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martedì 2 dicembre 2025

Papa Leone abbraccia tutti i dolori del popolo libanese

 da  Agenzia Fides . di Pascale Rizk

Anche oggi nelle notti del Libano si possono “trovare le piccole luci splendenti” che possono aprire i cuori alla gratitudine. E riconoscere, come sempre, che il Regno che Gesù viene a inaugurare è come “un germoglio, un piccolo virgulto che spunta su un tronco, una piccola speranza che promette la rinascita quando tutto sembra morire”. Segni che possono essere intravisti “solo dai piccoli, da coloro che senza grandi pretese sanno riconoscere i dettagli nascosti, le tracce di Dio in una storia apparentemente perduta”.
Attingono al cuore della speranza cristiana le parole di rinascita che Papa Leone XIV consegna a tutti i libanesi, nell’ultimo giorno del suo viaggio nel Paese dei Cedri. Nell’omelia della messa finale, celebrata al Beirut Waterfront, il Vescovo di Roma abbraccia tutti i dolori del popolo libanese e chiama tutti a “riconoscere la piccolezza del germoglio che spunta e cresce pur dentro avvenimenti dolorosi. Piccole luci che risplendono nella notte, piccoli virgulti che spuntano, piccoli semi piantati nell’arido giardino di questo tempo storico possiamo vederli anche noi, anche qui, anche oggi”. E cita come prima luce e primo virgulto di rinascita “la vostra fede semplice e genuina, radicata nelle vostre famiglie e alimentata dalle scuole cristiane”. 

La preghiera del Porto e l’abbraccio ai disabili

Poco prima della liturgia eucaristica, celebrata davanti a 120mila persone, Papa Prevost era andato al Porto di Beirut e si era raccolto in preghiera silenziosa davanti al monumento alle vittime dell’esplosione avvenuta il 4 agosto 2020, per poi fermarsi a lungo a salutare uno per uno i loro famigliari.

Papa Leone aveva iniziato l'ultima giornata del viaggio apostolico in Libano recandosi in visita all’Ospedale psichiatrico dei disabili mentali “de la Croix” a Jal ed Dib. Pazienti, medici e assistenti all’arrivo del Papa continuavano a gridare «ahla w sahla», il ‘benvenuto’ libanese, e «alla yehmik » («che Dio ti protegga»), con la letizia incontenibile dei più amati da Dio.

L’ospedale psichiatrico «non sceglie i suoi pazienti ma che accoglie coloro che non sono accolti da nessuno». Così lo ha descritto la Superiora generale Suor Maria Maakhlouf, ringraziando nel suo saluto il Papa per la sua visita che «conferma ai più piccoli che sono amati dal Signore, hanno un posto speciale nel suo cuore» e sono un «tesoro per la Chiesa».
«Vorrei solo ricordare – ha detto loro Papa Prevost - che siete nel cuore di Dio nostro Padre. Egli vi porta sul palmo delle sue mani, vi accompagna con amore, vi offre la sua tenerezza attraverso le mani e i sorrisi di chi si prende cura della vostra vita»
 Il Convento della Croce è il luogo di fondazione delle Suore Francescane della Croce, e incarna la vocazione della Congregazione : ospitare le persone più bisognose che soffrono di ogni tipo di malattia mentale e psicologica.

Il congedo del Papa : cessino attacchi e ostilità

Nelle sue parole di congedo pronunciate all’aeroporto di Beirut, prima di salire sull’aereo diretto a Roma, Leone XIV ha fatto riferimento a “tutte le regioni del Libano che non è stato possibile visitare: Tripoli e il nord, la Beqa’a e il sud del Paese, Tiro, Sidone – luoghi biblici –, tutte quelle aree, specialmente nel sud, che sperimentano una continua situazione di conflitto e di incertezza. A tutti - ha proseguito il Pontefice - il mio abbraccio e il mio augurio di pace. E anche un accorato appello: cessino gli attacchi e le ostilità. Nessuno creda più che la lotta armata porti qualche beneficio. Le armi uccidono, la trattativa, la mediazione e il dialogo edificano”.

