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sabato 12 ottobre 2019

Il 17 ottobre S.Ignazio di Antiochia, patrono della Siria, invito alla preghiera per la pace

Di fronte ai tragici fatti che segnano la sorte della Siria, e dei nostri fratelli nella fede, nel giorno della Memoria di Sant'Ignazio di Antiochia, Patrono della Siria, invitiamo tutti i credenti a un gesto di preghiera che rinnovi il grido al Signore perché in quella terra, come in tantissimi altri posti nel mondo, ritorni la pace e la possibile convivenza tra gli uomini di ogni fede. 
E perchè sia salvaguardata la presenza cristiana in queste terre benedette, certi che essa sia una sorgente di pace e benessere per tutto il Paese.
  Ora pro Siria


Preghiera e intercessione per la pace in Siria.
Dio di Compassione,
Ascolta il pianto del popolo siriano.
Conforta coloro che subiscono violenza.
Consola coloro che piangono i morti.
Converti il cuore di coloro che hanno imbracciato le armi.
E proteggi coloro che si impegnano per la pace.
Dio della speranza,
ispira i governanti a scegliere la pace piuttosto che la violenza e a cercare la riconciliazione con i nemici.
Infiamma la Chiesa Universale di compassione per il popolo siriano.
E dacci speranza per un futuro costruito sulla giustizia per tutti.
Lo chiediamo attraverso Gesù Cristo, principe della pace e luce del mondo.
Amen.

A Prayer for Peace in Syria
Almighty eternal God, source of all compassion, the promise of your mercy and saving help fills our hearts with hope. Hear the cries of the people of Syria; bring healing to those suffering from the violence, and comfort to those mourning the dead. Convert the hearts of those who have taken up arms, and strengthen the resolve of those committed to peace. O God of hope and Father of mercy, your Holy Spirit inspires us to look beyond ourselves and our own needs. Inspire leaders to choose peace over violence and to seek reconciliation with enemies. Inspire the Church around the world with compassion for the people of Syria, and fill us with hope for a future of peace built on justice for all.
We ask this through Jesus Christ, Prince of Peace and Light of the World, who lives and reigns for ever and ever. Amen.

Une prière pour la paix en Syrie

Dieu éternel et tout puissant, source de toute compassion, la promesse de ta miséricorde et de ton salut rempli nos cœurs d’espoir. Entend les pleurs des Syriens ; apporte apaisement et guérison à ceux qui souffrent de la violence, console ceux qui sont en deuil. Converti le cœur de ceux qui ont pris les armes et affermi ceux qui s’engagent pour la paix. O Dieu d’espoir et Père de pitié, que ton Esprit Saint nous inspire à regarder au-delà de nous-même et de nos propres besoins. Guide les dirigeants pour qu’ils choisissent la paix et non la violence et qu’ils œuvrent à la réconciliation entre ennemis. Suscite dans l’Eglise à travers le monde la compassion pour le peuple syrien et rempli nous d’espérance pour bâtir un futur basé sur la justice et la paix. Nous Te le demandons par Jésus Christ, Prince de Paix et Lumière du monde, qui vit et règne pour les siècles des siècles. Amen.


Papa Francesco al termine dell’Angelus del 13 ottobre 2019:
Il mio pensiero va ancora una volta al Medio Oriente. In particolare, all’amata e martoriata Siria da dove giungono nuovamente notizie drammatiche sulla sorte delle popolazioni del nord-est del Paese, costrette ad abbandonare le proprie case a causa delle azioni militari: tra queste popolazioni vi sono anche molte famiglie cristiane. A tutti gli attori coinvolti e anche alla Comunità Internazionale, per favore rinnovo l’appello ad impegnarsi con sincerità, con onestà e trasparenza sulla strada del dialogo per cercare soluzioni efficaci.


