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mercoledì 4 dicembre 2024

“In Siria gli islamisti avanzano”: la testimonianza di padre Firas Lutfi di Hama

fonte:  Agenzia DIRE 4 dicembre 2024 

Hama, la mia città natale, è il cuore della Siria; l’esercito si è posizionato in periferia, pronto a difenderla; noi preghiamo anche per le famiglie e i bambini che frequentano il Centro di cura francescano, aperto a tutti, cristiani e musulmani”. Con l’agenzia Dire parla padre Firas Lutfi, frate minore per molti anni ad Aleppo, ora guardiano e parroco di Damasco.

“TUTTI DEVONO PASSARE PER HAMA”

L’intervista, al telefono dalla capitale, si tiene mentre arrivano notizie su un’ulteriore avanzata dei ribelli di Hayat Tahrir al-Sham (Hts). “Una formazione islamista”, dice padre Lutfi, “che ha ottenuto finanziamento e addestramento da potenze straniere e che ora vuole prendere una città snodo nevralgico a livello nazionale”.
Hama si trova a circa 130 chilometri a sud di Aleppo, occupata dai ribelli venerdì scorso, e a circa 180 a nord di Damasco, base del governo del presidente Bashar Al Assad. “Tutti devono passare da questa città o dalla vicina Homs“, evidenzia padre Lutfi, “che vogliano raggiungere le regioni settentrionali o quelle meridionali, andare verso est o verso la costa”.
Il frate conosce tutte queste strade. Per 14 anni ha vissuto ad Aleppo, “prima, durante e dopo l’occupazione da parte dei jihadisti”, sottolinea, in riferimento al periodo della guerra civile divampata sull’onda delle “primavere arabe”: quello che va dall’ingresso dei ribelli, nel 2012, fino alla riconquista da parte delle forze governative, nel 2016.

PAURA PER IL CENTRO DI CURA FRANCESCANO DI HAMA, “SPAZIO PER TUTTI”

“Ora sono molto preoccupato” confida padre Lutfi. “Aleppo è caduta in meno di 24 ore, senza che ci fosse alcuna resistenza, nemmeno presso i commissariati di polizia o i centri dell’intelligence”.
Non c’è però solo la seconda città della Siria, al centro dei combattimenti sin dall’inizio del conflitto nel 2011. I ribelli avanzano ora verso sud. “Con i confratelli ad Hama abbiamo creato un Centro di cura francescano, che è gestito da una piccola parrocchia siro-cattolica” riferisce padre Lutfi. “E’ uno spazio aperto a tutti, cristiani e non, dove sono accolti i bambini e le famiglie che hanno subito traumi, anche psicologici, come nel caso dei minori costretti a imbracciare armi”.
L’idea ispiratrice era quella di aprirsi “un’oasi di pace” in un tempo che purtroppo è di guerra. “Il Centro ha una supervisione francescana da Aleppo e conta poi sul lavoro quotidiano di esperti e psicologi del posto, originari di Hama” sottolinea padre Lutfi. Che si sofferma sulle tante anime della comunità cristiana: “C’è una parrocchia siro-cattolica e poi due siro-ortodosse e greco-ortodosse, mentre nella vicina città di Homs restano i padri gesuiti”.

AD ALEPPO LA “RESISTENZA” DEI FRANCESCANI

C’è chi è restato anche ad Aleppo, occupata da Hayat Tahrir al-Sham. “I confratelli del Collegio francescano, quello colpito da un bombardamento nel fine-settimana, si chiamano Samhar Isaak e Bassam Zaza” riferisce padre Lutfi: “Ci sentiamo ogni giorno e stanno bene, anche se non hanno dimenticato lo shock del bombardamento, che la distrutto la loro abitazione e pure la panetteria, dove c’era tanta farina da distribuire ai poveri costretti a casa dal coprifuoco”.
Flashback di qualche anno fa. “Pure quando vivevo lì il Collegio fu centrato da un missile” ricorda padre Lutfi: “Perse la vita una donna anziana, René Salem, che aveva 94 anni e che da sei era nostra ospite”.

La violenza è tornata o forse non è mai finita. E in tanti sostengono che in Siria, con il ruolo della Russia in favore del governo o della Turchia a supporto di forze ribelli, si combatta in realtà parte di quella “guerra mondiale a pezzi” tante volte denunciata da papa Francesco. “Il Paese è ostaggio di un gioco politico internazionale” dice padre Lutfi. “Tutti, le potenze della regione ma non solo, vogliono prendere posizione”.
La tesi del francescano è che questa sia anche una guerra “per procura”, combattuta da “soci” di altri. “La Siria ha diviso il mondo e il mondo ha lacerato la Siria, proprio come accade per la Striscia di Gaza o per l’Ucraina” denuncia padre Lutfi. “Le milizie islamiste sono state addestrate e sostenute e oggi hanno a disposizione armi sofisticate”. 

Una deriva conseguenza anche di tanti errori, compresi quelli di Assad. “Nessun governo al mondo è angelico, democratico al cento per cento e immune agli sbagli” dice padre Lutfi. “Quando prese il potere il presidente promise di combattere la corruzione: oggi ci chiediamo se nel nome di questa lotta o magari nel nome della democrazia sia giusto armare milizie e distruggere il patrimonio della Siria, storicamente culla e ponte del dialogo tra Oriente e Occidente?”


di Robi Ronza - 4 dicembre 2024

.... Fino al 2011 la Siria era relativamente un Paese stabile, non povero e con assetto politico accettabile finché gli Stati Uniti di Obama colsero l’occasione dei moti della “primavera araba” per montare un’insurrezione che scoperchiò il vaso di Pandora di movimenti islamisti che il regime di Assad fino ad allora aveva tenuto a bada. Queste forze travolsero rapidamente le esigue élite urbane che avevano animato la “primavera araba” puntando ad abbattere il regime «laico» di Assad e ad installare al suo posto un regime appunto islamista. Fu l’inizio di una guerra più che mai disastrosa costata sin qui, secondo fonti dell’Onu, oltre 570 mila morti, 2 milioni e 800 mila feriti tra cui moli mutilati e invalidi, 6 milioni di rifugiati all’estero e un numero difficilmente calcolabile di milioni di sfollati interni su una popolazione che era di circa 19 milioni di abitanti.

