Le bombe di Israele, la bomba della Dal Ponte, le speranze di pace ( se qualcuno non boicotterà ad ogni costo)
Nella situazione in Siria non c’è nessuno veramente super-partes se non la Chiesa siriana, che da tempo preme per la riconciliazione. Con l’aiuto concreto alla popolazione e con l’iniziativa “Mussalaha” ha unito alawiti, sunniti, drusi, cristiani, sciiti, arabi: una riconciliazione dal basso a partire dalle famiglie, dai clan, dalle diverse comunità della società civile siriana che non parteggia per nessuna delle parti in lotta. Sarebbe stato facile capire che la via della riconciliazione era l’unica soluzione possibile. Solo ora, ad un passo dal baratro, a distanza di più di due anni dall’inizio del conflitto e con quasi 90.000 morti alle spalle, i grandi della terra sembra comincino a rendersene conto.
La settimana scorsa gli eventi sembravano ulteriormente precipitare. L’argomento delle famigerate ‘armi di distruzioni di massa’ sembrava dovesse portare ancora una volta ad un passo dall’intervento militare unilaterale, con tutte le sue catastrofiche conseguenze per la popolazione. “L'uso delle armi chimiche in Siria sono una linea rossa invalicabile: se sorpassata, il gioco potrebbe cambiare”, aveva detto Obama. Il presidente americano si era dimenticato che una linea può essere oltrepassata anche all’inverso; lo abbiamo visto di lì a poco: dalla TV svizzera il commissario ONU Carla Del Ponte (membro della Commissione sui crimini di guerra) a proposito dei gas proibiti aveva raccontato un’altra verità: “Ci sono concreti sospetti, se non ancora prove inconfutabili, che è stato usato del gas sarin, per come le vittime sono state curate”, ed ha aveva aggiunto: “Abbiamo potuto avere delle testimonianze sull’utilizzo di armi chimiche ed in particolare il gas nervino, ma non da parte delle autorità governative, bensì da parte degli opponenti, dei resistenti”. La precisazione dell’ONU non ha cambiato la sostanza, anzi ha aumentato l’impressione di un conflitto globale: “Le prove non sono definitive né dall’una né dall’altra parte”, peccato che avesse taciuto prima, quando l’indice era diretto verso i cattivi.
Comunque mentre teneva banco il solito balletto delle interpretazioni e dei distinguo, i jet israeliani bombardavano il monte Qassiyoun a est di Damasco. Obiettivo: i missili iraniani destinati a Hezbollah. Quindi si colpiva la Siria ma si mirava all’Iran. Anche per questo il commento USA al raid è stato assolutorio: “Israele ha agito nel proprio interesse sovrano”. L’ambiguità di questa dichiarazione è estrema: è proprio il diritto di usare le armi per salvaguardare il ’proprio interesse sovrano' che è causa del perdurare del conflitto. Ognuno ha armato i suoi nel proprio interesse. Se quest’idea fosse adottata su larga scala, non è difficile immaginare cosa succederebbe nel mondo.
E’ evidente che con tali prospettive c’erano ormai tutti i segnali visibili di un imminente allargamento del conflitto che avrebbe incendiato tutto il Medioriente. E’ con questa consapevolezza che a Mosca si è svolto il summit Usa-Russia fra il Presidente russo Vladimir Putin e il Segretario di Stato americano John Kerry. Al termine dell’incontro, le parole del ministro degli esteri russo Lavrov lasciano ben sperare: “Russia e Stati Uniti incoraggeranno il governo siriano e i gruppi d’opposizione a cercare una soluzione politica”. L’accordo è di organizzare al più presto una conferenza di pace, probabilmente a fine mese, “come seguito della Conferenza che si tenne a giugno dello scorso anno a Ginevra”.
Anche l’Europa plaude all’iniziativa, e il portavoce di Catherine Ashton ha così commentato: "L'Unione europea è molto soddisfatta. Abbiamo ripetuto all'infinito che la soluzione del conflitto viene solo con un accordo politico globale. Siamo pronti a dare il nostro contributo in qualsiasi forma e speriamo che la conferenza sia l'inizio di un processo di pace".
