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domenica 21 aprile 2024

LIBANO: si vogliono riattizzare i conflitti settari?

 Agenzia FIDES

 Esiste un tentativo di destabilizzare il Libano, riattizzando conflitti settari? È quanto ci si chiede nel Paese dei Cedri dopo alcuni fatti di cronaca che hanno alzato la tensione locale mentre tutta la regione mediorientale è segnata dal conflitto a Gaza e dal lancio di centinaia di ordigni verso Israele da parte dell’Iran e dei suoi alleati regionali [ a seguito del raid aereo di Israele -dell' 1 aprile- sul consolato iraniano a Damasco che ha ucciso almeno 11 persone tra cui il generale Mohammad Reza Zahedi e altri ufficiali delle Forze Quds. NDR 

L’uccisione di Pascal Sleiman, coordinatore a Jbeil (Byblos) delle Forze Libanesi, è stato attribuito a una “gang siriana” di ladri di automobili .
Durante l'interrogatorio, i rapitori hanno affermato di aver agito per rubare l'auto di Sleiman. Tuttavia, le loro confessioni sono state subito ritenute false, poiché hanno abbandonato il veicolo e trasportato il corpo di Sleiman in Siria dopo che era morto a causa delle ferite riportate. Secondo i media siriani, questi ultimi hanno attraversato il confine siriano attraverso valichi non autorizzati, entrando in un'area controllata da Hezbollah. Questi eventi hanno sollevato numerose domande sulle motivazioni dell'operazione e sui suoi sponsor.
Si teme che gli eventuali ignoti sponsor dell’operazione abbiano voluto da un lato, avviare una guerra tra cristiani e musulmani accusando potenti forze locali di essere dietro il crimine e, dall’altro, seminare discordia tra cristiani e siriani. Ricordiamo che il Libano accoglie circa 1 milione e mezzo di rifugiati siriani in fuga dalla guerra civile scoppiata nel loro Paese nel 2011. Una presenza non sempre ben vista dalla popolazione libanese, piagata dalla crisi economico-finanziaria. 

Sempre il 9 aprile, Mohammad Ibrahim Srour, un cambiavalute libanese, sanzionato dalle autorità statunitensi con l’accusa di aver trasferito fondi ad Hamas per conto dei Guardiani della Rivoluzione dell’Iran, è stato ritrovato morto in una villa nel villaggio di Beit Meri ad est di Beirut. Secondo la sua famiglia, Srour era scomparso da una settimana prima che il suo cadavere fosse ritrovato colpito da diversi proiettili e con segni di tortura. Le autorità libanesi accusano il Mossad, il servizio segreto israeliano, del crimine, che sarebbe stato materialmente commesso da agenti mercenari siriani e libanesi. 

A tutto questo si aggiungono una serie di attacchi contro la sede del Partito social nazionalista siriano (SSNP) a Jdita, nella regione della Bekaa. I colpevoli hanno lasciato sulla scena una bandiera della Forze Libanesi, alimentando così le tensioni ed esacerbando le divisioni settarie, alimentate sui social network da schiere di troll e di provocatori. 

Agenzia Fides 16/4/2024

domenica 14 aprile 2024

In Libano e Siria concerti d’organo di primavera

 Terrasanta.net,  11 aprile 2024

Dal 12 aprile al primo maggio 2024, il Terra Sancta Organ Festival presenta diciannove concerti in Libano e Siria. Organizzato dalla Custodia di Terra Santa come contributo artistico alla cultura dei paesi dove essa è presente (Israele, Palestina, Giordania, Libano, Siria, Grecia, Cipro, Egitto), dal 2014 il Terra Sancta Organ Festival è spesso l’unica occasione per ascoltare il repertorio del più grande degli strumenti musicali nel Medio Oriente e nel Levante. Tutte le informazioni si possono trovare sul sito istituzionale del Festival, collegato anche a un canale YouTube con 275 video.