Intervista con il Nunzio apostolico, cardinale Mario Zenari

Ci sarà una Pasqua anche per la Siria


Osservatore Romano, 7 ottobre 2019

Eminenza, può farci un quadro della situazione oggi in Siria da dove continuano ad arrivare, dopo quasi nove anni, notizie di guerra?
In alcune zone della Siria non cadono più bombe però la guerra non è ancora terminata e c’è la regione del nordovest che tiene preoccupati tutti perché si sta ancora combattendo e vi sono intrappolati circa tre milioni di civili, dei quali, secondo le Nazioni Unite, un milione è costituito da bambini. Dalla fine di aprile ad oggi si parla di più di mille civili morti e di circa 600 mila sfollati. Come dicevo, se non cadono più le bombe, c’è una terribile “bomba”, la povertà, che colpisce, secondo le Nazioni Unite, l’83 per cento della popolazione costretta a vivere sotto la soglia della povertà. Sono cifre ancora molto impressionanti. Non dobbiamo dimenticare che in Siria c’è stato il disastro umanitario più grave dopo la fine della Seconda guerra mondiale: 5.900.000 sfollati interni e 5.600.000 rifugiati nei Paesi vicini. Arriviamo a circa 12 milioni su un totale che, prima del conflitto, era di 23 milioni di persone. Quindi metà della popolazione è costretta a vivere fuori dalle proprie case e dalla propria nazione. La gente è anche molto delusa perché pensava che una volta cessate di cadere le bombe, cominciasse a riprendere la vita. Invece, c’è una povertà galoppante e manca il lavoro. Proprio qualche giorno fa mi diceva un prete: «Mi ha impressionato vedere, non i soliti poveri che chiedono l’elemosina, ma gente che viveva un certo benessere e che ti chiede: “Padre, non ho da comperare il cibo”». I bisogni sono enormi e la gente manca di tutto. Si parla di un mare di sofferenza che riguarda soprattutto bambini e donne, che pagano il costo più alto di questo atroce e crudele conflitto, che ormai è al nono anno. Un settore particolarmente colpito è quello della sanità. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, alla fine del 2018, solamente il 46 per cento degli ospedali era funzionante, il che vuol dire il 54 per cento o sono completamente chiusi o sono parzialmente funzionanti. E anche qui i morti — parliamo soprattutto di anziani e bambini — per mancanza di cure sono più numerosi dei morti sotto le bombe o tra i fuochi incrociati. È così anche nel settore educativo, molto colpito: una scuola su tre non è agibile e circa due milioni di bambini in età scolare non possono frequentare la scuola.
Dal punto di vista sanitario, l’iniziativa da lei avviata tre anni fa, “Ospedali aperti’ che prevede cura gratuita ai poveri di qualunque appartenenza etnico–religiosa, che frutti sta dando?
Ho fatto il giro più volte di questi tre ospedali cattolici (due a Damasco e uno ad Aleppo n.d.r) e ho trovato persone molto riconoscenti. In modo particolare i musulmani, perché nella loro mentalità non si aspettano che un cristiano aiuti un musulmano e quindi ci sono bei gesti di riconoscenza. Gli islamici ammettono, al di là dei pregiudizi, che la Chiesa aiuta tutti. Mi sono reso conto quindi che questi ospedali hanno due scopi: curare il fisico e migliorare le relazioni sociali. Perché quello che è rovinato in Siria non sono tanto i palazzi ma il tessuto sociale: le persone non si fidano più le une delle altre. Quindi grazie a questi ospedali si raggiunge un grande risultato.
Sicuramente sulla popolazione pesano le sanzioni internazionali così come pesa l’instabilità politica. Ora si sta lavorando alla formazione di un Comitato costituzionale: potrebbe essere l’inizio di un cambiamento?
Fino a qualche giorno fa, il mio parere era che la soluzione politica fosse a un punto morto. Poi si è raggiunto questo accordo tra governo, opposizione e Nazioni Unite e finalmente, dopo mesi di stallo, è un passo incoraggiante. Naturalmente la strada è tutta in salita e purtroppo bisogna essere realisti, non pessimisti: la situazione sarà ancora molto difficile per milioni di siriani. Infatti, in Medio Oriente c’è, come si sa, un “ciclone”: la rivalità crescente tra alcuni Paesi. Secondo quanto ha detto qualche mese fa l’inviato speciale dell’Onu, Pedersen: nei cieli siriani o sul suolo siriano sono presenti cinque eserciti tra i più agguerriti del mondo, alle volte in conflitto, con la pericolosità che ne deriva. La Siria è nell’occhio di questo ciclone, è il luogo di una guerra per procura. Quindi come si potrà uscire da questa crisi? Il domani è ancora lontano. Ci sono poi le sanzioni internazionali che portano danni considerevoli. Ne menziono una: l’embargo petrolifero. C’è stato un inverno lunghissimo in Siria, pioggia e neve. Non si trovava gasolio, non si trovavano prodotti come il cherosene di cui si serve la povera gente per scaldare, con le stufette, le case. E un certo numero di persone anziane sono morte anche a causa del freddo.
