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mercoledì 14 giugno 2023

Armenia, paese cristiano e martire

«Nel monastero di Narek in Armenia, san Gregorio (951 – 1003), monaco, dottore degli Armeni, insigne per la dottrina, gli scritti e la scienza mistica.»
 

Articolo di Antoine de Lacoste 

Nel 314, sotto l'influenza di San Gregorio l'Illuminatore, il re Tiridate si convertì al cristianesimo contemporaneamente a sua moglie e a tutta la sua corte. Tutto il suo esercito e sudditi seguirono il suo esempio e tutti furono battezzati. L'Armenia divenne ufficialmente il primo regno cristiano al mondo.

Con l'Editto di Milano del 313, l'Armenia, in fondo, accompagnò il movimento generale di transizione dal paganesimo al cristianesimo, che avrebbe potuto guadagnarle una felice storia cristiana all'ombra del suo potente vicino bizantino. Faceva i conti senza la presenza del grande impero persiano, allora chiamato impero sassanide. Ansioso di non entrare in guerra contro una tale potenza, e sostanzialmente felice di annettere un nuovo territorio, Bisanzio accettò di condividere la sfortunata Armenia: ai Persiani i due terzi del paese, a est, e a Bisanzio l'ultimo terzo a ovest. Fu chiamata la spartizione del 387. Fu solo nel 1920 che l'Armenia riacquistò una breve indipendenza.

Secoli di prove e disgrazie sarebbero caduti sul paese, ma non avrebbe mai rinnegato la sua fede cristiana.

Un tipico episodio storico attesta questo radicamento cristiano nell'anima armena. Dopo la spartizione del 387, i governanti sassanidi decisero di convertire l'Armenia allo zoroastrismo, una religione pagana simboleggiata dagli altari del fuoco. Il clero di Zoroastro si stabilì gradualmente nel paese e cacciò i sacerdoti dalle chiese. Sotto la pressione popolare, i principi armeni si ribellarono ma furono schiacciati nella battaglia di Avaraïr nel 451. Determinato, il popolo si lanciò in una guerriglia che alla fine scoraggiò il tiranno sassanide. L'Armenia era ancora occupata ma poteva rimanere cristiana grazie alla caparbietà dei fedeli.

Zvartnots, cattedrale risalente al VII secolo.

LA ROTTURA CALCEDONICA

Le molteplici controversie ed eresie che interessarono i primi secoli della Chiesa comportarono la rottura tra Armenia e Bisanzio.

Nel 431, il Concilio di Efeso aveva condannato il nestorianesimo che negava parzialmente la natura divina di Cristo. Vent'anni dopo, al Concilio di Calcedonia, fu condannata l'eresia monofisita per aver negato la natura umana di Cristo.

La Chiesa armena non ha accettato la nuova redazione calcedoniana sulle due nature di Cristo. A sua difesa, sembra che un problema di traduzione abbia avuto un ruolo e abbia mantenuto la confusione tra le parole natura e persona che non avevano proprio lo stesso significato in greco e in armeno. Inoltre, alcuni storici affermano che i nestoriani inviati in Armenia abbiano svolto un ruolo di disinformazione sulle vere intenzioni del Concilio di Calcedonia. Comunque sia, la Chiesa armena ha dichiarato di attenersi alla redazione di Efeso proclamando “l'unicità del Verbo Incarnato. »

Bisanzio (Costantinopoli) tentò invano di allineare la Chiesa armena. Nel 506, il capo della Chiesa armena si autoproclamò “catholicos”, cioè capo di una chiesa nazionale indipendente. Si chiama Chiesa Apostolica Armena. È questa chiesa che continua ancora in Armenia, raccogliendo il 90% dei fedeli. Il restante 10% è diviso tra cattolici romani e protestanti.

La rottura è stata consumata. Tuttavia, non ha impedito all'Armenia di inviare migliaia di soldati a combattere i Sassanidi insieme all'imperatore bizantino Eraclio. Quest'ultimo era partito per invadere il territorio sassanide per recuperare la reliquia della Vera Croce rubata a Gerusalemme nel 614 dagli eserciti pagani. La battaglia di Ninive nel 627 vide la vittoria degli eserciti cristiani e il ritorno trionfante della Vera Croce a Gerusalemme.

Questa alleanza ebbe felici ripercussioni e fu firmato un accordo tra la Chiesa bizantina e la Chiesa armena, che sembrava porre fine allo scisma.

Ma l'arrivo degli arabi musulmani e la loro vittoria contro i bizantini a Yarmouk nel 636 cambiò tutto.

L'ARRIVO DELL'ISLAM

All'inizio, i conquistatori musulmani trattarono bene gli armeni. Non erano così numerosi e non volevano aggiungere il fronte del Caucaso agli altri loro obiettivi: l'Impero Bizantino, l'Impero Sassanide e il Nord Africa.

Il VII secolo vide poi uno sviluppo architettonico e religioso su larga scala in tutta l'Armenia. Sarà “The Golden Age” con molte costruzioni di chiese superbe. Molte sono ancora in piedi e visitarle è un piacere.

Tuttavia, come sempre, la pace dell'Islam è stata solo uno stratagemma e nell'VIII secolo un pugno di ferro si è impadronito dell'Armenia.

Cominciò con il massacro della cavalleria dei principi, che furono arsi vivi in ​​una chiesa, con il pretesto di un incontro con l'emiro di Nakichevan. Rivolte e repressioni si susseguirono e gli arabi giocarono abilmente sulle divisioni tra le grandi famiglie armene.

Ma l'impero bizantino si era ripreso dalle sconfitte iniziali e aveva riconquistato i territori a est. Gli arabi furono indeboliti e l'Armenia ne approfittò per fondare due regni: il primo a nord, della famiglia Bagratouni, che si diede come capitale Ani, "la città delle mille e una chiese". La seconda a sud, con la famiglia Arstrouni che stabilì la propria capitale sul lago di Van. Ani e il lago Van si trovano ora nella Turchia orientale e non più in Armenia.

Ciò accadde nel IX secolo e l'Armenia ebbe allora un'indipendenza de facto che fu accompagnata da un grande risveglio monastico.

L'impero bizantino, rinvigorito dall'indebolimento del califfato arabo, riprese purtroppo la sua espansione verso oriente a scapito degli armeni. Fu allora che furono sconfitti a Mantzikert nel 1071 dai nuovi arrivati: i Selgiuchidi. Questi turcomanni, provenienti dalle steppe dell'Asia centrale, avrebbero gradualmente conquistato l'intero impero bizantino. Un ramo della famiglia, gli Otmani, avrebbe poi fondato l'Impero Ottomano.

L'AVVENTURA DEL REGNO DI CILICIA

La Cilicia, regione situata nel sud dell'attuale Turchia di fronte a Cipro, fu colonizzata dagli armeni a partire dal X secolo. Avevano agito per conto dei Bizantini e avevano conquistato queste terre a spese degli Arabi, in piena rotta.

