Di
fronte ai tragici fatti che segnano la sorte della Siria, e dei
nostri fratelli nella fede, nel giorno della Memoria di Sant'Ignazio di Antiochia, Patrono della Siria, invitiamo
tutti i credenti a un gesto di preghiera che rinnovi il grido al
Signore perché
in quella terra, come in tantissimi altri posti nel mondo, ritorni la
pace e la possibile convivenza tra gli uomini di ogni fede.
E perchè sia salvaguardata la presenza cristiana in queste terre benedette,
certi che essa sia una sorgente di pace e benessere per tutto il
Paese.
Ora pro Siria
Preghiera
e intercessione per la pace in Siria.
Dio
di Compassione,
Ascolta il pianto del popolo siriano.
Conforta
coloro che subiscono violenza.
Consola coloro che piangono i
morti.
Converti il cuore di coloro che hanno imbracciato le
armi.
E proteggi coloro che si impegnano per la pace.
Dio
della speranza,
ispira i governanti a scegliere la pace piuttosto
che la violenza e a cercare la riconciliazione con i nemici.
Infiamma
la Chiesa Universale di compassione per il popolo siriano.
E dacci
speranza per un futuro costruito sulla giustizia per tutti.
Lo
chiediamo attraverso Gesù Cristo, principe della pace e luce del
mondo.
Amen.
A Prayer for Peace in Syria
Almighty eternal God, source of all
compassion, the promise of your mercy and saving help fills our
hearts with hope. Hear the cries of the people of Syria; bring
healing to those suffering from the violence, and comfort to those
mourning the dead. Convert the hearts of those who have taken up
arms, and strengthen the resolve of those committed to peace. O God
of hope and Father of mercy, your Holy Spirit inspires us to look
beyond ourselves and our own needs. Inspire leaders to choose peace
over violence and to seek reconciliation with enemies. Inspire the
Church around the world with compassion for the people of Syria, and
fill us with hope for a future of peace built on justice for all.
We ask this through Jesus Christ,
Prince of Peace and Light of the World, who lives and reigns for ever
and ever. Amen.
Une
prière pour la paix en Syrie
Dieu
éternel et tout puissant, source de toute compassion, la promesse de
ta miséricorde et de ton salut rempli nos cœurs d’espoir. Entend
les pleurs des Syriens ; apporte apaisement et guérison à ceux qui
souffrent de la violence, console ceux qui sont en deuil. Converti le
cœur de ceux qui ont pris les armes et affermi ceux qui s’engagent
pour la paix. O Dieu d’espoir et Père de pitié, que ton Esprit
Saint nous inspire à regarder au-delà de nous-même et de nos
propres besoins. Guide les dirigeants pour qu’ils choisissent la
paix et non la violence et qu’ils œuvrent à la réconciliation
entre ennemis. Suscite dans l’Eglise à travers le monde la
compassion pour le peuple syrien et rempli nous d’espérance pour
bâtir un futur basé sur la justice et la paix. Nous Te le demandons
par Jésus Christ, Prince de Paix et Lumière du monde, qui vit et
règne pour les siècles des siècles. Amen.
Papa Francesco al termine dell’Angelus del 13 ottobre 2019:
Il mio pensiero va ancora una volta al Medio Oriente. In particolare, all’amata e martoriata Siria da dove giungono nuovamente notizie drammatiche sulla sorte delle popolazioni del nord-est del Paese, costrette ad abbandonare le proprie case a causa delle azioni militari: tra queste popolazioni vi sono anche molte famiglie cristiane. A tutti gli attori coinvolti e anche alla Comunità Internazionale, per favore rinnovo l’appello ad impegnarsi con sincerità, con onestà e trasparenza sulla strada del dialogo per cercare soluzioni efficaci.
Intervista
con il Nunzio apostolico, cardinale Mario Zenari
Ci
sarà una Pasqua anche per la Siria
Eminenza,
può farci un quadro della situazione oggi in Siria da dove
continuano ad arrivare, dopo quasi nove anni, notizie di guerra?