In questo scenario intravede spiragli di speranza?
Questo terribile conflitto è stato definito con tante immagini. Qualcuno ha detto: è un inferno in terra. E se si guardano le atrocità commesse è così. Ricordo il sottosegretario alle questioni umanitarie dell’Onu, Mark Lowcock, che il 28 aprile 2018 a Bruxelles, diceva: «Il gender violence in Siria è stato perpetrato a livello industriale». Quindi chi dice che è un inferno in terra ha delle ragioni. Io sceglierei però un’altra immagine. Mi ha molto colpito il Papa al Colosseo, il Venerdì santo, durante la Via Crucis, quando ha parlato dei “moderni calvari”. Per me la Siria è un calvario. Però voglio sottolineare come lungo il percorso della croce di Cristo c’erano Simone di Cirene e Veronica, che ha asciugato il volto di Cristo. Io metto in evidenza queste nuove “Veroniche”, questi cirenei e questi buoni samaritani: un certo numero di loro, circa 2000, per lo più volontari, hanno perso la vita soccorrendo la malcapitata Siria. C’è da inchinarsi davanti al loro sacrificio. In queste Veroniche, in questi Cirenei, in questi buoni samaritani metto tutte le organizzazioni umanitarie e le Chiese che cercano di asciugare un volto sfigurato. Sono loro che fanno sperare. Prima o poi si uscirà da questo venerdì santo, verrà la Pasqua anche per la Siria. Tornerà a fiorire il deserto siriano con la solidarietà, e la generosità della gente, con questi semi di bontà che sono invisibili però sono lì, in mezzo al terreno pietroso: al momento opportuno con qualche pioggerellina riporteranno il verde. Ma adesso, bisogna stare vicino alla gente, sopportare con loro, coltivare la speranza, aiutare. E la gente lo apprezza molto, sia i cristiani che i musulmani. È un momento difficile per tutti. Se si guarda un lato della medaglia, c’è sconforto, pessimismo. Ma rovesciamo la medaglia: credo che questa sia un’occasione molto opportuna per la Chiesa di manifestarsi per quello che è. Non proselitismo, assolutamente, ma vicinanza e poi il Signore provvederà.
Eminenza, per i cristiani della Siria, un segno di incoraggiamento potrebbe venire dal ritorno in patria di chi è andato via. I vescovi di Aleppo lo hanno chiesto esplicitamente. Quale è oggi la situazione?
La sofferenza più grave delle Chiese non è tanto il danno delle cattedrali, ma è l’emigrazione dei cristiani: più della metà sono emigrati. E non solo è un danno per le Chiese ma per la società, perché i cristiani sono in Siria da 2000 anni e la loro è una presenza non solo di fede ma di costruzione del Paese. Pensiamo a quello che hanno fatto le Chiese, da secoli, nel campo dell’assistenza. Pensiamo alle scuole, e finanche al campo politico. Nel 1946, anno dell’indipendenza, il celebre primo ministro Faris al-Khoury era un cristiano protestante. I cristiani hanno contribuito allo sviluppo del loro Paese con la loro mentalità aperta. Per la società sono come una finestra spalancata sul mondo. Il presidente e altri capi di Stato lo riconoscono: se partono i cristiani si rischia di avere una società monoculturale, monoreligiosa. Come fermare questo esodo? La prima misura è fermare la guerra e poi fare in modo che in queste nazioni i cristiani si sentano cittadini alla pari degli altri: parità di diritti, parità di doveri, il concetto che ribadiscono le Chiese, di cittadinanza. Intanto il ritorno dei cristiani finora non si vede. In genere chi è emigrato in Paesi occidentali magari con la famiglia o con i bambini che vanno a scuola, è difficile che possa rientrare. Questa dispersione farà sì che molti, molti di questi cristiani vadano nella Chiesa maggioritaria, in genere quella latina. E i nipoti non si ricorderanno più, purtroppo, che il loro nonno era un membro di una di queste gloriose Chiese orientali. Questo crea una sofferenza di queste Chiese. Ogni partenza, per loro, è in pratica una perdita.