Il festival assume denominazioni diverse a seconda dei luoghi e dei partner, pur presentandosi con la propria denominazione in un unico cartellone generale. In Libano i concerti sono organizzati insieme alla Notre Dame University e danno luogo alla nona Settimana organistica libanese (Sol Festival) con la collaborazione dell’Istituto Italiano di Cultura di Beirut e il supporto delle ambasciate dei Paesi di provenienza dei musicisti esteri (quest’anno Germania, Spagna, oltre all’Italia). In Libano si terranno dieci concerti dal 12 al 21 aprile, percorrendo il Paese in tutta la sua estensione, da nord a sud, da Tripoli a Tiro attraverso il Monte Libano, Beirut e fino alla valle della Beqaa. Il programma prevede un concerto per organo con la Lebanese Philharmonic Orchestra, uno con organo ed ensemble vocale, due concerti con improvvisazione su film muto, una performance di cross-art con piano preparato, organo, poesia e live painting, tre concerti di musica da camera e due recital per organo solo. 

Il programma completo si può consultare sul sito Internet dedicato.

 

 In Siria, dove si vuole anche essere vicini ai musicisti locali e in solidarietà con la popolazione che soffre per un duro embargo internazionale, il festival prende il nome di Organ & Music Festival Syria ed è organizzato in collaborazione con la Damascus Opera House e l’Higher Institute of Music

Oltre che alla Damascus Opera House e al Conservatorio Nazionale, i concerti avranno luogo in chiese di Damasco, Aleppo e Latakia. I musicisti esteri provengono dall’Italia, dalla Spagna e dall’Austria. Nel programma spiccano il concerto per organo con la Syrian National Symphony Orchestra, due concerti con improvvisazione su film muto, una performance di cross-art con piano preparato, organo, danza e percussioni, altre formazioni cameristiche e due saggi delle master class.

giovedì 11 aprile 2024

La guerra rende oscuro anche il futuro dei cristiani nella Terra di Gesù

Padre Ibrahim Faltas

FIDES, 9 aprile 2024

Se si vuole vedere l’Inferno - ha detto il Vescovo siriano Jacques Mourad all’inizio dell’ultima guerra di Gaza - oggi occorre andare in Terra Santa, dove le stragi di innocenti sono diventate sterminio.
I cristiani a Gaza, Cisgiordania e Israele soffrono con i compagni di cammino e di destino appartenenti a altre comunità di fede. E la guerra - racconta all’Agenzia Fides il francescano egiziano Ibrahim Faltas, Vicario della Custodia di Terra Santa - getta anche nuove ombre sulla permanenza futura delle comunità di battezzati nella terra di Gesù. Una umanità ferita che nel tempo della prova – ripete padre Ibrahim – dona la testimonianza della propria fede mendicante, anche nei gesti semplici di condivisione del dolore e della sofferenza.

Padre Ibrahim, le comunità cristiane di Terra Santa come stanno vivendo questo momento buio?

IBRAHIM FALTAS: Le comunità cristiane di Terra Santa stanno vivendo male. La guerra è sempre una sconfitta, come dice Papa Francesco, e per i cristiani che in Terra Santa sono una minoranza, diventa una tragedia veramente difficile da affrontare.
A Gaza, circa ottocento cristiani hanno trovato rifugio nella parrocchia della Sacra Famiglia, altri duecento nella chiesa greco ortodossa. Tanti sono morti, i sopravvissuti hanno perso tutto. Devono condividere gli stessi spazi per tutte le necessità e manca il cibo, l’acqua, le medicine. Qualche giorno fa mi ha colpito il sorriso del vice parroco che ha mostrato una mela rossa, il primo frutto rivisto dopo sei mesi di guerra e che lui ha condiviso con altri parrocchiani.

Cosa accade in Cisgiordania e Israele?

FALTAS: In Cisgiordania i cristiani, impegnati soprattutto nel turismo, non hanno lavoro per la mancanza di pellegrinaggi. Non vedono futuro per le loro famiglie e in tanti vorrebbero lasciare la Terra Santa. Anche in Israele, le comunità cristiane vivono e subiscono le conseguenze della guerra. Anche al nord, a Nazareth e in Galilea, sono molto vicini ad un altro fronte di guerra. Tutti i cristiani di Terra Santa stanno comunque testimoniando la loro fede in modo esemplare.

In che modo le comunità cristiane di Israele e Cisgiordania sono in contatto con fratelli e sorelle di Gaza?

