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martedì 8 ottobre 2024

Veglia Di Preghiera 7 Ottobre 2024: riflessione di S.B. il Cardinal Pizzaballa

 

Efesini 2:14-17 

Cari fratelli e sorelle, 

il Signore vi dia pace! 

Siamo qui riuniti al termine di una giornata di preghiera, digiuno e penitenza, al termine di uno degli anni più difficili e dolorosi degli ultimi tempi. 

Quest'anno abbiamo gridato il nostro orrore per i crimini commessi, a partire dagli eventi del 7 ottobre di un anno fa, nel sud di Israele, che hanno lasciato una profonda ferita negli israeliani fino ad oggi. Abbiamo inoltre alzato la voce contro la reazione di aggressione, distruzione, fame, sofferenza e morte. 

Stiamo assistendo a un livello di violenza senza precedenti nelle parole e nelle azioni. L’odio, il dolore e la rabbia sembrano essersi impadroniti dei nostri cuori, non lasciando spazio ad altri sentimenti se non al rifiuto dell'altro e della sua sofferenza. 

Nel corso di quest'anno, abbiamo espresso in ogni forma possibile la nostra solidarietà e il nostro sostegno alla comunità di Gaza e a tutti i suoi abitanti.  

Abbiamo cercato di essere una voce che condanna con forza e chiarezza tutta questa violenza che non farà altro che provocare un circolo vizioso di vendetta che genererà altra violenza. 

Abbiamo ribadito la nostra convinzione che la violenza, l’aggressione e le guerre non creeranno mai pace e sicurezza. Abbiamo ripetuto incessantemente che ciò di cui abbiamo bisogno è invece il coraggio di pronunciare parole che aprano orizzonti e non il contrario, di costruire il futuro invece di negarlo. Abbiamo bisogno del coraggio di scendere a compromessi, di rinunciare a qualcosa, se necessario, per un bene più grande, che è la pace. Non dobbiamo mai confondere la pace con la vittoria! 

Abbiamo sottolineato la necessità di costruire un futuro comune per questa terra, basato sulla giustizia e sulla dignità di tutti i suoi abitanti, a partire dal popolo palestinese, che non può più attendere il suo diritto all’indipendenza, troppo a lungo rimandato. 

Abbiamo affermato la necessità di fare e dire la verità nelle nostre relazioni, di avere il coraggio di pronunciare parole di giustizia e di aprire prospettive di pace. 

Ciò che è accaduto e sta accadendo a Gaza ci lascia attoniti e al di là di ogni comprensione. 

Da un lato la diplomazia, la politica, le istituzioni multilaterali e la comunità internazionale hanno mostrato tutta la loro debolezza, dall'altro ci siamo sentiti sostenuti: 

Il Santo Padre ha ripetutamente invitato tutte le parti coinvolte a fermare questa deriva, ma ha anche espresso solidarietà umana alla nostra comunità di Gaza in modi concreti e ha anche dato loro un sostegno concreto.   Proprio oggi ha inviato una lettera a tutti i cattolici di questa regione, esprimendo la sua vicinanza a tutti coloro che in vari modi soffrono le conseguenze di questa guerra, in modo particolare ai nostri fratelli e sorelle di Gaza, e incoraggiandoci a diventare “testimoni della forza di una pace non armata”, ad essere “germogli di speranza”, e “a testimoniare l’amore mentre si parla d’odio, l’incontro mentre dilaga lo scontro, l’unità mentre tutto volge alla contrapposizione”. Grazie, Santo Padre! 

Abbiamo ricevuto tante forme di solidarietà anche da parte dell'intera comunità cristiana nei confronti della nostra Chiesa. La solidarietà umana e cristiana ha trovato forme di espressione di vicinanza che sono state una consolazione importante per noi. Non siamo mai stati lasciati soli con preghiere, espressioni di solidarietà e anche aiuti concreti. 

Tuttavia, in un contesto così drammatico, ammettiamolo: quest'anno ha messo a dura prova la nostra fede. Non è facile vivere nella fede in questi tempi duri. 

Le parole ‘speranza’, ‘pace’, ‘convivenza’ ci sembrano teoriche e lontane dalla realtà. Forse anche la preghiera ci è sembrata a volte un obbligo morale da assolvere, ma non il luogo da cui attingere forza nella sofferenza, uno sguardo diverso sul mondo, non uno spazio di incontro privilegiato con Dio, per trovare conforto e consolazione. Credo che questi siano pensieri umani inevitabili. 

Ma è proprio qui che la nostra fede cristiana deve trovare un’espressione visibile. 

Siamo chiamati a pensare oltre i calcoli di breve respiro, non possiamo fermarci solo alle riflessioni umane, che ci intrappolano nel nostro dolore, senza aprire prospettive. Siamo chiamati a leggere queste sfide alla luce della Parola di Dio, una Parola che accompagna e allarga il nostro cuore. 

E dobbiamo continuare a farlo. 

Non è forse questa la nostra principale missione come Chiesa? Non solo saper dire una parola di verità sul tempo presente, ma anche vedere e mostrare un mondo che va oltre il presente e le sue dinamiche; fornire un linguaggio che possa creare un mondo nuovo che non è ancora visibile, ma che si sta manifestando all'orizzonte? Proporre uno stile di vita in questo conflitto che renda già possibile tra noi ciò che speriamo nel futuro? 

La speranza cristiana non è l'attesa di un mondo che verrà, ma la realizzazione, nella pazienza e nella misericordia, di ciò che crediamo nella fede e su cui basiamo il nostro cammino umano - nelle nostre relazioni, nelle nostre comunità, nella nostra vita personale. 

“Così egli... (venne) a creare in sé, dei due, un uomo nuovo, facendo la pace” (Ef 2,15). 

Questo nostro tempo è in attesa di vedere l’uomo nuovo che in Cristo ognuno di noi è diventato.  In questo tempo pieno di odio, l'uomo nuovo in Cristo è un esempio vivente di compassione, umiltà, mitezza, magnanimità e perdono (cfr. Col 3,12-13). 

Se non siamo così, se non crediamo nella potenza della risurrezione di Cristo con cui siamo salvati, come ci distingueremo da tutti gli altri? Quale può essere il nostro contributo di credenti in Cristo se non siamo capaci di credere che il male non ha l’ultima parola in questo mondo e che la pace è possibile?   Se le nostre azioni nel mondo non sono visibilmente caratterizzate dalla certezza che nulla potrà mai separarci dall'amore di Dio in Cristo? (cfr. Rm 8,39). 

In questo tempo in cui la violenza sembra essere l’unico linguaggio, continueremo a parlare e a credere nel perdono e nella riconciliazione. In questo tempo pieno di dolore, vogliamo e continueremo a usare parole di consolazione e a dare conforto concreto e incessante laddove il dolore cresce. 

