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lunedì 24 novembre 2025

Lettera apostolica “In unitate fidei” nel 1700° anniversario del Concilio di Nicea


 Pubblichiamo la prima parte della Lettera Apostolica “In unitate fidei” di Papa Leone XIV in occasione del 1700° anniversario del Concilio di Nicea, diffusa nella Solennità di Cristo Re dell’Universo. 
SIR:"Papa Leone XIV, con la Lettera apostolica “In unitate fidei”, rilancia il valore del Credo niceno come fondamento condiviso tra le Chiese cristiane. Alla vigilia del viaggio in Turchia e Libano, il Pontefice richiama l’unità nella fede come risposta alle sfide del Mediterraneo, segnato da tensioni politiche e religiose".

(1) Nell’unità della fede, proclamata fin dalle origini della Chiesa, i cristiani sono chiamati a camminare concordi, custodendo e trasmettendo con amore e con gioia il dono ricevuto. Esso è espresso nelle parole del Credo: «Crediamo in Gesù Cristo, Unigenito Figlio di Dio, disceso dal cielo per la nostra salvezza», formulate dal Concilio di Nicea, primo evento ecumenico della storia della cristianità, 1700 anni or sono.

Mentre mi accingo a compiere il Viaggio Apostolico in Türkiye, con questa lettera desidero incoraggiare in tutta la Chiesa un rinnovato slancio nella professione della fede, la cui verità, che da secoli costituisce il patrimonio condiviso tra i cristiani, merita di essere confessata e approfondita in maniera sempre nuova e attuale. A tal riguardo, è stato approvato un ricco documento della Commissione Teologica Internazionale: Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore. Il 1700° anniversario del Concilio Ecumenico di Nicea. Ad esso rimando, perché offre utili prospettive per l’approfondimento dell’importanza e dell’attualità non solo teologica ed ecclesiale, ma anche culturale e sociale del Concilio di Nicea.

(2) «Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio»: così San Marco intitola il suo Vangelo, riassumendone l’intero messaggio proprio nel segno della figliolanza divina di Gesù Cristo. Allo stesso modo, l’Apostolo Paolo sa di essere chiamato ad annunciare il Vangelo di Dio sul suo Figlio morto e risorto per noi (cf. Rm1,9), che è il “sì” definitivo di Dio alle promesse dei profeti (cf. 2Cor1,19-20). In Gesù Cristo, il Verbo che era Dio prima dei tempi e per mezzo del quale tutte le cose sono state fatte – recita il prologo del Vangelo di San Giovanni –, «si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14). In Lui, Dio si è fatto nostro prossimo, così che tutto quello che noi facciamo ad ognuno dei nostri fratelli, l’abbiamo fatto a Lui (cf. Mt 25,40).

È quindi una provvidenziale coincidenza che in questo Anno Santo, dedicato alla nostra speranza che è Cristo, si celebri anche il 1700° anniversario del primo Concilio Ecumenico di Nicea, che proclamò nel 325 la professione di fede in Gesù Cristo, Figlio di Dio. È questo il cuore della fede cristiana. Ancor oggi nella celebrazione eucaristica domenicale pronunciamo il Simbolo Niceno-costantinopolitano, professione di fede che unisce tutti i cristiani. Essa ci dà speranza nei tempi difficili che viviamo, in mezzo a molte preoccupazioni e paure, minacce di guerra e di violenza, disastri naturali, gravi ingiustizie e squilibri, fame e miseria patita da milioni di nostri fratelli e sorelle.

(3) I tempi del Concilio di Nicea non erano meno turbolenti. Quando esso iniziò, nel 325, erano ancora aperte le ferite delle persecuzioni contro i cristiani. L’Editto di tolleranza di Milano (313), emanato dai due imperatori Costantino e Licinio, sembrava annunciare l’alba di una nuova epoca di pace. Dopo le minacce esterne, tuttavia, nella Chiesa emersero presto dispute e conflitti.

Ario, un presbitero di Alessandria d’Egitto, insegnava che Gesù non è veramente il Figlio di Dio; seppure non una semplice creatura, Egli sarebbe un essere intermedio tra il Dio irraggiungibilmente lontano e noi. Inoltre, vi sarebbe stato un tempo in cui il Figlio «non era». Ciò era in linea con la mentalità diffusa all’epoca e risultava perciò plausibile.

