 15 ingegneri di verificare l’agibilità dei palazzi abitati da famiglie cristiane e di lavorare a progetti di restauro delle case. Per chi ha perso l’abitazione si pensa ad un aiuto per andare in affitto. “Si tratta di un lavoro che richiederà molto tempo – sostiene il parroco latino – perché le domande sono migliaia. A questi ingegneri se ne aggiungeranno altri 4 che arriveranno nei prossimi giorni dall’Italia. Sono specializzati in lavori post-sisma e hanno raccolto un appello che avevo lanciato tempo fa. Per consentire loro di lavorare in modo ufficiale abbiamo stipulato un’intesa con il Municipio di Aleppo. Si occuperanno dei casi più spinosi”.
“Per noi è stata una benedizione – dice padre Bahjat -. Vedere amici e fratelli italiani qui ad Aleppo è stato come rompere un senso di isolamento che andava crescendo con il passare dei giorni. È importante, infatti, tenere alta l’attenzione su quanto accaduto a causa del terremoto. Una tragedia che non va dimenticata”. A riguardo vorrei dire che mons. Baturi e don Di Mauro sono rimasti molto colpiti da quanto hanno visto e si sono resi disponibili ad una ulteriore collaborazione futura”.
Dal 2013 ad oggi la Cei ha destinato oltre 12 milioni di euro per realizzare 17 interventi in Siria, tra cui “Ospedali aperti”, gestito dalla Fondazione Avsi che dal 2017 rappresenta una risposta significativa alla crisi umanitaria, e oggi anche alle conseguenze del sisma.
Ricostruire. La sfida, dunque, è cominciare a ricostruire. In attesa che l’allentamento delle sanzioni produca qualche frutto. A riguardo padre Bahjat è un po’ scettico:
“Penso che la notizia dell’allentamento delle sanzioni contro la Siria abbia più una valenza mediatica che reale. Per verificarne l’efficacia e la veridicità ci vorrà del tempo, forse anni. L’embargo alla Siria ha provocato negli anni danni gravissimi all’economia, alle infrastrutture, causando povertà e aumento della corruzione. Un allentamento di soli sei mesi delle sanzioni non so se e quanto potrà incidere sulla vita reale delle persone”.
venerdì 12 giugno 2020
mercoledì 6 novembre 2019
La Siria, i cristiani, il loro compito: testimonianza di padre Bahjat Karakash
In uno scenario apparentemente senza soluzioni il ruolo della minoranza cristiana può essere di decisiva importanza: “il numero dei cristiani è più che dimezzato, sicuramente, in Siria – ha dichiarato padre Karakach - ma possiamo dire sempre che, pur essendo piccola, resta una comunità molto impegnata nella società siriana, che cerca di portare i valori del Vangelo e i valori cristiani. Una comunità culturalmente formata, che non ha mai preso le armi, quindi è dialogante con tutti, è una garanzia anche per il futuro della Siria e per salvarla. Il nostro Presidente Bashar al-Assad ha detto che i cristiani qui non sono un annesso, qualcosa in più, ma sono le radici di questa società e i garanti del pluralismo in Siria: la comunità cristiana ha questa missione ed è per questo che deve rimanere qui. Io dico sempre: aiutateci a non a lasciare questo Paese per altri migliori e a rimanere qui per continuare la nostra missione”.
Padre Bahjat ha sviluppato una lucida lettura della situazione della guerra, con gli occhi di chi la sta subendo, mettendo a fuoco ruoli e compiti (disattesi) dei paesi occidentali. Ha soprattutto indicato il senso della presenza (minoritaria ma decisiva) dei cristiani in quelle terre dalla cultura antichissima.
Il Centro Culturale 'Il Portico del Vasaio' propone l’audio integrale dell’incontro.