Anche se dobbiamo ricominciare ogni giorno, anche se possiamo essere visti come irrilevanti e inutili, continueremo a essere fedeli all'amore che ci ha conquistati e a essere persone nuove in Cristo, qui a Gerusalemme, in Terra Santa e ovunque ci troviamo. 

Per questo siamo qui oggi. Per questo digiuniamo e preghiamo. Per purificare i nostri cuori, per rinnovare in noi il desiderio di prosperità e di pace con la forza della preghiera e dell'incontro con Cristo, e per credere che queste non sono solo parole, ma vita vissuta. Anche qui, in Terra Santa. 

La Beata Vergine del Rosario interceda per noi e ci aiuti a rendere il nostro cuore docile all'ascolto della Parola di Dio e ad aprirci per essere sempre e ovunque persone nuove in Cristo e coraggiosi testimoni di pace. Perché “ogni dono perfetto viene dall'alto, dal Padre della luce” (Gc 1, 17). Amen. 

+Pierbattista

https://www.lpj.org/it/news/prayer-vigil-october-7-2024-brief-reflection-by-hb-cardinal

domenica 29 settembre 2024

Una giornata di Preghiera, di Digiuno e di Penitenza: 7 ottobre 2024

 

Gerusalemme, 26 settembre 2024

Alla Diocesi del Patriarcato Latino di Gerusalemme

   (raccogliamo per tutti i credenti in questo momento tragico per il MedioOriente)

Carissimi,
il Signore vi dia pace!

Il mese di ottobre si avvicina, e con esso la consapevolezza che da un anno la Terra Santa, e non solo, è stata precipitata in un vortice di violenza e di odio mai visto e mai sperimentato prima. In questi dodici mesi abbiamo assistito a tragedie che per la loro intensità e per il loro impatto hanno lacerato in maniera profonda la nostra coscienza e il nostro senso di umanità.

La violenza, che ha causato e sta causando migliaia di vittime innocenti, ha trovato spazio anche nel linguaggio e nelle azioni politiche e sociali. Ha profondamente colpito il senso di comune appartenenza alla Terra Santa, alla coscienza di essere parte di un disegno della Provvidenza che ci ha voluti qui per costruire insieme il Suo Regno di pace e di giustizia, e non per farne un bacino di odio e di disprezzo, di rifiuto e annientamento reciproco.

In questi mesi ci siamo già espressi chiaramente su quanto sta avvenendo e abbiamo ribadito più volte la nostra condanna di questa guerra insensata e di ciò che l’ha generata, richiamando tutti a fermare questa deriva di violenza, e ad avere il coraggio di individuare altre vie di risoluzione del conflitto in corso, che tengano conto delle esigenze di giustizia, di dignità e di sicurezza per tutti.

Non possiamo che richiamare ancora una volta i governanti e quanti hanno la grave responsabilità delle decisioni in questo contesto, ad un impegno per la giustizia e per il rispetto del diritto di ciascuno alla libertà, alla dignità e alla pace.

Anche noi abbiamo però il dovere di impegnarci per la pace, innanzitutto preservando il nostro cuore da ogni sentimento di odio, e custodendo invece il desiderio di bene per ciascuno. E poi impegnandoci, ognuno nei propri contesti comunitari e nelle forme possibili, a sostenere chi è nel bisogno, aiutare chi si sta spendendo per alleviare le sofferenze di quanti sono colpiti da questa guerra, e promuovere ogni azione di pace, di riconciliazione e di incontro.

Ma abbiamo anche bisogno di pregare, di portare a Dio il nostro dolore e il nostro desiderio di pace. Abbiamo bisogno di convertirci, di fare penitenza, di implorare perdono.

Vi invito, perciò, ad una giornata di preghiera, digiuno e penitenza, per il giorno 7 ottobre prossimo, data diventata simbolica del dramma che stiamo vivendo. Il mese di ottobre è anche il mese mariano e il 7 ottobre celebriamo la memoria di Maria Regina del Rosario.

Ciascuno, con il rosario o nelle forme che riterrà opportune, personalmente ma meglio ancora in comunità, trovi un momento per fermarsi e pregare, e portare al “Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione” (2 Cor 1,3), il nostro desiderio di pace e riconciliazione.

In allegato alla presente troverete una proposta di preghiera, da usare liberamente. Invochiamo l’intercessione di Maria Regina del Rosario per questa Terra amata e i suoi abitanti.

Con l’augurio di ogni bene,

†Pierbattista Card. Pizzaballa

Patriarca di Gerusalemme dei Latini


Preghiera per la pace

Signore Dio nostro,
Padre del Signore Gesù Cristo
e Padre dell’umanità intera,
che nella croce del Tuo Figlio
e mediante il dono della sua stessa vita
a caro prezzo hai voluto distruggere
il muro dell’inimicizia e dell’ostilità
che separa i popoli e ci rende nemici:
manda nei nostri cuori
il dono dello Spirito Santo,
affinché ci purifichi da ogni sentimento
di violenza, di odio e di vendetta,
ci illumini per comprendere
la dignità insopprimibile
di ogni persona umana,
e ci infiammi fino a consumarci
per un mondo pacificato e riconciliato
nella verità e nella giustizia,
nell’amore e nella libertà.

Dio onnipotente ed eterno,
nelle Tue mani sono le speranze degli uomini
e i diritti di ogni popolo:
assisti con la Tua sapienza coloro che ci governano,
perché, con il Tuo aiuto,
diventino sensibili alle sofferenze dei poveri
e di quanti subiscono le conseguenze
della violenza e della guerra;
fa’ che promuovano nella nostra regione
e su tutta la terra
il bene comune e una pace duratura.

Vergine Maria, Madre della speranza,
ottieni il dono della pace
per la Santa Terra che ti ha generato

e per il mondo intero. Amen


https://www.lpj.org/it/news/a-day-of-prayer-fasting-and-penance

Prot. N. (1) 1519/2024

martedì 13 agosto 2024

Richiesta dal Card. Pizzaballa nella Festa dell'Assunzione

 

Carissimi fratelli e sorelle,

il Signore vi dia pace!

Sono passati già molti mesi dall’inizio di questa terribile guerra. Non solo la sofferenza causata da questo conflitto e lo sgomento per quanto sta avvenendo sono ancora integri, ma sembrano anzi essere continuamente alimentati da odio, rancore e disprezzo che non fanno che aumentare la violenza e allontanare la possibilità di individuare soluzioni.

È sempre più difficile, infatti, immaginare una conclusione di questo conflitto, il cui impatto sulla vita delle nostre popolazioni è il più alto e doloroso di sempre. È sempre più difficile trovare persone e istituzioni con le quali sia possibile dialogare di futuro e di relazioni serene. Sembriamo tutti schiacciati da questo presente impastato da così tanta violenza e, certo, anche da rabbia.