L’incontro a Harissa 


“Salam el Masseeh”, (la pace di Cristo) sono state le prime parole che Papa Leone aveva indirizzato di mattina a Vescovi, ai sacerdoti, alle suore, ai consacrati e agli operatori pastorali delle Chiese cattoliche presenti in Libano che lo avevano accolto nella basilica di Nostra Signora del Libano a Harissa. Dopo aver ascoltato alcune testimonianze, il Papa ha ha sottolineato l’importanza dell’amore continuo nella costruzione della comunione nonché della forza della preghiera e della profondità della speranza nei momenti di difficoltà.


La visita alla grotta di San Charbel


Dalle prime ore del mattino tanti libanesi avevano iniziato ad affluire da tutte le regioni lungo le strade che avrebbe attraversato Papa Leone XIV per recarsi alla grotta che custodisce le spoglie mortali di San Charbel, nel monastero di Annaya.

Lungo tutto il viaggio da Byblos a Annaya le campane delle chiese hanno suonato ripetutamente, alternandosi con i canti in arabo e siriaco con alcuni momenti di silenzio. Prima dell’arrivo del corteo copie della preghiera che il Papa avrebbe recitato in francese davanti alla tomba di San Charbel, sono state distribuite ai fedeli sulle strade e nella piazza. Arrivato al Santuario, il Sommo Pontefice si è inginocchiato davanti alla tomba di San Charbel in un momento di preghiera per accendere poi, accanto alla tomba, una candela che aveva portato da Roma. Riassumendo l’eredità dell’eremita originario da Baakafra, Papa Leone si è soffermato sull’attrazione che tanti sperimentavano per il monaco, santo «come l’acqua fresca e pura per chi cammina in un deserto».

L’incontro coi giovani


Nella parte finale della lunga giornata, il Pontefice si è recato a Bkerke per l’incontro con i giovani, arrivati anche dalla Siria e dall’Irak, con le loro testimonianze « come stelle lucenti in una notte buia ». «La vostra patria, il Libano» ha detto ai giovani Papa Leone «, rifiorirà bella e vigorosa come il cedro, simbolo dell’unità e della fecondità del popolo. Sappiamo bene che la forza del cedro è nelle radici, che normalmente hanno le stesse dimensioni dei rami. Il numero e la forza dei rami corrisponde al numero e alla forza delle radici. Allo stesso modo, il tanto bene che oggi vediamo nella società libanese è il risultato del lavoro umile, nascosto e onesto di tanti operatori di bene, di tante radici buone che non vogliono far crescere solo un ramo del cedro libanese, ma tutto l’albero, in tutta la sua bellezza».
«Attingete» ha esortato il Pontefice «dalle radici buone dell’impegno di chi serve la società e non “se ne serve” per i propri interessi. Con un generoso impegno per la giustizia, progettate insieme un futuro di pace e di sviluppo. Siate la linfa di speranza che il Paese attende».

http://www.fides.org/it/news/77110

sabato 28 giugno 2025

Papa Leone alle Chiese Orientali: siete testimoni della luce dell’Oriente

 Ai Partecipanti alla Plenaria della "Riunione delle Opere per l'Aiuto alle Chiese Orientali" (ROACO) (26 giugno 2025)  LEONE XIV

Nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo.

La pace sia con voi!

Eminenza ed Eccellenze Reverendissime,
cari sacerdoti, fratelli e sorelle,

la pace sia con voi! Vi do il benvenuto, lieto di incontrarvi al termine della vostra Assemblea plenaria. Saluto Sua Eminenza il Cardinale Gugerotti, gli altri Superiori del Dicastero, gli Officiali e voi tutti, membri delle Agenzie della ROACO.