Ecco il file audio, da ascoltare in diretta o scaricare:
http://blog.porticodelvasaio.org/wp-content/uploads/incontro-sulla-siria-2019.m4a
venerdì 6 settembre 2019
Damasco pullula di vita ma l'economia è in ginocchio dopo anni di guerra civile
Per raggiungere il centro storico di Damasco si deve percorrere la Via Maris, l'ampia strada romana che parte dalle coste libanesi per raggiungere Bab Sharki, l'antica porta d'ingresso orientale della capitale siriana che, si narra, fu solcata da San Paolo mentre vagava cieco prima della conversione. Superata Bab Sharki la Via Maris si divide in migliaia di vicoli stretti e tortuosi che formano la città vecchia: i caffè con i tavoli esterni sono pieni, le bancarelle e i negozi si sovrappongono, la musica rimbomba nei locali, le strade sono piene di giovani, di anziani, di bambini, di soldati in congedo.
Le sue parole sono coperte dalle grida assordanti e giocose di centinaia di bambini che passano qui le loro giornate. “Cerchiamo di essere un punto di riferimento per tutto il quartiere in questo momento di grandi cambiamenti sociali e demografici” spiega. L'alto costo della vita nel centro, racconta, sta spingendo parte della locale popolazione, soprattutto cristiana, a trasferirsi aree più economiche e degradate della provincia, per esempio nella periferia di Jaramana, dove i servizi sociali e comunali non sono all'altezza del bisogno crescente. In queste zone, spiega, si sta assistendo alla diffusione della prostituzione e dello spaccio di droga, oltre che alla parziale mutazione degli equilibri demografici.
giovedì 11 aprile 2019
Dal vangelo secondo Damasco. La lunga via della ripresa e i nuovi nemici della Siria
“Macché finita. La guerra è appena iniziata”. Forse i nemici non si chiamano più Daesh o Al Qaeda, ma fame e povertà, e sono nomi che fanno ugualmente paura. Sono i nemici che la politica internazionale può armare in modo più silenzioso e subdolo, senza mortai e lontano dai riflettori, con le sanzioni economiche che in questi mesi stanno mettendo letteralmente in ginocchio la Siria. Per questo la frase pronunciata da fra Antonio all’inizio assume quell’accento cupo e triste di chi non si crea facili illusioni su un futuro incerto.
Damasco è in ginocchio, l’elettricità che arriva a singhiozzo mostra il volto di un paese dimenticato dai media, ma vittima di un’emergenza umanitaria peggiore degli anni scorsi, quando la capitale siriana andava in onda su tutti i telegiornali. Siamo a Bab Touma, l’antica porta di San Tommaso, quartier generale dei progetti di ATS pro Terra Sancta nella terra di San Paolo.
Pensavamo di trovarci sulla via della ripresa, e invece ci troviamo in piena emergenza. Famiglie di quattro persone che vivono a stento in una stanza di pochi metri quadrati, ammalati che non possono permettersi di comprare medicine salvavita, sfollati che sono fuggiti in fretta da Homs, Maaloula, Knayeh: sono giorni intensi quelli passati in Siria a incontrare, a parlare con le persone accolte dai frati. Con Fadia e Ayham, i nostri validi collaboratori di Damasco, passiamo le giornate con loro cercando di capire i bisogni, e anche le loro speranze.
“Vivevamo a Homs fino a qualche anno fa, ma con la guerra siamo scappati”. Rita, che a stento trattiene le lacrime, ci parla dal letto, dove è incatenata da diversi mesi per una malattia alla schiena che non le lascia tregua. “Mio marito faceva il pittore, non eravamo ricchi ma avevamo di che vivere”. Poi la guerra, e il triste copione che ci siamo abituati a conoscere. “Siamo venuti a Damasco, a bussare a tante porte per chiedere aiuto. L’unica che si è spalancata è la vostra”. Rita parla del centro emergenza aperto dall’Associazione pro Terra Sancta nel convento dei francescani a Bab Touma, dove da diversi anni ci prendiamo cura di casi difficili come questo. “Mio figlio ha 16 anni e ha subito tanti traumi con la guerra. Non parla più, non ha amici, sono disperata”.
