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venerdì 4 agosto 2023

3 anni dalla tragica strage al porto di Beirut

 di Camille Eid 

Giustizia negata per le vittime del porto di Beirut. Nel terzo anniversario della doppia esplosione che, il 4 agosto 2020, ha devastato un terzo della loro capitale, i libanesi rimangono in attesa di una verità che molti sembrano non volere. Domani a Beirut ci sarà un raduno popolare organizzato dai comitati dei parenti delle vittime per ricordare le 246 persone uccise in quella che è stata classificata tra le dieci più potenti deflagrazioni non nucleari della storia. Nell'esplosione ci sono stati più di 6.500 feriti, molti dei quali menomati a vita, mentre 330mila persone hanno dovuto abbandonare temporaneamente le loro abitazioni.

In una dichiarazione comune rilasciata martedì, 15 ambasciatori di stanza a Beirut hanno esortato le autorità libanesi ad accelerare l'inchiesta, esprimendo la loro preoccupazione circa «l'ostruzione permanente» della verità. Ma diventa sempre più chiaro, a distanza di tre anni, che l 'inchiesta locale condotta dal giudice Tareq Bitar rimarrà ostacolata da oltre 25 richieste di ricusazione presentate da ex ministri e deputati libanesi. Questi ultimi sarebbero stati, secondo il giudice, al corrente dello stoccaggio illegale, per sette anni e senza precauzioni, di 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio in un hangar del porto, situato a poche centinaia di metri dal centro cittadino. Anzi, l'oligarchia politica al potere diventa sempre più determinata a insabbiare per sempre la verità.

Lo scorso gennaio, quando Bitar ha cercato attraverso un'interpretazione giuridica di aggirare gli ostacoli frapposti alla sua inchiesta per convocare alti esponenti delle sicurezza e della pubblica amministrazione, il procuratore generale – lui stesso tra gli indagati – ha accusato il giudice di «usurpazione di potere» ordinando il rilascio immediato di tutte e 17 le persone arrestate in relazione all'inchiesta. I palazzi di Gemmayze e di Mar Mikhail (San Michele), tra i quartieri maggiormente devastati dall'esplosione, sono stati per lo più restaurati grazie a delle iniziative private e all'impegno profuso da tante Ong, locali e non. Lavori di più vasto respiro sono stati invece necessari per i palazzi storici, come è avvenuto per il Museo Sursock, riaperto lo scorso maggio grazie a fondi dell'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo e di altri enti statali.

Nella zona salta agli occhi la proliferazione delle gallerie d'arte nei tradizionali palazzi ad arco triplo. In un Paese piegato dalla crisi economica e dall'inflazione, numerosi libanesi si danno da fare per impedire che l'arte e la cultura possano diventare degli “optional”. Rania Hammoud, proprietaria di Art Scene, dice che la gente ha tanta voglia di vivere nonostante le attuali difficoltà e guarda alla cultura come a una forma di resilienza. Motivo per il quale lei ha deciso di riservare uno spazio della sua galleria alla consultazione gratuita di libri d'arte. «Mi hanno dato del matto quando ho deciso, alcuni mesi fa, di aprire questa galleria», dice il suo collega Charbel Lahoud, proprietario di Chaos Art. Grazie a iniziative di questo tipo, afferma, «Beirut non morirà mai».

«Molti comprano i quadri come forma sicura di investimento data la sfiducia nei confronti delle banche libanesi». Insieme alla Banca centrale, il cartello delle banche è percepito dai libanesi come il responsabile della peggiore crisi economica nella storia del Paese a causa delle restrizioni imposte dall'ottobre 2019 ai prelievi in dollari. Tre giorni fa è terminata la lunga era Riad Salame alla guida della Banca centrale, dopo 30 anni ininterrotti. Si temeva che l'uscita di scena di Salame, senza la designazione di un successore, portasse a un'ulteriore svalutazione della lira libanese nei confronti del dollaro, specie dopo che i suoi quattro vice avevano minacciato in un primo momento le dimissioni. Rischio schivato, almeno per ora, ma si vedrà se il cambio si manterrà agli attuali livelli una volta che i numerosi espatriati libanesi venuti a trascorrere la stagione estiva in Libano saranno ripartiti.

La carica vacante di governatore si aggiunge a quella di presidente della Repubblica, vacante da fine ottobre, con i deputati libanesi che sono stati incapaci in oltre nove mesi di eleggere un successore di Michel Aoun a causa dei veti incrociati dei partiti.

https://www.avvenire.it/mondo/pagine/la-strage-al-porto-di-beirut-il-libano-resta-senza

Il vuoto presidenziale in Libano si prolungherà fino all'autunno

The Cradle 

Il vuoto presidenziale del Libano durato mesi dovrebbe estendersi fino a settembre, quando l'inviato presidenziale francese, Jean-Yves Le Drian, tornerà nel Paese dopo aver trascorso due giorni (25-27 luglio) in colloqui con diverse personalità politiche libanesi. 

"Vi lascerò per le mie vacanze estive prima di sistemare i miei affari e tornare il prossimo settembre, con una proposta relativa al dialogo... per raggiungere un'intesa su... il prossimo presidente", ha detto al quotidiano Al-Akhbar citando l'inviato presidenziale .  Tuttavia, poiché non vi è ancora consenso su un singolo candidato, "non ci sarà nessun presidente" in Libano "fino all'autunno", ha affermato Asharq al-Awsat, una persona "chiave" coinvolta nella visita di Le Drian . 

Durante il suo viaggio, il 27 luglio Le Drian ha incontrato una serie di personalità politiche libanesi, tra cui il capo del blocco parlamentare Lealtà alla Resistenza, il deputato di Hezbollah Mohammed Raad . Quel giorno, ha anche tenuto il suo secondo incontro con il presidente del parlamento e leader del movimento Amal Nabih Berri , dopo averlo incontrato il giorno del suo arrivo.  Dopo l'incontro, Berri avrebbe affermato che "è stato aperto uno spiraglio nel fascicolo presidenziale". 

