Incontro
con il Sinodo Maronita
Presenza
cristiana in Libano e Medio Oriente. Comunione e solidarietà tra le
Chiese
Bkerke, 17 giugno
2015
Beatitudine
Eminentissima,
desidero prima di tutto ringraziarLa di cuore per l’invito a
partecipare a questo Sinodo e con l’occasione salutare tutti i
fratelli nell’Episcopato che vi prendono parte. Sono molto grato
per la possibilità che mi è offerta di toccare con mano in Libano,
e nei prossimi giorni in Kurdistan, la realtà di questa tormentata
regione, secondo quello spirito di comunione ecclesiale a cui da
sempre s’ispira la Chiesa di Milano e il centro Oasis, del cui
comitato promotore Vostra Beatitudine fa parte.
L’ultima
volta che mi sono recato in Libano è stato nel giugno 2010, per un
incontro dedicato all’educazione. Da allora quante cose sono
cambiate, nel giro di cinque soli anni, e purtroppo generalmente in
peggio! Il paesaggio umano è sconvolto, tanto da risultare a tratti
irriconoscibile, e di fronte alla prova che le comunità cristiane
stanno vivendo soprattutto in Siria e Iraq, ma più in generale in
tutto il Medio Oriente, mancano le parole. Ma poiché tacere sarebbe
fare il gioco dei persecutori, mi arrischio a condividere con voi tre
pensieri.
Martirio
Il primo pensiero è una profonda gratitudine per la testimonianza di
attaccamento a Cristo che le chiese orientali, cattoliche e non
cattoliche, stanno rendendo di fronte al mondo. È una testimonianza
che giunge non di rado fino al martirio e i cui effetti, nella Chiesa
e fuori di essa, non possiamo ora misurare. I mezzi di comunicazione,
che tante volte si trasformano in strumenti di propaganda
terroristica, consapevole o inconsapevole, diffondono questi acta
martyrum contemporanei con un’immediatezza (e una crudezza a
volte) che le narrazioni dei primi secoli ci facevano solo intuire.
Quasi un anno fa, presiedendo la messa dei Santi Protomartiri Romani,
Papa Francesco già affermava:
Oggi
ci sono tanti martiri, nella Chiesa, tanti cristiani perseguitati.
Pensiamo al Medio Oriente, cristiani che devono fuggire dalle
persecuzioni, cristiani uccisi dai persecutori. Anche i cristiani
cacciati via in modo elegante, con i guanti bianchi: anche quella è
una persecuzione. Oggi ci sono più testimoni, più martiri nella
Chiesa che nei primi secoli1.
Proprio alla luce dei numerosi interventi del Santo Padre in materia,
mi sembra essenziale che non vada perduta la memoria del sangue
versato. Già la propositio 29 presentata a Papa Benedetto al
termine del Sinodo per il Medio Oriente il 26 ottobre 2010, suggeriva
di
Istituire
una festa comune annuale dei martiri per le Chiese d’Oriente e
domandare ad ogni Chiesa orientale di stabilire una lista dei propri
martiri, testimoni della fede.
Questa giornata dei martiri mi sembra ora più che mai urgente. Essa
non potrebbe che essere una festa comune alle diverse chiese della
regione, caratterizzata da due dimensioni: da un lato, celebrare la
memoria dei martiri moderni che, nella varietà della loro
appartenenza alle diverse chiese e comunità cristiane, pagano con la
vita la loro fedeltà a Cristo ai giorni nostri e in questa terra.
È l’ecumenismo del sangue di cui parla così di frequente Papa
Francesco. Dall’altro, la giornata sarebbe anche un’occasione
provvidenziale di domandare perdono per le divisioni tra le chiese,
divisioni che nel passato hanno condotto anche a uccisioni tra i
fedeli cristiani. Sono convinto che, se ben studiata e spiegata,
questa giornata potrebbe preparare la strada per la riconciliazione e
assumere un valore esemplare per tutta la Chiesa universale. Una
storia passata fatta di contrasti in gran parte politici non deve
impedire di godere dei frutti che lo Spirito dona oggi.
È noto l’adagio di Tertulliano: il sangue dei martiri è seme di
nuovi cristiani. C’è una cosa, e una soltanto, che può impedire
questa generazione: è la divisione tra i discepoli. Il momento
tragico che investe la regione può diventare allora un’occasione
propizia per accantonare quanto separa e ricercare quello che unisce.