Sua figlia, invece, di soli quattro anni, ha un grave ritardo mentale. Muove continuamente la testa, su e giù. Rita chiede a suo marito di andare a giocare con lei per qualche minuto fuori dalla stanza. Vivono assieme, tutti e quattro, in una piccola stanza di 14 metri quadrati, e condividono il piccolo cucinino con altre famiglie in un quartiere povero della capitale. “Senza gli aiuti ricevuti non so dove saremmo ora”.
Rita è ancora a letto, il marito cerca un lavoro per mantenere quella famiglia piagata dalla guerra: non possono emigrare, ma solo sperare di potersi curare e mantenersi in vita, in attesa l’economia si riprenda. La speranza di tornare a vivere oggi ha un volto, e un luogo. Lo stesso luogo che ha accolto anche Hana, venuta a Damasco per farsi curare dal cancro. Nel suo paese, Hassakeh, non si trovavano cure adeguate. “Non potevo andare avanti e indietro ogni volta che dovevo ricevere le cure per il tumore, e così ho cercato un luogo dove poter fermarmi. La Provvidenza ha voluto che incontrassi i frati di Damasco. Senza di loro penso che oggi non sarei qui a raccontarvelo”.
La fila delle persone aiutate dai nostri progetti avviati con la collaborazione della parrocchia è lunga, e piena di storie come queste. Drammatiche, difficili, eppure con un fondo di speranza. La Siria di oggi. Damasceni, aleppini, abitanti di ogni dove nella scacchiera siriana dove le potenze internazionali si danno battaglia. Le sanzioni economiche li hanno messi in ginocchio. Ma per fortuna c’è chi fa di tutto per tenerli in piedi.
domenica 19 novembre 2017
Padre Bahjat, parroco a Damasco: "la Siria può tornare ad essere un luogo in cui si può vivere, dialogare... Più che timore oggi ho molta speranza per il futuro del mio Paese"
Oggi c’è più speranza rispetto a un anno fa, abbiamo un orizzonte. La svolta si è consumata dopo la presa di Aleppo (dicembre 2016, ndr.). Oggi avvertiamo un miglioramento della vita quotidiana, a Damasco, per esempio abbiamo di nuovo l’erogazione di energia elettrica per 24 ore, alcuni servizi pubblici stanno tornando alla normalità e questo rende più facile la vita quotidiana della popolazione. Tuttavia bisogna dire che la ripresa è lenta perché i nostri giovani sono ancora al fronte. Ci sono infatti ancora zone del Paese dove sono presenti gruppi terroristici.
Sicuramente rabbia. Vedere questo mi fa capire quanto sia importante la Siria che per secoli ha rappresentato un modello di convivenza e di tolleranza. Ora qualcuno ha deciso che il mosaico deve essere rotto.
Un timore di questo tipo lo abbiamo avvertito maggiormente qualche anno fa.
Bisogna riconoscere che se lo Stato islamico è stato sconfitto militarmente questo lo si deve anche agli interventi – da sponde opposte – di russi e americani. Non crede che le due potenze vorranno qualcosa in cambio, a questo punto?
Nei giochi politici ci sono spese da pagare. Indipendentemente da ciò, permane forte la volontà dei siriani di continuare a vivere in un Paese libero. Su questo non nutro alcun dubbio.
Quello che abbiamo sempre fatto in tanti secoli di presenza in Siria: essere aperti e accoglienti verso tutti, senza distinzione di fedi, etnie, culture. Così facendo speriamo di essere un segno profetico non solo per la Siria del futuro, ma per tutto il Medio Oriente.
Bisogna essere realistici: non tutti torneranno. Ma c’è già chi comincia a fare rientro nelle proprie abitazioni.