In
alcune zone della Siria non cadono più bombe però la guerra non è
ancora terminata e c’è la regione del nordovest che tiene
preoccupati tutti perché si sta ancora combattendo e vi sono
intrappolati circa tre milioni di civili, dei quali, secondo le
Nazioni Unite, un milione è costituito da bambini. Dalla fine di
aprile ad oggi si parla di più di mille civili morti e di circa 600
mila sfollati. Come dicevo, se non cadono più le bombe, c’è una
terribile “bomba”, la povertà, che colpisce, secondo le Nazioni
Unite, l’83 per cento della popolazione costretta a vivere sotto la
soglia della povertà. Sono cifre ancora molto impressionanti. Non
dobbiamo dimenticare che in Siria c’è stato il disastro umanitario
più grave dopo la fine della Seconda guerra mondiale: 5.900.000
sfollati interni e 5.600.000 rifugiati nei Paesi vicini. Arriviamo a
circa 12 milioni su un totale che, prima del conflitto, era di 23
milioni di persone. Quindi metà della popolazione è costretta a
vivere fuori dalle proprie case e dalla propria nazione. La gente è
anche molto delusa perché pensava che una volta cessate di cadere le
bombe, cominciasse a riprendere la vita. Invece, c’è una povertà
galoppante e manca il lavoro. Proprio qualche giorno fa mi diceva un
prete: «Mi ha impressionato vedere, non i soliti poveri che chiedono
l’elemosina, ma gente che viveva un certo benessere e che ti
chiede: “Padre, non ho da comperare il cibo”». I bisogni sono
enormi e la gente manca di tutto. Si parla di un mare di sofferenza
che riguarda soprattutto bambini e donne, che pagano il costo più
alto di questo atroce e crudele conflitto, che ormai è al nono anno.
Un settore particolarmente colpito è quello della sanità. Secondo
l’Organizzazione mondiale della sanità, alla fine del 2018,
solamente il 46 per cento degli ospedali era funzionante, il che vuol
dire il 54 per cento o sono completamente chiusi o sono parzialmente
funzionanti. E anche qui i morti — parliamo soprattutto di anziani
e bambini — per mancanza di cure sono più numerosi dei morti sotto
le bombe o tra i fuochi incrociati. È così anche nel settore
educativo, molto colpito: una scuola su tre non è agibile e circa
due milioni di bambini in età scolare non possono frequentare la
scuola.
Dal
punto di vista sanitario, l’iniziativa da lei avviata tre anni fa,
“Ospedali aperti’ che prevede cura gratuita ai poveri di
qualunque appartenenza etnico–religiosa, che frutti sta dando?
Ho
fatto il giro più volte di questi tre ospedali cattolici (due a
Damasco e uno ad Aleppo n.d.r) e ho trovato persone molto
riconoscenti. In modo particolare i musulmani, perché nella loro
mentalità non si aspettano che un cristiano aiuti un musulmano e
quindi ci sono bei gesti di riconoscenza. Gli islamici ammettono, al
di là dei pregiudizi, che la Chiesa aiuta tutti. Mi sono reso conto
quindi che questi ospedali hanno due scopi: curare il fisico e
migliorare le relazioni sociali. Perché quello che è rovinato in
Siria non sono tanto i palazzi ma il tessuto sociale: le persone non
si fidano più le une delle altre. Quindi grazie a questi ospedali si
raggiunge un grande risultato.
Sicuramente
sulla popolazione pesano le sanzioni internazionali così come pesa
l’instabilità politica. Ora si sta lavorando alla formazione di un
Comitato costituzionale: potrebbe essere l’inizio di un
cambiamento?
Fino
a qualche giorno fa, il mio parere era che la soluzione politica
fosse a un punto morto. Poi si è raggiunto questo accordo tra
governo, opposizione e Nazioni Unite e finalmente, dopo mesi di
stallo, è un passo incoraggiante. Naturalmente la strada è tutta in
salita e purtroppo bisogna essere realisti, non pessimisti: la
situazione sarà ancora molto difficile per milioni di siriani.
Infatti, in Medio Oriente c’è, come si sa, un “ciclone”: la
rivalità crescente tra alcuni Paesi. Secondo quanto ha detto qualche
mese fa l’inviato speciale dell’Onu, Pedersen: nei cieli siriani
o sul suolo siriano sono presenti cinque eserciti tra i più
agguerriti del mondo, alle volte in conflitto, con la pericolosità
che ne deriva. La Siria è nell’occhio di questo ciclone, è il
luogo di una guerra per procura. Quindi come si potrà uscire da
questa crisi? Il domani è ancora lontano. Ci sono poi le sanzioni
internazionali che portano danni considerevoli. Ne menziono una:
l’embargo petrolifero. C’è stato un inverno lunghissimo in
Siria, pioggia e neve. Non si trovava gasolio, non si trovavano
prodotti come il cherosene di cui si serve la povera gente per
scaldare, con le stufette, le case. E un certo numero di persone
anziane sono morte anche a causa del freddo.