Ma Dio non abbandona la sua Chiesa, suscitando sempre uomini e donne coraggiosi, testimoni nella fede e pastori che guidano il suo Popolo e gli indicano il cammino del Vangelo. Il Vescovo Alessandro di Alessandria si rese conto che gli insegnamenti di Ario non erano affatto coerenti con la Sacra Scrittura. Poiché Ario non si mostrava conciliante, Alessandro convocò i Vescovi dell’Egitto e della Libia per un sinodo, che condannò l’insegnamento di Ario; agli altri Vescovi dell’Oriente inviò poi una lettera per informarli dettagliatamente. In Occidente si attivò il Vescovo Osio di Cordova, in Spagna, che si era già dimostrato fervente confessore della fede durante la persecuzione sotto l’imperatore Massimiano e godeva della fiducia del Vescovo di Roma, Papa Silvestro.

Anche i seguaci di Ario, però, si compattarono. Ciò portò a una delle più grandi crisi nella storia della Chiesa del primo millennio. Il motivo della disputa, infatti, non era un dettaglio secondario. Si trattava del centro della fede cristiana, cioè della risposta alla domanda decisiva che Gesù aveva posto ai discepoli a Cesarea di Filippo: «Voi chi dite che io sia?» (Mt16,15).

(4) Mentre la controversia divampava, l’imperatore Costantino si rese conto che insieme all’unità della Chiesa era minacciata anche l’unità dell’Impero. Convocò quindi tutti i Vescovi a un concilio ecumenico, cioè universale, a Nicea, per ristabilire l’unità. Il sinodo, detto dei “318 Padri”, si svolse sotto la presidenza dell’imperatore: il numero dei Vescovi riuniti insieme era senza precedenti. Alcuni di loro portavano ancora i segni delle torture subite durante la persecuzione. La grande maggioranza di essi proveniva dall’Oriente, mentre sembra che solo cinque fossero occidentali. Papa Silvestro si affidò alla figura, teologicamente autorevole, del Vescovo Osio di Cordova, e inviò due presbiteri romani.

(5) I Padri del Concilio testimoniarono la loro fedeltà alla Sacra Scrittura e alla Tradizione apostolica, come veniva professata durante il battesimo secondo il mandato di Gesù: «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt28,19). In Occidente ne esistevano varie formule, tra le quali il cosiddetto Credo degli Apostoli.[1] Anche in Oriente esistevano molte professioni battesimali, tra loro simili nella struttura. Non si trattava di un linguaggio erudito e complicato, ma piuttosto – come si disse in seguito – del semplice linguaggio comprensibile ai pescatori del mare di Galilea.

Su questa base il Credo niceno inizia professando: «Noi crediamo i un solo Dio, Padre onnipotente, creatore di tutte le cose visibili e invisibili».[2] Con ciò i Padri conciliari espressero la fede nel Dio uno e unico. Al Concilio non ci fu controversia al riguardo. Venne invece discusso un secondo articolo, che utilizza anch’esso il linguaggio della Bibbia per professare la fede in «un soloSignore, Gesù Cristo, Figlio di Dio». Il dibattito era dovuto all’esigenza di rispondere alla questione sollevata da Ario su come si dovesse intendere l’affermazione “Figlio di Dio” e come potesse conciliarsi con il monoteismo biblico. Il Concilio era perciò chiamato a definire il corretto significato della fede in Gesù come “il Figlio di Dio”.

I Padri confessarono che Gesù è il Figlio di Dio in quanto è «dalla sostanza(ousia)del Padre[…]generato, non creato, della stessa sostanza (homooúsios)del Padre». Con questa definizione veniva radicalmente respinta la tesi di Ario.[3]Per esprimere la verità della fede, il Concilio ha usato due parole, «sostanza» (ousia)e «della stessa sostanza» (homooúsios),che non si trovano nella Scrittura. Così facendo non ha voluto sostituire le affermazioni bibliche con la filosofia greca. Al contrario, il Concilio ha utilizzato questi termini per affermare con chiarezza la fede biblica distinguendola dall’errore ellenizzante di Ario. L’accusa di ellenizzazione non si applica dunque ai Padri di Nicea, ma alla falsa dottrina di Ario e dei suoi seguaci.

In positivo, i Padri di Nicea vollero fermamente restare fedeli al monoteismo biblico e al realismo dell’incarnazione. Vollero ribadire che l’unico vero Dio non è irraggiungibilmente lontano da noi, ma al contrario si è fatto vicino e ci è venuto incontro in Gesù Cristo.