Il giorno prima, l'inviato ha incontrato il capo del Movimento patriottico libero del Libano (FPM), Gebran Bassil, il capo del partito delle Forze libanesi (LF), Samir Geagea, e il leader di Marada Suleiman Franjieh, che è il candidato di Hezbollah per la presidenza. 

"L'incontro con Le Drian è stato positivo... non abbiamo presentato nuovi nomi ad eccezione del nostro candidato annunciato", avrebbe detto Geagea ad Al-Akhbar , riferendosi a Jihad Azour , il funzionario del Fondo Monetario Internazionale (FMI) che è stato ufficialmente nominato il mese scorso dai partiti LF, FPM e Kataeb, come candidato “non provocatorio” alla presidenza libanese.  All'epoca, Raad si riferiva ad Azour come a un "rappresentante di sottomissione, acquiescenza e resa".

Non sono stati proposti nuovi nomi e le parti coinvolte continuano a sostenere con fermezza i rispettivi candidati.  "Passare alle sessioni elettorali non cambierà il risultato fintanto che ogni partito aderisce alla propria posizione", ha scritto Al-Akhbar . 

All'inizio di luglio, il "gruppo libanese delle cinque nazioni" - composto da Francia, Arabia Saudita, Qatar, Stati Uniti ed Egitto - ha annunciato la possibilità di imporre sanzioni a qualsiasi politico o gruppo che ostacoli il quorum nelle sessioni parlamentari per eleggere il presidente . "Abbiamo discusso diverse opzioni, inclusa l'adozione di misure contro coloro che ostacolano i progressi in questo settore", hanno affermato le cinque nazioni in una dichiarazione congiunta . 

A causa della mancanza di consenso e della ripetuta mancanza di quorum parlamentare, 12 sessioni parlamentari non sono riuscite a eleggere un presidente per il Libano. 

Il paese è nel vuoto dalla fine della presidenza di Michel Aoun a fine di ottobre dello scorso anno. 

https://new.thecradle.co/articles/lebanon-presidential-vacuum-to-extend-into-fall?s=09

giovedì 4 agosto 2022

La sofferenza del Libano e le mani tese della Chiesa, 2 anni dopo la devastazione di Beirut


 Antonella Palermo - Vatican News

Il 4 agosto 2020, la devastante esplosione del porto della capitale libanese: più di 250 le persone che persero la vita, oltre 6mila sono rimaste ferite, 330 mila hanno dovuto abbandonare le proprie case. Un episodio che ha affossato l'economia del Paese dei cedri, in cui la verità fa fatica ad emergere e per il quale ieri all'udienza generale in Vaticano il Papa ha lanciato un appello. A Vatican News, la testimonianza di monsignor Cesar Essayanvicario apostolico di Beirut della Chiesa cattolica latina in Libano.

Eccellenza, come vivono oggi i libanesi, le ferite sociali di quel rogo sono state sanate?

Il bilancio non è tanto positivo. Siamo tanti a cercare di sanare. Diversi feriti nel frattempo sono morti. Molte case sono state ricostruite ma il lavoro resta da fare negli anni. Diverse persone sono ancora in attesa di subire interventi di chirurgia plastica al viso per le ferite riportate. Il dramma più grande comunque riguarda il fatto della verità su quanto accaduto, si allontana sempre più. Il giudice dapprima era stato bloccato. Che abbia fatto un buon lavoro oppure no, non spetta a me dirlo. In ogni caso, questo fatto ha portato pian piano le parti politiche in gioco a dividere i genitori delle vittime in due: chi a favore del giudice e chi contro. Ciò ha ulteriormente offuscato la questione, rinviato la possibilità di capire veramente cosa sia successo. Quindi oggi arriviamo con questa profonda divisione che va purtroppo a coincidere con una divisione tra chi è cristiano e chi è musulmano. 

A un altro livello, poi, ci rendiamo conto che le conseguenze dell’esplosione vanno a incidere sulla crisi economica: il poco lavoro, gente che va via per cui rimane chi sta male. C’è un’altra divisione nella popolazione: tra chi guadagna in dollari e chi in lire libanesi. Chi lavora nella funzione pubblica guadagna in lire e a malapena riescono ad arrivare a fine mese, se non vengono aiutati da parenti all’estero. Altri guadagnano con i dollari, i ristoratori. C’è poca gente che riesce a ribellarsi, perché non ha più le forze. Senza contare il rincaro dei prezzi a causa della guerra in Ucraina. E poi, ancora, non bisogna dimenticare la presenza dei siriani. Questa purtroppo sta creando tensioni con i libanesi. C’è da dire che viene diffusa una informazione sbagliata ai libanesi: molti libanesi dicono che i siriani ricevono aiuti in dollari e si arrabbiano. Ma non è vero. Di fatto, quando vai al panificio ci sono due file, i siriani da una parte e dall’altra i libanesi. Per i siriani viene tutta la famiglia, se sono in cinque, per esempio, prendono cinque porzioni. Di solito per i libanesi accade che vi si reca solo il papà o la mamma che prende una porzione sola. Sono situazioni che alimentano rancori e divisione. Niente è facile. Non si tratta solo dell’esplosione al porto di Beirut.

Ha parlato di questa crisi economica, tra le peggiori della storia libanese. A questo proposito, ci sono stati anche diversi interventi da parte di ulema della Lega Araba. Ma quanto spazio ha la comunità internazionale per sostenere il Paese e quali i bisogni prioritari della popolazione in questa fase?

Sono i bisogni di sempre, in realtà. In ogni caso, qui oggi si tratta di aiutare di aiutare la gente nei beni alimentari primari. Noi stiamo dando alle famiglie qualche cibo caldo. Poi ci sono le medicine, gli ospedali. Vediamo una tragedia enorme. Pochi riescono ad andarci, se hanno necessità, perché le spese mediche sono aumentate tantissimo, come se fossimo sull’orlo di una guerra. Poi c’è l’ambito dell’educazione. Oggi c’è bisogno di sopravvivere. L’80 percento della popolazione ormai vive al di sotto della soglia di povertà. Ed è gente che ormai è stanca. Eppure resiste. Ci sono problemi insorti come conseguenza della faccenda del porto. Noi abbiamo aperto un centro comunitario a Beirut dove abbiamo un assistente sociale, psicologhe (per adulti e bambini). Il numero di chi arriva là aumenta continuamente. Prima davamo una settantina di pasti caldi, ora ne stiamo dando trecento. Questo dico per dare un’idea. Chi viene per ricevere dei farmaci aumenta di mese in mese: 25-27-29 percento. La luce non arriva quasi mai, tutto dipende dal funzionamento dei generatori. Lo Stato lascia fare, pensa che possiamo arrangiarci da soli. La popolazione non compatisce lo Stato, vediamo insomma una oppressione mai conosciuta prima.