Dopo la sconfitta di Mantzikert, molti armeni vi si stabilirono per fuggire dai Selgiuchidi. Fecero alleanze con i Crociati e la Cilicia, divenendo il fulcro del commercio cristiano nel Mediterraneo orientale, conobbe un grande periodo di prosperità.

Le città di Tarso (quella da cui è originario San Paolo) e di Adana risplendevano e i vari re di Cilicia furono riconosciuti da Roma e dal Sacro Impero. Notevole anche l'attività religiosa con molte traduzioni di padri greci ma anche latini, cosa nuova. L'arte dell'illuminazione raggiunse il suo apice.

Tuttavia, l'arrivo delle orde di Gengis Khan nel XIII secolo e poi quello dei Mamelucchi egiziani ebbero la meglio sul piccolo regno cristiano. L'ultimo re di Cilicia, Léon VI de Lusignan fu fatto prigioniero nel 1375. Riscattato, finì i suoi giorni alla Corte di Francia, a Parigi.

I TURCHI UNICI COMANDANTI A BORDO

Gli ottomani scacceranno gradualmente le altre forze musulmane e, nel XVII secolo, saranno gli unici al comando.

L'Armenia era diventata una piccola provincia nel nord-est della Turchia e subiva gli abusi del suo padrone. Molti giovani furono rapiti per farne dei giannizzeri e l'emigrazione colpì duramente il Paese. Gli armeni andarono in Europa, Tracia o nell'Asia Minore occidentale.

È quindi all'estero che hanno brillato gli armeni. Le loro grandi doti commerciali fecero miracoli e un gran numero di navi battenti bandiera dell'Agnello Pasquale solcò il Mediterraneo, spingendosi fino all'Oceano Indiano.

Il XVIII secolo vide un interessante tentativo di riportare la Chiesa apostolica armena nell'ovile di Roma. Molti giovani armeni vennero a studiare a Parigi in una scuola creata per loro da Colbert. Un prete armeno, tornato al cattolicesimo, fondò il monastero di San Lazzaro al largo di Venezia dove vive ancora una comunità di monaci armeni cattolici.

A poco a poco, subendo un graduale collasso, l'Impero Ottomano allentò il cappio intorno agli armeni. Si formò un'élite urbana e dal 1856 i cristiani godettero degli stessi diritti degli altri abitanti dell'Impero, sull'orlo del collasso.

Era questo il momento scelto dalla Russia per riprendere la marcia verso il Caucaso, ostacolata dalla sconfitta subita durante la guerra di Crimea che aveva visto la vittoria dell'innaturale alleanza anglo-franco-turca. Nel 1877 le truppe dello zar occuparono (di fatto liberarono) l'intera Armenia, compresa la sua parte occidentale. Furono quindi accolte tutte le speranze per l'indipendenza di una grande Armenia sotto la protezione della Russia.

Ma gli inglesi, ansiosi di contrastare la Russia con ogni mezzo, fecero un accordo segreto con la Turchia per impedire, in cambio della cessione di Cipro, il sequestro russo dell'intero territorio armeno. Riuscirono a determinare lo svolgimento del Congresso di Berlino nel 1878 dove, nonostante le suppliche degli armeni, fu presa la decisione di affidare la parte occidentale dell'Armenia all'Impero Ottomano da dove le truppe russe si ritirarono. Rimasero solo nella parte orientale, che corrisponde ai confini dell'attuale Armenia. L'accettazione russa di questo piano rimane un mistero.


IL GENOCIDIO DEL 1915

Le riforme previste nella parte occidentale non verranno mai applicate: le tessere del dramma sono a posto. Quando gli armeni si organizzarono per formare partiti politici, si verificarono i primi massacri. Tra il 1894 e il 1896, 300.000 armeni furono sterminati dagli ottomani. Nel 1908 il movimento dei Giovani Turchi prese il potere. Il loro programma islamo-nazionalista prevedeva chiaramente la distruzione del popolo armeno, ritenendo che questi avrebbero impedito la rinascita della nazione turca.

Lo scoppio della prima guerra mondiale sarà l'occasione per organizzare il genocidio armeno. Dopo i massicci arresti di sacerdoti, notabili e intellettuali che furono sistematicamente giustiziati, la grande deportazione fu organizzata segretamente in tutto il paese ottomano. Gli sfortunati furono inviati nel deserto siriano, vicino a Deir es-Zor. Ma la maggioranza è morta sulla via dello sfinimento o assassinata dai gendarmi o dai curdi, zelanti servitori del genocidio.

Questo genocidio, che la Turchia si rifiuta ancora di riconoscere, ha causato circa 1.500.000 morti. Diverse centinaia di migliaia di armeni riuscirono a fuggire verso est, diretti in Libano o a Damasco. A Costantinopoli ci furono anche molti sopravvissuti perché la città era troppo esposta agli occhi occidentali perché i turchi potessero perpetrarvi i loro crimini.

I casi di resistenza erano rari perché i malcapitati ignoravano il destino che li attendeva. Erano tutte uguali ma solo una è stata coronata dal successo, quella di Musa Dagh. Si può leggere su questo argomento il bel romanzo di Franz Werfel, I quaranta giorni di Musa Dagh .

La guerra del 14-18 aveva visto le vittorie dei russi sui turchi, ma la rivoluzione bolscevica cambiò tutto e le truppe russe si ritirarono per prendere parte alla guerra civile che stava iniziando.

La Turchia ne approfittò e lanciò una vasta offensiva contro ciò che restava dell'Armenia. Le truppe turche arrivarono vicino a Yerevan ma alla fine furono respinte da armeni eroici e in inferiorità numerica. Dal 21 al 25 maggio 1918 furono ottenute diverse vittorie e i turchi riconobbero l'indipendenza dell'Armenia.


IL PERIODO SOVIETICO

Questa indipendenza durò poco: i sovietici e la nuova Turchia di Mustapha Kemal si accordarono sul tracciato dei confini e l'Armenia si integrò nella nascente URSS nel 1922 come i suoi vicini caucasici, la Georgia e l'Azerbaigian.

Molti armeni abbracciarono con entusiasmo gli ideali marxisti. In questo paese così cristiano, rimane un enigma ma è necessario riconoscere questo fatto. Inoltre, una parte significativa della diaspora armena in Francia era un membro del Partito Comunista. Tuttavia, la maggioranza rimase cristiana e sostenne coraggiosamente la Chiesa nella sua lotta contro le persecuzioni di Stalin.

Simbolo di questa lotta mai cessata, il Catholicos fu assassinato dalla Ceka nel 1938. La seconda guerra mondiale costrinse Stalin a sospendere queste persecuzioni e molti armeni morirono sotto i colpi dell'esercito tedesco: tra i 150.000 e i 200.000.

Il dopoguerra sarà meno doloroso e se la Repubblica Sovietica d'Armenia subirà il pugno di ferro comune a tutta l'URSS, non si verificherà una grande ondata di persecuzioni.