Personalmente mi auguro che Obama e i suoi non si rendessero conto di che cosa stavano provocando quando, invece di aiutare le élite urbane a disagio ad aprire con pazienza spazi di democrazia nel loro Paese, le spinsero a far precipitare la situazione (e un discorso simile si può fare con riguardo alla Libia). In casi del genere ci si dovrebbe sempre domandare se mirando a far cadere un regime non si finisca per aprire la via a qualcosa di peggiore. Nel mondo arabo l’autoritarismo è la regola e la democrazia è l’eccezione. Quindi caduto un regime autoritario di regola ne sorge un altro, e non una democrazia.
In Siria Assad ha poi retto il colpo e il suo regime non è crollato, ma ciononostante non si è voluto porre termine alla guerra, ma solo per così dire congelarla; e adesso si è scongelata. All’occupazione islamista di Aleppo hanno fatto seguito i bombardamenti russi sulla città. Gli aerei provenienti dalla base che Mosca ha nei pressi di Latakia (l’antica Laodicea di cui si parla anche nell’Apocalisse) mirando agli occupanti islamisti hanno ovviamente colpito anche obiettivi civili.

Dal convento di Aleppo dei francescani della Custodia di Terra Santa, in parte distrutto dalle bombe russe, l’altro ieri padre Firas Lufti, parroco della comunità cattolica di rito latino, che molti ricorderanno per averlo incontrato e ascoltato negli anni scorsi in occasione di sue visite in Italia, ha inviato un drammatico appello:
«Per favore, parlate di noi. Raccontate della gente di Aleppo che dopo 14 anni di guerra, dopo il dramma del terremoto, in queste ore è sprofondata ancora nella paura. Per il mondo noi non esistiamo più, la Siria è stata dimenticata. Invece quella del nostro popolo è una ferita che continua a sanguinare. Ecco, siamo sotto il Golgota.
L’animo degli aleppini – che ha resistito a tanti anni di conflitto – è ora scosso da una nuova incertezza. Nel giro di pochissime ore, oltre ventimila miliziani islamisti, molti di loro stranieri, hanno preso possesso di Aleppo senza alcun tentativo di difesa da parte dell’esercito governativo siriano. Hanno occupato l’aeroporto, le stazioni di polizia, tutti i centri nevralgici. Così la gente, in preda al panico, ha iniziato a fuggire. Ben presto però le vie di accesso alla città, l’autostrada e la strada vecchia che usavamo anche durante le ore più difficili della guerra, sono state bloccate. Aleppo è ora una prigione dalla quale non si può più uscire. Né entrare.
Il popolo è confuso, stretto tra due versioni della storia: quella del Governo, che dice di aver lasciato fare per evitare un bagno di sangue tra i civili, e quella dei miliziani jihadisti, che hanno bussato alle case dei civili gridando di essere venuti a liberarli. «Ma da cosa? Ora la paura è quella di sprofondare invece in un altro orrore. Per quanto tempo ancora potremo suonare le campane? Per quanto tempo potremo mostrare il crocifisso o le donne girare senza velo? Questi miliziani saranno più tolleranti di quelli che hanno invaso la città qualche anno fa o hanno solo cambiato strategia? E quale futuro ci sarà per i bambini, per gli anziani, per i più fragili che sono rimasti?».

Anche questa volta la Chiesa è rimasta accanto al popolo attraverso i vescovi, i sacerdoti, i religiosi. Ieri i fedeli cristiani si sono radunati nella parrocchia francescana per la Messa.
Ieri abbiamo celebrato la prima domenica di Avvento, il tempo della speranza. E il pensiero è stato subito all’attesa che domina questa ora buia: quella della pace. Oggi i civili di Aleppo sono davvero chiamati a vivere sulla pelle l’attesa della salvezza. Una salvezza che non può venire dagli uomini o dalla geopolitica. Dio è l’unico che ci viene a salvare, carne della nostra carne, il Dio-con noi. Lui ha promesso che non ci lascerà mai e la speranza nasce solo da questa fede fiduciosa»...-
 «Pregate. La preghiera è l’unica arma che abbiamo, perché pregando anche i cuori più duri possono aprirsi ad atti di carità concreti, a gesti di generosità, trovando vie creative per la pace. Il nostro appello è per tutti i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di coscienza: non dimenticatevi della Siria».

venerdì 3 marzo 2023

Il Congresso Usa vota per ripristinare tutte le sanzioni alla Siria

 
foto di Elia Kajmini

Piccole Note, 3 marzo 2023

“La Camera degli Stati Uniti questa settimana ha votato in modo schiacciante a favore di una mozione per mantenere le sanzioni contro la Siria, nonostante il devastante terremoto che ha ucciso almeno 5.900 persone”. Così The Cradle.

Maggioranza “bulgara”

La risoluzione, presentata dal deputato repubblicano Joe Wilson e sottoscritta da altri 51 deputati, è stata approvata con un voto di 414 a 2. Contrari solo Thomas Massie e Marjorie Taylor Greene.

La risoluzione chiede all’amministrazione Biden di continuare ad rimanere fedeli al Caesar Syria Civilian Protection Act del 2019, “che ha imposto sanzioni paralizzanti alla Siria progettate per impedire al Paese di ricostruirsi dopo anni di guerra”, come scrive Dave DeCamp su Antiwar.

“La mozione – continua DeCamp – dichiarava che il governo del presidente siriano Bashar al-Assad ‘affermava in maniera menzognera’ che le sanzioni statunitensi impedivano di dare una risposta alle devastazioni del terremoto”.

E ancora, “la mozione della Camera affermava di ‘piangere’ le vittime del terremoto e descriveva l’applicazione del Caesar Act come un modo per ‘proteggere’ il popolo siriano”.

Approvando tale mozione, la Camera chiede la revoca del gesto conciliante dell’amministrazione Biden che, dopo il sisma, ha sospeso parte delle sanzioni comminate a Damasco. Detto questo, anche la sospensione attuale, anche se non sarà revocata, non ha un grande impatto sugli aiuti.