FALTAS. Purtroppo le comunità cristiane di Terra Santa non possono avere contatti fra di loro, nonostante la vicinanza fisica di questi luoghi. Subivano già prima della guerra tante limitazioni e da sei mesi è impossibile pensare ad iniziative che possano dare sostegno a Gaza. Grazie a Dio la tecnologia ha dato la possibilità di poter avere notizie reciproche e di potersi sostenere nella preghiera.

Israele ha detto che obiettivo di guerra era “eliminare Hamas”. Quello che sta succedendo è giustificabile come “effetto collaterale” per raggiungere quello scopo?

FALTAS: Non posso fare un’analisi politica di questa guerra ma, come tutti, vedo le conseguenze di questa assurdità. I bambini, come tutti i bambini del mondo, sono le prime vittime di queste atrocità. Migliaia hanno perso la vita, migliaia sono ancora sotto le macerie, migliaia hanno subito gravi amputazioni e migliaia porteranno a vita i segni fisici e morali della guerra. Chi cancellerà i traumi psicologici dei bambini, di tutti i bambini, senza distinzione di nazionalità e di credo religioso? Un segno importante è l'accoglienza per la cura negli ospedali italiani di tanti bambini di Gaza. Da gennaio sono arrivate in Italia circa 160 persone, bambini e accompagnatori, e di questo occorre ringraziare di cuore la generosità del popolo italiano.

Cosa sta succedendo a Gerusalemme?

FALTAS: A Gerusalemme abbiamo vissuto una Santa Pasqua senza pellegrini e senza i cristiani della Cisgiordania che non hanno avuto i permessi per uscire e per partecipare alle celebrazioni pasquali nella Città Santa. Il clima è triste e sta venendo meno la speranza. I cristiani, soprattutto in Cisgiordania, subiscono tante limitazioni e anche la mancanza di lavoro è veramente fonte di grande preoccupazione. Colpisce soprattutto la sfiducia nel futuro dei giovani, la tristezza di non poter costruire la loro vita nella Terra in cui sono nati.

Come vengono percepiti i discorsi del Papa sulla guerra e le richieste di cessate il fuoco?

FALTAS: Gli appelli di Papa Francesco sostengono e danno forza ai cristiani di Terra Santa e, credetemi, non solo ai cristiani. Lui è stato il primo e, per molto tempo, l’unico a chiedere il cessate il fuoco. È un uomo di pace e soffre tanto per la guerra. Quando l’ho incontrato ho sentito e ho visto la sua sofferenza, nelle parole e negli occhi. Nella lettera che ha inviato ai cristiani di Terra Santa per la Santa Pasqua, traspare la tenerezza di un padre buono che soffre per i suoi figli. Spero che i potenti della terra accolgano concretamente i suoi appelli che chiedono pace, verità e giustizia.

Lei come valuta le scelte e le mosse della comunità internazionale davanti alla guerra a Gaza?

FALTAS: Non sono un analista politico ma vivo in Terra Santa da trentacinque anni e posso dire di conoscere bene la situazione. Da anni ritengo che sia necessario un intervento della comunità internazionale per cercare di portare equilibri di pace in questa parte del mondo così bisognosa di pace. La guerra ha portato distruzione, morte, sofferenza a Gaza e non solo a Gaza. Solo con l’intervento reale e concreto della comunità internazionale si potrà tornare a negoziare. Nonostante le recenti risoluzioni per il cessate il fuoco, non vedo ancora possibilità vicina di una soluzione definitiva di questa guerra devastante.

In mezzo a tanta distruzione, quali testimonianze di fede che l’hanno colpita di più?

FALTAS: Il Signore è grande e misericordioso e sostiene questa umanità ferita. Lo vedo negli occhi dei bambini e degli indifesi di questa martoriata Terra Santa. Lo vedo nei gesti semplici di condivisione del dolore e della sofferenza. È questa la forza della fede dei cristiani di Terra Santa. La loro vita qui è una continua testimonianza, e si deve continuare a sostenerli. 