        CONTINUA LA LETTURA QUI:

 https://www.vatican.va/content/leo-xiv/it/apost_letters/documents/20251123-in-unitate-fidei.html

domenica 16 novembre 2025

Presto il Papa alla celebrazione di Nicea nel suo 1700° anniversario

Reso noto il programma del primo viaggio internazionale di Prevost. A Iznik la preghiera presso i resti della basilica di Nicea, a Istanbul la visita alla Moschea Blu ma non a Santa Sofia (dove si recarono Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI quando era ancora museo). In Libano incontro interreligioso nella piazza dei Martiri e la sosta al porto sventrato dall’esplosione del 2020.

da AsiaNews - 

Sei giornate scandite da sedici discorsi e un fitto susseguirsi di visite a luoghi significativi della storia ma anche a ferite del presente. È il programma della visita apostolica di Leone XIV in Turchia e Libano, il primo viaggio internazionale del suo pontificato, diffuso oggi dalla Sala stampa vaticana a un mese esatto dalla partenza, insieme ai loghi e ai motti di queste due distinte tappe. Come già annunciato, Prevost dal 27 al 30 novembre Prevost sarà in Turchia dove farà tappa ad Ankara, Istanbul e Iznik per commemorare insieme al patriarca Bartolomeo i 1700 anni del Concilio di Nicea: tre giornate dal profondo carattere ecumenico che saranno contrassegnate dal tema “Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo” (Ef 4,5). Dal pomeriggio del 30 novembre, poi, si sposterà in Libano dove a Beirut e in alcune altre località del Paese porterà un messaggio di dialogo e riconciliazione tra le diverse comunità, incentrato sulle parole del Vangelo di Matteo “Beati gli operatori di pace”.

Leone XIV partirà da Roma la mattina del 27 novembre alla volta di Ankara, la capitale della Turchia, dove appena arrivato visiterà il mausoleo di Ataturk, incontrerà il presidente Recep Tayyip Erdogan e terrà il discorso alle autorità, alla società civile e al corpo diplomatico. Già alla sera stessa si sposterà poi a Istanbul. Qui la mattina successiva incontrerà i vescovi, i sacerdoti e gli operatori pastorali nella cattedrale cattolica dello Spirito Santo e visiterà una casa di accoglienza per anziani delle Piccole Sorelle dei Poveri. Nel pomeriggio andrà a Iznik, la città dove si trovano gli scavi archeologici dell’antica Nicea, dove nell’anno 325 si tenne lo storico Concilio che definì la professione di fede che tuttora unisce i cristiani di ogni confessione. Qui - nei pressi dei resti dell’antica basilica - si terrà un grande incontro ecumenico di preghiera.

Tornato a Istanbul la mattina di sabato 29 novembre Leone XIV visiterà la monumentale moschea Sultan Ahmet (nota come la Moschea Blu). A differenza di quanto accaduto nei precedenti viaggi di Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, non è invece al momento prevista la visita di Santa Sofia, la storica basilica cristiana fatta erigere nel VI secolo dall’imperatore Giustiniano. Trasformata prima in moschea e poi in museo da Ataturk, dal 2020 è stata riconvertita da Erdogan al culto islamico.

Il resto del programma in Turchia sarà dedicato agli incontri con le altre Chiese e comunità cristiane: nel pomeriggio di sabato 29 è prevista la firma di una dichiarazione congiunta con il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I, prima della Messa con la comunità cattolica alla Volskwagen Arena. La mattina di domenica 30 novembre, infine, il papa parteciperà alla chiesa patriarcale di san Giorgio alla Divina liturgia in occasione della festa dell’apostolo Andrea, al termine della quale impartirà la benedizione insieme al patriarca Bartolomeo.

Da Istanbul nel pomeriggio si sposterà poi a Beirut, dove già in serata incontrerà il presidente della Repubblica (il maronita Joseph Aoun), il presidente dell’Assemblea nazionale (lo sciita Nabih Berri) e il primo ministro (Nawaf Salam), prima di tenere il discorso alle autorità, alla società civile e al corpo diplomatico. Lunedì 1 dicembre il pontefice si recherà alla mattina sulla tomba di san Charbel ad Annaya, per poi incontrare i vescovi, il clero, le religiose e gli operatori pastorali presso il santuario mariano di Harissa. Nel pomeriggio - nella cruciale piazza dei martiri a Beirut - avverrà l’incontro ecumenico ed interreligioso, che sarà seguito da quello con i giovani nel piazzale del patriarcato maronita a Bkerké.
L’ultima giornata del 2 dicembre, infine, dopo la vista all’ospedale de la Croix di Jal el Deib, un momento molto significativo del viaggio di Leone XIV sarà la sosta in preghiera silenziosa davanti al luogo della gigantesca esplosione nel porto di Beirut che il 4 agosto 2020 uccise 218 persone e ne ferì altre 7mila. Presiederà poi la Messa nel Beirut Waterfront, prima della cerimonia di congedo e della partenza per Roma.