Così su Msnbc news: “La scorsa settimana, il governo degli Stati Uniti ha annunciato una moratoria di 180 giorni sulle sanzioni per favorire i soccorsi ma, anche se le sanzioni prevedevano precedenti esenzioni per l’assistenza umanitaria, molti analisti temono che la revoca di queste sanzioni non cambierà molto”.

L’inefficace sospensione, parziale e temporanea

“[…] Ad esempio, le banche e le istituzioni finanziarie private non sono disposte a inviare denaro in Siria sotto forma di rimesse, tanto necessarie, e altri aiuti finanziari per paura di ritorsioni. Poi c’è il fatto che la stragrande maggioranza del petrolio del paese è controllata dagli Stati Uniti”.

Peraltro, si può immaginare quanto sia incisiva una sospensione di alcune sanzioni per soli 180 giorni, solo se si pensa alle conseguenze dei terremoti che hanno afflitto l’Italia, dove ancora l’Aquila e Amatrice, solo per fare due esempi, sono alle prese con la ricostruzione (e il nostro Paese è più sviluppato e non ha subito una devastante guerra decennale). Tant’è.

Poco da aggiungere. Questa la politica sanguinaria ormai è diventata approccio ordinario dell’Impero verso il povero Paese mediorientale. La colpa di Assad è quella di aver resistito al tentativo di regime-change, anche se un terzo del Paese, nel quale si trovano i giacimenti di petrolio, resta occupato dagli Stati Uniti, i quali usano allo scopo i curdi siriani, a loro volta succubi e vittime dei loro disegni (tanto è vero che, quando Erdogan li ha attaccati, hanno chiesto aiuto ad Assad, segno che l’America li aveva scaricati).

Tale l’ipocrisia di un Impero che vuole apparire come difensore della libertà e della democrazia e, per inciso, accusa i russi di attentare all’integrità territoriale dell’Ucraina….



Padre Lufti: "C'è bisogno di solidarietà. Il sisma rischia di cancellare ogni speranza"

È passato quasi un mese dal terribile sisma che ha colpito, esattamente la notte del 6 febbraio scorso, la regione tra la Turchia e la Siria, e sui media non si parla più, se non raramente, di questa tragedia che ha provocato ad oggi in totale nei due Paesi 53.565 vittime e innumerevoli feriti. Ma, dopo i primi momenti, terminate le ricerche di eventuali superstiti, restano il dolore e le sofferenze quotidiane di migliaia di persone e famiglie senza casa e senza lavoro e restano la paura di nuove scosse di assestamento e i timori nei riguardi del futuro. 

In Siria, in particolare, tra la gente si vive un clima generale di sfiducia. Per esprimere solidarietà alla popolazione oggi sono giunti ad Aleppo monsignor Giuseppe Andrea Salvatore Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Conferenza episcopale italiana, con il cardinale Mario Zenari, nunzio in Siria. Ad accompagnarli nella visita il padre francescano Firas Lutfi, ministro per la regione francescana di Siria, Libano, Giordania che vive nella città siriana. Infatti, se una certa solidarietà c'è stata all'inizio da parte della comunità internazionale verso i siriani vittime del sisma, c'è bisogno che gli aiuti proseguano per dare la possibilità alle popolazioni di non abbandonare la loro terra e di immaginare per loro un avvenire migliore.  A Vatican News padre Firas Lutfi spiega l'importanza della visita in corso e descrive come si vive oggi sui luoghi del terremoto.


Padre Firas, ci dice qualcosa della visita in corso?

Siamo qui a visitare un po' le zone colpite dal terremoto, stiamo percorrendo appunto tutta quella zona che è stata veramente danneggiata. Ma visitiamo anche le famiglie, le persone povere che hanno sofferto sia il trauma del sisma sia la preoccupazione per il presente e per il futuro. È una visita di solidarietà, una visita di supporto. Il cardinale Zenari ha più volte visitato la Siria, è invece la prima visita della Conferenza episcopale italiana nella persona di monsignor Baturi. Era programmata prima del terremoto, ma dopo questo evento c'erano ragioni in più per venire, per esprimere la solidarietà anche di Papa Francesco e di tutti i pastori della Chiesa italiana. Quindi è una visita molto apprezzata, molto di rinforzo e di incoraggiamento alla popolazione che sta in ginocchio.

Ecco, qual è la situazione oggi nelle località terremotate. Ci sono ancora scosse? C'è paura? Dove hanno trovato rifugio le persone che hanno perso le proprie case?

Sì, ci sono tante persone che hanno perso la loro casa e che hanno trovato riparo nelle chiese e nelle moschee e nei centri creati per l'accoglienza, ma la situazione qui è drammatica perchè centinaia di famiglie sono costrette a stare tutte insieme in una condizione di grande disagio, priva di privacy, e in una grande confusione. Sono piccoli e grandi, adulti, bambini ragazzi e ragazze che vivono così, in grandi aule semplicemente.

Ma si sta pensando a qualche sistemazione un po' meno provvisoria per loro?

Sì, sì certo, adesso grazie anche a questa collaborazione che la comunità internazionale in qualche modo ha voluto offrire, c'è un progetto per la costruzione di case prefabbricate, perchè ora ci sono molte famiglie sotto le tende.

Farà certamente anche molto freddo in questo periodo, ma come viene distribuito il cibo, il vestiario, le cose più necessarie?

Gli aiuti vengono distribuiti secondo le necessità e il numero delle persone che sono nei centri di emergenza che sono stati creati, noi francescani abbiamo parecchi centri qui ad Aleppo, almeno tre, e anche l'episcopato latino sta ospitando centinaia di persone. Insomma si cerca, entro i limiti del possibile, di aiutarli a stare bene. Ma soprattutto la gente ha paura, tanti non hanno problemi con la casa ma la paura della prima scossa ha fatto veramente sentire molta molta preoccupazione. È per questo che tanti bambini non vogliono più ritornare a casa, perché la casa invece di farli stare tranquilli e sicuri, adesso per loro rappresenta una minaccia, un rischio.