In
questo scenario intravede spiragli di speranza?
Questo
terribile conflitto è stato definito con tante immagini. Qualcuno ha
detto: è un inferno in terra. E se si guardano le atrocità commesse
è così. Ricordo il sottosegretario alle questioni umanitarie
dell’Onu, Mark Lowcock, che il 28 aprile 2018 a Bruxelles, diceva:
«Il gender violence in Siria è stato perpetrato a livello
industriale». Quindi chi dice che è un inferno in terra ha delle
ragioni. Io sceglierei però un’altra immagine. Mi ha molto colpito
il Papa al Colosseo, il Venerdì santo, durante la Via Crucis, quando
ha parlato dei “moderni calvari”. Per me la Siria è un calvario.
Però voglio sottolineare come lungo il percorso della croce di
Cristo c’erano Simone di Cirene e Veronica, che ha asciugato il
volto di Cristo. Io metto in evidenza queste nuove “Veroniche”,
questi cirenei e questi buoni samaritani: un certo numero di loro,
circa 2000, per lo più volontari, hanno perso la vita soccorrendo la
malcapitata Siria. C’è da inchinarsi davanti al loro sacrificio.
In queste Veroniche, in questi Cirenei, in questi buoni samaritani
metto tutte le organizzazioni umanitarie e le Chiese che cercano di
asciugare un volto sfigurato. Sono loro che fanno sperare. Prima o
poi si uscirà da questo venerdì santo, verrà la Pasqua anche per
la Siria. Tornerà a fiorire il deserto siriano con la solidarietà,
e la generosità della gente, con questi semi di bontà che sono
invisibili però sono lì, in mezzo al terreno pietroso: al momento
opportuno con qualche pioggerellina riporteranno il verde. Ma adesso,
bisogna stare vicino alla gente, sopportare con loro, coltivare la
speranza, aiutare. E la gente lo apprezza molto, sia i cristiani che
i musulmani. È un momento difficile per tutti. Se si guarda un
lato della medaglia, c’è sconforto, pessimismo. Ma rovesciamo la
medaglia: credo che questa sia un’occasione molto opportuna per la
Chiesa di manifestarsi per quello che è. Non proselitismo,
assolutamente, ma vicinanza e poi il Signore provvederà.
Eminenza,
per i cristiani della Siria, un segno di incoraggiamento potrebbe
venire dal ritorno in patria di chi è andato via. I vescovi di
Aleppo lo hanno chiesto esplicitamente. Quale è oggi la situazione?
La
sofferenza più grave delle Chiese non è tanto il danno delle
cattedrali, ma è l’emigrazione dei cristiani: più della metà
sono emigrati. E non solo è un danno per le Chiese ma per la
società, perché i cristiani sono in Siria da 2000 anni e la loro è
una presenza non solo di fede ma di costruzione del Paese. Pensiamo a
quello che hanno fatto le Chiese, da secoli, nel campo
dell’assistenza. Pensiamo alle scuole, e finanche al campo
politico. Nel 1946, anno dell’indipendenza, il celebre primo
ministro Faris al-Khoury era un cristiano protestante. I cristiani
hanno contribuito allo sviluppo del loro Paese con la loro mentalità
aperta. Per la società sono come una finestra spalancata sul mondo.
Il presidente e altri capi di Stato lo riconoscono: se partono i
cristiani si rischia di avere una società monoculturale,
monoreligiosa. Come fermare questo esodo? La prima misura è fermare
la guerra e poi fare in modo che in queste nazioni i cristiani si
sentano cittadini alla pari degli altri: parità di diritti, parità
di doveri, il concetto che ribadiscono le Chiese, di cittadinanza.
Intanto il ritorno dei cristiani finora non si vede. In genere chi è
emigrato in Paesi occidentali magari con la famiglia o con i bambini
che vanno a scuola, è difficile che possa rientrare. Questa
dispersione farà sì che molti, molti di questi cristiani vadano
nella Chiesa maggioritaria, in genere quella latina. E i nipoti non
si ricorderanno più, purtroppo, che il loro nonno era un membro di
una di queste gloriose Chiese orientali. Questo crea una sofferenza
di queste Chiese. Ogni partenza, per loro, è in pratica una perdita.