Questi giorni, comunque, sembrerebbero essere importanti per riuscire a dare una svolta al conflitto e fra questi in particolare il 15 agosto, che per noi è il giorno della solennità dell’Assunzione di Maria Vergine in cielo.

In quel giorno, dunque, prima o dopo la celebrazione dell’Eucarestia, o in un momento che si terrà opportuno, invito tutti, ad un momento di preghiera di intercessione per la pace alla Vergine Santissima Assunta in cielo. Desidero che parrocchie, comunità religiose contemplative ed apostoliche, e anche i pochi pellegrini presenti tra noi, si uniscano nel comune desiderio di pace che affidiamo alla Vergine santissima.

Dopo avere speso tante parole, infatti, e dopo avere fatto il possibile per aiutare ed essere vicini a tutti, in particolare a quanti sono colpiti più duramente, non ci resta che pregare. Di fronte alle tante parole di odio, che vengono pronunciate troppo spesso, noi vogliamo portare la nostra preghiera, fatta di parole di riconciliazione e di pace.

Allegata alla presente vi allego una preghiera alla Vergine Assunta, che vi invito ad usare nel giorno di questa solennità.

Preghiamo perché, in questa lunghissima notte che stiamo vivendo, l’intercessione di Maria Santissima apra per tutti noi e per il mondo intero uno squarcio di luce.

Con l’augurio di ogni bene

+Pierbattista Card. Pizzaballa
Patriarca di Gerusalemme dei Latini


Supplica per la pace alla B.V. Maria Assunta al Cielo 

Gloriosa Madre di Dio,  innalzata al di sopra dei cori degli angeli,  prega per noi con san Michele arcangelo  e con tutte le potenze angeliche dei cieli  e con tutti i santi,  presso il tuo santissimo diletto Figlio, Signore e maestro. 

Ottieni per questa Terra Santa, per tutti i suoi figli e per l’umanità intera il dono della riconciliazione e della pace. 

Che si compia la tua profezia: i superbi siano dispersi  nei pensieri del loro cuore; i potenti siano rovesciati dai troni,  e finalmente innalzati gli umili; siano ricolmati di beni gli affamati,  i pacifici siano riconosciuti come figli di Dio e i miti possano ricevere in dono la terra. 

Ce lo conceda Gesù Cristo, tuo Figlio,  che oggi ti ha esaltata  al di sopra dei cori degli angeli,  ti ha incoronata con il diadema del regno,  e ti ha posta sul trono dell'eterno splendore.  

A lui sia onore e gloria per i secoli eterni. Amen


https://www.lpj.org/it/news/requesting-from-hb-on-the-feast-of-the-assumption

lunedì 15 gennaio 2024

Card. Pizzaballa: reciprocità e riconciliazione per la Terra Santa

"È nelle scuole e nelle università che si deve cominciare a rieducare la gente alla pace e alla non-violenza, cioè a credere, a conoscersi e a stimarsi, e anzitutto a incontrarsi, cosa che purtroppo non avviene né nelle scuole arabe né in quelle ebraiche, se non in rari casi". Così è intervenuto il cardinale Pierbattista Pizzaballa, Patriarca latino di Gerusalemme, invitato oggi, 15 gennaio, come ospite d'onore all'inaugurazione dell'anno accademico dell'Università Cattolica, presso il Policlinico Gemelli di Roma. 

Vatican News, 15 gennaio 2024

La Chiesa non perda la sua dimensione profetica

Il cardinale Pizzaballa parla dell'impatto che la sanguinosa guerra in corso sta avendo sulla popolazione. "Come uscire dal fango di questa guerra, da questo orribile pantano in cui più si entra e più pare impossibile uscire?". È la domanda cruciale che si pone e pone ai presenti il porporato, con il tono di grande parresia che contraddistingue sempre il suo parlare. Precisa che “pace” sembra essere oggi una parola "lontana, utopica e vuota di contenuto, se non oggetto di strumentalizzazione senza fine". Così, è necessaria una parola chiara di speranza che si deve attingere dalle Scritture e da una dimensione profetica della Chiesa. "Se la Chiesa perde tale dimensione - rimarca - parla semplicemente di ciò che la gente vuol sentire". Afferma che è questo un rischio ricorrente, soprattutto in Medio Oriente: il rischio di seguire la corrente, anziché orientarla. 

Tempi lunghi per guarire dalla lacerazione della guerra 

Il Patriarca di Gerusalemme lamenta poi che "i tempi di una guarigione saranno necessariamente lunghi e avranno bisogno di percorsi complessi", esortando a crederci davvero nella pace. "Si dovrà prendere atto - sottolinea - che le parole giustizia, verità, riconciliazione e perdono non potranno essere (come forse è stato fino ad oggi) solo auspici, ma dovranno trovare contesti realmente vissuti, con una interpretazione condivisa, e tornare ad essere espressioni credibili e desiderate, senza le quali sarà difficile pensare ad un futuro diverso". La questione problematica è che "ciascuno vede se stesso come vittima, la sola vittima, di questa guerra atroce. Vuole e chiede empatia per la propria situazione, e spesso percepisce nell’esprimere sentimenti di comprensione verso altri da sé, un tradimento o almeno un mancato ascolto della propria sofferenza. Una situazione in tutti i sensi lacerante". 

Una pace credibile chiede una purificazione della memoria

Pizzaballa ribadisce la responsabilità di ciascuno, in questo contesto di grande disorientamento, nel dare coraggio per costruire prospettive di vita. "Laddove tutto sembra rinchiudersi in odio e dolore, è chiamato ad aprire orizzonti". Essere profeti, in ogni ambito, non vuol dire essere visionari, ma credenti, cioè "avere la fede che si deve fare il possibile per investire nello sviluppo, per sostenere un pensiero positivo e illuminato, per evitare manipolazioni religiose e anzi promuovere un discorso su Dio che apra alla vita e all’incontro". Reciprocità e riconciliazione. Sono queste le direttrici su cui perseverare per la Terra Santa, tenuto conto - dice Pizzaballa - che le ferite non possono essere semplicemente cancellate o ignorate con una pace che sia semplicemente “assenza di guerra”. Con una nota di carattere psicologica, ricorda che le ferite, se non sono curate, assunte, elaborate, condivise, continueranno a produrre dolore anche dopo anni o addirittura secoli, creando vittimismo e di rabbia. 