Vittoria
Il secondo pensiero riguarda la parola vittoria. Oggi in Medio
Oriente, e non soltanto, si cerca ovunque la vittoria attraverso la
sopraffazione e l’annientamento dell’avversario. Ma vediamo bene
che questa via conduce solo a morte e distruzione. Molti politici e
uomini di religione mirano a costruire una società completamente
omogenea. E così in Iraq e Siria i miliziani jihadisti cacciano i
cristiani e le altre minoranze religiose, quando non le eliminano
fisicamente, e ne distruggono le tracce. Il problema è che il
processo di “de-umanizzazione” non si ferma lì. Dopo i
non-musulmani, è la volta dei musulmani di diversa confessione
(sunniti contro sciiti e viceversa), poi dei musulmani “devianti”,
perché magari appartengono agli ordini mistici, infine di tutti
coloro che non possono esibire una perfetta ortoprassi, secondo uno
schema d’intolleranza progressiva già visto molte volte all’opera.
Di fronte a questo progetto penso che i cristiani, e prima di tutti i
cristiani orientali, debbano continuare a dire un chiaro “no!”.
Non è questa la strada che Dio vuole per il Medio Oriente. Più
omogeneità non significa meno conflitti, perché ci sarà sempre
qualcuno “più fondamentalista di me” che cercherà di piegarmi
al suo credo. È forse in pace la Somalia, per il fatto di essere al
100% musulmana sunnita? O l’Afghanistan dei talebani? Ha portato
bene al Pakistan essersi prefissato l’obiettivo di creare uno Stato
islamico? È saggia la politica israeliana che negli ultimi anni
accentua a ogni costo l’ebraicità dello Stato? Credo che i
cristiani abbiano l’obbligo di chiarire, prima di tutto a loro
stessi e ai loro leaders politici, ma poi anche a tutto il resto del
Medio Oriente, che non è questa la vittoria a cui tendere, anche sul
piano temporale. La nostra vittoria è la Pasqua, è il Crocifisso
Risorto che accetta di portare su di sé il peccato del mondo e con
la sua obbedienza distrugge il corpo del peccato (cfr. Rm
6,6).
Il Medio Oriente di oggi si erge tragicamente in faccia a tutto il
mondo come la prova provata che la politica della volontà di potenza
portata agli estremi è fallimentare e che i suoi trionfi sono
fallaci, vuoti e illusori. In questo frangente c’è una rilevanza
culturale e politica della Croce che attende ancora di essere messa
in luce. Questo tra l’altro potrebbe suggerire un modo nuovo di
presentare tale punto capitale della nostra fede, da sempre «scandalo
per i giudei, stoltezza per i pagani» (1Cor 1,23). In realtà
infatti, la logica della Croce è l’unica capace di illuminare fino
in fondo anche le scelte politiche di oggi. E chi se non i cristiani
può e deve dirlo? Chi se non i cristiani orientali?
Non possiamo prevedere quale sarebbe la risposta dei non cristiani,
in particolare dei musulmani, a questo invito a ripensare la politica
della regione. Ma il Signore ci comanda di rivolgerlo comunque e ci
istruisce chiaramente sul comportamento da tenere:
In
qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa. Se vi sarà
un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti
ritornerà su di voi. […] Quando entrerete in una città e vi
accoglieranno, mangiate quello che vi sarà messo dinanzi, curate i
malati che vi si trovano, e dite loro: Si è avvicinato a voi il
regno di Dio. Ma quando entrerete in una città e non vi
accoglieranno, uscite sulle piazze e dite: “Anche la polvere della
vostra città che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo
contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. Io vi
dico che in quel giorno Sodoma sarà trattata meno duramente di
quella città (Lc 10,
5-6.8-12)
Occidente
L’ultimo pensiero riguarda l’Occidente e i cristiani che vi
vivono. Finora ho parlato di quello che le nostre comunità europee
possono ricevere, e già ricevono, dall’eroica testimonianza di
tanti fratelli in Medio Oriente e nelle altre regioni di
persecuzione. Un tale dono suscita spontaneamente il desiderio di
rispondere da parte nostra, facendo quanto è possibile per alleviare
la sofferenza. Questo avviene su vari piani: l’aspetto materiale
innanzitutto, perché alle chiese occidentali sta a cuore sostenere
con ogni mezzo la presenza cristiana in questa regione.