«Dio ama chi dona con gioia» (2 Cor 9,7). So che per voi sostenere le Chiese Orientali non è anzitutto un lavoro, ma una missione esercitata in nome del Vangelo che, come indica la parola stessa, è annuncio di gioia, che rallegra anzitutto il cuore di Dio, il quale non si lascia mai vincere in generosità. Grazie perché, insieme ai vostri benefattori, seminate speranza nelle terre dell’Oriente cristiano, mai come ora sconvolte dalle guerre, prosciugate dagli interessi, avvolte da una cappa di odio che rende l’aria irrespirabile e tossica. Voi siete la bombola di ossigeno delle Chiese Orientali, sfinite dai conflitti. Per tante popolazioni, povere di mezzi ma ricche di fede, siete una luce che brilla nelle tenebre dell’odio. Vi prego, col cuore in mano, di fare sempre tutto il possibile per aiutare queste Chiese, così preziose e provate.

La storia delle Chiese cattoliche orientali è stata spesso segnata dalla violenza subita; purtroppo non sono mancate sopraffazioni e incomprensioni pure all’interno della stessa compagine cattolica, incapace di riconoscere e apprezzare il valore di tradizioni diverse da quella occidentale. Ma oggi la violenza bellica sembra abbattersi sui territori dell’Oriente cristiano con una veemenza diabolica mai vista prima. Ne ha risentito pure la vostra sessione annuale, con l’assenza fisica di quanti sarebbero dovuti venire dalla Terra Santa, ma non hanno potuto intraprendere il viaggio. Il cuore sanguina pensando all’Ucraina, alla situazione tragica e disumana di Gaza, e al Medio Oriente, devastato dal dilagare della guerra. Siamo chiamati noi tutti, umanità, a valutare le cause di questi conflitti, a verificare quelle vere e a cercare di superarle, e a rigettare quelle spurie, frutto di simulazioni emotive e di retorica, smascherandole con decisione. La gente non può morire a causa di fake news.

 È veramente triste assistere oggi in tanti contesti all’imporsi della legge del più forte, in base alla quale si legittimano i propri interessi. È desolante vedere che la forza del diritto internazionale e del diritto umanitario non sembra più obbligare, sostituita dal presunto diritto di obbligare gli altri con la forza. Questo è indegno dell’uomo, è vergognoso per l’umanità e per i responsabili delle nazioni. Come si può credere, dopo secoli di storia, che le azioni belliche portino la pace e non si ritorcano contro chi le ha condotte? Come si può pensare di porre le basi del domani senza coesione, senza una visione d’insieme animata dal bene comune? Come si può continuare a tradire i desideri di pace dei popoli con le false propagande del riarmo, nella vana illusione che la supremazia risolva i problemi anziché alimentare odio e vendetta? La gente è sempre meno ignara della quantità di soldi che vanno nelle tasche dei mercanti di morte e con le quali si potrebbero costruire ospedali e scuole; e invece si distruggono quelli già costruiti! 

E mi chiedo: da cristiani, oltre a sdegnarci, ad alzare la voce e a rimboccarci le maniche per essere costruttori di pace e favorire il dialogo, che cosa possiamo fare? Credo che anzitutto occorra veramente pregare. Sta a noi fare di ogni tragica notizia e immagine che ci colpisce un grido di intercessione a Dio. E poi aiutare, come fate voi e come molti fanno, e possono fare, attraverso di voi. 

Ma c’è di più, e lo dico pensando specialmente all’Oriente cristiano: c’è la testimonianza. È la chiamata a rimanere fedeli a Gesù, senza impigliarsi nei tentacoli del potere. È imitare Cristo, che ha vinto il male amando dalla croce, mostrando un modo di regnare diverso da quello di Erode e Pilato: uno, per paura di essere spodestato, aveva ammazzato i bambini, che oggi non cessano di essere dilaniati con le bombe; l’altro si è lavato le mani, come rischiamo di fare quotidianamente fino alle soglie dell’irreparabile. Guardiamo Gesù, che ci chiama a risanare le ferite della storia con la sola mitezza della sua croce gloriosa, da cui si sprigionano la forza del perdono, la speranza di ricominciare, il dovere di rimanere onesti e trasparenti nel mare della corruzione. Seguiamo Cristo, che ha liberato i cuori dall’odio, e diamo l’esempio perché si esca dalle logiche della divisione e della ritorsione. Vorrei ringraziare e idealmente abbracciare tutti i cristiani orientali che rispondono al male con il bene: grazie, fratelli e sorelle, per la testimonianza che date soprattutto quando restate nelle vostre terre come discepoli e come testimoni di Cristo. 