Questo periodo fu teatro di un importante progresso culturale per l'Armenia con la costruzione del Matenadaran a Yerevan. Vi sono conservati più di 15.000 antichi manoscritti scritti in armeno: è esposta l'intera memoria cristiana, assicurando la trasmissione della storia antica e poi paleocristiana, le cui origini greche sono scomparse nelle successive distruzioni della biblioteca di Alessandria. 

1991 INDIPENDENZA E GUERRA

Subito dopo la caduta dell'Unione Sovietica, l'Armenia ha proclamato la propria indipendenza il 21 settembre 1991. Poco prima, nel 1988, il Nagorno-Karabakh aveva rivendicato il proprio attaccamento all'Armenia. Questa provincia è un'enclave cristiana situata in Azerbaigian. Stalin aveva deciso che sarebbe stato così, contro ogni logica culturale, etnica e religiosa. Logicamente, anche i cristiani del Nagorno-Karabakh hanno proclamato la loro indipendenza nel settembre 1991.

L'Azerbaigian ha immediatamente inviato truppe nell'enclave ed è scoppiata la guerra tra questi due vicini che hanno così poco in comune. Questo conflitto, che causerà 30.000 morti, è andato a vantaggio dell'Armenia che ha conquistato i territori azeri che portano al Nagorno-Karabakh. Poi si sono verificati movimenti di popolazione: migliaia di armeni hanno lasciato l'Azerbaigian dove non erano più al sicuro, mentre gli azeri sono stati cacciati dai territori situati tra l'Armenia e il Nagorno-Karabakh.

LA GUERRA PERSA CONTRO L'AZERBAIGIAN

Ma tutti sapevano che la questione non si sarebbe fermata qui. L'Azerbaigian ha pazientemente tramato la sua vendetta. Aliyev, il dittatore succeduto al padre nel 2003, si è avvicinato alla Turchia. I due paesi hanno una grande differenza: la Turchia è sunnita mentre l'Azerbaigian è sciita. Ma hanno un punto fondamentale in comune: sono turcomanni. Con l'aiuto dei soldi del petrolio di Baku, Aliyev ha acquistato i famosi droni Bayractar in grandi quantità e più in generale ha modernizzato il suo intero esercito. L'Armenia, molto più povera, non ha fatto nulla in questa direzione, convinta di beneficiare di un ombrello russo incondizionato.

Ma un evento politico importante si è verificato con le elezioni del 2018 che hanno portato alla vittoria di Nikol Pashinian, un liberale filoamericano. Come tanti altri, è stato eletto sulla base di un programma anticorruzione piuttosto confuso ma così seducente. Il suo governo prese immediatamente le distanze dalla Russia, con grande gioia dei suoi amici occidentali che avevano già portato la vicina Georgia nella loro sfera di influenza.

Inoltre, quando l'Azerbaigian ha lanciato un attacco a sorpresa sul Nagorno-Karabah nel settembre 2020, Pashinian si è trovato di fronte a una situazione molto grave: una ritirata degli armeni di fronte alle truppe azere, la distruzione dei loro carri armati da parte dei droni turchi e la mancanza di reazione dei russi. Questi alla fine sono intervenuti mentre gli azeri, rinforzati da migliaia di islamisti siriani inviati dalla Turchia dalla provincia di Idleb, si avvicinavano a Stepanakert, la capitale del Nagorno-Karabakh.

Temendo i russi, Aliyev accettò di negoziare ma gli fu concessa una parte significativa del Nagorno-Karabakh così come i territori situati tra l'Armenia e il Nagorno-Karabakh che tornarono così ad essere un'enclave collegata all'Armenia tramite un corridoio sorvegliato dalla Russia.

Da allora, le vessazioni azere non sono cessate contro il resto dell'enclave i cui confini sono quotidianamente minacciati, per non parlare dei molteplici abusi subiti dalle popolazioni della parte invasa del Nagorno-Karabakh. Alla fine, lasciare la loro terra era l'unica soluzione.

Pashinian ha potuto meditare sulla solidità del sostegno occidentale, che abbiamo saputo essere più massiccio su altri temi... Tante belle parole ma, alla fine, siglato un corposo contratto sul gas tra Unione Europea e Unione Europea L'Azerbaigian ha mostrato chiaramente quali fossero le priorità occidentali.

UN FUTURO INCERTO

Oggi l'Armenia è di nuovo in pericolo. La pressione azera non vale più solo per la parte del Nagorno-Karabakh che è rimasta libera, ma anche per gli stessi confini armeni dove le provocazioni sono molto frequenti.

La Russia non lascerà scomparire l'Armenia ma non ha apprezzato il passo di danza di Pashinian verso l'Occidente e la Turchia non ha rinunciato al suo progetto di collegarsi con l'Azerbaigian per accedere al Mar Caspio e, oltre, all'Asia centrale dove vivono milioni di turcomanni nei cinque paesi dell'ex Unione Sovietica.

L'Armenia cristiana non ha finito di soffrire

Antonio di Lacoste

martedì 9 aprile 2019

UN RACCONTO SUL GENOCIDIO ARMENO: Hagob e l'uomo del deserto

Questa storia è stata scritta nel 1995 in arabo, tradotta in armeno e pubblicata in diversi giornali e riviste in Siria, Libano e Stati Uniti. Venti anni dopo, l'autore, un medico di Aleppo che vive oggi in Canada, ha deciso di tradurla in francese per il 100° anniversario del genocidio armeno.

(traduzione di Gb.P.  OraproSiria)