Non meno importante è l’aspetto spirituale, che in Italia ci ha
visti riuniti in preghiera la vigilia di Pentecoste per tutti i
cristiani perseguitati. E infine è fondamentale il compito di
sensibilizzazione delle coscienze per arrestare il male, anche
secondo il principio ricordato dal Papa per cui «fermare
l’aggressore ingiusto è un diritto dell’umanità, ma è anche un
diritto dell’aggressore, di essere fermato per non fare del male»2.
Ma qui cominciano le difficoltà.
Sapete infatti bene che la chiesa in Occidente (Europa e Stati
Uniti), pur conservando in alcune regioni una consistente presenza di
popolo, manifesta una debolezza culturale che la rende spesso
ininfluente rispetto alle decisioni politiche. Tutto lo zelo degli
evangelicals americani per il Vangelo che effetto ha avuto in
Medio Oriente? Dobbiamo ben chiedercelo. Sotto Obama non ha spostato
di una virgola la politica americana, che solo due anni fa è stata a
un passo dal fornire sostegno diretto a ISIS. E prima di Obama, il
presidente Bush ha pianificato e guidato la fallimentare invasione
dell’Iraq. Di fronte a questi fatti, e alla parallela latitanza
dell’Europa, è inutile farsi illusioni: non ci sarà nessuna
spedizione per salvare i cristiani orientali, come fu nel 1860 in
Libano; al massimo, un misero incrociatore che, come il Guichen nel
1915, raccoglie i superstiti armeni del Mussa Dagh per trasportarli
in Europa3.
E sarebbe già molto, visti il vento che spira nell’attuale
dibattito sui profughi.
Il fatto è che in Occidente esiste una reale difficoltà a
comprendere quanto sta avvenendo in questa regione. Si pensa di
sapere già, di avere la chiave per interpretare i fatti. E si
commettono così errori grossolani di valutazione. Senza andare a
scomodare Iraq e Siria, basta citare la persistente incapacità a
leggere quanto sta avvenendo in Egitto se non nei termini di
“elezioni tradite”. L’occidentale medio non è in grado di
pensare una guerra di religione, anche per la sua storia passata, e
ragiona unicamente secondo gli assoluti di democrazia e tirannide,
senza percepire la necessità di cooperare con tutte quelle forze che
si oppongono, per le più varie ragioni, al genocidio fisico e
culturale perpetrato da ISIS e dagli Stati che, direttamente o
indirettamente, la sostengono nel criminale progetto di un Medio
Oriente mono-colore.
Per questo temo sia fatica sprecata cercare di porre la questione,
anche con i governi occidentali, in termini di diritto a difendersi.
L’unico linguaggio che mi pare resti utilizzabile è quello
umanitario: raccontare le sofferenze. Suggerirei pertanto
d’individuare alcuni casi particolarmente eclatanti su cui
sollecitare un intervento internazionale. Penso in particolare ad
Aleppo, che è già diventata la nuova Sarajevo del XXI secolo. La
proposta di aprire un corridoio umanitario per alleviare le
sofferenze di questa città, prima che finisca anch’essa in mano a
ISIS, potrebbe avere qualche possibilità di successo anche a livello
mediatico. Di più, realisticamente, non mi pare possibile sperare,
nel quadro d’immobilismo internazionale imbarazzante e miope che
purtroppo domina.
Spero di non aver abusato del vostro tempo e della vostra pazienza
nel presentarvi questi tre pensieri. E vi ringrazio ancora per la
possibilità di chinarci insieme a leggere questa drammatica
circostanza. Essa è un appello che il Signore rivolge, attraverso di
voi, alla Chiesa tutta per la conversione di ciascuno.
+ Card. Angelo Scola
Arcivescovo di Milano
1
Omelia alla S. Messa, 30 giugno 2014.
2
Conferenza Stampa di Papa Francesco nel volo di ritorno dalla
Repubblica di Corea, lunedì 18 agosto 2014.
3
Cfr. Franz Werfel, I quaranta giorni del Mussa Dagh, prima
edizione 1933.