Ricordiamo tutti la mobilitazione per l'emergenza all’indomani dell’accaduto nel porto di Beirut, poi il silenzio è calato sui media. La Chiesa come ha proceduto? In questi due anni come ha accompagnato il popolo?

Bisogna intanto dire che la Chiesa universale non ha mai smesso di dare una mano alla Chiesa locale. Con la crisi ucraina, gli aiuti possono aver subìto una leggera inflessione, ma le agenzie che dipendono dalla Chiesa cattolica sono sempre presenti sul territorio libanese e si stanno dando da fare in un modo molto molto bello. Bisogna ringraziare sia il Santo Padre, sia la Segreteria di Stato, sia la Congregazione per le Chiese Orientali che stanno spingendo tutti per monitorare la situazione. C’è sempre chi aiuta, anche con denaro contante per sostenere gli istituti educativi, per esempio. L’Oeuvre d’Orient in Francia, Aiuto alla Chiesa che Soffre, l’Ungheria come Paese stanno aiutando molto per ciò che riguarda, per esempio, l’approvvigionamento dell’energia attraverso le tecnologie solari. Ciò è di aiuto per le scuole, gli ospedali. Personalmente posso dire che, sebbene il Vicariato apostolico dei Latini non sia ricco, anzi è povero, dagli aiuti che continuiamo a ricevere riusciamo ad aiutare a nostra volta tante tante persone. Oltre mille pacchi alimentari al mese, 300 kit igienici, 300 pasti alla settimana a Beirut. Siamo riusciti ad ottenere una clinica mobile che va al nord e al sud, tra i campi dei profughi siriani, per visitare soprattutto i bambini. C’è insomma un piccolo miracolo che si chiama la Chiesa. Io dico a tutti che sono molto pessimista ma c’è un piccolo miracolo che si attua con le mani tese della Chiesa in questo terribile momento. È molto bello. Ci dice: io non vi lascio soli. Il Signore non ci lascia mai soli, ci precede, ovunque. Devo anche aggiungere che Papa Francesco, il grande profeta dei nostri tempi, con la chiamata a questo cammino sinodale ci aperto delle strade che hanno permesso una condivisione che prima non vivevamo. Ci ha fatto scoprire che, anche se a vari livelli abbiamo perso dei valori, stanno affiorando con chi stiamo vicino, adesso. Sono i valori che ci fanno crescere: il libanese, prima di entrare a casa propria, apre il pacco viveri davanti alla casa del vicino, condivide con lui perché è nel bisogno come lui. Sono cose splendide. Forse i nostri ‘grandi’ hanno perso la bussola, ma i più poveri mai. È una grande lezione di oggi.  

Qualche giorno fa un rogo ha rischiato di far scomparire i silos distrutti che erano al porto e i cui resti sono diventati un po’ il simbolo di quanto accaduto due anni fa: il rischio è che si voglia cancellare ogni traccia e dimenticare il Paese e la grave situazione che c'è?

Può darsi, perché il grande problema del Libano è che non si riesce a fare verità, ad assumersi le proprie responsabilità, a dire: va bene, abbiamo sbagliato e chiediamo perdono. Non possiamo sempre dire: facciamo come se non fosse successo niente, amnistia per tutti, i corrotti rimangano al potere. No. I parlamentari indipendenti, quelli nuovi, diciamo, hanno voluto che i silos siano salvaguardati come simbolo non solo dell’esplosione, ma di tutta la violenza nel mondo. Il grano è il cibo fondamentale per ognuno. Ma c’è gente che non capisce niente e vuole distruggere tutto. Forse accadrà pure, ma un giorno la verità ci raggiungerà tutti.

lunedì 18 luglio 2022

Le notizie che provengono dal Libano sono ogni giorno più inquietanti



...Ne danno conto le cronache mensili inviate dal 'Paese dei Cedri' dal missionario italiano Padre Damiano Puccini, che da molti anni ha dato vita al gruppo di volontari “Oui pour la vie”, un’associazione di volontariato con sede a Damour in Libano, legalmente riconosciuta impegnata in favore dei più poveri di ogni appartenenza religiosa e di ogni provenienza ( Per informazioni 

www.ouipourlavielb.com Facebook: DamianoPuccini)

Ecco la cronaca di Luglio: “In Libano ormai regna una crisi economica senza precedenti”.

Come rileva la Caritas del Libano, i lavoratori libanesi, a causa di un’inflazione al 138%, sono costretti a fare i conti con prezzi dei beni alimentari saliti fino al 500% e la caduta del potere di acquisto dei salari del 90%.

Ogni due giorni c’è un caso di suicidio. Le persone non possono andare in ospedale perché non hanno i soldi per pagare le cure. Non è mai successo di vedere insegnanti che la mattina cercano il cibo nella spazzatura.

In un anno, 22 mila libanesi hanno lasciato il Paese per cercare lavoro altrove. I meno abbienti partono anche affidandosi ai trafficanti e percorrendo le rotte mediterranee del mare. Uno stipendio di 1.000 dollari ora vale come 100 dollari.

Il prezzo di quello che chiamiamo il “paniere minimo di cibo” ovvero riso, pasta e zucchero in quantità sufficiente per una famiglia è cresciuto del 47 per cento in quattro mesi; il costo della benzina del 50 per cento. Le famiglie, semplicemente, non ce la fanno.

Il Paese, fino a due anni fa dipendeva per il 66 % del grano di cui aveva bisogno dall’Ucraina e per il 12 dalla Russia: e ora non ha né linee di approvvigionamento né può contare su scorte di grano, essendo state danneggiate nell’esplosione al porto dell’agosto 2020.