Sono presenti ancora organizzazioni e volontari per sostenere le persone in difficoltà?

Fortunatamente il terremoto ha richiamato molti giovani che lavorano qui con le organizzazione locali.

Dall'estero invece non c'è più nessuno?

Qualcuno c'è forse in Turchia, in Siria meno, solo alcuni Paesi arabi hanno mandato aiuti.

Qual è il sentimento più diffuso tra la gente: disperazione, fiducia, speranza, paura?

La paura è prevalente e poi sfiducia e disperazione, purtroppo, un senso di smarrimento e di abbandono. Le persone non hanno più fiducia nemmeno di ritornare nelle loro case. Adesso sono nel convento dei francescani, dove si trovano 3000 persone e nessuno di loro vuole andare a casa perché la casa è vista come un pericolo.

E voi come piccola Chiesa locale come fate ad aiutare tanta gente? Che cosa chiedete alla comunità internazionale?

Chiediamo appunto alla comunità internazionale più attenzione, chiediamo di superare le divisioni, le visioni miopi, chiediamo di levare in modo definitivo quelle sanzioni che pesano soprattutto sui civili e sulle persone innocenti. Abbiamo bisogno di una pace permanente, che metta fine al male che per dodici anni i siriani hanno subito prima con la guerra ora anche con il terremoto, una tragedia dentro la tragedia. Quindi è necessario un impegno veramente di tutti, soprattutto della comunità internazionale.

Localmente in questo momento c'è collaborazione tra cristiani e musulmani nelle zone colpite dal sisma?

Certamente c'è collaborazione tra tutti i siriani, musulmani e cristiani. Nel nostro monastero adesso vedo con i miei occhi moltissime famiglie musulmane che abbiamo accolto perché davanti a tragedie del genere non si fa mai distinzione tra una religione e l'altra, tra una confessione e l'altra. Sono tutti figli di Dio, sono persone ferite, come quella che il buon samaritano ha cercato di curare e di soccorrere, lungo le strade dell'umanità.

Che cosa ha in cuore, padre Firas, che cosa vorrebbe ancora dirci?

Voglio dire che ringrazio sempre la Radio del Papa per l'attenzione e per la possibilità di ascoltare la voce di questi poveri che gridano, che vivono nell'abbandono, nello smarrimento. Noi cerchiamo questa solidarietà internazionale iniziata quasi un mese fa, perché possa davvero dare più speranza e più coraggio alle persone di restare nelle loro terre. Perché dopo questi eventi tragici di solito le persone tendono ad abbandonare il loro Paese, la loro terra, non avendo più nulla su cui appoggiarsi.

https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2023-03/terremoto-sisma-siria-chiesa-solidarieta-padre-lutfi-visita-cei.html

lunedì 9 marzo 2020

Padre Firas: «Ecco come soffre la Siria»


di Maria Acqua Simi 
Padre Firas Lutfi è un frate francescano della Custodia di Terra Santa. Siriano, da pochi mesi si trova a Beirut perché è stato nominato Ministro della regione di San Paolo (Siria, Libano e Giordania). Dove si trovano i “dimenticati di Iblid”, ricordati all’Angelus da papa Francesco.
«È una responsabilità che nessuno vorrebbe portare sulle spalle, mi affido ogni giorno al Signore e a Lui affido anche i trenta frati che vivono in questi tre Paesi», racconta. La situazione non è semplice. Mentre l’intervista è in corso, veniamo raggiunti dalla notizia che il Libano è stato dichiarato fallito. Default. La Svizzera del Medio Oriente, da mesi percorsa da proteste e manifestazioni, ha ceduto. È crollata sotto il peso di un debito economico diventato insostenibile, causato dalla corruzione della politica (dove tutti sono colpevoli, ma nessuno si sente responsabile) e dall’instabilità dovuta all’influenza che forze regionali (Iran, Turchia, Paesi del Golfo) e internazionali esercitano a quelle latitudini.

«La nostra prima preoccupazione, molto concreta, è come far arrivare gli aiuti in Siria. Se fino a due anni fa, in piena guerra, potevamo in qualche modo far passare denaro e generi di prima necessità dalla frontiera libanese, oggi non è più così perché l’intero sistema bancario libanese è bloccato». Non si blocca però l’emergenza umanitaria: «Se in Libano è difficile trovare lavoro e il Paese subisce la pressione fortissima di milioni di profughi, in Siria ci sono bambini che ad Aleppo e in altri villaggi più lontani muoiono di freddo». E non è una metafora. Mancano letteralmente vestiti e coperte, non c’è nafta per far funzionare i generatori, non parliamo dell’energia elettrica.

«Questo, lo devo dire, è causato soprattutto dall’embargo internazionale che impedisce di far transitare aiuti in Siria. A pagarne il prezzo più altro sono i civili. Noi frati però non andiamo via, rimaniamo per stare vicino alla nostra gente». Come nei villaggi di Yacoubie e Knaye, racconta. Lì padre Hanna Jallouf, 67 anni, e padre Luai Bsharat, quarantenne, continuano la loro opera di carità a fianco delle oltre trecento famiglie cristiane presenti, sebbene da anni ormai l’intera area sia sotto controllo degli jihadisti e delle milizie di Al Nusra. «Vivono sotto la sharia. Le chiese e i cimiteri sono stati spogliati delle croci, non possono celebrare messa pubblicamente né tantomeno fare processioni. Anche i terreni (è una grande zona di agricoltura, ndr) non possono essere coltivati e la sopravvivenza dipende dagli aiuti delle poche Ong internazionali che riescono a raggiungerli». I due religiosi hanno cura di tutta la comunità cristiana, non solo quella latina, ma anche quella armena e quella greco-ortodossa. In queste ultime settimane, dopo gli scontri con la Turchia che ha invaso l’area appoggiando i ribelli, si sono fatti carico di aiutare moltissimi musulmani fuggiti dalla zona di Idlib o dai campi profughi.