Un linguaggio privo di umanità ferisce più delle bombe

Si sofferma ampiamente, il cardinale, sulla necessità di un linguaggio che aiuti nella costruzione della pace, ripetendo che non di banale accessorio si tratta. Richiamando ancora la necessità di parresia e chiarezza nel parlare, precisa inoltre che "bisogna, non solo dire quello che si pensa, ma anche pensare a quello che si dice, di avere la coscienza che, soprattutto in queste circostanze così sensibili, le parole hanno un peso determinante". Quanti hanno una responsabilità pubblica hanno il dovere di orientare le loro rispettive comunità con un linguaggio appropriato, che limiti "la deriva di odio e sfiducia che spesso nei media dilagano con facilità", osserva Pizzaballa. Insiste sulla necessità di "preservare il senso di umanità", soprattutto nell'uso dei social. Attribuisce a un linguaggio "violento, aggressivo, carico di odio e di disprezzo, di rifiuto e di esclusione", una forte responsabilità e uno degli strumenti principali di questa e troppe altre guerre. Fa anche esempi: definire l’altro come 'animale', è anch’essa una forma di violenza che apre o forse addirittura può giustificare scelte di violenza in molti altri contesti e forme. "Sono espressioni che forse feriscono più ancora degli eccidi e delle bombe". Facendo riferimento a come si raccontano le due parti nel conflitto israelo-palestinese, il porporato si addentra nella questione relativa a quelle che sono state e continuano ad essere "narrative indipendenti l’una dall’altra, che non si sono mai incontrate realmente. E ora - spiega - questo è diventato esplosivamente evidente in questi ultimi mesi. È necessario quindi il coraggio di un linguaggio non esclusivo", soprattutto nei luoghi di formazione culturale, professionale e spirituale. 

Il conflitto spirituale

Sua Beatitudine approfondisce le modalità attraverso cui guerra in Medio Oriente intacca inevitabilmente la vita spirituale degli abitanti della Terra Santa. E si chiede qual è stato il ruolo delle fedi e delle religioni. Il cardinale Pizzaballa constata che "con poche eccezioni, non si sono sentite in questi mesi da parte della leadership religiosa discorsi, riflessioni, preghiere diverse da qualsiasi altro leader politico o sociale". Condivide l’impressione che ciascuno si esprima esclusivamente all’interno della prospettiva della propria comunità. Ebrei con ebrei, musulmani con musulmani, cristiani con cristiani, e così via. E racconta che "in questi mesi è stato ed è ancora pressoché impossibile, ad esempio avere incontri di carattere interreligioso, almeno a livello pubblico". Lamenta che "rapporti di carattere interreligioso che sembravano consolidati sembrano oggi spazzati via da un pericoloso sentimento si sfiducia. Ciascuno si sente tradito dall’altro, non compreso, non difeso, non sostenuto". Esorta a questo proposito che la fede non può adagiarsi: da un lato deve essere di conforto, dall'altra "elemento di disturbo". 

La guerra è uno spartiacque nel dialogo interreligioso

Il rapporto tra cristiani, musulmani ed ebrei non potrà essere mai più come è stato finora. Ne è convinto Pizzaballa che osserva come il mondo ebraico non si sia sentito sostenuto da parte dei cristiani e lo ha espresso in maniera chiara. "I cristiani a loro volta, divisi come sempre su tutto, incapaci di una parola comune, si sono distinti se non divisi sul sostegno ad una parte o all’altra, oppure incerti e disorientati. I musulmani si sentono attaccati, e ritenuti conniventi con gli eccidi commessi il 7 ottobre… insomma - conclude - dopo anni di dialogo interreligioso, ci siamo ritrovati a non intenderci l’un l’altro. È per me, personalmente, un grande dolore, ma anche una grande lezione". Da qui il dialogo dovrà ripensarsi, spiega: non più solo tra appartenenti alla cultura occidentale, come è stato fino ad oggi, ma "dovrà tenere in conto le varie sensibilità, i vari approcci culturali non solo europei, ma innanzitutto locali. È molto più difficile, ma da lì si dovrà ripartire. E si dovrà farlo, non per bisogno o necessità, ma per amore".

La Chiesa evidenzi le ingiustizie, senza strumentalizzazioni

La presenza del cardinale Pizzaballa all'inaugurazione dell'anno accademico dell'Università Cattolica serve oggi a ribadire l'urgenza di educare alla speranza e alla pace, proprio perché la scuola e le università hanno un ruolo chiave in questo. "In un ambiente segnato da lacerazioni e contrasti, possiamo diventare, come Chiesa, luogo ed esperienza della pace possibile", afferma infine il porporato. "Se abbiamo poca possibilità di sedere ai tavoli internazionali - sostiene - abbiamo però il dovere di edificare comunità riconciliate e ospitali, aperte e disponibili all’incontro, autentici spazi di fraternità condivisa e di dialogo sincero". Le sue parole richiamano un ecumenismo che non sia "di facciata o di comodo", ma "vissuto, fatto d’incontri, di collaborazione, di reciproco sostegno e di sofferenza condivisa". Su un aspetto non trascurabile si sofferma ancora nel suo intervento: la Chiesa non può ridursi ad “agente politico” o a partito o fazione, non si può esporre insomma a facili strumentalizzazioni. Contestualmente non può tacere, scandisce Pizzaballa, "di fronte alle ingiustizie o rinchiudersi nell’angelismo o nel disimpegno". Il cardinale si congeda esprimendo tutto il disagio vissuto sulle proprie spalle proprio perché 'conteso' da una parte o dall'altra. Raccomanda, allora, che "prendere posizione non può significare diventare parte di uno scontro, ma deve sempre tradursi in parole e azioni a favore di quanti soffrono e non in condanne contro qualcuno".

martedì 24 ottobre 2023

Lettera a tutta la Diocesi del Card. Pizzaballa, Patriarca di Gerusalemme

icona della Vergine Maria, Regina della Palestina

Carissimi, il Signore vi dia pace!

Stiamo attraversando uno dei periodi più difficili e dolorosi della nostra storia recente. Da ormai più di due settimane siamo stati inondati da immagini di orrore, che hanno risvegliato traumi antichi, aperto nuove ferite, e fatto esplodere dentro tutti noi dolore, frustrazione e rabbia. Molto sembra parlare di morte e di odio senza fine. Tanti “perché” si accavallano nella nostra mente, facendo aumentare così il nostro senso di smarrimento.

Tutto il mondo guarda a questa nostra Terra Santa, come ad un luogo che è causa continua di guerre e divisioni. Proprio per questo è stato bello che qualche giorno fa, tutto il mondo fosse invece unito a noi con una giornata di preghiera e di digiuno per la pace. Uno sguardo bello sulla Terra Santa e un importante momento di unità con la nostra Chiesa. E questo sguardo continua. Il prossimo 27 ottobre il Papa ha indetto una seconda giornata di preghiera e di digiuno, perché la nostra intercessione continui. Sarà una giornata che celebreremo con convinzione. È forse la cosa principale che noi cristiani in questo momento possiamo fare: pregare, fare penitenza, intercedere. E di questo ringraziamo il Santo Padre di vero cuore.