di SAMIR ANTAKI
Hagob è un vecchio amico, anche se ha qualche anno più di me, forse ha l'età di mio padre o anche più vecchio, ma non importa perché dopo i quarant'anni noi abbiamo tutti la stessa età, soprattutto se abbiamo le stesse idee e principi.
Hagob viene a trovarmi in ambulatorio una volta all'anno per l'esame annuale di controllo agli occhi, in più egli accompagna i propri figli e nipoti e chiunque dei suoi amici più stretti che dicano "il mio occhio" non ci mette molto a portarmeli, poichè è molto orgoglioso del suo medico e della sua amicizia. Fortunatamente, molte delle sue visite hanno avuto buon esito.
Eravamo così vicini l'uno all'altro che lui veniva sempre in mio aiuto quando avevo problemi con i miei strumenti in ambulatorio o in ospedale, e lui era sempre lì quando la mia macchina si guastava o quando avevo problemi di elettricità, o qualsiasi altro problema. Ci siamo aiutati a vicenda, ciascuno nel proprio campo.
Hagob non aveva una grande istruzione perché non aveva avuto la possibilità di andare a scuola, ma sebbene fosse incolto aveva un'intelligenza e una sapienza senza pari; inoltre aveva tanto buon senso e una logica tali da rendere geloso un laureato ...
Hagob era arrivato ad Aleppo nel 1915 con i sopravvissuti ai massacri barbari e disumani perpetrati contro il suo popolo, gli Armeni, e contro i Siro-Caldei, i Greci e altre minoranze cristiane da parte degli Ottomani. Lui di appena tre anni, sua madre e sua sorella maggiore di due anni, facevano parte del gruppo di sopravvissuti che riuscirono a raggiungere Aleppo dopo una lunga e dolorosa marcia forzata attraverso il deserto e le steppe della Siria, che durò settimane; mentre per strada morirono suo padre, suo fratello maggiore e i suoi tre zii.
Al loro arrivo ad Aleppo furono alloggiati, come la maggior parte dei rifugiati, in accampamenti di fortuna, con baracche di legno e tetto in tela cerata, senza servizi igienici. Sua madre, che in casa era regina, per sovvenire ai loro bisogni fu costretta a lavorare come baby sitter e cuoca in casa di una ricca famiglia Aleppina.
Ella riuscì grazie al suo coraggio e determinazione a prendersi cura dei suoi due figli e migliorare la qualità della loro vita. All'età di dieci anni, sua madre gli trovò un lavoro in un laboratorio meccanico dove egli lavorava giorno e notte in condizioni difficili per un misero salario. Finì per acquisire una grande esperienza e una destrezza senza pari, tanto che il suo padrone lo promosse capo del laboratorio.
Un bel giorno quando aveva appena diciassette anni, sua madre gli disse: figlio mio, è tempo che tu abbia il tuo negozio; hai sofferto abbastanza, meriti di diventare il capo di te stesso. Affittarono, con i pochi soldi messi da parte, una piccola baracca nel quartiere di Meidan. Hagob riuscì a trovare utensili usati ma in buone condizioni e ad un ottimo prezzo e iniziò da solo. Dopo anni di fatica e privazioni e grazie alla sua perizia, al suo coraggio, alla sua onestà, perseveranza e diligenza, Hagob divenne il proprietario di diverse officine meccaniche. Si sposò, acquistò una bella casa, e la cosa più importante di tutte è che divenne padre di quattro figli che hanno avuto successo, tra cui un medico, un ingegnere, un musicista, senza dimenticare il maggiore che ha lavorato con lui e che ha modernizzato i laboratori introducendo nuove tecniche e strumenti. E il mio amico Hagob è molto orgoglioso di tutto questo.
Un bel giorno di primavera Hagob venne a trovarmi in ambulatorio e, per delicatezza, si sistemò con gli altri pazienti nella sala d'aspetto. Quando arrivò il suo turno, vidi entrare nel mio ufficio Hagob con un beduino un po' più giovane di lui, vestito in modo tradizionale con la sua djellaba, la sua abaya e la testa coperta da quella grande sciarpa tipica nera e bianca. Inoltre aveva tatuati il mento e il dorso della mano. Dopo il "Salam Alyakom" di rigore e i convenevoli, Hagob mi presentò il signore che lo accompagnava, dicendo: ti presento mio fratello Hajj Mohammad Al Rmeylan. Strinsi calorosamente la mano del signore, poi, rivolgendomi a Hagob, dissi: è quel Hajj Mohammad che gestisce i terreni agricoli che hai in Jezireh e che tu consideri come un fratello? Mi ha risposto: ma no, giuro che è mio fratello, figlio di mio ​​padre e di mia madre. Gli dissi, mentre invitavo il signore a sedersi sulla poltrona per l'esame: vediamo dunque, basta scherzi Hagob. Ma proprio quando fu faccia a faccia con me mi accorsi che aveva gli stessi occhi di Hagob e il naso così tipico di molti Armeni. Lì per lì non capivo più niente, allora ho chiesto a Hagob di sedersi e raccontarmi tutto.
Bene, dal momento che insisti, dottore, ecco la mia storia: "Quando avevo quarant'anni, mia madre, che era invecchiata ed era molto malata, mi ha chiamato al suo capezzale per confidarmi un grande segreto. Mi disse: trentasette anni fa, quando fummo espulsi dalla Turchia e durante la marcia della vergogna attraverso il deserto siriano, sotto un sole infuocato durante il giorno e il freddo del deserto di notte, avevamo per nutrirci solo delle erbe e radici di piante così rare in quell' angolo di mondo e appena qualche goccia d'acqua sporca per saziare la nostra sete. Uno di quei giorni, ci strapparono tuo padre e uno dei soldati lo decapitò ridendone con i suoi amici, un altro spinse tuo fratello maggiore Hovsep e tuo zio Dikran in un burrone, come fecero con molti altri. Ai soldati piaceva inventare ogni giorno un nuovo metodo di tortura, al punto che sventravano le donne in gravidanza con baionette per gettare poi il feto in aria divertendosi a sparargli, questo è quello che è successo alla povera Syranouche nostra vicina. Mentre per lo stupro, non parliamone, era cosa normale. Che scene di orrore, figlio mio! Tu, che all'epoca avevi tre anni, hai urlato notte e giorno come un animale braccato ogni volta che uno di questi criminali mi si avvicinava per picchiarmi con un calcio o un bastone, per farmi alzare e continuare a camminare con Wannès tuo fratellino, di appena tre mesi, tra le braccia.
Un giorno le forze mi lasciarono, il latte nel mio seno divenne pochissimo, Wannès non aveva la forza di reagire, bruciava di febbre, gli occhi sbarrati: sentivo che stava per morire. Mi sedetti per terra pregando e implorando Dio e il cielo, piangendo con le poche lacrime che mi erano rimaste. All'improvviso tre beduini fecero la loro apparizione, uno di loro mi diede una borraccia e disse: bevi, sembri inaridita, poi ha dato un sorso a te e tua sorella Azniv. Poi tirò fuori dalla sua borsa un pezzo di pane che mi offrì, dicendo: che disgrazia! Come osano fare ciò che è contro i libri di Dio. Poi mi chiese: dov'è il tuo uomo? Risposi: l'hanno decapitato. Rimasero in silenzio. Alzandosi, mi disse: vieni con noi con i tuoi figli, sarai al sicuro nella mia casa, mia moglie Fatme si prenderà cura di voi mentre recuperate un po' di forza. Non aveva finito la frase, che uno dei soldati che aveva osservato la scena si avvicinò e impose ai tre beduini di andarsene rapidamente, puntando il fucile contro di loro. Non appena si voltò, lasciai Wannès per terra e dissi: almeno portate il mio neonato con voi, se ha la possibilità di vivere è meglio, se no offritegli una decente sepoltura. Il beduino mi disse: lascialo a terra e alzati per seguire gli altri; i soldati non se ne accorgeranno, e appena te ne sarai andata lo prenderemo e ti promettiamo di fare del nostro meglio. Poi urlò ad alta voce mentre ci eravamo già allontanati: 'siamo della tribù dei Rmeilan, ricordati di questo nome, povera donna.'