L'immagine può contenere: spazio all'aperto
«Non vedo padre Hanna dal 2013, è troppo pericoloso recarsi in quelle zone, però ci sentiamo spesso al telefono e mi spalanca il cuore sapere che loro rimangono anche per custodire i luoghi della memoria cristiana. La memoria è importantissima, perché viviamo calpestando la terra di quella che era conosciuta come l’antica Antiochia, citata nel Nuovo Testamento, dove per la prima volta i seguaci di Cristo prendono il nome di cristiani. Lì passarono Paolo, Pietro, Luca e ancora oggi i cristiani e i frati presenti hanno la coscienza della storia grandissima a cui apparteniamo tutti: quella cristiana che è fatta di carità e testimonianza». Questo si traduce in pacchi alimentari per migliaia di persone, messe celebrate a dispetto di qualunque condizione, assistenza negli ospedali, cura dell’educazione dei giovani, supporto alle giovani coppie che «sempre meno, ma con sempre più coscienza» decidono di sposarsi. 

Nelle zone più difficili da raggiungere come quelle dove si combatte, la gente si arrabatta come può per sopravvivere, cercando di scampare alle milizie (i frati sono stati più volte rapiti, alcuni parrocchiani sono stati uccisi) e di sopravvivere all’inverno che quest’anno è stato particolarmente rigido. Andare via non è un’opzione, anche perché ormai è quasi impossibile
La presenza cristiana in Siria in questi nove anni di guerra è crollata: erano quasi due milioni nel 2010, ora tantissimi sono fuggiti. Ad Aleppo, per dare un’idea, si è passati dalle 200mila presenze alle 30mila. A rimanere nel Paese ora sono perlopiù anziani, malati, bambini e vedove. I pochi adulti rimasti devono confrontarsi con la mancanza di lavoro. «Oggi un dollaro vale mille lire siriane. Come fa a vivere una famiglia che guadagna 50 dollari al mese? Come può mangiare, vestire e mandare a scuola i figli? Con il guadagno di un mese vivono si e no una settimana», racconta ancora padre Firas. Che pone l’accento su una piaga nascosta, quella dei bambini nati durante le occupazioni e rimasti orfani oppure da donne che sono state violentate e dunque mai registrati e considerati i figli della vergogna. Solo ad Aleppo sono circa duemila, hanno un’età compresa tra i quattro e i sette anni e vagano per la città come fantasmi, non sono registrati all’anagrafe e non vanno a scuola. Per questo i francescani e Ahmad Badrehddin Hassoun, gran muftì di Aleppo, si sono uniti per aiutarli. Per l’islam non esiste l’adozione, ma il muftì ha condotto uno studio secondo il quale, nel rispetto della religione, una famiglia musulmana può prendere a carico un bambino e tenerlo in affido fino alla maggiore età. «Tengo particolarmente ad aiutare quei bambini, perché il dolore innocente ci interroga ogni mattina, ci fa chiedere al Signore un senso».

Ovunque, spiega, il bisogno è grande «e per questo chiediamo al Signore ogni giorno una fede salda». Senza retorica chiarisce che è come avere addosso una ferita che non si rimargina mai. «Siamo in Quaresima e come Gesù viviamo il calvario. Questa guerra ha toccato tutti noi, ci tocca ogni giorno. Nessuno qui avrebbe mai pensato di dover abbandonare la sua terra o di morire sotto delle bombe. Ha scosso i nostri cuori, le nostre certezze, ci ha fatto conoscere cosa sia il dolore in tutte le sue forme. Ma anche se ogni tanto capita di lasciarci andare allo sconforto, abbiamo sempre davanti come esempio Gesù. E la nostra fede ne esce rafforzata, diventa più matura giorno dopo giorno. Come diceva San Paolo è un tesoro in vasi di creta. Spesso abbiamo paura, siamo sommersi dalle preoccupazioni, ma continuiamo a custodirla perché cresca e porti frutto».

martedì 18 febbraio 2020

Strage bambini in Siria: Unicef e Save the Children lanciano l’allarme, la Chiesa siriana replica

uno dei tanti bambini di Aleppo resi mutilati dai missili
lanciati dai jhadisti sui quartieri della città fino a ieri
(foto Pierre le Corf)

Intervista di Paolo Vites a Fra Firas Lutfi
L’Unicef lancia l’allarme, ma cosa ha fatto finora per i bambini siriani? E cosa fanno le potenti nazioni occidentali, i cui giornali mettono in prima pagina le foto del piccolo Aylan, morto annegato, o di Iman, morta assiderata tra le braccia del padre? Non parlano di chi ha scatenato la guerra in Siria, una guerra per procura, dietro alla quale si nascondono le nazioni più potenti del mondo. Non dicono niente. Ma non ci sono solo Aylan e Iman, in questa guerra si contano almeno 300mila bambini morti”.

A parlare così, con voce alta e decisa, è padre Firas Lutfi, Superiore del Collegio di Terra Santa ad Aleppo, dopo l’“allarme” lanciato in queste ore dall’Unicef: “Il clima freddo presto colpirà di nuovo tutto il Medio Oriente, con temperature che scenderanno sotto lo zero in diverse aree e ogni inverno i bambini nella regione si ammalano, smettono di andare a scuola e rischiano di morire… Occorre un grande movimento globale e umano di carità o sarà una strage”.
L’Unicef – aggiunge Lutfi – non dice però che ‘un grande movimento’ esiste già e andrebbe aiutato: è la Chiesa siriana, che ha sempre sostenuto, da quando è iniziata questa guerra e ancora oggi, i bambini e le donne siriane. Nessuno dice che a Idlib, dove la Siria sta combattendo contro gli ultimi ribelli jihadisti per liberare la provincia, operano due padri francescani che accolgono nelle case dei cristiani e nei loro conventi tutti coloro che scappano dalle bombe, anche i musulmani. E la responsabilità dei giornalisti che tacciono su queste cose è gravissima”.

Padre Lutfi, l’Unicef lancia l’allarme, dopo il caso di Iman, la bambina di un anno e mezzo morta assiderata in un villaggio vicino ad Aleppo in braccio al suo papà che cercava disperatamente di raggiungere l’ospedale per farla curare. Come stanno le cose?
   Chiariamo alcune cose prima di entrare nei dettagli.
 I bambini rappresentano una linea rossa che non si può superare, vanno difesi in ogni istante, fin dalla nascita, come insegna il Magistero della Chiesa ed è ciò che il Vangelo richiama alla coscienza di tutti ogni giorno. In una guerra bambini, donne e anziani sono i primi a pagare con la vita le conseguenze delle atrocità e della cattiveria degli adulti. Detto questo, aggiungo un altro appunto: spesso e volentieri la vita di questi bambini viene strumentalizzata.