In tutto questo frastuono dove il rumore assordante delle bombe si mischia alle tante voci di dolore e ai tanti contrastanti sentimenti, sento il bisogno di condividere con voi una parola che abbia la sua origine nel Vangelo di Gesù, perché in fondo è da lì che tutti noi dobbiamo partire e lì dobbiamo sempre ritornare. Una parola di Vangelo che ci aiuti a vivere questo tragico mo-mento unendo i nostri sentimenti a quelli di Gesù.

Guardare a Gesù, ovviamente, non significa sentirci esonerati dal dovere di dire, denunciare, richiamare, oltre che consolare e incoraggiare. Come abbiamo ascoltato nel Vangelo di domenica scorsa, è necessario rendere “a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” (Matt. 22,21). Guardando a Dio, vogliamo dunque, innanzitutto, rendere a Cesare ciò che è suo.

La coscienza e il dovere morale mi impongono di affermare con chiarezza che quanto è avvenuto il 7 ottobre scorso nel sud di Israele, non è in alcun modo ammissibile e non possiamo non condannarlo. Non ci sono ragioni per una atrocità del genere. Si, abbiamo il dovere di affermarlo e denunciarlo. Il ricorso alla violenza non è compatibile col Vangelo, e non conduce alla pace. La vita di ogni persona umana ha una dignità uguale davanti a Dio, che ci ha creati tutti a Sua immagine.

La stessa coscienza, tuttavia, con un grande peso sul cuore, mi porta oggi ad affermare con altrettanta chiarezza che questo nuovo ciclo di violenza ha portato a Gaza oltre cinquemila morti, tra cui molte donne e bambini, decine di migliaia di feriti, quartieri rasi al suolo, mancanza di medicinali, acqua, e beni di prima necessità per oltre due milioni di persone. Sono tragedie che non sono comprensibili e che abbiamo il dovere di denunciare e condannare senza riserve. I continui pesanti bombardamenti che da giorni martellano Gaza causeranno solo morte e distruzione e non faranno altro che aumentare odio e rancore, non risolveranno alcun problema, ma anzi ne creeranno dei nuovi. È tempo di fermare questa guerra, questa violenza insensata.

È solo ponendo fine a decenni di occupazione, e alle sue tragiche conseguenze, e dando una chiara e sicura prospettiva nazionale al popolo palestinese che si potrà avviare un serio processo di pace. Se non si risolverà questo problema alla sua radice, non ci sarà mai la stabilità che tutti auspichiamo. La tragedia di questi giorni deve condurci tutti, religiosi, politici, società civile, comunità internazionale, ad un impegno in questo senso più serio di quanto fatto fino ad ora. Solo così si potranno evitare altre tragedie come quella che stiamo vivendo ora. Lo dobbiamo alle tante, troppe vittime di questi giorni, e di tutti questi anni. Non abbiamo il diritto di lasciare ad altri questo compito.

Ma non posso vivere questo tempo estremamente doloroso, senza rivolgere lo sguardo verso l’Alto, senza guardare a Cristo, senza che la fede illumini il mio, il nostro sguardo su quanto stiamo vivendo, senza rivolgere a Dio il nostro pensiero. Abbiamo bisogno di una Parola che ci accompagni, ci consoli e ci incoraggi. Ne abbiamo bisogno come l’aria che respiriamo.

“Vi ho detto questo perché abbiate pace in me. Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!” (Gv 16,33).

Ci troviamo alla vigilia della passione di Gesù. Egli rivolge queste parole ai suoi discepoli, che di lì a poco saranno sballottati come in una tempesta di fronte alla Sua morte. Saranno presi dal panico, si disperderanno e fuggiranno, come pecore senza pastore.

Ma questa ultima parola di Gesù è un incoraggiamento. Non dice che vincerà, ma che ha già vinto. Anche nel dramma che verrà, i discepoli potranno avere pace. Non si tratta di una pace irenica campata in aria, né di rassegnazione al fatto che il mondo è malvagio e che non possiamo fare nulla per cambiarlo. Ma di avere la certezza che proprio dentro tutta questa malvagità, Gesù ha vinto. Nonostante il male che devasta il mondo, Gesù ha conseguito una vittoria, ha stabilito una nuova realtà, un nuovo ordine, che dopo la risurrezione sarà assunto dai discepoli rinati nello Spirito.

È sulla croce che Gesù ha vinto. Non con le armi, non con il potere politico, non con grandi mezzi, né imponendosi. La pace di cui parla non ha nulla a che fare con la vittoria sull’altro. Ha vinto il mondo, amandolo. È vero che sulla croce inizia una nuova realtà e un nuovo ordine, quello di chi dona la vita per amore. E con la Risurrezione e con il dono dello Spirito, quella realtà e quell’ordine appartengono ai suoi discepoli. A noi. La risposta di Dio alla domanda sul perché della sofferenza del giusto, non è una spiegazione, ma una Presenza. È Cristo sulla croce.

È su questo che si gioca la nostra fede oggi. Gesù in quel versetto parla giustamente di coraggio. Una pace così, un amore così, richiedono un grande coraggio.

Avere il coraggio dell’amore e della pace qui, oggi, significa non permettere che odio, vendetta, rabbia e dolore occupino tutto lo spazio del nostro cuore, dei nostri discorsi, del nostro pensare. Significa impegnarsi personalmente per la giustizia, essere capaci di affermare e denunciare la verità dolorosa delle ingiustizie e del male che ci circonda, senza però che questo inquini le nostre relazioni. Significa impegnarsi, essere convinti che valga ancora la pena di fare tutto il possibile per la pace, la giustizia, l’uguaglianza e la riconciliazione. Il nostro parlare non deve essere pieno di morte e porte chiuse. Al contrario, le nostre parole devono essere creative, dare vita, creare prospettive, aprire orizzonti.

Ci vuole coraggio per essere capaci di chiedere giustizia senza spargere odio. Ci vuole coraggio per domandare misericordia, rifiutare l’oppressione, promuovere uguaglianza senza pretendere l’uniformità, mantenendosi liberi. Ci vuole coraggio oggi, anche nella nostra diocesi e nelle nostre comunità, per mantenere l’unità, sentirsi uniti l’uno all’altro, pur nelle diversità delle nostre opinioni, delle nostre sensibilità e visioni.

Io voglio, noi vogliamo essere parte di questo nuovo ordine inaugurato da Cristo. Vogliamo chiedere a Dio quel coraggio. Vogliamo essere vittoriosi sul mondo, assumendo su di noi quella stessa Croce, che è anche nostra, fatta di dolore e di amore, di verità e di paura, di ingiustizia e di dono, di grido e di perdono.