Agenzia Fides  9/4/2024

mercoledì 3 aprile 2024

Il Vicario apostolico di Aleppo mons Jallouf: 'Israele ha superato ogni linea rossa nella nostra Siria dimenticata'

Da  AsiaNews 

Attacchi “mortali” che rischiano di far precipitare la situazione in un quadro di bisogni enormi e crescenti, per una realtà dimenticata in cui “le persone sono alla continua ricerca di un pezzo di pane, del carburante, di ogni genere di medicine per risolvere anche il minimo problema”. Ad AsiaNews mons. Samir Nassar, arcivescovo maronita di Damasco, non nasconde in poche battute la grande preoccupazione legata   all’attacco  dell’esercito israeliano (sebbene non confermato ufficialmente dai vertici Idf) di ieri nella capitale che ha causato almeno 11 vittime. Nel mirino il generale Mohammad Reza Zahedi, comandante delle forze speciali Quds delle Guardie della rivoluzione islamica, responsabile del rifornimento di armi alle milizie Hezbollah in Libano, e il suo vice Mohammad Hadi Hajriahimi. I due alti ufficiali (Zahedi era uno dei fedelissimi della guida suprema Ali Khamenei) sono stati uccisi dai missili israeliani che hanno colpito, una prima assoluta anche nel controverso quadro regionale, la rappresentanza diplomatica iraniana in Siria. 

Damasco e Aleppo nel mirino

Secondo quanto riferito dal ministero siriano della Difesa, i caccia con la stella di David hanno centrato il consolato iraniano, situato nel quartiere occidentale di Mezzeh, dalla direzione delle alture occupate del Golan intorno alle 17 ora locale. Le difese aeree siriane hanno abbattuto alcuni missili, ma altri sono riusciti a superare lo sbarramento di difesa e “hanno distrutto l’intero edificio, uccidendo e ferendo le persone all'interno”. Nei giorni scorsi Israele aveva già colpito in Siria, prendendo di mira il nord come conferma mons. Hanna Jallouf, francescano, dai primi di luglio vicario apostolico di Aleppo. “Anche qui abbiamo contato 35 morti - spiega ad AsiaNews - in un attacco che sembra essere stato coordinato con ribelli e terroristi che controllano Idlib. Per molti aspetti è parsa una operazione congiunta fra Israele e ribelli, perché ai missili israeliani è seguita l’offensiva dei miliziani e questo è un elemento che è fonte di ulteriore preoccupazione”. 

Di certo vi è che i raid degli ultimi giorni hanno riportato i riflettori della comunità internazionale sulla Siria, su un conflitto che si protrae ormai da oltre 13 anni e dai più “dimenticato” come ha sottolineato papa Francesco la domenica di Pasqua. “Davvero, dopo tutti questi anni - riprende mons. Jallouf - il mondo sembra essersi scordato della Siria, ma qui esiste ancora una guerra, e a questa si sommano le devastazioni provocate dal terremoto [del 6 febbraio 2023]. Ringraziamo il pontefice per aver riportato l’attenzione sulla Siria, perché ritornino pace e prosperità”. Il bombardamento di ieri è una delle centinaia di operazioni compiute da Israele in Siria, la maggior parte delle quali mai rivendicate né confermate anche se la matrice appare chiara e lo stesso governo dello Stato ebraico poco ha fatto per nasconderle. “Adesso vi è molta più paura - ammette il vicario di Aleppo - perché è la prima volta che Israele attacca un’ambasciata straniera, territorio per definizione protetto dalle convenzioni internazionali, superando tutte le linee rosse. Il timore è che vada avanti, innescando reazioni e conseguenze ancora più gravi. Nemmeno i terroristi  avevano mai colpito rappresentanze diplomatiche, in quello che sembra essere un diversivo per coprire le atrocità a Gaza. Preghiamo, col papa, perché tacciano le armi e non vi sia una escalation che travolga anche il Libano e, a cascata, sfoci in una guerra regionale e mondiale”. 

Vittime innocenti

Le parole del prelato trovano conferma nelle cronache delle ultime ore provenienti dalla Striscia: all’attacco di ieri a Damasco, infatti, è seguita qualche ora più tardi la notizia dell’uccisione di almeno sette operatori umanitari dell’ong World Central Kitchen fondata dallo chef stellato José Andres che, in risposta, ha deciso di sospendere le attività nella Striscia. Commentando il raid dell’esercito israeliano Idf contro l’ong lo stesso Andres, famoso negli Stati Uniti non solo per la propria attività commerciale ma per le molte iniziative benefiche nel mondo, ha invocato la fine di “queste uccisioni indiscriminate” da parte della stessa Israele che utilizza “il cibo come arma da guerra”. Il team di Wck viaggiava a bordo di due auto blindate con tanto di logo e aveva coordinato i propri spostamenti coi militari israeliani; ciononostante, il convoglio è stato colpito “mentre lasciava il deposito di Deir al-Balah, dove il team aveva scaricato oltre 100 tonnellate di aiuti alimentari” arrivati a Gaza attraverso il corridoio marittimo da Cipro. 