In che senso?
    Il caso di Aylan è diventato un simbolo, il simbolo di queste famiglie che scappano in cerca di una vita sicura. Ma non solo lui ha pagato, prima e dopo tanti altri Aylan e tante altre famiglie sono morti. Dove scoppia un conflitto i più vulnerabili sono i bambini, i primi ad andarci di mezzo, perché o civili sono i primi bersagli quando i combattimenti si fanno più intensi e cruenti.
Hassan, unico sopravvissuto della
sua famiglia nel bombardamento
dei jihadisti di Idlib su Aleppo,
il 25 gennaio di quest'anno

C’è però chi dice, come una volta gli americani, che in guerra si possono usare “le bombe intelligenti”: colpiscono gli obiettivi in modo chirurgico risparmiando però vittime civili…
    Ipocrisia vergognosa. La realtà, invece, ci dice che oltre alle bombe, ora si aggiungono situazioni climatiche durissime, come il freddo del deserto siriano, dove si può scendere anche sotto lo zero. E tutto questo accresce la tragedia. Piuttosto che piangere e basta sui corpi inermi di Iman o Aylan come simboli di questa strage di innocenti, tutti dovrebbero spostare l’attenzione sui responsabili di questa drammatica situazione e raccontare per quali veri fini, già nove anni fa, fu scatenata la guerra in Libia, in Siria e in Iraq, che ha già mietuto milioni di bambini e di anziani morti.

Si riferisce alle potenze occidentali e non solo, che hanno dato inizio a queste guerre che stanno devastando il Medio Oriente?
   Sono circa 300mila i bambini morti in questi nove anni. Invece di impietosire le coscienze portando alla ribalta uno o due casi drammatici, bisogna risolvere la questione alla radice. Non è giusto prendere in giro l’intelligenza degli uomini. La guerra non scoppia solo perché si vuole combattere un regime o abbattere un dittatore, ma per interessi politici e economici anche da parte di grandi nazioni che predicano la libertà, la democrazia e la dignità umana. La vita non è sacra solo se muore un americano o un europeo, la vita è sacra per tutti. Ma questo sembra non avere importanza.

Davanti alla denuncia dell’Unicef e dei media internazionali che hanno messo in prima pagina i casi di Aylan e Iman cosa dice?
   Direi che non si possono assumere solo posizioni singole di denuncia, ma occorre andare contro tutta la situazione che devasta la Siria.  Cito il caso della Turchia che invade la Siria. La Siria è un paese sovrano, deve difendere il proprio territorio, che già in precedenza era stato violato dai terroristi di tutto il mondo. È una guerra per procura. 
E il colmo è che l’esercito siriano, impegnato a liberare la provincia siriana di Idlib, viene dipinto come invasore.

Unicef e Onu non fanno mai riferimento all’impegno costante profuso in questi anni di violenze dalla Chiesa per aiutare il popolo siriano. Perché, secondo lei?
   Purtroppo certi mestieri dovrebbero mostrare maggiore onestà intellettuale. Il ruolo di queste organizzazioni, come l’Unicef, ha perso credibilità, sono diventati burattini in mano ai potenti. Anche le Nazioni Unite non hanno avuto il coraggio di prendere decisioni sulla Siria. E come ha ricordato lei non parlano del bene, enorme, che viene fatto.

Si censura il bene, si esalta il male?
   Vivo ad Aleppo da quando è cominciata la guerra e la Chiesa si è sempre mossa per tutti, non solo per i cristiani . 
La comunità cristiana a Idlib è sotto il tallone jihadista, ci sono centinaia di cristiani ostaggi in quella regione. Sono rimasti solo due sacerdoti francescani di rito latino, che però continuano a servire tutte le comunità, non solo la comunità latina, ma anche quelle armena e greco-ortodossa, e stanno cercando in tutti i modi di aiutare, sia a livello umanitario, sia a livello spirituale. Accolgono nei conventi e nelle case dei cristiani anche i musulmani in fuga. Eppure questi due sacerdoti sono sottoposti a ogni limitazione, non possono manifestare la loro fede, rischiano ogni giorno di essere rapiti o uccisi.

Intanto i giornali occidentali accusano Assad di stragismo…
   Un proverbio italiano dice che fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce. Questi due sacerdoti vivono una fede umana e coraggiosa, aperta a tutti. Voi giornalisti che avete una coscienza e il coraggio di dire la verità parlate della presenza eroica di queste persone e della loro straordinaria testimonianza in un contesto di persecuzione.

Alla fine, in tutta questa tragedia, si può dire che resteranno impressi i gesti di carità compiuti eroicamente da questi uomini santi?
  È il compito di noi cristiani: essere lievito e sale del mondo.

mercoledì 18 dicembre 2019

Continuare a testimoniare l’amore pietoso di Cristo alla Siria: Frati francescani che rimangono nella guerra