Hagop continuò il suo racconto singhiozzando, sia lui che Hajj Muhammad: quel giorno mia madre mi ha detto: "Perché io abbia il cuore e la coscienza tranquilla prima di lasciare questa terra, sebbene io sia certa che il mio neonato Wannes è morto, ti prego di andare nel deserto per trovare la tribù di Rmeilan nella regione in cui furono uccisi tuo padre e tuo fratello, che è distante due giorni di cammino da Tall Abyad; se mai la trovassi, chiedi dei tre Beduini che ho incontrato e cerca le tracce di tuo fratello Wannès. Perché se è vivo, deve essere tra di loro. Per riconoscerlo lui ha una lunga cicatrice sul suo dorso che va dalla spalla destra al fianco sinistro, perché è stato ferito dalla punta della spada, quando avendolo tra le mie braccia ho cercato di interpormi tra il soldato e tuo padre.". Così lasciai Aleppo lo stesso giorno per andare nel nord-est della Siria alla ricerca di mio fratello. Dopo due settimane di intense ricerche, sono riuscito a trovare Wannès vivo. Non posso descriverti, dottore, le scene di giubilo che hanno accompagnato questo ritrovarci, e quello che mi ha sorpreso di più è stata la grande somiglianza tra noi due. Bisognava vedere le facce delle sue due mogli e dei suoi dieci figli, non potevano credere ai loro occhi. Hanno sgozzato diverse pecore in onore di questa riunione e hanno invitato quasi tutto il loro popolo a una festa più che regale. 
A quel punto Hajj Mohammad parlò, dicendo: quando avevo vent'anni, chiesi a mio padre, Sheikh Machaal, della cicatrice sulla mia schiena. Forse ero un ragazzo turbolento e mi sono fatto male quando sono caduto su una roccia affilata mentre giocavo? Mio padre mi ha detto "beh no, tu sei nato così, tu l'avevi già il giorno in cui ti strappato dalla morte". Poi mi ha raccontato tutta la storia e tutti gli abusi perpetrati contro i miei genitori e la mia comunità da quei selvaggi e tutte le sofferenze patite da mia madre, e mi diceva che non sapeva nemmeno se fosse arrivata ad Aleppo o fosse morta sulla strada. Lo Sceikh Mashaal si riprese e poi mi disse: dal momento che non abbiamo più avuto notizie dei tuoi genitori, ora sei nostro figlio, e sai che ti amiamo altrettanto se non più degli altri. Devi sposarti secondo le leggi di Dio e del suo Profeta. Così mi sono sposato, sono andato con mio padre in pellegrinaggio alla Mecca, e ogni volta che facevo le mie cinque preghiere quotidiane imploravo Allah e il suo Profeta di salvare mia madre e i miei fratelli se fossero ancora vivi, o di concedere loro la pace eterna e il paradiso, se non fossero più di questo mondo.
Armeni nel deserto siriano nel 1917
Hagob intervenne allora, dicendo: Sai, dottore, ci sono molti bambini Armeni che sono nella stessa situazione di mio fratello e che sono stati salvati da morte certa dalle tribù nel deserto siriano. Quale coraggio, quale nobiltà. Continuò: fortunatamente noi Armeni e gli altri sopravvissuti a questi massacri, siamo stati ben accolti in Siria, il che ci ha permesso di risorgere dalle nostre ceneri e dimostrare ciò di cui siamo capaci! Allora sono intervenuto per dire: in effetti, gli Armeni sono un vanto per la Siria, con una quantità di pittori, scultori, musicisti, medici, avvocati, ingegneri, scrittori, tecnici, gioielleri, meccanici, commercianti, industriali e uomini d'affari che hanno contribuito all'elevazione della Siria, e la Siria è fiera di considerarli come cittadini a pieno titolo.
I due fratelli replicarono in coro: e noi siamo orgogliosi di essere Siriani.  E così, ci siamo ritrovati dopo tutti questi anni di lontananza. Ma sfortunatamente, proseguì Hagob, quando sono tornato con mio fratello Mohammad ad Aleppo per presentarlo con orgoglio a mia madre, lei era già morta e sepolta. Ci siamo precipitati nel cimitero armeno, dove lei riposa in pace su questa terra dell'accogliente Siria, per raccoglierci sulla sua tomba. Abbiamo pregato insieme, io in armeno, lui in Arabo e a squarciagola, nella speranza che le nostre preghiere potessero raggiungere il grande deserto della Siria dove sono caduti padri, fratelli e zii. Mentre pregavamo, singhiozzavamo come bambini, mentre le nostre preghiere salivano come una sinfonia armeno-araba, islamo-cristiana verso il cielo, verso il solo e unico Dio.
In seguito, continuò Hajj Mohammad, ci facemmo visita vicendevolmente, le nostre mogli e i nostri figli approfondirono la loro conoscenza, ed era meraviglioso ritrovare la mia famiglia e le mie radici. Ma ciò che mi ha maggiormente addolorato è stato che le circostanze non mi hanno permesso di baciare le mani di quella santa donna che mi ha portato in braccio per notti e giorni mentre camminava sulle rotte dell'esodo prima che la morte strappasse via mio padre ...
Appena finita la frase, la mia segretaria aprì la porta dello studio medico per informarsi sul motivo di questa lunga consulta: "Dottore, non ha ancora completato l'esame di Mohammad? in dieci anni da quando lavoro con lei questa è la prima volta che impiega tanto tempo con un paziente. È da più di un'ora che è nel suo studio e i pazienti nella sala d'attesa stanno diventando impazienti, e sono più di una quindicina!"
Io le ho risposto: non ho ancora iniziato la visita; sono solo all'anamnesi, i suoi sintomi, i suoi antecedenti, la sua storia familiare, le sue abitudini, le sue allergie ... e la ragione principale della sua visita. Lei ha ribadito: Ma quali sono questi sintomi così importanti, che c'è voluto così tanto tempo per elencarli? Le ho risposto: egli si lamenta delle atrocità che alcuni popoli si permettono di commettere su altri popoli perché la loro religione, il loro colore o le loro idee non li soddisfano. Si lamenta della scomparsa dell'amore da certi cuori, che permette loro di torturare, uccidere e deportare intere popolazioni. Si lamenta della secchezza dei suoi occhi per aver versato tante lacrime su una santa donna che camminava e camminava a piedi scalzi per giorni e giorni in fuga dalla barbarie della gente. Si lamenta della spada che ha tagliato la gola di suo padre per la sola ragione che egli era Armeno e per la cicatrice che questa spada ha lasciato sulla propria schiena, che resterà per sempre a riprova di questo GENOCIDIO.
Mi rivolsi di nuovo a Hajj Mohammad mentre versava le lacrime che gli erano rimaste e dissi: È di questo che ti lamenti? Ho tolto il fazzoletto dalla tasca e mi sono asciugato anch'io la faccia e gli occhi e ho detto alla segretaria: dammi ancora qualche minuto per terminare la visita, ti prometto che non ci vorrà molto, e scusami con i malati nella sala d'attesa per questo ritardo, dicendo loro che c'è un intero popolo che attende ancora delle scuse, ormai da ottant'anni!
Sono già passati più di venti anni dalla pubblicazione di questa storia. Abbiamo commemorato il centenario di questo GENOCIDIO, il primo del ventesimo secolo, che ha causato la morte di oltre due milioni di Armeni, di Assiro-Caldei, di Siriaci, di Greci e altre minoranze cristiane; e c'è ancora un paese che nega che i suoi antenati lo abbiano perpetrato.
Dr. S.A.