Cari amici della ROACO, nel vostro lavoro voi vedete, oltre a molte miserie causate dalla guerra e dal terrorismo – penso al recente terribile attentato nella chiesa di sant’Elia a Damasco – anche fiorire germogli di Vangelo nel deserto. Scoprite il popolo di Dio che persevera volgendo lo sguardo al Cielo, pregando Dio e amando il prossimo. Toccate con mano la grazia e la bellezza delle tradizioni orientali, di liturgie che lasciano abitare a Dio il tempo e lo spazio, di canti secolari intrisi di lode, gloria e mistero, che innalzano un’incessante richiesta di perdono per l’umanità. Incontrate figure che, spesso nel nascondimento, vanno ad aggiungersi alle grandi schiere dei martiri e dei santi dell’Oriente cristiano. Nella notte dei conflitti siete testimoni della luce dell’Oriente. 


Vorrei che questa luce di sapienza e di salvezza sia più conosciuta nella Chiesa cattolica, nella quale sussiste ancora molta ignoranza al riguardo e dove, in alcuni luoghi, la fede rischia di diventare asfittica anche perché non si è realizzato il felice auspicio espresso più volte da san Giovanni Paolo II, che 40 anni fa disse: «La Chiesa deve imparare di nuovo a respirare con i suoi due polmoni, quello orientale e quello occidentale» (Discorso al Sacro Collegio dei Cardinali, 28 giugno 1985). Tuttavia, l’Oriente cristiano si può custodire solo se si ama; e si ama solo se si conosce. Occorre, in questo senso, attuare i chiari inviti del Magistero a conoscerne i tesori, ad esempio cominciando a organizzare corsi di base sulle Chiese Orientali nei Seminari, nelle Facoltà teologiche e nei centri universitari cattolici (cfr S. Giovanni Paolo II, Lett. ap. Orientale lumen, 24; Congregazione per l’Educazione Cattolica, Lett. circ. Eu égard au développement, 9-14). E c’è bisogno pure di incontro e di condivisione dell’azione pastorale, perché i cattolici orientali oggi non sono più cugini lontani che celebrano riti ignoti, ma fratelli e sorelle che, a motivo delle migrazioni forzate, ci vivono accanto. Il loro senso del sacro, la loro fede cristallina, resa granitica dalle prove, e la loro spiritualità che profuma del mistero divino possono giovare alla sete di Dio latente ma presente in Occidente.

Affidiamo questa crescita comune nella fede all’intercessione della Tutta Santa Madre di Dio e degli Apostoli Pietro e Paolo, che hanno unito Oriente e Occidente. Io vi benedico e vi incoraggio a perseverare nella carità, animati dalla speranza di Cristo. Grazie!

sabato 17 maggio 2025

Udienza di Papa Leone XIV, discorso ai partecipanti al Giubileo delle Chiese Orientali


 ...  «Ai nostri giorni tanti fratelli e sorelle orientali, tra cui diversi di voi, costretti a fuggire dai loro territori di origine a causa di guerra e persecuzioni, di instabilità e povertà, rischiano, arrivando in Occidente, di perdere, oltre alla patria, anche la propria identità religiosa. E così, con il passare delle generazioni, si smarrisce il patrimonio inestimabile delle Chiese Orientali. (…) Accogliamo l’appello a custodire e promuovere l’Oriente cristiano, soprattutto nella diaspora; qui, oltre ad erigere, dove possibile e opportuno, delle circoscrizioni orientali, occorre sensibilizzare i latini. In questo senso
 chiedo al Dicastero per le Chiese Orientali, che ringrazio per il suo lavoro, di aiutarmi a definire principi, norme, linee-guida attraverso cui i Pastori latini possano concretamente sostenere i cattolici orientali della diaspora a preservare le loro tradizioni viventi e ad arricchire con la loro specificità il contesto in cui vivono».