Sono quindi giorni decisivi per una cessazione della guerra in Siria. Per questo, rilanciamo con ancora più convinzione l'invito rivolto dalle Chiese Siriane (di tutte le confessioni) alle Chiese cristiane sorelle di tutto il mondo perché si uniscano al loro grido nella giornata di preghiera per la pace in Siria, sabato 11 maggio, che hanno chiamato "La preghiera di un cuore spezzato". Quattro le intenzioni suggerite: il ritorno della pace, la liberazione di tutti gli ostaggi, l’aiuto e il sostegno ai bambini traumatizzati dalla guerra e gli aiuti umanitari per i profughi siriani.
http://www.laperfettaletizia.com/2013/05/le-bombe-di-israele-la-bomba-della-del.html
"Noi speriamo davvero che ci sia un’iniziativa annunciata da Papa Francesco, dal Vaticano"
Un momento di forte unità di tutte le comunità cristiane presenti in questa terra, che si sono mobilitate insieme pregando secondo quattro intenzioni: il ritorno della pace, la liberazione di tutti gli ostaggi, il sostegno ai bambini traumatizzati dalla guerra e gli aiuti umanitari per i profughi.
La Giornata è stata battezzata “la preghiera del cuore spezzato”.
Salvatore Sabatino ne ha parlato con padre Ghassan Sahoui, gesuita libanese che vive a Homs, una delle città più colpite dalla guerra:
R. – In tutte le chiese si sono organizzate preghiere per far crescere la nostra consapevolezza di essere cristiani e per capire meglio la nostra vocazione in questa crisi, in questo dramma davvero brutale; sentiamo la nostra incapacità di risolvere i problemi e quindi non ci rimane altro che chiedere a Dio, che è nostro Creatore e che ci ha dato la pace, di darci questo dono: di cambiare i cuori.
D. – E’ la prima volta che tutte le comunità cristiane insieme prendono una tale iniziativa comune nel Paese: un segnale, questo, importantissimo di unità …
R. – Un passo che dà la gioia di vedere finalmente che noi cristiani siamo uniti nella preghiera, che è un dovere e una grazia allo stesso tempo, chiedere a nome nostro e a nome di tutti i siriani, certamente uniti con tutti i cristiani del mondo e tutti quelli che davvero amano la Siria, per pregare e chiedere a Dio la misericordia e la pace per questo Paese martoriato.
D. – Il Patriarca Gregorios III Laham ieri ha detto: “I cristiani in Siria non sono una Chiesa o una minoranza da difendere, ma un elemento costitutivo del popolo siriano”. Quindi, proprio all’interno del tessuto di questo Paese …
R. – La Chiesa è davvero nata a Gerusalemme, ma poco a poco e subito si è diffusa in tutta la regione, e i cristiani sono stati chiamati come tali ad Antiochia e Antiochia faceva parte della Siria, ora fa parte della Turchia … Siamo qui, quindi, fin dall’inizio della cristianità e questa è la nostra terra. Siamo radicati in questa terra, e sentiamo anche che è la nostra missione fare da ponte tra le fazioni in guerra che purtroppo non riescono a mettersi d’accordo o dialogare. E solo Dio può dare questa grazia: cambiare i cuori e le menti, per trovare finalmente una soluzione pacifica in dialogo, senza armi, senza questa logica della violenza che distrugge non solo il Paese, ma l’uomo come tale.
D. – Una sua personale speranza, per il futuro della Siria...
R. – Malgrado tutto, noi speriamo – io spero, in modo davvero personale – che questa crisi finisca, che la pace ritorni nei cuori di tutti i cittadini siriani, ma che si instauri un dialogo davvero fruttuoso e sincero tra le parti, e che la Siria torni a trovare la sua vocazione di un ponte di pace, di elemento di stabilità nella regione e nel mondo.
D. – In questa speranza siete supportati da Papa Francesco che molte volte ha lanciato appelli per la pace in Siria …
R. – Sì, grazie a Dio, sentiamo la sua vicinanza a noi, davvero. E rendiamo grazie a Dio per lui e per la sua preghiera; sappiamo che è un uomo delle sorprese, ci fa sempre belle sorprese. E quindi, noi speriamo davvero che ci sia un’iniziativa annunciata da lui, dal Vaticano.
Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2013/05/12/la_turchia_accusa_il_regime_siriano_per_gli_attentati_a_reyhanli/it1-691326
del sito Radio Vaticana, 12/05/2013