sabato 25 giugno 2016

ARMENIA: Discorso del Santo Padre alle autorità civili e corpo diplomatico


Venerdì, 24 giugno 2016


È per me motivo di grande gioia poter essere qui, toccare il suolo di questa terra armena tanto cara, fare visita ad un popolo dalle antiche e ricche tradizioni, che ha testimoniato con coraggio la sua fede, che ha molto sofferto, ma che è sempre tornato a rinascere.
«Il nostro cielo turchese, le acque chiare, il lago di luce, il sole d’estate e d’inverno la fiera borea, […] la pietra dei millenni, […] i libri incisi con lo stilo, divenuti preghiera» (Elise Ciarenz, Ode all’Armenia). Sono queste alcune immagini potenti che un vostro illustre poeta ci offre per illuminarci sulla profondità della storia e sulla bellezza della natura dell’Armenia. Esse racchiudono in poche espressioni l’eco e la densità dell’esperienza gloriosa e drammatica di un popolo e lo struggente amore per la sua Patria.
Le sono vivamente grato, Signor Presidente, per le gentili espressioni di benvenuto che Ella mi ha rivolto a nome del Governo e degli abitanti dell’Armenia, e per avermi offerto la possibilità, grazie al Suo cortese invito, di contraccambiare la visita da Lei compiuta l’anno scorso in Vaticano, quando presenziò alla solenne celebrazione nella Basilica di San Pietro, insieme alle Loro Santità Karekin II, Patriarca Supremo e Catholicos di Tutti gli Armeni, e Aram I, Catholicos della Grande Casa di Cilicia, e a Sua Beatitudine Nerses Bedros XIX, Patriarca di Cilicia degli Armeni, recentemente scomparso. In quella occasione si è fatta memoria del centenario del Metz Yeghérn, il “Grande Male”, che colpì il vostro popolo e causò la morte di un’enorme moltitudine di persone. 
Quella tragedia, quel genocidio, inaugurò purtroppo il triste elenco delle immani catastrofi del secolo scorso, rese possibili da aberranti motivazioni razziali, ideologiche o religiose, che ottenebrarono la mente dei carnefici fino al punto di prefiggersi l’intento di annientare interi popoli. E’ tanto triste che – sia in questo come negli altri - le grandi potenze guardavano da un’altra parte.
Rendo onore al popolo armeno, che, illuminato dalla luce del Vangelo, anche nei momenti più tragici della sua storia, ha sempre trovato nella Croce e nella Risurrezione di Cristo la forza per risollevarsi e riprendere il cammino con dignità. Questo rivela quanto profonde siano le radici della fede cristiana e quale infinito tesoro di consolazione e di speranza essa racchiude. 
Avendo davanti ai nostri occhi gli esiti nefasti a cui condussero nel secolo scorso l’odio, il pregiudizio e lo sfrenato desiderio di dominio, auspico vivamente che l’umanità sappia trarre da quelle tragiche esperienze l’insegnamento ad agire con responsabilità e saggezza per prevenire i pericoli di ricadere in tali orrori. Si moltiplichino perciò, da parte di tutti, gli sforzi affinché nelle controversie internazionali prevalgano sempre il dialogo, la costante e genuina ricerca della pace, la collaborazione tra gli Stati e l’assiduo impegno degli organismi internazionali, al fine di costruire un clima di fiducia propizio al raggiungimento di accordi duraturi, che guardino al futuro.
La Chiesa Cattolica desidera collaborare attivamente con tutti coloro che hanno a cuore le sorti della civiltà e il rispetto dei diritti della persona umana, per far prevalere nel mondo i valori spirituali, smascherando quanti ne deturpano il significato e la bellezza. A questo proposito, è di vitale importanza che tutti coloro che dichiarano la loro fede in Dio uniscano le loro forze per isolare chiunque si serva della religione per portare avanti progetti di guerra, di sopraffazione e di persecuzione violenta, strumentalizzando e manipolando il Santo Nome di Dio.
Oggi, in particolare i cristiani, come e forse più che al tempo dei primi martiri, sono in alcuni luoghi discriminati e perseguitati per il solo fatto di professare la loro fede, mentre troppi conflitti in varie aree del mondo non trovano ancora soluzioni positive, causando lutti, distruzioni e migrazioni forzate di intere popolazioni. È indispensabile perciò che i responsabili delle sorti delle nazioni intraprendano con coraggio e senza indugi iniziative volte a porre termine a queste sofferenze, facendo della ricerca della pace, della difesa e dell’accoglienza di coloro che sono bersaglio di aggressioni e persecuzioni, della promozione della giustizia e di uno sviluppo sostenibile i loro obiettivi primari. 
Il popolo armeno ha sperimentato queste situazioni in prima persona; conosce la sofferenza e il dolore, conosce la persecuzione; conserva nella sua memoria non solo le ferite del passato, ma anche lo spirito che gli ha permesso, ogni volta, di ricominciare di nuovo. In tal senso, io lo incoraggio a non far mancare il suo prezioso contributo alla comunità internazionale.
Quest’anno ricorre il 25° anniversario dell’indipendenza dell’Armenia. È una felice circostanza per cui rallegrarsi e l’occasione per fare memoria dei traguardi raggiunti e per proporsi nuove mete a cui tendere. I festeggiamenti per questa lieta ricorrenza saranno tanto più significativi se diventeranno per tutti gli armeni, in Patria e nella diaspora, uno speciale momento nel quale raccogliere e coordinare le energie, allo scopo di favorire uno sviluppo civile e sociale del Paese, equo ed inclusivo. Si tratta di verificare costantemente che non si venga mai meno agli imperativi morali di eguale giustizia per tutti e di solidarietà con i deboli e i meno fortunati (cfr Giovanni Paolo II, Discorso di congedo dall’Armenia, 27 settembre 2001Insegnamenti XXIV, 2 [2001], 489). 
La storia del vostro Paese va di pari passo con la sua identità cristiana, custodita nel corso dei secoli. Tale identità cristiana, lungi dall’ostacolare la sana laicità dello Stato, piuttosto la richiede e la alimenta, favorendo la partecipe cittadinanza di tutti i membri della società, la libertà religiosa e il rispetto delle minoranze. La coesione di tutti gli armeni, e l’accresciuto impegno per individuare strade utili a superare le tensioni con alcuni Paesi vicini, renderanno più agevole realizzare questi importanti obiettivi, inaugurando per l’Armenia un’epoca di vera rinascita.
La Chiesa Cattolica, da parte sua, pur essendo presente nel Paese con limitate risorse umane, è lieta di poter offrire il suo contributo alla crescita della società, particolarmente nella sua azione rivolta verso i più deboli e i più poveri, nei campi sanitario ed educativo, e in quello specifico della carità, come testimoniano l’opera svolta ormai da venticinque anni dall’ospedale “Redemptoris Mater” ad Ashotsk, l’attività dell’istituto educativo a Yerevan, le iniziative di Caritas Armenia e le opere gestite dalle Congregazioni religiose.
Dio benedica e protegga l’Armenia, terra illuminata dalla fede, dal coraggio dei martiri, dalla speranza più forte di ogni dolore.