La fornitura di energia elettrica è di due, o talvolta anche solo un’ora di corrente elettrica al giorno.

La nostra associazione “Oui pour la Vie” continua ancora con la cucina di Damour, l’ambulatorio per i test sanitari e per AIDS, droga e alcool, il centro di ascolto per le medicine e la scuola per bisognosi di ogni appartenenza e provenienza.

Per sostenere tutta l'opera chiediamo sempre a tutti aiuti e pubblicità.

Nella cucina di Damour, le nostre teglie sono piene al massimo, ma a malapena per cercare di sfamare le persone che abbiamo nella lista, senza poterne aggiungere una in più. Tutto questo è dovuto alla grave situazione economica del Paese. Abbiamo circa 27 famiglie sulla lista di attesa, ed è toccante vedere alcuni vicini che condividono qualcosa delle loro sostanze con coloro che aspettano di poter essere aiutati regolarmente dalla nostra cucina.

Amira è la seconda figlia della famiglia Ammar. Rachel la maggiore ha la sindrome di Down e hanno un fratellino Amjad. Come famiglia di rifugiati, la loro situazione economica è molto difficile. I bambini non sono mai stati a scuola. Lara, che ora ha 8 anni, va al progetto scolastico che “Oui pour la Vie” ha avviato per i bambini tra i 7 ei 14 anni che non sanno leggere e scrivere. A scuola è molto coraggiosa, ama i suoi insegnanti e i suoi amici. In un concorso per bambini che si comportano bene ha ricevuto un premio e un regalo. Fa tutti i compiti con una gioia senza precedenti e partecipa con tutto il cuore a tutte le attività del progetto. Per la “Festa della mamma”, i bambini del progetto hanno preparato delle decorazioni e Lara ha detto che è stato uno dei giorni più belli della sua vita.

Georges è un ragazzo molto allegro e molto attivo. Anche lui frequenta la nostra scuola e i suoi risultati sono straordinari, è amico di tutti i bambini. Dopo la scuola, partecipa a tutti i gruppi di attività che proponiamo. È un membro del gruppo della chiesa dove impara i principi della vita cristiana e si diverte a servire la messa con sua sorella. Gioca a basket e gli piace giocare contro altri villaggi.

Ringraziamo sempre i benefattori che ci hanno permesso di comprare un piccolo bus per la nostra scuola. Ha anche un grande valore per noi un’altra forma di sostegno relativa a questo bus che riceviamo molto spesso. Nel quartiere musulmano di Naameh e in quello druso di Bewarta, zone molto povere vicine a Damour, dove spesso sono alloggiati i nostri alunni, spesso il traffico è intenso e a tratti anche bloccato. Abbiamo notato più volte che ci sono persone di questi quartieri, di tutte le religioni, che vengono per aiutare il nostro bus ad attraversare i punti più critici, chiedendo alle altre automobili di lasciarci passare.

Queste persone sanno molto bene che “Oui pour la Vie” aiuta persone di questi quartieri, senza guardare alla loro religione, origine o appartenenza. Inoltre il nostro pulmino a nostra insaputa è anche diventato un mezzo di pubblicità: infatti molti ragazzi chiedono di partecipare ai nostri corsi scolastici. Purtroppo noi possiamo prenderne solo un numero limitato alla volta, per garantire un insegnamento efficace e attento al cammino personale di ogni ragazzo.

Noi non abbiamo mai fatto pubblicità a noi stessi, ma crediamo che quando Dio benedice qualche iniziativa, questa non può restare nascosta.

P.Damiano Puccini

 


Per comprendere alcuni dei retroscena politici che hanno condotto il popolo libanese a vivere tale insostenibile situazione invitiamo alla lettura dell'articolo di The Cradle sul contenzioso tra Israele e il Partito della Resistenza che ha questo sottotitolo : Quanto è vicino il Levante alla guerra? Il leader di Hezbollah afferma che tutto dipende dal fatto che al Libano sia consentito estrarre le proprie risorse energetiche per porre fine alla crisi economica del paese. E non in un lontano futuro, ma proprio ora.”



Il Libano vuole rimandare a casa un milione e mezzo di profughi siriani

di Rodolfo Casadei 

È braccio di ferro fra l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) e il governo libanese. Secondo un comunicato stampa del ministro libanese per gli Sfollati, il druso Issam Charafeddine, il responsabile dell’ufficio libanese dell’Unhcr Ayaki Ito ha fatto sapere che la sua organizzazione respinge il piano per il rimpatrio di un milione e mezzo di profughi siriani che si trovano sul suolo del Libano e che il governo libanese dimissionario di Nagib Mikati dice di poter riaccompagnare in Siria in forza di un accordo di massima con quello di Damasco. Ne ha dato notizia martedì 12 luglio Al-Souria Net, agenzia di stampa con sede in Turchia, vicina agli ambienti dell’opposizione armata siriana.

«Un piano necessario»

Il piano per il rimpatrio di 15 mila profughi siriani al mese dal Libano era stato reso noto mercoledì 6 luglio da Charafeddine in una dichiarazione alla Associated Press. «Siamo molto seri circa l’implementazione di questo piano e speriamo di renderlo esecutivo nel giro di alcuni mesi », aveva dichiarato il ministro. «Questo è un piano umano, onorevole, patriottico ed economico che è necessario al Libano».

Il Libano è lo stato col più alto numero di rifugiati siriani in rapporto alla consistenza della popolazione locale. Nel paese risiedono abitualmente 4 milioni e 600 mila di cittadini di passaporto libanese, più un numero di rifugiati palestinese molto contestato, che dovrebbe nella realtà ammontare a 260-280 mila. Questo significa che in Libano ogni tre cittadini libanesi si incontra un siriano.

Fra il 2012 e il 2020 la comunità internazionale ha speso in Libano l’equivalente di 9 miliardi di dollari per i profughi siriani, sia attraverso enti Onu che attraverso Ong. L’insofferenza locale nei confronti dei siriani è cresciuta man mano che la situazione economico-finanziaria del Libano peggiorava, fino alla bancarotta del marzo 2020, quando il paese per la prima volta non riuscì a ripagare una rata del suo debito estero.