Padre Firas Lutfi è siriano, francescano di Terra Santa, ministro della Regione San Paolo che comprende oltre la Siria, il Libano e la Giordania. Nonostante la guerra, è rimasto in Siria, con la sua gente. A Vatican News, racconta nove anni di violenze, di distruzione e di morte. E come oggi aiuta i bambini a ritrovare il sorriso
di Silvonei Protz
   A guardare le televisioni, ascoltare la radio o leggere i giornali, sembra che la guerra sia finita in Siria. I media non ne parlano più, o quasi. Questo rimpiange padre Firas Lutfi, francescano di Terra Santa, ma soprattutto siriano in Siria. Ci tiene molto, perché nel suo paese è rimasto per tutti gli anni della guerra. “E’ vero che in alcune zone sono cessati i combattimenti - dice - però dobbiamo tenere conto di una realtà: la guerra è durata nove anni. C’è stata una massiccia distruzione, case demolite, quartieri interamente in rovina, chiese che necessitano di un intervento per la ricostruzione... Metà della popolazione, parliamo di 23 milioni prima della guerra, non c’è più, tra morti, profughi e sfollati”.
Così padre Firas descrive l’attuale situazione del suo paese, dove la vita è molto difficile. Demografia e economia in ginocchio. I giovani sono andati via. Bambini e donne, che siano quelli rimasti o quelli che oggi vivono nei campi profughi, soffrono di profondi traumi psicologici. Le sanzioni economiche, l’embargo “che l’Occidente purtroppo continua a rinnovare contro la Siria, pensando di colpire i responsabili della guerra” colpiscono in realtà la gente normale, gli innocenti, i bambini e i più poveri. Quindi attualmente è una lotta per la sopravvivenza, contro la povertà. Padre Firas vede intorno a sé una grande desolazione anche se gran parte del territorio è stato liberato dai jihadisti “venuti da tutte le parti del mondo, da più di 60 nazioni”. Gli ultimi fondamentalisti si sono raggruppati nella zona di idlib, l’ultima roccaforte. “Sono stranieri indesiderati nei loro Paesi di origine che non vogliono più farli rientrare”. L’analisi del francescano gela: “La guerra in Siria purtroppo è diventata oggetto di troppi interessi internazionali. Non è più una lotta contro un regime, non è più una lotta per una democrazia, per la libertà di parola, di coscienza, ma è una guerra internazionale che vede coinvolti i russi, gli americani, gli europei e anche l’Iran, la Turchia e i Paesi del Golfo, ciascuno con i suoi alleati”. Questa guerra, padre Firas, la chiama anche “tsunami”, perché ha spazzolato tutto. “La Siria continua ancora a sanguinare”, dichiara con gli occhi lucidi. Aspetta la salvezza, ovvero, l’intervento di persone sagge che si mettono a programmare la pace. Recentemente, un giovane gli diceva di non più avere la forza per combattere, per lottare. Che non viveva, ma sopravviveva senza nemmeno osare alzare lo sguardo verso l’orizzonte.

Alla ricerca di soluzioni

Come chiesa, come francescano, Padre Firas non si è mai rassegnato. Certo, in alcuni momenti sembrava che tutto crollasse e che non ci fosse nulla da fare. Ma non può un cuore francescano, abbandonare. Allora si è messo a cercare possibili soluzioni. “Come fare par aiutare la mia gente?” si è chiesto tante volte. Già faceva tanto la comunità francescana mondiale. Grazie alla solidarietà, grazie anche a tanti benefattori, si sono potuto distribuire pacchi alimentari e dell’acqua potabile, perché in guerra spesso, è la prima cosa che viene crudelmente a mancare. Ma sono anche stati distribuiti soldi per finanziare micro progetti, per aiutare giovani sposini a fare i primi passi e costruire una famiglia. “Questi progetti sono testimonianze che il Signore dà e continua a dare”.

Accanto a questo dramma, a questa tragedia, padre Firas ha toccato con mano la presenza di Dio in maniera magnifica, e la Chiesa è stata sempre accanto al popolo sofferente. Alcuni pastori, sotto la pressione continua della guerra hanno dovuto andarsene, però, la maggioranza, i vescovi, sacerdoti e tanti ordini religiosi hanno deciso di restare in Siria. E cita come esempio due dei suoi compagni francescani che oggi vivono nel nord, nella zona vicina al confine con la Turchia, a pochi passi da Antiochia, la famosa e storica Antiochia: “Loro vivono sotto il controllo non del regime di Assad ma dei jihadisti. E cosa fanno lì? Stanno a custodire il piccolo gregge dei cristiani rimasti”. Con i due religiosi, ci sono circa 200 cristiani che portano non solo nel loro DNA il cristianesimo, ma che anche sopportano le sofferenze per portare avanti una presenza concreta, storica, di tutto il patrimonio cristiano di 2000 anni ad Antiochia dove, per la prima volta, i cristiani hanno preso il nome dignitoso di “seguaci di Cristo”.
Oggi ancora, nonostante le mille difficoltà, stanno lì, accanto a questi due frati francescani della Custodia di Terra Santa, per continuare a testimoniare l’amore di Cristo, tenero, misericordioso, pietoso verso questo piccolo gregge.
 Padre Firas Lutfi e i bambini del progetto Arte terapeutica
Padre Firas Lutfi e i bambini del progetto Arte terapeutica

Rivedere un sorriso sul viso dei bambini

Sono in corso due progetti per i bambini della Siria. Uno, nella città di Aleppo, dove padre Firas ha vissuto durante la guerra. Il progetto si chiama «arte terapeutica». Dietro questa denominazione c’è una intera squadra di persone e specialisti che fa il possibile per aiutare i bambini a riprendersi dal quel trauma psicologico che li ha toccati profondamente. Così ne parla il francescano: «Si tratta di un grande centro dove c’è la musica, lo sport, il nuoto. Abbiamo provveduto a una bella piscina perché durante la guerra non potevano giocare, uscire di casa, studiare, per la paura di essere uccisi».  
Nel corso dell’estate in mille hanno frequentato il centro: il personale e gli psicologi hanno cercato di aiutare questi bambini a trovare un senso profondo per la loro vita e la loro esistenza.
Esiste anche un altro progetto molto interessante. «Ad Aleppo est vivono e vivevano solo musulmani.» Inizia così la descrizione di padre Firas. «Durante la guerra la loro terra è stata occupata dai jihadisti, quindi li hanno maltrattati, le donne sono state violentate, i bambini massacrati... I bambini hanno visto tutte le scene drammatiche delle gole tagliate e dei maltrattamenti ad opera dei fanatici». Successivamente, racconta dei matrimoni più o meno forzati di jihadisti con donne siriane e dei bambini nati da queste unioni, la cui esistenza non è ufficiale. Non esiste una registrazione all’anagrafe. Sono lì, fisicamente in vita, ma giuridicamente inesistenti. Quando, nel 2017 i jihadisti hanno lasciato Aleppo, la situazione trovata da padre Firas era terrificante: «Bambini di 4 o 5 anni che vivono con la mamma o a volte con la nonna perché i genitori non ci sono più. Alcuni sono abbandonati a loro stessi e alla sorte. Non hanno mai frequentato la scuola. Per non parlare del dramma psicologico e dell’accumulo di paure, di terrore, che hanno subito durante i combattimenti».
  Sono stati creati due centri che ospitano ciascuno 500 bambini e bambine dai 3,4 anni fino a 16 anni. Ed è stato esteso il programma che già era in atto nel suo convento, il collegio Terre Sainte ad Aleppo. Il sacerdote francescano tiene a sottolineare che i due centri nascono da un’amicizia con il mondo musulmano: «Il mufti di Aleppo è un nostro carissimo amico – spiega - e con il vescovo vicario apostolico della comunità latina della Siria, è nata una grande amicizia prima e, soprattutto, durante la guerra. Quindi un primo frutto è stato una stretta collaborazione per salvare l’innocenza di questi bambini».
  Questo progetto, questa collaborazione con i musulmani, ha un forte significato per padre Firas. Dimostra la possibilità di dare un senso alla vita, un senso profondo, un senso all’esistenza e dimostra che non è mai troppo tardi per agire e fare del bene. E aggiunge: «Il dialogo non si fa solo intorno a un tavolo ma si fa lavorando insieme, mano nella mano, cuore a cuore. E lì nasce la vera ricostruzione della Siria che verrà nel tempo. Può darsi che ci vogliano 30, 50 anni, ma la vera ricostruzione non nasce dai mattoni ma dalla ricostruzione dell’uomo, dell’umano dentro di noi».

