Durante
il viaggio, ho l'occasione di assistere ad un incontro di giovani
provenienti da diverse città della Siria: sono i responsabili
dei gruppi di 'CVX comunità di vita cristiana' e riflettono in un
momento comune sulla propria vocazione in questo momento della vita
dolorosa del proprio paese.
Ci
tengono a ribadire che la sofferenza che stanno vivendo i cristiani è
una sofferenza che li accomuna agli altri siriani, senza distinzione,
perché in questo momento cristiani e musulmani soffrono allo stesso
modo.
Magda
è insegnante e fa la volontaria in attività organizzate
per aiutare e dare conforto in un
campo profughi di Aleppo: fa l'esperienza della diversità, è spesso
l'unica non velata dentro l'ambiente in cui porta la sua presenza, ma
si accorge anche di quanto uno sguardo suo libero, sereno, non
condizionato, crea inaspettati ponti di riconoscimento. I musulmani
sono stupiti dal vedere l'interesse che hanno i cristiani verso di
loro, quando le stesse moschee non si prendono cura dei loro bisogni,
fanno un incontro umano con persone amorevoli, gentili e questo li
sorprende enormemente, perchè non è l'immagine che avevano
conosciuto, vedono che è un'altra cosa ...
“La
crisi è stata un'occasione per un incontro pienamente umano:
recandoci a Jebreen nei campi profughi dove sono raccolte persone che
sono vissute sotto Isis o i gruppi fondamentalisti, ci raccontano
esperienze terribili, che quasi non si riesce ad ascoltare
immaginando che siano la realtà, soprattutto per le donne. Ci sono
molte malattie a livello psicologico, menti che sono state segnate da
una violenza terribile, tanti non riescono più a dormire e
raccontano storie veramente disumane, che ci toccano profondamente e
lavorare con loro è spesso fonte di pianto.”
Proprio
questo ascoltare e condividere il dolore sta riempiendo di senso la
vita di queste donne e uomini che hanno scelto di restare. Essi non
sono d'accordo con quei cristiani che qui pensano di essere
considerati inferiori perché non hanno un ruolo importante nella
società siriana, invece percepiscono la propria missione come
fondamentale all'interno della società. “Ci sono cristiani che
pensano che per loro non ci sia un avvenire qui” ... Magda avrebbe
potuto emigrare senza problemi, come hanno fatto quasi tutti i suoi
parenti, ma lei ha sentito che questa era la sfida che le era
proposta da Cristo e che ha accettato come la propria vocazione.
Scopre così che quello che ha tutti i giorni, cioè il suo lavoro,
il servizio, la vita nella comunità cristiana, le basta per restare,
dà una ragione anche al sopportare le privazioni dell'acqua, della
luce e di altre cose che prima sono sempre state normali.
“È
vero soffriamo, ma quello che mi rialza è di avere un senso, il
percepire che c'è un significato e che questo significato è dentro
di me come una sorgente che mi tiene in piedi. Come siriana e come
cristiana io percepisco che se Dio mi ha messo qui è perché si
aspetta da me qualcosa qui, trovo ogni giorno dei segni che mi
convincono che è giusto essere qui. Ma è molto importante il
sostegno di CVX , cioè una compagnia che mi aiuta iniziando la
giornata con la preghiera e terminandola con la liturgia, ogni
giorno ritrovo la scelta del perché continuare, e che cosa Dio
mi sta domandando. Prima la ragione era come di tipo sociale, adesso
capisco che la ragione viene da una fonte spirituale”. Aggiunge Abed: “Se si pensa all'essere cristiani come categoria
sociale, allora si è presi dal senso di inferiorità, di essere
minoranza e quindi senza chances; ma io penso che il punto è
personale, nessuno può sostituire il mio essere personalmente
radicato in Cristo e in questa società. Quello che cambia è la
coscienza di essere testimoni di Cristo e non delle vittime di questa
società. Veramente, stiamo vivendo un tempo di Grazia in tempo di
guerra... riconosciamo che abbiamo cercato di vivere il Vangelo e
vogliamo continuare a vivere con questo spirito ancor
più profondamente. ”.
G
, giovanissima ragazza sfollata a Damasco da Maloula quando i
terroristi hanno distrutto la sua casa, dice che lei era sempre stata
convinta che la sua vocazione fosse di essere un ponte, una testimone
radicata nella società siriana con un compito. Ma adesso, dopo
quello che è successo a Maloula e vedendo la sua casa distrutta, i
suoi amici presi prigionieri e non più ritornati, si domanda come si
può restare in un paese dove non c'è più legge e difesa. Si chiede
dunque fino a quando, e perché, sopportare tutta questa difficoltà,
il senso di essere indifesi senza protezione... E quindi si pone la
domanda: “se io ne avrò la possibilità, lascerò la Siria?".
Ogni siriano in realtà, non solo i cristiani, si domanda come
restare in un paese senza legge, senza diritto, dove le mafie
imperversano, e dove la guerra ha incrementato ladri, scassinatori,
approfittatori. “Questo è il grande male per la guerra, e noi
capiamo che c'è qualcuno che non vuole che la guerra finisca, che
vuole arricchirsi; approfittano della guerra, sia fuori della Siria che persone di dentro” .
L.
di Aleppo ritiene che la paura dei cristiani è una cosa antica, fin
da prima di questa guerra, perché i cristiani si sono sempre sentiti
presi di mira, perché si sa che sono persone pacifiche, perdonano,
ma si trovano in mezzo a litiganti più forti che possono sopraffarli
facilmente.
Ma, concordi, in tutti i ragazzi c'è la consapevolezza delle menzogne
che sono state diffuse sulla cosiddetta rivoluzione, su quello che la
stampa racconta che accade in Siria e, benché tra di loro si
percepiscano opinioni anche politiche differenti, concludono unanimi
con queste parole: “Lasciate la Siria in pace, non venite a
prendere una parte contro l'altra, lasciateci risolvere da soli
i nostri problemi".
Nel
cammino verso Damasco ci fermiamo in quel luogo straordinario che è
il monastero Mar Yacub di Qara, spazio di incontro e di apertura
fraterna in un ambiente dalla mirabile storia risalente ai primissimi
anni del cristianesimo in Siria: una breve sosta che spalanca il
cuore ad un abbraccio grato per questa amicizia e per questa presenza
ospitale.
Fiorenza (la seconda parte continua domani)