https://www.asianews.it/notizie-it/Ecumenismo-e-ferite-di-oggi-nelle-tappe-di-Leone-XIV-a-Istanbul-e-Beirut-64156.html

Il viaggio di Leone XIV in Libano:  «Una speranza per tutta la regione»

Durante il suo viaggio in Libano dal 30 novembre al 2 dicembre, papa Leone XIV visiterà la tomba di San Charbel, nel monastero di Saint-Maron, ad Annaya, luogo sacro della Chiesa maronita. Un gesto che dovrebbe contribuire ad accrescere la crescente influenza dell'eremita libanese in Occidente.

L'Occidente sembra rivolgersi sempre più a San Charbel, monaco libanese, maronita ed eremita, al quale vengono attribuiti circa 30.000 miracoli. Perché infatti privarsi dell'intercessione di un santo taumaturgo così potente? In pochi decenni, san Charbel è passato da una devozione locale a una fama piuttosto fulminea nel mondo occidentale, incoraggiata dai papi che si sono succeduti. Beatificato nel 1965 e poi canonizzato nel 1977 da papa Paolo VI, san Charbel ha un mosaico con la sua effigie installato nel gennaio 2024 nelle grotte vaticane e si appresta a ricevere la visita di papa Leone XIV durante il suo primo viaggio all'estero.

Il 27 ottobre la Santa Sede ha reso noto il programma del viaggio di Leone XIV in Turchia e Libano, dal 27 novembre al 2 dicembre 2025. Nel Paese dei Cedri, Leone XIV si recherà la mattina del 1° dicembre sulla tomba di San Charbel, nel monastero di San Marone, ad Annaya. Un gesto forte che riflette non solo l'attaccamento del Papa al monaco libanese, ma che significa anche il legame che la Santa Sede intrattiene con la comunità maronita, la più importante comunità cristiana del Libano.

Sebbene i suoi predecessori Giovanni Paolo II e Benedetto XVI si fossero recati in Libano nel 1997 e nel 2012, non avevano visitato il monastero di San Marone. È lì che San Charbel trascorse la maggior parte della sua vita: 16 anni di vita comunitaria tra i monaci di Annaya e 23 anni di vita solitaria nell'eremo dei Santi Pietro e Paolo, fino alla sua morte all'età di 70 anni.

Il santo dai 30.000 miracoli:
Da allora, il monastero di San Marone ad Annaya è diventato un importante luogo di pellegrinaggio nazionale e internazionale. La tomba di San Charbel attira ogni anno migliaia di pellegrini desiderosi di rendere grazie per un beneficio ricevuto, di affidare le proprie intenzioni o semplicemente di raccogliersi in preghiera sulla tomba dell'eremita libanese al quale il monastero attribuisce non meno di 29.600 miracoli. Dalla sua morte, migliaia di lettere provenienti da 133 paesi diversi sono state inviate al monastero per chiedere l'intercessione del santo taumaturgo o per rendere grazie per un miracolo.

La preghiera al porto di Beirut:

Non dimentichiamo inoltre che il Papa si recherà al porto di Beirut per pregare:
Memoria e giustizia: la preghiera al porto
La preghiera silenziosa sul luogo dell'esplosione del porto è un punto di svolta morale: si tratta di stare di fronte al dolore, onorare le vittime, ringraziare i soccorritori e affidare a Dio la ricerca della verità e della giustizia. Il silenzio non elimina l'esigenza di rendere conto, ma la nobilita, rifiutando la rabbia sterile e invocando istituzioni che funzionino. Questo gesto tocca l'intera nazione: guarisce la memoria aprendo uno spazio di dignità, dove c'è compassione.

da Facebook


Per una lettura più approfondita, segnaliamo il link al documento della Commissione Vaticana che approfondisce la teologia del dogma di Nicea:

https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_cti_doc_20250403_1700-nicea_it.html