La Siria come missione

Quando si chiede a padre Firas perché è rimasto in Siria, risponde in questo modo: «Perché sì, perché sono francescano, credente e quando il Signore mi ha creato lì, è stato per una missione, per essere il Suo volto, le Sue braccia, le Sue gambe che portano l’annuncio, la tenerezza e la misericordia di Dio».
E’ stato «chiamato», padre Firas, chiamato da Dio per vivere la realtà, anche drammatica, della «sua» Siria. Il suo «sì» all’esistenza è un «sì» motivato e convinto che lo sostiene nel superamento delle difficoltà. In Siria, ogni giorno si soffre e si muore. E così conclude: «E’ esattamente come il chicco di grano: se non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto, come dice Gesù nel Vangelo».

martedì 23 luglio 2019

Nuovo appello del Papa: “Che si affretti la pacificazione della Siria!”. Confermiamo: per Idlib, per Aleppo, per la Siria tutta!

In un comunicato apparso sul sito del Patriarcato Melkita, sua Beatitudine il Patriarca Joseph Al-Absi esprime il suo gradimento circa la visita del Cardinale Turkson, accompagnato da S.E. Nunzio Zenari, al popolo siriano e alla leadership siriana: “con un messaggio di amore e pace trasmesso al popolo siriano e alla leadership siriana, ha iniziato la sua visita in un incontro con il presidente siriano Bashar al-Assad e ha trasmesso un messaggio di Sua Santità che esprimeva il suo sostegno alla Siria”.

OraproSiria, con i religiosi siriani, accoglie con speranza l'intervento del Papa: l'appello alla pace è sempre importante, soprattutto aiuta a non dimenticare il dramma di un popolo in guerra.  Ma è importante sottolineare anche la risposta che lo Stato siriano ha dato a questa interpellanza: se si vuole la pace, occorre che chi arma il conflitto dall'esterno venga messo alle strette, sia fatto oggetto di pressione internazionale da chi può..   E, aggiungiamo noi, che si smetta di celebrare come eroi persone che hanno compiuto stragi indossando e sdoganando in Occidente un elmetto bianco come fossero un gruppo di angeli della salvezza, quando sono una organizzazione terroristica..  Occorre ricordare anche le vittime che ancora i terroristi di Idleb continuano a mietere, come ci ricordano le testimonianze qui sotto.

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Susanne Der Karkour, 61 anni,
insegnante cristiana,
violata per 9 ore,
 assassinata e lapidata
dai jihadisti di Idlib

Padre Firas, francescano, da Aleppo ribadisce a Radio VaticanaNon dimenticare i cristiani di Idlib

"A Idlib la crisi umanitaria è più grave che altrove per quanto riguarda i cristiani in quanto i jihadisti li hanno cacciati da casa, li hanno uccisi. L’ultimo episodio è accaduto una settimana fa: una professoressa cristiana è stata violentata e alla fine lapidata. "La situazione è davvero preoccupante” afferma padre Lutfi."

(ascolta qui l'appello audio)

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Da Aleppo, il volontario Pierre le Corf, comunica brevemente il drammatico bombardamento accaduto nella giornata di ieri:


Ho smesso di pubblicare, ho provato a staccare, ma tutto non fa altro che ricominciare sempre peggio... Gli attacchi si moltiplicano, le persone muoiono e a decine sono feriti, i terroristi hanno fabbricato missili grad e munizioni che aumentano le loro capacità di gittata...
Ieri nella strada in cui ero, un'ora dopo è stato un massacro... La piccola Nawal ha avuto la gamba strappata da un proiettile; ieri altri non hanno nemmeno avuto questa chanche...
Nel frattempo in Europa, i grandi titoli su un cosiddetto portiere di calcio cantante della rivolta o un eroe dei caschi bianchi che difendono "la libertà" uccisi nei bombardamenti dell'aviazione... 
La loro storia indorata all'oro puro, darebbe quasi pure a me lacrime agli occhi se non sapessi che uno faceva parte di al-Nusra e l'altro dell'ISIS, con tanto di foto e video a sostegno...
Tutto ricomincia come fu per Aleppo, le bugie e le manipolazioni... E intanto dove sono i grossi titoli su tutti i bambini e le persone che muoiono qui? Dove è la piccola Nawal??

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Per conoscenza: DaIl'istituto di medicina legale di Aleppo, ecco il risultato dei morti per attacchi missilistici durante la settimana: 15 martiri, più 34 feriti a causa dei razzi lanciati da Al-Nusra e i suoi alleati sui civili abitanti nella città di Aleppo..