Oggi le cose vanno peggio di due anni fa, con un’inflazione superiore al 220 per cento su base annua, un tasso di disoccupazione del 30 per cento e un’abissale svalutazione della lira libanese, che ha perso il 90 per cento del suo valore fra il 2019 ed oggi: in quell’anno un dollaro si scambiava contro 1.500 lire libanesi, oggi ce ne vogliono 20.500.

I libanesi restano tuttavia più agiati dei loro ospiti siriani: i tassi di povertà relativa e assoluta fra i primi sono saliti rispettivamente al 55 e al 23 per cento negli ultimi anni, ma restano distanti dal 90 per cento di estrema povertà fra i secondi, anch’essi precipitati dopo il 2019.

Spendere meno per i sussidi

Per ottenere nuovi prestiti dal sistema internazionale il Libano deve riformare la propria politica fiscale e finanziaria, e uno dei capitoli su cui si chiede alle autorità di intervenire è quello dei sussidi: secondo il ministro delle Finanze, Ghazi Wazni, lo Stato spende ben 6 miliardi di dollari all’anno per sovvenzionare generi alimentari, benzina e altri consumi energetici. Evidentemente nelle stanze del potere si pensa che sfoltire la popolazione del paese allontanando gli sfollati siriani permetta di spendere meno nei sussidi, che andranno comunque tagliati.

Un altro motivo inconfessato che starebbe dietro al programma di rimpatrio sarebbe quello di salvaguardare l’equilibrio fra le comunità religiose del Libano, sbilanciato dall’afflusso di siriani quasi tutti musulmani sunniti. Sta di fatto che sul progetto di riaccompagnare i profughi nella Siria da cui provengono sono d’accordo tanto il capo di Stato uscente Michel Aoun, cristiano maronita che fa parte della coalizione del 14 marzo, quanto il primo ministro uscente Mikati, sunnita. Un sunnita, però, ben visto dagli Hezbollah sciiti e dal loro alleato cristiano Aoun

Profughi o sfollati?

Il piano era in elaborazione dal marzo scorso, affidato a un comitato formato dal capo del governo Mikati, il ministro per gli Sfollati Charafeddine, sei altri ministri e i responsabili della Pubblica Sicurezza in Libano. I primi attriti con la comunità internazionale si erano avuti nel maggio scorso a Bruxelles in occasione della sesta conferenza internazionale sugli aiuti ai profughi siriani. Lì i paesi occidentali e gli enti Onu avevano manifestato la loro contrarietà al rimpatrio dei siriani, e auspicato che il Libano decidesse di integrarli.

Si trattava di un suggerimento del tutto inaccettabile per un paese come il Libano, che non ha mai firmato la Convenzione Onu sui rifugiati del 1951 proprio per non essere costretto a naturalizzare cittadini stranieri, che per etnia e religione avrebbero potuto squilibrare l’assetto nazionale organizzato attorno alle 18 comunità religiose presenti nel paese. Il Libano considera i profughi sul suo territorio come “sfollati” che a termine dovranno tornare al loro paese d’origine.

Subito dopo la conferenza di Bruxelles il capo del governo Nagib Mikati aveva dichiarato alla presenza di numerosi diplomatici che il Libano avrebbe potuto essere costretto a prendere misure «che non piaceranno» alla comunità internazionale. Il 20 giugno Mikati tornava alla carica in occasione della presentazione del “Piano di risposta alla crisi del Libano 2022-2023″, minacciando che il Libano si sarebbe adoperato per rimuovere i rifugiati siriani dal suo territorio «con mezzi legali» se la comunità internazionale «non avesse collaborato per rimpatriarli in Siria».

«Noi andremo avanti»

Nelle ultime settimane a gestire mediaticamente la questione è stato il ministro Charafeddine, druso del Partito democratico libanese alleato della coalizione 14 marzo e avversario della famiglia Jumblatt che dirige l’altro partito druso, il Partito socialista progressista. È stato lui a spiegare che il piano avrebbe previsto 15 mila rimpatri al mese.

Nella sua intervista del 6 luglio ha inoltre criticato l’Unhcr e i paesi donatori per la loro indisponibilità a concentrare i loro aiuti sul territorio siriano, indisponibilità che contribuirebbe a trattenere in Libano i profughi siriani, precisando: «Qualunque sia la posizione dell’Unhcr, noi andremo avanti col piano». E annunciando per la settimana seguente (cioè quella attualmente in corso) un incontro col ministro siriano delle amministrazioni locali e dell’ambiente Hussein Makhlouf. L’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati si è limitata a dichiarare di non aver avviato negoziati con Beirut e Damasco sul rimpatrio dei rifugiati.

La Siria nella Lega Araba

Sullo sfondo del braccio di ferro fra Onu, Ong e paesi occidentali da una parte, governo e presidente libanesi uscenti dall’altra c’è anche la questione dei rapporti col governo siriano. Le attuali autorità libanesi sono favorevoli alla riammissione del governo di Damasco nella Lega Araba, così come i governi di Algeria, Emirati Arabi Uniti, Egitto e Giordania. Ma senza l’unanimità l’obiettivo non è raggiungibile.

Secondo il quotidiano libanese L’Orient-Le Jour in occasione di una recente visita del ministro degli Esteri siriano Faisal Moqdad ad Algeri le autorità algerine avrebbero espresso il loro desiderio di invitare alla prima riunione della Lega Araba post-Covid, che si terrà ad Algeri nell’ottobre prossimo, rappresentanti del governo siriano.


Preghiamo San Charbel, il potente santo eremita libanese, di salvare il Paese da una nuova guerra e da altre distruzioni.


domenica 22 maggio 2022

Una analisi dei risultati elettorali in Libano e il tentativo di uscire dallo stallo

foto REUTERS
 Le elezioni parlamentari libanesi si sono svolte il 15 maggio, con 128 seggi assegnati con un sistema di voto per sette, unico in Libano. Secondo la Banca Mondiale, il Paese sta soffrendo la peggiore crisi economica del mondo degli ultimi 150 anni. Nel 2019 sono iniziate le proteste di piazza contro l'élite politica, considerata corrotta e la causa principale del fallimento politico, economico e sociale del paese.   Riportiamo a titolo di approfondimento l'articolo originale sui risultati delle elezioni, apparso sul sito MidEast Discourse.  

