Un religioso racconta a ilGiornale.it i piani ribelli per
assetare il popolo assediato
Gian Micalessin - Mar, 10/06/2014 - 17:14
È una guerra crudele e spietata. È la guerra dell'acqua.
È scoppiata ai primi di maggio e da allora si riaccende a periodi alterni.
È l'ultima inutile e folle sofferenza imposta ai civili dai
ribelli jihadisti che assediano Aleppo. "Ai primi di giugno l'acqua
è incominciata a mancare di nuovo. Un mese fa, dopo lunghe trattative, i
ribelli avevano accettato di riaprire tubature e stazioni di pompaggio, ma
adesso è rincominciata. L'acqua manca già da otto giorni. E non sappiamo quanto
ritornerà", racconta in questo colloquio telefonico con ilGiornale.it
padre George, un religioso cristiano rimasto in questa città martoriata,
abitata - un tempo - da quasi due milioni e mezzo di siriani.
L'assedio ribelle iniziato nell'agosto del 2012 ha
trasformato Aleppo, un tempo il principale centro commerciale della Siria,
nell'anticamera dell'inferno. Da allora un milione di aleppini ha dovuto dire
addio alle proprie case minacciate da guerra e carestia. La periferia
orientale, roccaforte delle milizie al qaidiste di Al Nusra, si è trasformata
in una distesa macerie bersagliate dai bombardamenti dell'aviazione
governativa. Sui quartieri occidentali cadono invece i colpi di mortaio di
un'opposizione armata decisa a punire i civili rimasti nelle aree fedeli a Bashar
Assad. Ai primi di maggio i comandanti di Al Nusra - frustati per le
sconfitte subite ad Homs e in altre zone del paese - hanno progettato un'altra,
più crudele, forma di punizione collettiva. Il piano del gruppo jihadista
prevedeva il blocco selettivo di alcune stazioni di pompaggio in modo da
mantenere il flusso idrico nei quartieri occupati dagli insorti e ridurre alla
sete il versante governativo. Il progetto non teneva conto delle complesse
regole dei vasi comunicanti che regolano la distribuzione idrica in un
vasto centro urbano e così l'intera Aleppo, quartieri ribelli compresi, si è
ritrovata a secco. Ma il problema maggiore, come spiega padre George, è il
rischio di gravi epidemie. "Aleppo è una città antica e i vecchi pozzi
garantiscono l'accesso alle faglie idriche. Da più di un anno la nostra
comunità ha avviato un programma per la riapertura degli antichi pozzi dentro
alle chiese e nelle moschee. Ma quell'acqua non sempre è potabile di solito
viene usata per lavarsi e ripulire i vestiti. Quando un mese fa i ribelli hanno
tagliato l'acqua potabile molti hanno incominciato a dissetarsi con l'acqua dei
pozzi. E con quella stessa acqua stiamo sopravvivendo in questi ultimi otto
giorni. Quest'acqua, però, non è potabile. Andrebbe bollita e purificata, ma
non sappiamo se tutto lo stiano facendo. Il rischio è la diffusione di contagi
ed epidemie".
Il blocco delle forniture, verificatosi alla vigilia delle
elezioni presidenziali organizzate nei quartieri sotto controllo governativo,
è, fa capire padre George - tutt'altro che casuale. "La sospensione delle
forniture - racconta a ilGiornale.it - è stata causata anche stavolta
dai ribelli che hanno fatto esplodere un ordigno in un tunnel vicino dalla
stazione principale della città dove affluisce l'acqua dall'Eufrate". Come
già a maggio anche stavolta la ripresa delle forniture dipende dalle delicate
trattative intraprese dalla Mezzaluna Rossa con i capi ribelli. Spetterà
ai delegati dell'organizzazione islamica, l'equivalente della nostra Croce
Rossa, ristabilire il delicato equilibrio concordato nel corso di questi 22
mesi di assedio durante i quali il governo ha accettato di fornire carburante
alle aree ribelli per mantenere in funzione le pompe che garantiscono le
forniture idriche a tutta la popolazione civile.
Fonte: http://www.ilgiornale.it/news/esteri/aleppo-guerra-dellacqua-1026401.html