Tornando all’attacco “senza precedenti su un edificio diplomatico” avvenuto ieri a Damasco, i vertici della Repubblica islamica hanno promesso di rispondere con una vendetta “della stessa grandezza e durezza” come ha sottolineato l’ambasciatore Hossein Akbari, rimasto illeso. Il ministero siriano della Difesa ha parlato di “attacchi” sferrati dal “nemico israeliano” provenienti “dal Golan siriano occupato”. Immediato e durissimo il commendo degli Hezbollah libanesi, che parlano di “crimine” che “non passerà senza che il nemico sia punito” nel novero di una “vendetta” a venire.

L’esercito israeliano non ha voluto commentare l’operazione, pur lasciando trapelare grande soddisfazione per il buon esito in un contesto di raid sempre più frequenti in territorio libanese e siriano dall’inizio della guerra a Gaza contro interessi iraniani. Una dura condanna arriva anche dall’Arabia Saudita, che parla di “rifiuto categorico” di attività che “prendono di mira strutture diplomatiche”. Pure gli Stati Uniti si sono smarcati sottolineando di non essere “coinvolti”, nel tentativo di scongiurare ritorsioni contro obiettivi e forze americane nell’area. Del resto in un precedente analogo, l’uccisione del generale iraniano Qassem Soleimani in un attacco con droni nel gennaio 2020 a Baghdad, la risposta di Teheran si era condensata in una serie di rappresaglie contro basi Usa in Iraq, senza provocare gravi perdite in termini di vite umane. 

Israele fra escalation e crisi

Quanto avvenuto ieri a Damasco rischia di incendiare ancor più un quadro di guerra e tensione, mentre nella Striscia continua la lunga scia di morte e distruzione che colpisce civili palestinesi e operatori umanitari. Un rischio di escalation dietro il quale vi è la stessa Israele che ha innalzato il livello di scontro sia sul fronte interno che oltre i confini nazionali colpendo basi di Hezbollah sempre più lontane dalla frontiera, nella valle della Beqa’ o in aree del nord. E, al contempo, bombardando i valichi fra Iraq e Siria in cui transitano i carichi di armi che la Repubblica islamica invia agli alleati libanesi. Dai confini nazionali giungono infine segnali preoccupanti a partire dall’approvazione alla Knesset, il Parlamento israeliano, della cosiddetta norma “anti al-Jazeera”. In base alla legge, votata prima della chiusura per ferie della Camera, il premier Benjamin Netanyahu - in ripresa dall’operazione all’ernia e pienamente operativo - avrà il potere di chiudere gli uffici, bloccare il sito web e confiscare le attrezzature dell’emittente.

Dietro il provvedimento vi sarebbero accuse - respinte dal network - di “minaccia diretta alla sicurezza nazionale” per alcune cronache sul conflitto in corso a Gaza. Per molti, invece, i racconti dei giornalisti del network qatariota sarebbero “fondamentali” per far denunciare le violenze in atto e che colpiscono anche i civili, ultima in ordine di tempo l’operazione “mirata” all’ospedale Shifa che avrebbe causato decine, se non centinaia di vittime. Da registrare anche il mancato voto sul servizio militare per gli studenti ultra-ortodossi, finora esentati per legge. Una sentenza della Corte suprema dei giorni scorsi ha stabilito che possono essere chiamati in servizio con cartoline di reclutamento, aprendo un nuovo fronte che forse più della guerra a Gaza e degli ostaggi nelle mani di Hamas, rischia di far cadere la coalizione di Netanyahu. Difatti gli ultimi numeri parlano di una maggioranza di quattro deputati; contando il voto contrario a una nuova legge pro-esenzione per gli haredim del ministro della Difesa Yoav Gallant, basterebbero tre franchi tiratori per arrivare a nuove elezioni come richiesto da una fetta sempre più consistente della società civile israeliana. 

   Dario Salvi