L'agenzia Reuters informa che poche ore prima che l'attuale governo libanese passi a un ruolo di transizione, i legislatori hanno approvato una serie di misure - presentate come un piano di ripresa - per soddisfare alcuni dei requisiti del Fondo Monetario Internazionale (FMI). Il 20 maggio si è svolta la sessione di gabinetto presieduta dal Presidente libanese Michel Aoun e dal Primo Ministro Najib Mikati, durante la quale è stato approvato il piano. Il nuovo Parlamento eletto sarà responsabile dell'attuazione del piano.  (OpS)

di Steven Sahiounie, journalist and political commentator


The Lebanese diaspora is estimated to be as high as 14 million, but only 225,114 had registered to vote in this election. There were 1043 candidates, which included 155 women to fill the seats for a four-year term.

The absence of the Future Movement in this race was a major change, as former Prime Minister Saad Hariri had announced his withdrawal from politics, and his party did not participate in the election.

Former Assistant Secretary of State for Near Eastern Affairs David Schenker participated in a ZOOM symposium for the Washington Institute entitled “Hezbollah-Shia Dynamics and Lebanon’s Election: Challenges, Opportunities, and Policy Implications”.  Schenker openly admitted the dangerous role played by the US administration in causing Lebanon’s economic collapse and maintaining the US financial and economic siege on the country.

The US policy in Lebanon was to create chaos which was to weaken the Lebanese resistance to the occupation by Israel, who is the main US ally in the Middle East.

The Lebanese Association for Democratic Elections said about 80 percent of the population faces poverty as a result of the economic crisis. Candidates and party supporters have been accused of trying to buy their way to victory by offering cash bribes to undecided voters. Paying for votes appears commonplace in the electoral districts where competition is fierce, especially Beirut I, Beirut II, Zahle, Keserwan, Jbeil, Batroun, Koura, Bsharri, Zgharta, and Chouf Aley.

The political elite, otherwise referred to as the traditional parties, were collectively the biggest losers in the election.  Fouad Siniora, who is well known for being accused of corruption, and had served for years as a minister as well as Prime Minister in the past, was a big loser in this election.  Perhaps, the biggest loser could be identified as Prince Talal Arslan, who had served for 30 years in parliament.

Samir Geagea, of The Lebanese Forces, emerged with the largest number of deputies and is now the largest Christian party in parliament for the first time. Geagea is famous for having been convicted of the 1994 bombing of a Maronite Christian church–which killed 11 people, and the coldblooded slaying of a rival, former militia leader Dany Chamoun, his wife, and two young sons in 1990.

The winners in this election were the new faces, ready to bring the demands of the 2019 protest movement to the chamber floor, and chosen by the voters to serve in response to years of corruption by the political elite, who were shocked by the outcome of this election.

The important next step in the process of forming a parliament and government is to choose the Speaker of the Parliament. Nabih Berri has served in that position for 30 years, and while he might again serve in that important position, it is not a forgone conclusion.  The Vice Speaker of the Parliament must also be decided upon. 

Equally important, is to choose a Prime Minister, and this must be done by a consensus of the majority; however, a majority may not exist.  In that case, no government can be formed.  It may come down to regional powers forcing an acceptable choice to be made.

In October, President Michel Aoun’s term will expire. This vacancy will leave a gap in the government.  There is a distinct possibility arising, in which Lebanon has no President, nor a  government for months, and maybe longer. The reason would be there could be no majority in the Parliament, which would result in no consensus on who should be President of Lebanon.  However, that deadlock could be solved by the intervention of foreign powers; such as France, the US, or Saudi Arabia.

Hezbollah and their allies lost their parliamentary majority. Hezbollah, and its ally Amal, have won all 27 seats allotted to the Shiite sect.  They received more than 350,000 votes from Shiites, which means the Shiite community still supports Hezbollah and is still committed to resistance to the Israeli occupation. This furthermore means, there are no seats in the Parliament that are Shiite, but against Hezbollah.  The US has had a plan to turn Shiites against Hezbollah, but the plan has failed to produce results.

Hezbollah might not enjoy a majority in domestic politics, but they do hold the majority in the area of national defense.

About 12 seats went to new candidates who are young people seeking change and are not affiliated with the political elite, or the older traditional parties.  But, can they affect a change?

If these new fresh faces in the Parliament, who are not tied down to corrupt practices, can unite then they stand a small chance of in succeeding effecting necessary changes in Lebanon.  However, we can’t forget that as much infighting there has been among the traditional parties, at the end of the day they have been able to hammer out deals behind closed doors to solve issues and deadlocks.  The question will be, if these new members of Parliament will be capable of unity, and negotiating tough issues. Experts anticipate the new legislative body will be fractured and passing needed bills will be a struggle.

It will be very difficult to remove Riad Salameh from his position as Governor of the Central Bank of Lebanon because the ‘Lords of Corruption’ is protecting him. The US Ambassador to Lebanon, Dorothy Shea, said, “…any political retaliation against the Governor of the Banque du Liban, Riad Salameh,” will have major consequences.

Lebanon’s financial prosecutor, Judge Ali Ibrahim, decided to retract Salameh’s subpoena, and the Judge’s action was based on not only personal or internal considerations but also on the US intervention to protect Salameh.

Ambassador Dorothy Shea also told OTV it was a mistake to scapegoat any one person or institution for Lebanon’s economic collapse in response to a question about the role of central bank Governor Riad Salameh, who she said: “enjoys great confidence in the international financial community”.

Despite the US government’s support of Salameh, France, Germany, and Luxembourg have seized properties and frozen assets worth 120 million euros ($130 million) in a major operation linked to money laundering in Lebanon which belongs to Salameh and his family. 