sabato 4 giugno 2016

Germania riconosce Genocidio Armeno, quartiere armeno di Aleppo devastato


 Poche ore dopo il riconoscimento da parte del Parlamento tedesco del genocidio armeno , 4 cittadini siriani armeni sono morti a causa dei bombardamenti con dei missili dei ribelli nella città di Aleppo sul quartiere Midan (armeno).






Distruzioni ingenti della 'Chiesa della Gioia',
 della scuola elementare appartenente al vescovado armeno  e di appartamenti.

Si contano 4 martiri:  Vasken Jabaghjourian, Hovsep Janissian, Khatchik Abolabotian, siriani armeni, nonché almeno 16 feriti....
La zona della chiesa armena è stata colpita da 4 missili.
In chiesa c'erano 200 persone, soprattutto donne e qualche bambino.

Si sono rifugiati dapprima sotto la chiesa e poi sono usciti 20 per volta per tornare a casa.

Due piani della scuola sono stati distrutti.



domenica 24 aprile 2016

24 APRILE 1915: IL MARTIRIO DEI CRISTIANI ARMENI


 BREVE STORIA DEL GENOCIDIO ARMENO
L’impero ottomano alla fine del XIX secolo, è uno stato in disfacimento, la corruzione serpeggia in ogni angolo dell’impero che in breve tempo ha visto scomparire i suoi domini in Europa con la nascita, dopo secoli di barbara oppressione, degli stati nazionali balcanici. I turchi, che si erano installati nell’Anatolia  di millenaria cultura greco-armena, paventano la possibilità di rivendicazioni elleniche sulle coste dell’Asia Minore (Smirne e Costantinopoli) e soprattutto la nascita di una Nazione Armena.
Quando Abdul Hamid II sale al trono, nel 1876, l’impero ottomano conta una forte presenza cristiana. I turchi e le popolazioni assimilate in moltissime regioni non riescono a raggiungere neppure il 40% dell’intera popolazione. In Asia Minore le minoranze etniche sono costituite da greci, armeni ed assiri. Gli armeni sono concentrati nell’est dell’impero dove, già dall’indipendenza greca del 1821, la Sublime Porta (sultanato) ha fatto insediare tutti i musulmani dei territori ottomani che via via venivano persi. Gli armeni non richiedono l’indipendenza ma solo uguaglianza e libertà culturale. Abdul Hamid viene duramente sconfitto dai russi. Le conseguenze per l’impero non sono gravi poiché il primo ministro inglese Disraeli, spinto dalla tradizionale politica filo turca del suo paese, fa sì che non si venga a formare uno stato armeno libero ma solo che vengano garantiti i diritti personali dei singoli.  L’Inghilterra ottiene l’isola di Cipro. Il sultano, temendo una futura ingerenza europea nella questione armena e la ulteriore perdita di territori, dà inizio alle repressioni.
Tra il 1894 e il 1896 vengono uccisi dai due ai trecentomila armeni ad opera degli Hamidiés (battaglioni curdi appositamente costituiti dal sultano) senza contare conversioni forzate all’Islam che però non hanno seguito. A causa delle persecuzioni si assiste ad una forte ondata emigratoria.  E’ l’inizio di una serie di massacri che durerà, in maniera più o meno forte, per trent’anni sotto tre regimi turchi diversi. L’atteggiamento Europeo è d’immobilismo, poiché ogni nazione ha paura che un’altra assuma maggior rilevanza nello scacchiere caucasico e mediorientale.
Un nemico ancor più temibile del sultano si stava preparando, “i giovani turchi” ed il loro partito “Unione e Progresso” ( Ittihad ve Terakki). Questi, che avevano studiato in Europa, si erano imbevuti delle dottrine socialiste e marxiste che avevano adattato al sistema turco. La perdita dei possedimenti europei indicava loro – quale possibilità di espansione –  il ricongiungimento ai popoli di etnia turca che vivono nell’ Asia centrale: tartari, kazachi, uzbechi ecc. E’ principalmente da queste due matrici culturali che nascel’ideologia del panturchismo o panturanesimo (il Turan è il focolare della nazione turca da cui i turchi sono giunti, dopo una lunga marcia durata secoli, in Asia Minore).  Dal marxismo i “Giovani turchi” avevano ripreso l’idea di uguaglianza, ma concepita in guisa che, per essere tutti uguali, tutti devono essere ottomani e per essere tutti ottomani bisogna essere tutti turchi e musulmani. Dalla constatazione dell’impossibilità del mantenimento e dell’espansione dei domini europei, essi rivolgono la loro attenzione ai turchi delle steppe dell’Asia centrale e mirano al ricongiungimento con essi per dare vita ad un entità panturca che possa andare dal Bosforo alla Cina. Gli ostacoli, che si frappongono a queste mire di formazione di un blocco megalitico turco, panturanico, sono costituiti da armeni e curdi. I curdi però, pensano i Giovani Turchi, sono musulmani e non posseggono una forte cultura, possono essere quindi assimilati facilmente; gli eventi del nostro tempo mostrano tragicamente altro. Gli armeni, oltre a essere cristiani malgrado le molte e spietate persecuzioni, posseggono anche una cultura millenaria, professano un’altra religione, hanno una loro lingua ed un loro alfabeto, non possono essere assimilati ed inoltre la loro presenza impedisce l’unificazione con gli altri turchi. Vanno quindi eliminati.
Per portare avanti questo progetto non era pensabile appoggiarsi al “sultano rosso” (così era stato soprannominato Abdul Hamid dopo i massacri di fine Ottocento), poiché il suo governo era corrotto e debole mentre c’era invece bisogno di un governo forte e privo di remore. L’ironia della sorte vuole che proprio gli armeni diano una mano all’Ittihad per raggiungere il potere. I giovani turchi infatti, mentre segretamente tramavano l’omicidio di massa, apparentemente si mostravano liberali e laicisti. Gli armeni, pensando all’avvicinarsi di uno stato garante delle libertà fondamentali dell’uomo, appoggiano così i loro carnefici, i quali nel 1908 con un colpo di stato prendono il potere. In questo periodo gli armeni ottengono, solo teoricamente, uno status di cittadini a tutti gli effetti e nell’Armenia vengono formate sei entità vagamente autonome, chiamate villayet.  Ma in segreto, a Costantinopoli, l’annientamento era stato premeditato da lungo tempo.