Prego per tutti noi, e in particolare per la piccola comunità di Gaza, che più di tutte sta soffrendo. In particolare, il nostro pensiero va ai 18 fratelli e sorelle periti recentemente, e alle loro famiglie, che conosciamo personalmente. Il loro dolore è grande, eppure, ogni giorno di più mi rendo conto che loro sono in pace. Spaventati, scossi, sconvolti, ma con la pace nel cuore. Siamo tutti con loro, nella preghiera e nella solidarietà concreta, ringraziandoli della loro bella testimonianza.

Preghiamo infine per tutte le vittime innocenti. La sofferenza degli innocenti davanti a Dio ha un valore prezioso e redentivo, perché si unisce alla sofferenza redentrice di Cristo. Che la loro sofferenza avvicini sempre di più la pace!

Ci stiamo avvicinando alla solennità della Regina di Palestina, la patrona della nostra diocesi. Quel santuario fu eretto in un altro periodo di guerra, e fu scelto come luogo speciale per pregare per la pace. In quei giorni riconsacreremo nuovamente la nostra Chiesa e la nostra terra alla Regina di Palestina! Chiedo a tutte le chiese nel mondo di unirsi al Santo Padre e a noi nella preghiera, e nella ricerca di giustizia e pace.

Non potremo quest’anno ritrovarci tutti, perché la situazione non lo permette. Ma sono certo che tutta la diocesi sarà unita in quel giorno per pregare unita e solidale per la pace, non quella del mondo, ma quella che ci dona Cristo.

Con l’augurio di ogni bene,

†Pierbattista Card. Pizzaballa

Patriarca di Gerusalemme dei Latini

 https://www.lpj.org/it/posts/letter-to-the-entire-diocese.html

lunedì 16 maggio 2022

Dichiarazione dei Patriarchi di Gerusalemme sulle violenze israeliane durante il funerale di Shireen Abu Aqleh


Noi, il Patriarca greco di Gerusalemme, il Patriarca latino di Gerusalemme, i Vescovi e i fedeli delle Chiese cristiane in Terra Santa, condanniamo la violenta intrusione della polizia israeliana nel corteo funebre della giornalista uccisa Shireen Abu Akleh, mentre si recava dall'ospedale San Giuseppe alla chiesa cattedrale greco-melchita.

La Polizia ha fatto irruzione in un istituto sanitario cristiano, mancando di rispetto alla Chiesa, all'istituto sanitario, alla memoria del defunto e costringendo i portatori della bara a lasciarla quasi cadere.

L'invasione e l'uso sproporzionato della forza da parte della polizia israeliana, che ha attaccato i fedeli in lutto, li ha colpiti con manganelli, ha usato granate fumogene, ha sparato proiettili di gomma, ha spaventato i pazienti dell'ospedale; è stata una grave violazione delle norme e dei regolamenti internazionali, compreso il diritto umano fondamentale della libertà di religione, che deve essere osservato anche in uno spazio pubblico.

L'Ospedale St. Joseph è sempre stato orgogliosamente un luogo di incontro e di guarigione per tutti, indipendentemente dalla loro appartenenza religiosa o culturale, e intende continuare a esserlo. Quanto accaduto venerdì scorso ha ferito profondamente non solo la comunità cristiana, le Suore di San Giuseppe dell'Apparizione, proprietarie dell'Ospedale, e tutto il personale ospedaliero, ma anche tutte le persone che in quel luogo hanno trovato e trovano tuttora pace e ospitalità.

Le Suore e il personale dell'Ospedale San Giuseppe hanno sempre fatto sì che il loro Istituto fosse un luogo di cura e di guarigione e il deplorevole episodio di venerdì scorso rende questo impegno ancora più forte che mai.

Gerusalemme, Ospedale San Giuseppe, 16 maggio 2022

mercoledì 23 giugno 2021

Nella “Giornata della Pace per l’Oriente”, consacrazione del Medio Oriente alla Sacra Famiglia

In occasione della celebrazione del 130° anniversario della Rerum Novarum, l'enciclica emanata da Papa Leone XIII il 15 maggio 1891 sui “Diritti e doveri del capitale e del lavoro”; il Comitato Episcopale “Giustizia e Pace”, che emana dal Consiglio dei Patriarchi Cattolici del Medio Oriente, ha lanciato l’iniziativa della celebrazione annuale di una S. Messa durante una giornata che si chiamerà “Giornata della Pace per l'Oriente”, e che quest'anno sarà domenica 27 giugno 2021, alle ore 10:00.

Si è deciso di celebrare una S. Messa in ciascuno dei Paesi appartenenti al Consiglio dei Patriarchi Cattolici del Medio Oriente, e pertanto tutti i Patriarchi e i Vescovi sono invitati a partecipare a questa intensa celebrazione, e ad essere insieme, in profonda comunione di preghiera, in questo giorno benedetto.

In occasione dell'Anno di San Giuseppe, si procederà anche alla consacrazione del Medio Oriente alla Sacra Famiglia, e per questo sarà inserito un gesto speciale nella Messa che sarà celebrata nella Basilica dell'Annunciazione a Nazareth domenica 27 giugno 2021, alle ore 10.00, con la partecipazione di tutti gli Ordinari di Terra Santa. Benediremo un'Icona della Sacra Famiglia, appositamente dipinta e intarsiata con le reliquie della stessa Basilica dell'Annunciazione. L'icona rappresenta la Sacra Famiglia di Nazareth, che riposa sopra l'altare della chiesa di San Giuseppe, a Nazareth, dove, secondo la tradizione, si trovava la casa del Falegname.

Una volta benedetta, l'Icona sarà portata in pellegrinaggio, partendo dal Libano, verso i paesi dell'Oriente, fino al suo arrivo a Roma verso la fine dell'anno di San Giuseppe, l'8 dicembre 2021.  Da Roma, l'Icona farà il suo viaggio di ritorno in Terra Santa dove rimarrà. Anche a Roma il Santo Padre Papa Francesco impartirà la sua speciale Benedizione Apostolica per la “Giornata della Pace per l'Oriente”.

Siete tutti invitati così a partecipare con la vostra presenza e, se non è possibile, con la vostra comunione con noi nella preghiera, ciascuno dalla propria Parrocchia o convento, per implorare la Misericordia di Dio e la sua Pace su questo amato Medio Oriente, dove la fede cristiana è nata ed è ancora viva, nonostante le sofferenze."

Vostro in Cristo,

† Pierbattista Pizzaballa, Patriarca latino di Gerusalemme

Atto di Consacrazione dell'Oriente alla Sacra Famiglia

"Ricorriamo alla tua protezione, o Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, in mezzo alle crisi politiche ed economiche che si sono abbattute su di noi qui in Medio Oriente.