The new Parliament may take action against Riad Salameh, to calm the Lebanese street soon. The corrupt political elites will do so to protect themselves, and they will offer up Salameh as the sacrificial lamb, to pay the price of all.

Lebanon’s electrical grid has collapsed and many have no access to electricity for daily life.  A plan was devised to use the existing Arab Gas Pipeline, from Egypt to Lebanon, to deliver fuel to be converted into electricity.  Even though part of the pipeline runs through Syria on its way to Lebanon, the US Ambassador to Lebanon had supported the plan.

However, Republican members of the US Congress refused to agree to the plan because of the US Congressional sanctions in place against Syria. 

Two Egyptian and Jordanian diplomats visiting Washington, in connection with the proposed use of the Arab Gas Pipeline, pressed President Joe Biden’s administration for further assurances they would not be affected by the sanctions but failed to receive them.  The Republican party could take control of Congress in the November midterm elections, and that would prevent any exemptions to the sanctions to help Lebanon.  Republicans in Congress have sent a letter to Secretary of State Antony Blinken saying that the proposed pipeline would violate the sanctions against Syria.  The US Republican party flexes its muscles in Lebanon to deprive the Lebanese people of turning on a light in their own homes.

mercoledì 24 novembre 2021

La situazione catastrofica in Libano provoca un nuovo afflusso di rifugiati

 Reportage di Marco Glowatzki da Tripoli in Libano 

FERMATE LE SANZIONI!

Voglio darvi un resoconto della nostra situazione qui in loco e spero che il maggior numero possibile di voi lo legga. Sto avendo grandi difficoltà ad andare online qui, perché abbiamo a malapena energia elettrica regolare. Solo ogni tanto e non sappiamo mai quando. Diesel per poter far funzionare un generatore è disponibile solo sul mercato nero, a prezzi proibitivi che non possiamo permetterci.
Siamo già felici di avere ancora bombole di gas per cucinare e altrettanto felici che l'inverno si faccia attendere. Grazie a Dio abbiamo ancora intorno ai 25 gradi, quindi non dobbiamo riscaldare. Onestamente non sapremmo nemmeno come farlo.
Anche i prezzi degli alimenti sono aumentati astronomicamente, sempre che ci sia ancora qualcosa da comprare. Quando c'è il pane si formano in pochi minuti lunghe code e si sta in fila per ore. Anche quando arriva la benzina, stesso scenario. Molti dormono nelle loro auto per giorni e aspettano alle stazioni di servizio. Il tasso di mortalità nei bambini piccoli è quintuplicato!
Solo un esempio: prima della crisi causata dalle sanzioni internazionali, un chilo di petto di pollo costava 17 - 18.000 lire libanesi, oggi costa oltre 70.000 lbp! Nessuno può più permetterselo.
Il tasso di conversione prima del collasso era di 1$ = 1.500 lbp . Oggi il corso è 1$ = 24.000 lbp!!!
Le sanzioni internazionali e in particolare le CESAR LAWS USA hanno portato al crollo del Libano!
Se la comunità occidentale di stati senza valori non smette finalmente di ricattare altri paesi, come sta accadendo qui nel Libano, l'Europa sarà letteralmente travolta da un'ondata di profughi senza precedenti!
Il governo libanese ha già annunciato che oltre 280.000 persone hanno lasciato il paese negli ultimi tre mesi. Senza contare le traversate illegali in barca.
Il governo libanese ha continuato a comunicare che le autorità rilasciano e/o rinnovano e prolungano oltre 6.000 nuovi passaporti ogni giorno.
Le condizioni di vita sono talmente deteriorate che milioni di persone hanno perso il posto di lavoro, perfino gli ospedali sono stati chiusi perché non ci sono farmaci e elettricità. Migliaia di negozi di alimentari e di altri generi sono stati chiusi, scaffali vuoti e mancanza di clienti che possono ancora pagare questi prezzi alti.
Le grandi catene commerciali straniere come il Carrefour francese, il Wal Mart americano o gli Spinney inglesi.... sì, c'è tutto quello che il cuore desidera e questo nonostante le sanzioni! Le aziende occidentali, ovviamente, non sono colpite dalle sanzioni. Ma solo i 10.000 più alti si possono permettere di fare shopping lì e ovviamente gli stranieri ben pagati, per lo più dipendenti di ONG internazionali, con stipendi mensili pari a $3.000.
Mentre qui i comuni cittadini del paese guadagnano al massimo 100-150$, sempre che abbiano ancora un lavoro.
La criminalità ha assunto proporzioni così incontrollabili che non posso più lasciare il mio quartiere e devo rimanere a casa dopo il tramonto. Sono già stato aggredito due volte e fortunatamente sono riuscito a difendere me stesso e i miei averi anche se ho riportato qualche ferita.
Le persone sono solo disperate e non sanno più di cosa vivere. Migliaia di persone hanno perso le loro case e vivono nelle loro auto, se ne hanno ancora una, in baraccopoli sempre più grandi alla periferia della città.
Le persone qui NON sono responsabili di queste condizioni catastrofiche
Sono le sanzioni criminali restrittive e ricattatrici della comunità occidentale senza valori che hanno portato il paese alla rovina, costringendo le persone ad abbandonare la propria patria!
Anch'io combatto come i miei amici e tutti gli altri qui, tutti i giorni, per sopravvivere. Spesso non sappiamo come andrà il giorno dopo. Il mio stipendio per il mio lavoro di giornalista online ha perso talmente valore che è quasi impossibile vivere, e io e i miei amici mettiamo insieme il nostro poco denaro che abbiamo, per fare la spesa, cucinare e mangiare insieme.
Non c'è altro modo e si vive vicini ancora di più, spesso a lume di candela, perché dalle 17 è buio. E come noi, ormai, milioni di persone qui nel Libano.
Tuttavia, non lascerò il paese e continuerò a riferire, nonostante tutte le avversità e le catastrofi, le circostanze della vita qui direttamente sul posto, cercando di continuare a tenervi aggiornati con tutte le informazioni importanti.
Ho comunque buone notizie! Due settimane fa, il Generale Maggiore della Security of Immigration mi ha chiamato al dipartimento e dopo quattro anni mi ha concesso il permesso di soggiorno permanente . Quindi ora posso restare quanto voglio. Sono stato molto felice anche se è diventato molto difficile vivere qui. Ma vivo libero e autodeterminato!
Può essere pericoloso ciò che accadrà nei prossimi quattro mesi, il 27 Marzo ci saranno le future elezioni e già tutti parlano di una prossima guerra. Anche le mie ricerche e informazioni vanno in questa direzione.
Le ambasciate di diversi paesi hanno già invitato i loro cittadini a lasciare immediatamente il Libano. L'esercito libanese ha anche annunciato che trasporterà gli stranieri a Cipro in elicottero. Tuttavia, per un supplemento di $300 ... Al governo manca il denaro perfino per finanziare l'esercito. Il governo non ha accesso a oltre 800 miliardi di dollari che le sanzioni hanno congelato nelle banche estere.
Se ci sarà una guerra, cosa che tutti noi non vogliamo, resterò comunque a raccogliere e pubblicare informazioni per voi.
Augurate a tutti noi qui che non si arrivi a questo!!!

