di Fulvio Scaglione
In
forma dubitativa, con ampio uso di condizionali e tra mille
distinguo. Però adesso anche uno dei più diffusi
quotidiani italiani si è accorto che il famoso Osservatorio
siriano per i diritti umani,
installato nel Regno Unito, non è la bocca della verità. Che è
“gestito da una sola persona”, la quale non ha mai dato conto di
quali siano in realtà le sue fonti.
Questa
persona si chiama Rami
Abdulrahman,
risiede
a Coventry da molti anni e quando ancora viveva in Siria era un noto
oppositore di Bashar al-Assad. La cosa in sé va benone, siamo o no
per la libertà di opinione e di parola? Ma va un po’ meno bene
quando ti atteggi a informatore libero e imparziale. Lo stesso
articolo non cita mai Abdulrahman ma aggiunge che l’Osservatorio
“sarebbe finanziato da… agenzie occidentali, britanniche in
particolare”, e in realtà è finanziato dal governo inglese. Che
non ha mai raccontato la verità sui misfatti delle bande armate
comunque definite “ribelli”, anche quando erano i tagliagole
dell’Isis o di Al Nusra (ex Al Qaeda). E che le più accreditate
agenzie internazionali, per esempio il Comitato internazionale della
Croce Rossa, non hanno mai potuto confermare le affermazioni del
suddetto Comitato contro l’esercito regolare siriano, accusato di
affamare le popolazioni di molte città durante le operazioni
militari.
Alla
buon’ora. Ci sono voluti anni, e migliaia di articoli in cui invece
l’Osservatorio era presentato come una fonte “terza” e
affidabile, ma alla fine si fa strada la verità. Per i non
moltissimi che, come noi, la ripetevano in tempi non sospetti, è
comunque una soddisfazione.
Sarebbe
una soddisfazione da poco, però, se restasse confinata in un
bambinesco “io l’avevo detto”. Questo non conta niente. Conta
molto, invece, il fatto che la gran parte dei media abbia raccontato
l’atroce guerra civile siriana con un preconcetto che non poteva
non distorcere la realtà. Poiché il cattivo era Assad, tutto ciò
che andava contro Assad era buono. E se non era buono, comunque
serviva alla causa. E quando la realtà smentiva la teoria, i
suddetti media facevano come i leninisti e gli stalinisti di una
volta e dicevano: è la realtà che sbaglia. È ciò che pensavano i
politici americani, sauditi, turchi, inglesi, francesi. Ma appunto i
politici. La stampa dovrebbe essere il loro cane da guardia, non la
loro ancella.
Così
l’Esercito
libero siriano,
diventato ininfluente dopo pochi mesi di conflitto, è stato
raccontato come un protagonista. L’interventismo della Turchia e
delle petromonarchie del Golfo Persico, grandi finanziatrici di Isis,
Al Nusra e Fratelli Musulmani, mai sottolineata, e amplificata invece
quella di Iran ed Hezbollah. Ogni civile morto era ucciso dai russi.
Quando saltavano fuori le fosse comuni piene di persone assassinate
dall’Isis e dagli altri gruppi “ribelli”, un riquadrino a
pagina 38. La montagna di balle e distorsioni pian piano ha preso
dimensioni tali da non poter più essere smantellata senza esserne
travolti.
Poi è
arrivata, in Iraq, la campagna per la liberazione di Mosul,
occupata nel 2014 dall’Isis. La lunga battaglia (da ottobre 2016 e
luglio 2017) è stata raccontata come una missione di gloria, tutta
bella pulitina, una bomba intelligente qua, una incursione chirurgica
là. Questa, sì, una cosa ben fatta.
Purtroppo
sono, anche qui, arrivate le notizie vere. Gli
alti comandi militari Usa parlavano di mille civili morti, e invece
secondo le ricerche dell’Associated Press sono almeno 11mila.
E il presidente della Commissione d’inchiesta istituita dal
Parlamento iracheno, Kakim al-Zamely, ha raccontato di 23
mila militari caduti in battaglia,
con
oltre 70 mila feriti. In questo caso, però, nessun ultimo pediatra,
nessun Elmetto Bianco da candidare al Nobel per la Pace, pochissimo
sdegno e via andare.
Ma il
crimine più grave di questo modo di fare (dis)informazione è un
altro. Sta nel fatto che è stata tolta dignità a una larga parte
della popolazione siriana. Il punto non è e non è mai stato
decidere se il presidente siriano è un benefattore dell’umanità o
un aguzzino. Dibatterne non è lecito ma doveroso. Quello che non si
doveva fare, ed è invece stato fatto, era decidere che chi non era
dalla parte dei “ribelli” era un collaborazionista, un complice,
un uomo o una donna in malafede, quasi di sicuro un corrotto, forse
un potenziale assassino. Milioni di uomini e donne, dai vertici delle
Chiese cristiane agli operai delle fabbriche distrutte, sono stati
trasformati in mostri perché non la pensavano come opinion makers e
giornalisti che nella maggior parte dei casi non sapevano nulla della
Siria e men che meno si sognavano di metterci piede. Quel che quei
milioni di siriani sentivano, ciò che loro a torto o a ragione
pensavano, era senza valore. Loro stessi erano senza valore.
Anche chi non professava perfetta fede nelle veline dell’Osservatorio di Coventry era un “amico di Assad”. Curioso ma significativo: chi ci sputava addosso queste accuse non si faceva mai il problema di essere, per il suo stesso modo di ragionare, un amico dell’Isis.
Anche chi non professava perfetta fede nelle veline dell’Osservatorio di Coventry era un “amico di Assad”. Curioso ma significativo: chi ci sputava addosso queste accuse non si faceva mai il problema di essere, per il suo stesso modo di ragionare, un amico dell’Isis.