Ricorriamo alla tua protezione, o Santa Famiglia, Gesù, Maria e Giuseppe, in mezzo alle ripercussioni della pandemia di Covid, che ha creato una situazione di instabilità, di paura e di ansia.

Alla tua protezione ricorriamo, o Famiglia di Nazareth, che hai sperimentato ogni difficoltà con fede, speranza e amore, per consacrare a Te tutto il nostro Oriente e i nostri Paesi, e affidarTi le nostre vite e le terre in cui siamo nati, le nostre paure e le nostre speranze, i nostri giovani e le nostre famiglie, perché ogni famiglia diventi chiesa domestica e scuola di santità.

O Santa Famiglia, chiedi a Dio per il Medio Oriente la grazia di uscire da questa situazione difficile e di ottenere il ritorno della pace e della stabilità, affinché i suoi abitanti possano vivere con eguali diritti e doveri, e godere di una vita libera e dignitosa, indipendentemente dalla loro appartenenza religiosa e dalla loro identità nazionale.

O Santa Famiglia, il tuo sguardo tenero sia su di noi, sulle nostre famiglie e sui nostri Paesi, perché possiamo aprirci ai segni della presenza di Dio come Tu Ti sei aperta a Lui con assoluta fedeltà, perché i nostri cuori si schiudano gli uni agli altri e alle dimensioni del mondo intero, così da divenire tutti un'unica famiglia, che vive nella pace, nell’amore e nell’armonia.

Con sant'Efrem, ti preghiamo, o Signore: rendi piena la riconciliazione tra i popoli del nostro tempo, perché siano veramente un solo popolo. Raccogli nel Tuo Seno i tuoi figli, perché rendano grazie per la tua bontà. Se tutti i figli della luce fossero uniti, i loro raggi tutti insieme eliminerebbero le tenebre, con la forza della loro unità.

Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, riponiamo con fiducia nelle Tue mani questa nostra preghiera e la consacrazione del nostro Oriente. Siano rese grazie e lode alla Santissima Trinità, ora e sempre. Amen."

https://www.lpj.org/it/posts/nuova-iniziativa-giornata-della-pace-per-l-oriente-con-la-celebrazione-annuale-di-una-s-messa.html?s_cat=1102

martedì 27 giugno 2017

mons. Pizzaballa, “a salvare i cristiani sarà la loro testimonianza”.


di Daniele Rocchi, 27 giugno 2017

Siamo in un periodo di cambiamenti epocali. Non sappiamo come sarà il Medio Oriente del futuro. In Terra Santa la situazione è bloccata, non ci sono negoziati in corso ma solo la politica dei fatti compiuti sul terreno. Da una parte, Israele che si sente il più forte e, dall’altra, i palestinesi, deboli e divisi. L’Isis fisicamente non è presente in Terra Santa, lo è invece la sua ideologia estremista. Cresce l’estremismo anche tra gli ebrei e cresce la preoccupazione tra le minoranze, soprattutto tra i cristiani”. Ad un anno dalla sua nomina, 24 giugno 2016, ad amministratore apostolico del Patriarcato latino di Gerusalemme, mons. Pierbattista Pizzaballa, già custode di Terra Santa, traccia un bilancio del suo mandato allargando lo sguardo a tutto il Medio Oriente e lanciando un appello a oltre 200 giornalisti cattolici riuniti nei giorni scorsi in un meeting nazionale a Grottammare 

Il Medio Oriente – dice mons. Pizzaballa – non sarà più lo stesso. Ci vorranno generazioni per ricostruire le infrastrutture ma soprattutto un tessuto sociale stabile e solido. La guerra in Siria e in Iraq ha fatto saltare tutto, compresi i rapporti tra le diverse comunità. Città come Aleppo, in Siria, i villaggi cristiani della Piani di Ninive, un tempo occupati da Isis, sono in larga parte distrutti. A Betlemme, nel 2016, sono emigrate circa 130 famiglie cristiane, 500 persone, tutte con figli in cerca di un futuro migliore”.

Mons. Pizzaballa, qual è oggi il tratto più distintivo delle comunità cristiane mediorientali?
La grande testimonianza. È vero, molti sono partiti, ma chi è rimasto testimonia la sua fede non nel chiuso della propria casa ma aiutando anziani, bambini, disabili, rifugiati, incontrandosi per pregare. Sono rimasto colpito dai giovani cristiani di Aleppo, che a sprezzo del pericolo distribuivano acqua a chi aveva bisogno, ricordo famiglie cristiane di villaggi siriani controllati da Al Nusra, che, ben sapendo che nell’islam l’alcool è bandito, nascondevano il vino per la messa nelle case per poter celebrare la messa. E come non citare il grande impegno dei cristiani di Giordania e Libano nell’accoglienza dei rifugiati di Siria e Iraq. In Israele oggi vivono 125mila cristiani, 11mila abitano a Gerusalemme, in Palestina appena 40mila. Questi sono i numeri. Tuttavia sono convinto che
il cristianesimo in Medio Oriente non sparirà. La nostra forza non è nei numeri ma nella testimonianza.

Da un anno è amministratore apostolico del Patriarcato Latino di Gerusalemme, quale bilancio può tracciare e quanto pensa potrà durare ancora il suo incarico?
È stato un anno molto difficile.
Stiamo vivendo un tempo di transizione ed è impensabile credere che le crisi epocali che stanno segnando il Medio Oriente non tocchino anche la Chiesa. Non c’è una Chiesa in tutto il Medio Oriente che sia in ordine.
E non parlo solo di quelle cattoliche. Per quanto mi riguarda i problemi del Patriarcato latino sono di due generi: di vita ecclesiastica interna e di tipo economico, debiti tanto per essere chiari. In questo primo anno ho lavorato molto con i preti incontrandoli, uno ad uno, nelle loro case, per capire e ascoltare. Nei giorni scorsi due terzi dei sacerdoti sono stati spostati, vescovi inclusi. Ora, dopo un anno, le tensioni si sono sciolte. La sfida è andare avanti in questa direzione e pagare i debiti. Nessuno ci darà i soldi pertanto dovremo vendere alcuni “asset”. Ne verremo a capo certamente. Quanto durerà il mio incarico? Non ne ho idea. La figura di amministratore non può durare in eterno. Ho fatto un anno, forse ne prevedo un altro. Il mio compito è preparare le condizioni perché il futuro Patriarca possa operare in un contesto interno di serenità.

