di Marinella Correggia
Il primo presidente siriano a incontrare dopo 25 anni il suo omologo statunitense è stato Ahmad al-Sharaa, nom de guerre Abu Mohammed al-Jolani. Ieri a Riad l’ex jihadista, già aderente ad al-Qaeda e per un periodo perfino braccio destro dell’emiro al-Baghdadi poi leader dell’Isis, ha stretto la mano a un sorridente Donald Trump. Trenta minuti a porte chiuse, presente il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman; al telefono il principale alleato diplomatico e politico dell’attuale regime di Damasco, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan.
Prosegue dunque spedita la legittimazione internazionale della nuova Siria, dopo l’amichevole visita di al-Sharaa a Parigi da Emmanuel Macron e dopo la dichiarazione statunitense di martedì: via le sanzioni, improvvisamente da tutti condannate come «davvero devastanti, molto potenti», per dirla con Trump. I siriani sperano che la loro rimozione (l’Unione europea proseguirà nel processo già avviato mesi fa) li faccia uscire dalla miseria di massa alla quale la guerra e l’isolamento internazionale li avevano condannati.
Sull’Air Force One che dopo Riad lo portava in Qatar, Trump ha evocato un «incontro great, con un tipo giovane, attraente, tosto. Dal passato forte. Molto forte. Combattente». Aggiungendo di ritenere che Damasco aderirà agli Accordi di Abramo e normalizzerà i rapporti con Israele: «Gli ho detto “spero che ne farai parte” e lui ha risposto “sì ma c’è molto lavoro da fare”». Tace prudente sulla partita israeliana il comunicato ufficiale dell’agenzia Sana; salutando invece la partnership con gli Usa «negli sforzi contro il terrorismo e contro gli attori non statali e i gruppi armati che minacciano la stabilità regionale». Finora non è andata così: dall’arrivo al potere dei gruppi armati guidati da Hayat Tahrir al-Sham (Hts), assassini, abusi, espropri sono all’ordine del giorno; impuniti per ora i massacri contro migliaia di civili alawiti perpetrati sulla costa e gli omicidi contro i drusi.
Il comunicato dell’addetta stampa della Casa bianca Karoline Lewitt conferma che Trump ha anche suggerito ad al-Sharaa di «chiedere a tutti i terroristi stranieri di lasciare la Siria» (molti però fanno già parte del nuovo esercito), di aiutare gli Usa nello scongiurare ogni ripresa dello Stato islamico e di «assumersi la responsabilità» di diversi centri di detenzione nei quali si trovano migliaia di sospetti membri dell’Isis (la loro difficilissima gestione grava da anni sulle spalle dei curdi siriani).
Ma il comunicato della Casa bianca conferma anche il lato business dell’incontro: siccome dopo l’accordo fra Damasco e l’amministrazione curda «le frontiere con Iraq e Turchia, gli aeroporti e i pozzi petroliferi del nord-est torneranno sotto il controllo del governo alla fine dell’anno, al-Sharaa ha espresso la “speranza che la Siria sarà centrale nel commercio fra est e ovest”, e ha invitato le compagnie Usa a investire nel petrolio e gas del paese». Secondo indiscrezioni rilanciate già martedì dal Times, fra le offerte al tycoon ci sarebbe la costruzione di una Trump Tower a Damasco.
Erdogan, riporta l’agenzia stampa turca Anadolu, saluta «la strada adesso spianata per opportunità di investimento in diversi settori», ribadisce «il continuo sostegno della Turchia alla lotta di Damasco contro i gruppi terroristi, in particolare l’Isis», esprime «il desiderio di una Siria stabile e prospera che collabori con i vicini della regione e non ponga minacce nei loro confronti». Dimenticando di aver destabilizzato il paese vicino permettendo il passaggio di decine di migliaia di jihadisti stranieri fin dal 2012; con il finanziamento da parte delle monarchie del Golfo (Qatar soprattutto), le stesse che adesso parlano di «stabilità, sovranità, integrità» del paese e sono pronte agli investimenti – finora ostacolati soprattutto dai meccanismi sanzionatori degli Usa.
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu aveva cercato di frenare Trump: troppo presto per togliere le sanzioni. Comunque, Damasco ormai intrattiene rapporti con Tel Aviv dove manda, discretamente, negoziatori.
In una Siria che sarà divisa in aree di influenza, la Banca mondiale stima che la ricostruzione dopo 13 anni di guerra costerà oltre 250 miliardi di dollari.