I Giovani Turchi avviano una prova generale del genocidio nell’aprile del 1909, le vittime sono trentamila. Impongono la dittatura militare nel 1913, Djemal, Enver e Talaat  (il triumvirato della morte) sono i ministri della Marina, della Guerra e dell’Interno. Ormai hanno pieni poteri per dirigere lo stato, possono pianificare il genocidio perfetto. In riunioni segrete si organizza lo sterminio e viene delineato il principio di omogeneizzazione della Turchia tramite la forza delle armi.
In primo luogo intervengono nelle attività parlamentari facendo approvare una legge che permette lo spostamento di popolazioni in caso di guerra ed inoltre il ministro Enver dà vita ad un’organizzazione speciale (Teškilati Mahsusa), il cui scopo ufficiale è quello di   effettuare azioni di guerriglia in tempo di guerra; in verità  si tratta di una vera e propria macchina di sterminio . Enver assolda trentamila avanzi di galera. Viene messa in atto una rete segreta di comunicazione, che si avvale di un codice segreto, praticamente sarà articolata come segue: per impartire l’ordine di sterminio ad ogni comando della gendarmeria si manderà un messaggio ufficiale in cui si dirà di proteggere gli armeni, con la scusa ufficiale  del  trasferimento per motivi bellici, e contemporaneamente un messaggio cifrato che invece  ne disporrà la carneficina ( con la clausola di distruggere quest’ultimo messaggio in modo che non ne rimanga traccia). Poiché alcuni paesi europei minacciavano ritorsioni in caso di pericolo per gli armeni, alcuni di questi documenti si salvarono perché gli esecutori volevano avere qualcosa che provasse che avevano solo obbedito agli ordini. Questi documenti saranno usati nel processo di Costantinopoli.
I Giovani Turchi non potevano intraprendere la loro politica di annientamento, dovevano aspettare un’occasione favorevole. Tale occasione è la guerra, perché nessuna potenza sarebbe potuta intervenire a causa di questa. Talaaat Pascià, parlando al Dr. Mordtman in merito all’abolizione di ogni concessione a favore degli armeni, asserisce infatti: “C’est le seul moment propice”. All’entrata si oppongono i partiti armeni, ma ogni sforzo è vano. I Giovani Turchi iniziano la loro follia e per gli armeni inizia il METZ YEGHERN (IL GRANDE MALE). Con questo nome gli armeni chiamano il loro genocidio. In sei mesi i turchi uccideranno da un milione e mezzo a due milioni di armeni.
Tutta l’operazione viene mascherata come un’azione di spostamento di persone da ipotetiche zone di guerra. Tutto ciò perché i Giovani Turchi vorrebbero far credere che la sparizione di due milioni di persone sia dovuta al caso. Le modalità di sterminio sono:
1)    Eliminazione del cervello della nazione. Il 24 Aprile 1915 vengono arrestati gli esponenti dell’élite culturale armena. Intellettuali, deputati, prelati, commercianti, professionisti saranno deportati all’interno dell’Anatolia e massacrati. Ci vorranno cinquant’anni per ricostruire una classe pensante.
2)    Eliminazione della forza. Gli Armeni dai 18 ai 60 anni vengono chiamati alle armi a causa della guerra in atto. Questi, da bravi cittadini, si arruolano. Un decreto stabilisce il disarmo di tutti i militari armeni, che vengono costituiti in battaglioni del genio. A gruppi di 100 verranno isolati e massacrati. Di 350.000 soldati armeni nessuno si salverà.
3)   E’ il turno di donne vecchi e bambini. I medici Nazim e Behaeddin Chackir sguinzagliano la loro organizzazione segreta. Nei luoghi vicino al mare si procede all’annegamento. Lo sterminio diretto viene applicato anche nelle zone in cui incombeva l’avanzata russa per il timore che alcuni si potessero salvare.
4)  Deportazioni (tehcir ve taktil = deportazione e massacro) –  In primo luogo vengono eliminati i pochi uomini validi rimasti. Il capo della gendarmeria locale dà ordine ai maschi armeni di presentarsi al comune, appena arrivati vengono imprigionati ed eliminati fuori dal villaggio. Si incomincia la deportazione con la scusa dello spostamento da zona di operazioni belliche; moltissimi deportati vengono uccisi durante la marcia.
L’editto di trasferimento dovrebbe essere comunicato con cinque giorni d’anticipo, ma nella maggioranza dei casi viene dato molto meno tempo per non offrire alle vittime la possibilità di prepararsi. Fuori dal villaggio intanto aspettano curdi e turchi per impadronirsi della abitazioni. Con una legge del 10.6.1915 e altre che seguono, i beni della persone deportate vengono dichiarati “beni abbandonati (“emvali metruke“) quindi soggetti a confisca e riallocazione. Allontanatisi i convogli, questi sono privati dei carri (bisogna camminare) si possono così facilmente eliminare le persone per fatica senza dover usare proiettili.  Le donne hanno una possibilità di salvezza, convertirsi all’islam, sposando un turco ed affidando i propri figli allo Stato. Durante il viaggio questi convogli vengono attaccati e depredati, anche con l’aiuto dei militari di scorta. Il bottino viene spartito tra Stato ed esecutori materiali.
Dopo lunghe marce, durante le quali gli attacchi dei Ceccè (30000 assassini fatti uscire di galera ed incorporati nell’organizzazione segreta) e dei curdi Hamidiés, la fame, la sete e gli stenti decimano i convogli, si giunge ai campi di sterminio della Siria che non presentano reticolati: c’è il deserto. Nel luglio del 1916 Talaat dà l’ordine di eliminare i superstiti. Questi verranno stipati in caverne, cosparsi di petrolio e poi viene dato loro fuoco.
In tutta l’Armenia si può assistere al macabro spettacolo di corpi straziati e lasciati insepolti. In un rapporto del 1917 il medico militare tedesco, Stoffels, rivolgendosi al console austriaco dice di aver visto, nel 1915 durante il suo viaggio verso Mosul, un gran numero di località, precedentemente armene, nelle cui chiese e case giacevano corpi bruciati e decomposti di donne e bambini.  I corpi delle vittime non troveranno mai cristiana sepoltura.
Le carovane della morte vengono indirizzate verso Aleppo (in Siria) e di qui verso la località desertica di Deir el-Zor.  Qui, i superstiti vengono definitivamente annientati. Il mausoleo innalzato dagli armeni a Deir el-Zor a ricordo di tale olocausto è stato raso al suolo dai miliziani dell’Isis nell’autunno 2014. L’Auschwiz degli armeni non esiste più.