Tanti cari auguri dal vostro Marco da Tripoli del Libano.

P.S. Se volete sostenermi, sapete come farmi pervenire il vostro aiuto.

venerdì 8 ottobre 2021

Escono nomi mediorientali dal vaso di Pandora

Premi Nobel e tanto scalpore per inchieste su corruzione e malversazioni-
 silenzio invece - e carcere - sul giornalismo investigativo dirompente di Assange...

Escono nomi mediorientali dal vaso di Pandora

Dall’enorme mole di documenti raccolti nell’inchiesta giornalistica chiamata «Pandora Papers», svelata il 3 ottobre, stanno emergendo i nomi di personaggi celebri che hanno collocato i propri patrimoni al riparo dal fisco, nei circuiti dell’economia offshore. L’inchiesta è stata realizzata da un consorzio investigativo di 600 giornalisti che hanno raccolto informazioni di diverse società di servizi finanziari con base nei paradisi fiscali e rivela nomi e operazioni di centinaia tra uomini di Stato e politici, personaggi sportivi e artisti di ogni parte del mondo. Compreso il Medio Oriente.

Spicca tra questi il nome del re di Giordania, Abdullah II. Dai documenti risulta che il sovrano hashemita ha creato una rete di società extraterritoriali, «nascondendo» un impero immobiliare che va dalla California a Washington, a Londra. Dato che la Giordania sta attraversando una fase economicamente molto difficile e riceve ingenti aiuti internazionali, anche a sostegno dei molti rifugiati presenti nel Paese e per attenuare l’impatto della pandemia, le rivelazioni sulle ricchezze di re Abdullah non sono passate inosservate. La casa reale ha dichiarato che le proprietà di lusso sono private e che non intaccano il bilancio pubblico del Paese. Negli elenchi dei Pandora Papers è in compagnia di altri regnanti del Golfo: dall’emiro del Qatar, Tamim Al Thani, a Mohammed Al Maktoum, emiro di Dubai, oltre all’ex primo ministro del Bahrein, Khalifa Al Khalifa.

Più di 500 nomi israeliani

In Israele i riflettori sono puntati su Nir Barkat, il più ricco politico del parlamento israeliano (partito Likud), già sindaco per dieci anni di Gerusalemme fino al 2018. Dai documenti emerge che Barkat, una volta eletto membro della Knesset nel 2019, avrebbe dovuto vendere o cedere le proprietà a una persona estranea alla sua famiglia, secondo il codice etico del parlamento. Invece, i documenti rivelano che trasferì le azioni di diverse società al fratello Eli, oltre a svelare che è proprietario di azioni di una società non registrata in Israele, ma in un paradiso fiscale. Barkat ha dichiarato di essere vittima di attacchi politici e di avere sempre pagato le imposte dovute nel suo Paese.

Significativo il coinvolgimento nello scandalo anche di un’organizzazione dell’estrema destra religiosa, Ateret Cohanim, impegnata nella colonizzazione ebraica della parte orientale e palestinese di Gerusalemme. Risulta che, attraverso società di comodo registrate nelle Isole Vergini, ha acquistato proprietà immobiliari nei quartieri dove i palestinesi sotto occupazione non accettano quasi mai di trasferire ad israeliani le loro proprietà.

Scandalo libanese

Secondo il Fondo Monetario Internazionale, globalmente la perdita fiscale causata da questi «paradisi» va dai 500 ai 600 miliardi di dollari all’anno. Una cifra enorme, sottratta ai sistemi fiscali di numerosi Paesi. Il caso più eclatante è quello del Libano, che, come Stato, sta affondando nei debiti, ha dichiarato default nel marzo 2020, ha visto crollare il valore della sua moneta e la maggior parte della popolazione finire sotto la soglia di povertà.

Risulta dai Pandora Papers che ben 346 società libanesi hanno occultato fondi su conti offshore, attraverso il Trident Trust, specializzato nelle domiciliazioni di società all’estero. Si tratta in assoluto del Paese al mondo con il maggior numero di imprese coinvolte. Sono perciò libanesi una parte considerevole degli 11 miliardi di dollari nascosti in paradisi fiscali come Cipro, le Seychelles e isole dei Caraibi.
Il neo primo ministro, Najib Mikati (musulmano sunnita), l’uomo più ricco del Libano grazie a società di telecomunicazioni, in carica da meno di un mese, è tra i personaggi coinvolti, insieme a Riad Salameh (cristiano maronita), da 28 anni a capo della Banca centrale libanese, all’ex primo ministro Hassane Diab e al banchiere Marwan Kheireddine. La società libanese è segnata più di altre da forti diseguaglianze: lo conferma un rapporto dell’Onu, secondo cui i miliardari detengono la stessa ricchezza del 62 per cento della popolazione. I primi ministri degli ultimi anni hanno fatto tutti parte di questa élite e l’immagine della classe dirigente del Paese dei cedri, già del tutto screditata, appare così ancora di più a pezzi. (f.p.)

https://www.terrasanta.net/2021/10/escono-nomi-mediorientali-dal-vaso-di-pandora/