«Quanto bisogno abbiamo di recuperare il senso del mistero, così vivo nelle vostre liturgie, che coinvolgono la persona umana nella sua totalità, cantano la bellezza della salvezza e suscitano lo stupore per la grandezza divina che abbraccia la piccolezza umana! E quanto è importante riscoprire, anche nell’Occidente cristiano, il senso del primato di Dio, il valore della mistagogia, dell’intercessione incessante, della penitenza, del digiuno, del pianto per i peccati propri e dell’intera umanità (penthos), così tipici delle spiritualità orientali! Perciò è fondamentale custodire le vostre tradizioni senza annacquarle, magari per praticità e comodità, così che non vengano corrotte da uno spirito consumistico e utilitarista. Le vostre spiritualità, antiche e sempre nuove, sono medicinali. In esse il senso drammatico della miseria umana si fonde con lo stupore per la misericordia divina, così che le nostre bassezze non provochino disperazione, ma invitino ad accogliere la grazia di essere creature risanate, divinizzate ed elevate alle altezze celesti».

«Chi più di voi può cantare parole di speranza nell’abisso della violenza? Chi più di voi, che conoscete da vicino gli orrori della guerra, tanto che Papa Francesco chiamò le vostre Chiese “martiriali”? È vero: dalla Terra Santa all’Ucraina, dal Libano alla Siria, dal Medio Oriente al Tigray e al Caucaso, quanta violenza! E su tutto questo orrore, sui massacri di tante giovani vite, che dovrebbero provocare sdegno, perché, in nome della conquista militare, a morire sono le persone, si staglia un appello: non tanto quello del Papa, ma di Cristo, che ripete: «Pace a voi!» (Gv 20,19.21.26). E specifica: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi» (Gv 14,27).La pace di Cristo non è il silenzio tombale dopo il conflitto, non è il risultato della sopraffazione, ma è un dono che guarda alle persone e ne riattiva la vita. Preghiamo per questa pace, che è riconciliazione, perdono, coraggio di voltare pagina e ricominciare».

«Perché questa pace si diffonda, io impiegherò ogni sforzo. La Santa Sede è a disposizione perché i nemici si incontrino e si guardino negli occhi, perché ai popoli sia restituita una speranza e sia ridata la dignità che meritano, la dignità della pace. I popoli vogliono la pace e io, col cuore in mano, dico ai responsabili dei popoli: incontriamoci, dialoghiamo, negoziamo! La guerra non è mai inevitabile, le armi possono e devono tacere, perché non risolvono i problemi ma li aumentano; perché passerà alla storia chi seminerà pace, non chi mieterà vittime; perché gli altri non sono anzitutto nemici, ma esseri umani: non cattivi da odiare, ma persone con cui parlare. Rifuggiamo le visioni manichee tipiche delle narrazioni violente, che dividono il mondo in buoni e cattivi».

«La Chiesa non si stancherà di ripetere: tacciano le armi. E vorrei ringraziare Dio per quanti nel silenzio, nella preghiera, nell’offerta cuciono trame di pace; e i cristiani – orientali e latini – che, specialmente in Medio Oriente, perseverano e resistono nelle loro terre, più forti della tentazione di abbandonarle. Ai cristiani va data la possibilità, non solo a parole, di rimanere nelle loro terre con tutti i diritti necessari per un’esistenza sicura. Vi prego, ci si impegni per questo!»

Papa Leone XIV, 14 maggio 2025, udienza ai pellegrini ed ecclesiastici delle Chiese cattoliche di rito orientale