La stessa serenità che manca a tutta la Terra Santa a causa del conflitto ancora aperto, per non parlare del muro di separazione, dell’occupazione militare, delle colonie. La tanto auspicata soluzione “Due popoli, due Stati” è forse tramontata?
Per quanto riguarda il negoziato siamo molto lontani da questo obiettivo. Come cristiani dobbiamo tenere viva l’attenzione sulla necessità del dialogo. Tecnicamente la Soluzione “due popoli due stati” è molto complicata, ma non vedo alternative possibili.
Il muro è una ferita profonda nella storia, nella geografia e nella vita del Paese.
Oggi non se ne parla più anche nell’opinione pubblica. Sembra quasi digerito. Ma non dobbiamo continuare a fingere che la ferita non ci sia. Il nostro compito è quello di parlarne, in maniera chiara e rispettosa, non faziosa. Le colonie e i confini sono un problema, insieme allo status di Gerusalemme. La versione definitiva dei confini tra i due Stati e la rimozione (o meno) delle colonie è uno degli argomenti più dolorosi della crisi poiché influisce sulla vita dei territori in modo pesante soprattutto sui palestinesi. Qualunque Governo farà molta fatica a cambiare la situazione sul territorio anche per i costi, umani, sociali, economici. Tutto ciò rende lontana una prospettiva futura stabile.

Gerusalemme: la Città Santa sta subendo una progressiva ebraicizzazione. Si tratta di un nodo difficile da sciogliere che non può vedere i cristiani fare solo da testimoni…
Il futuro di Gerusalemme viene deciso oggi: chi compra decide.
Se compreranno i musulmani ci saranno musulmani, se comprano gli ebrei ci saranno ebrei, difficile che ci saranno cristiani. Non abbiamo le possibilità e le risorse per competere in questo contesto. A suo tempo come Custodia ci spendemmo molto per edificare 80 appartamenti, permessi, burocrazia lenta, ostacoli di ogni tipo. Oggi con un decreto se ne costruiscono 8.000. Ma è fuori discussione che il carattere di Gerusalemme è universale. La città deve garantire costituzionalmente libertà di accesso, di movimento, di azione, di espressione a tutte le comunità, a prescindere dai loro numeri.

Gerusalemme, città aperta?
Certamente. Non spetta alla Chiesa, alla Santa Sede, stabilire i confini. Su questo devono mettersi d’accordo le parti in lotta. Noi abbiamo il dovere di dire i criteri per definire l’assetto futuro della città. I criteri sono che tutti hanno uguale cittadinanza.
Ciò significa avere tutti gli stessi diritti. Quando si parla del futuro di Gerusalemme i riferimenti sono solo a ebrei e musulmani, i cristiani non sono tenuti molto presenti. Vero anche che negli ultimi 15-20 anni non ricordo un solo discorso della Chiesa cattolica su Gerusalemme. Protestanti e ortodossi sono molto più presenti di noi nel dibattere la questione della Città Santa. Sarebbe importante invece dire una parola a riguardo.

Che impatto avrebbe sulla situazione l’eventuale scelta di Trump di trasferire l’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme?
Sarebbe come mettere un cerino dentro una tanica di benzina.

Prima invocava il tema della cittadinanza come uno dei criteri per definire gli assetti futuri di Gerusalemme. Per quale motivo?
È la sfida del futuro. La comunità internazionale deve prestare molta attenzione a questo tema soprattutto adesso, preoccupandosi non solo del business della ricostruzione del Medio Oriente ma anche di far sì che si ricostruiscano Legislazioni e Costituzioni.
Il diritto di cittadinanza è determinante, per questo, credo che gli aiuti debbano essere condizionati al suo rispetto: tutti i cittadini sono uguali.
Non si creino riserve indiane per cristiani, sunniti, sciiti, yazidi, curdi e via dicendo. Il modello di convivenza in Medio Oriente, basato su identità tra fede e comunità, oggi è fallito. La convivenza deve basarsi su altre prospettive. Il tema è la cittadinanza e non la laicità positiva che non esiste in Medio Oriente.
Cittadini, curdi, yazidi, cristiani, sunniti, sciti, turcomanni, tutti con gli stessi diritti, libertà di coscienza in primis. Ricostruire il Medio Oriente senza inquadrare questi aspetti sarebbe un fallimento e l’anticamera delle crisi future. Su questo noi cristiani dobbiamo lavorare e insistere. La presenza cristiana obbliga tutte le società in Medio Oriente, e le relative maggioranze islamiche, a interrogarsi su questo aspetto da una prospettiva diversa che non è quella musulmana.

Come sono invece i rapporti tra la Chiesa e Israele?
Ci sono due aspetti da considerare: quello del negoziato tra Stato di Israele e Santa Sede e quello della vita ordinaria della Chiesa locale.
Circa il concordato che definirà dal punto di vista legale il futuro della Chiesa in Israele, esso è in dirittura d’arrivo. La firma potrebbe arrivare entro quest’anno. Poi bisognerà interpretare l’accordo.
Per quel che riguarda la vita ordinaria della Chiesa locale non c’è alcun atteggiamento di Israele. Praticamente non esistiamo. Guardiamo alle scuole: si concedono contributi agli istituti privati meno che a quelli cristiani e, comunque sia, sempre in misura minore che in passato. Come cristiani dobbiamo essere più presenti nel territorio, non possiamo solo lamentarci.
Compito della Chiesa è costruire relazioni sempre più positive con Israele per far capire che siamo una realtà del territorio con cui devono fare i conti. Purtroppo molto spesso le scelte che vengono fatte non ci tengono in nessuna considerazione.

Da tempo i pellegrinaggi sono in calo, complici anche le tensioni in Medio Oriente che allungano ombre sulla sicurezza dei fedeli. Cosa fare per rilanciarli?
La Terra Santa è sicura. I pellegrinaggi sono un sostegno ai cristiani locali perché portano lavoro. Sarebbe utile che i vescovi italiani prendessero a cuore il pellegrinaggio in Terra Santa magari lanciando una sorta di campagna nazionale come accadde nel 2000.

Oltre al pellegrinaggio quale altro strumento può rivelarsi utile per sostenere la Terra Santa e i suoi cristiani?
La comunicazione. Ai giornalisti dico: continuate a parlare di Gerusalemme e della Terra Santa, non solo attraverso la lente del conflitto e delle tensioni ma raccontando le cose belle che ci sono. Venite in Terra Santa.
Non c’è evangelizzazione senza comunicazione. E l’evangelizzazione non può prescindere da Gerusalemme.
Non si può parlare di Cristo senza parlare dei Luoghi dove ha vissuto e dove la sua comunità ne custodisce la memoria. Mostrate che in ogni situazione, anche la peggiore, c’è sempre una luce, per quanto piccola, da cui ripartire.
Raccontate le occasioni di incontro, di dialogo, che in un contesto così drammatico dimostrano che non è tutto odio, rancore, guerra e armi.

https://agensir.it/mondo/2017/06/27/medio-oriente-mons-pizzaballa-a-salvare-i-cristiani-sara-la-loro-testimonianza-a-gerusalemme-fondamentale-il-diritto-di-cittadinanza/