il racconto di Andrea Avveduto
ATS pro Terra Sancta
Arriviamo
a Damasco dopo
il tramonto e lo spettacolo è sorprendente: quello di una città
illuminata. Solo sei mesi fa sembrava impossibile, ma da luglio
l’elettricità non sembra essere più un grande problema. Mentre ci
avviciniamo al convento
dei francescani,
la cauta impressione avuta all’inizio trova sempre maggiori
conferme: la città è tornata finalmente a vivere e le speranze che
la guerra finisca
in fretta sono palpabili tra le persone che affollano i suq di
questa città straordinaria.
Al
mercato davanti alla grande moschea si fatica a camminare: i turisti
non ci sono, certo, ma i commercianti sono indaffarati ad ascoltare
le richieste di chi ha finalmente qualche soldo per comprare una
sciarpa, qualche spezia, o solo un pezzo di sapone.
“Dopo
la liberazione di Aleppo abbiamo
cominciato a sperare – ci racconta padre
Bahjat,
guardiano
del
convento francescano di Damasco a Bab
Touma –
ed è decisamente un’altra vita”. Non è ottimismo ingenuo, e
al memoriale
di san Paolo (dove
secondo la tradizione Saulo
di Tarso incontrò Gesù)
suor Yola ce lo conferma, mentre ci accompagna a vedere l’asilo che
non ha mai smesso di accogliere bambini in questi anni di guerra.
Dentro
la scuola materna le sale completamente rinnovate accolgono in
tutto 140
bambini,
dai 3 ai 5 anni. Ma solo un anno fa era un edificio fatiscente.
“Grazie ai fondi che ci ha inviato l’Associazione
pro Terra Sancta abbiamo
fatto un lavoro bellissimo. E possiamo accogliere chiunque, anche chi
non ha i soldi per pagare la retta già ridotta al minimo”.
Questo miracolo
della carità è
stato reso possibile grazie ai tanti
sostenitori che
in questi anni non hanno abbandonato il popolo siriano. La
riconoscenza di suor Yola e delle maestre è per loro, “per voi che
in questi anni non ci avete lasciato soli”, ci dice raggiante.
Nelle
classi però si fanno i conti con un’umanità
straziata dal dolore.
Come Maryam che
ha solo cinque anni e ha perso la madre da pochi mesi. È timida,
risponde appena. Ci guarda con quei piccoli occhi azzurri ma non
si avvicina, anche se suor Yola continua a chiamarla. “Taali,
taali!”, che significa “vieni, vieni!”. Niente da fare. Maryam
si nasconde tra le sue compagne, un sorriso appena accennato. “Ha
perso sua madre il 26 marzo scorso”.
Per
lei e sua sorella è stato un colpo terribile. “Da allora parla
poco, pochissimo”. Ogni tanto, le sue mani tremano, e il suo
sguardo si perde nel vuoto. “Pochi giorni dopo, la domenica di
Pasqua, il padre
si è suicidato.
Prima di ammazzarsi ha chiamato tutti i figli e ha detto a Stefano,
il fratello maggiore: “il papà ora starà via per un po’, mi
raccomando: abbi cura delle tue sorelle”. Quella fu l’ultima
volta che lo videro.
Stefano,
quando ha capito che il padre non sarebbe più tornato, per
vendicarsi ha smesso di vedere le sorelle. Non voleva obbedire al suo
papà, che lo aveva tradito. “Di notte lo sentiamo piangere e
urlare”, raccontano gli zii che lo ospitano: “accusa il padre di
essere un bugiardo, di averlo deluso. Qualche volta, minaccia anche
lui di suicidarsi”. Le cicatrici che
la guerra ha
lasciato e sta lasciando dureranno ancora chissà quanti anni.
“L’unica speranza è che possano sentirsi davvero amati, dopo
essere stati abbandonati da tutti”.
È
vero per Stefano, per Maryam, ma anche per tutti quei
piccolini che
la mattina entrano, ordinati, in quelle stanze pulite e sistemate,
espressione di una bellezza che la guerra non è riuscita a deturpare
fino in fondo. È questo il desiderio di Suor Yola per la sua grande
famiglia. Dove, tra i volti timidi e spesso sofferenti, si nasconde
la Siria di questi anni, fatta di paure e violenza, ma anche di
insospettabile letizia e miracolosa
speranza.
È
questa speranza che vogliamo sostenere, anche – e soprattutto –
con il vostro aiuto. Perché, come
san Paolo, possano
ancora convertirsi tanti cuori nella Siria dilaniata dal conflitto e
che oggi – dopo tanto, troppo tempo – sta tornando a vivere.