da Asianews
“Nel marzo scorso la Siria - ricorda il porporato - è entrata nel suo 14mo anniversario di guerra, ignorata dai media e dalla stessa comunità internazionale” con il 90% della popolazione “sotto la soglia della povertà: tutti concordano nell’affermare che la situazione è diventata più dura rispetto agli anni della guerra. Manca l’elettricità in gran parte della Siria, molta gente ha in media due ore al giorno di corrente elettrica; la sanità e la scuola sono un disastro; servono infrastrutture necessarie; l’economia è al collasso e la gente trova una soluzione alternative. Chi può - prosegue il card. Zenari - cerca di scappare, unica via di uscita da questo tunnel, soprattutto per i giovani molti qualificati” alla ricerca del “modo per varcare i confini e andare all’estero“.
Un altro fattore di emergenza è quello legato ai rifugiati: “La guerra si dice abbia causato circa mezzo milione di morti, tra i quali 29mila bambini e minorenni - afferma il nunzio apostolico - e circa 12 milioni, poco più della metà della popolazione pre-conflitto, costretti a fuggire dalla proprie case, dai quartieri e dai villaggi. Secondo statistiche Onu vi sono sette milioni di sfollati interni e circa cinque milioni nei Paesi vicini”. Questo esodo ha determinato una nuova emergenza, in particolare nel Libano che è “un Paese piccolo, con una popolazione limitata e un numero sproporzionato di rifugiati” osserva il diplomatico vaticano. “Anche questo un tema grave e urgente - prosegue - ma non si sa come risolverlo. L’agenzia Onu per i rifugiati dice che non ci sono ancora le condizioni per un ritorno volontario, dignitoso e in sicurezza, intanto la gente comincia a perdere la speranza: si assiste, dopo le molte vittime, alla morte stessa della speranza, la gente non ha più fiducia nel futuro” tanto che, dalle ultime stime, si calcola che “circa 500 persone al giorno tentino di lasciare la Siria con ogni mezzo, in genere giovani e qualificate”.
I cristiani siriani
Come e più della gran parte dei siriani, perché rappresentano una piccola minoranza, anche i cristiani soffrono le conseguenze del conflitto e della povertà ormai diffusa nel Paese e che ha colpito diversi strati della popolazione. Una comunità che ha pagato in termini di vite umane, esodo, sparizioni forzate - fra le oltre 100mila persone scomparse nel nulla vi sono il gesuita italiano p. Paolo Dall’Oglio e i due vescovi, siro-ortodosso e greco-ortodosso, di Aleppo solo per fare alcuni nomi - e di fuga volontaria oltre-frontiera. Questa è “un’altra grossa ferita che sanguina nel cuore della Siria”. Ecco perché, per i cristiani, è un “soffio di speranza” l’annuncio di papa Francesco che saranno proclamati santi i martiri di Damasco, francescani e tre maroniti: la loro testimonianza, afferma il porporato, è “attuale” nel modo in cui essi ricordano e rappresentano “quanti hanno sofferto in vari modi in questo conflitto e per la fede”.
La Siria è “molto importante anche dal punto di vista del cristianesimo”, perché oltre ad aver dato il nome dei cristiani ad Antiochia, oggi territorio turco, è la terra cui è legato san Paolo e delle apparizioni di Cristo risorto. E ancora, nei primi sette secoli ha dato sei papi alla Chiesa e quattro imperatori, a conferma della sua importanza “sia dal punto di vista cristiano che sotto il profilo culturale e politico” sottolinea il card. Zenari. Vi è infine l’aspetto legato al turismo “che era in aumento” prima del conflitto, grazie anche a “reperti archeologici che risalgono a 4 o 5mila anni fa” e che permetteva di sostenere anche la comunità cristiana, mentre oggi “è una tragedia vederli partire”. Del resto, ricorda, “nei conflitti i gruppi minoritari sono sempre l’anello debole della catena” e questo è un danno ulteriore laddove essi rappresentano “una finestra aperta sul mondo”. “Basti pensare - conclude - al loro contributo nel campo culturale, dell’educazione con le scuole, nella sanità con gli ospedali, e anche nel campo politico. Anche questa è una ferita molto profonda per le Chiese, che hanno visto partire più della metà dei loro fedeli, e per la stessa società siriana”.
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