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giovedì 31 agosto 2017

Diario di viaggio di un gruppo di italiani in Siria

Le macerie, la distruzione della guerra. Ma anche la letizia di una comunità cristiana che non smette di sperare. Tra attività, progetti per dare una casa a giovani coppie, oratori... 

Gianni Mereghetti 
Da Beirut il viaggio in auto per arrivare ad Aleppo è lungo. Il pericolo non si avverte, la strada è presidiata dai militari di Bashar al-Assad, ragazzi giovani ma che infondono comunque una certa sicurezza. I controlli sono superficiali, forse perché chi ci accompagna è molto conosciuto, l’impressione è che i due autisti facciano spesso questa tratta e sappiano il fatto loro. 
Homs vediamo i primi segni della guerra. Attraversiamo un lago salato asciutto per arrivare alla nostra destinazione: Aleppo. I check point si infittiscono, se ne incontra uno ogni duecento metri. Si cominciano a vedere palazzi abbattuti, case sventrate, strade irriconoscibili. Dopo otto ore siamo nel cuore della città martire di questa guerra. Nella distruzione della guerra cominciamo a vedere gente che si muove: è la città che vive, che vuole continuare a vivere dopo l’orrore della guerra.

Arriviamo nella parrocchia dei Francescani e ad accoglierci c’è padre Ibrahim Alsabagh, insieme ai i suoi collaboratori. Ci colpisce subito ritrovare il sorriso che in questi anni abbiamo visto tante volte stampato sulla faccia di padre Ibrahim, sui volti delle persone che incontriamo. È il primo contraccolpo dei quattro giorni che passeremo ad Aleppo, un viaggio che don Luciano e don Andrea hanno voluto intraprendere, rispondendo a un invito di padre Ibrahim e alla grande amicizia coltivata in questi anni con lui, a cui si sono aggiunti anche Angelo, Paolo e Matteo. 

Come è possibile che, in un luogo in cui si percepisce l’incombere della morte, sia presente una letizia più forte della distruzione provocata dalla guerra? Non abbiamo dovuto aspettare molto per trovare una traccia della risposta. Dopo aver pranzato, padre Ibrahim ci ha portato alla distribuzione dei pacchi alimentari per la comunità armena e lì, sui volti dei volontari, abbiamo rivisto la stessa letizia. 
  La distribuzione dei pacchi alimentari è certo la condivisione del bisogno di tante famiglie povere, ma ciò che muove questa risposta non è il loro pur encomiabile impegno, ciò che muove la risposta è la Presenza reale di Gesù. È l’esperienza dell’unità della fede, della sua capacità di abbracciare l’uomo per i bisogni che sente.
   Con l’abbraccio alla Comunità armena e con il gesto di preghiera con cui inizia la distribuzione dei pacchi alimentari, padre Ibrahim ci fa cogliere la portata educativa di questo gesto: non come puro dare ma come capacità di attingere al Suo sguardo d’amore. Ogni giorno all’Oratorio dei francescani viene fatta la distribuzione dei pacchi alimentari e ogni giorno si coglie che sta accadendo qualcosa di più della pura distribuzione di viveri, sta accadendo il Suo amore, quello sguardo di cui ha bisogno tutta questa gente. Qui ad Aleppo incontriamo lo stesso metodo delle prime comunità cristiane, la certezza che Gesù abbraccia tutti e tutto, e per farlo non gli basta la sua potenza che pur avrebbe, domanda la nostra libertà. 
   Quando padre Ibrahim è arrivato, in parrocchia non c’era praticamente nulla. Poi, le diverse esigenze che sono emerse, come la gestione dei pacchi alimentari, l’aiuto a non cadere vittime delle banche, la ricostruzione di appartamenti e l’organizzazione dell’oratorio estivo, hanno fatto diventare la parrocchia un luogo vivo, un centro di assunzione del bisogno, ancor prima, una comunità cristiana.

Con padre Ibrahim siamo andati a vedere il centro della città, devastato dalla violenza degli jihadisti e dell’Isis: una operazione di devastazione sistematica, non è rimasto in piedi se non un cumulo di macerie. L’abbiamo guardata passo dopo passo e, ad ogni nuovo angolo che si apriva e che ci portava a vedere nuove macerie, ci sentivamo assediati da un’angoscia profonda, come la percezione che non fosse possibile ricostruire. Invece padre Ibrahim proprio nel cuore della città devastata ci ha fatto vedere in due momenti che la ricostruzione è già in atto, che la città sta rifiorendo. 
  Il primo è quello del sostegno che la parrocchia dà a chi vuol iniziare un nuovo lavoro. Abbiamo visitato un forno per fare i biscotti, una sartoria, un bar. Il metodo di questi progetti è semplice: la parrocchia sostiene economicamente l’inizio senza chiederne la restituzione, chiede solo che chi ha ricevuto questo aiuto possa proseguire con le sue energie e diventando sempre più protagonista. 
  Il secondo progetto è quello della ricostruzione di case, con lo scopo di convincere i cristiani a rimanere anche in questi quartieri rasi al suolo. È un giovane ingegnere, Noubar, ad accompagnarci tra le macerie il miracolo di appartamenti rimessi in piedi. Padre Ibrahim ci ha fatto conoscere le giovani famiglie e i fidanzati che sta seguendo in questo momento così difficile della ricostruzione. Queste giovani coppie hanno bisogno di una casa e di un lavoro, è di questo che bisogna occuparsi in primo luogo.
  Padre Ibrahim ci porta a vedere il cimitero latino che stanno mettendo a posto e dove stanno cercando di mettere un nome su tutte le tombe. Perché è importante sfondare il muro di separazione che divide i vivi dai morti. 

Nel Collegio dei Francescani, 800 bambini assieme ai loro genitori hanno vissuto un momento di festa per la conclusione dell’oratorio estivo. Le due ore di festa con canti, balli, rappresentazioni ci hanno commosso profondamente, perché ci hanno testimoniato un fiotto di vita, un fiotto che scorreva con tanta freschezza e inarrestabile energia. 

Nel dialogo con il Vicario apostolico di tutta la Siria, Georges Abou-Khazen, e nell’incontro con le suore di Madre Teresa di Calcutta che vivono nel vicariato, è emerso in modo chiaro che la Chiesa fa rivivere l’umano, arrivando con la forza dello Spirito dovunque e ridando una speranza che sembrerebbe altrimenti impossibile. 
 È una forza che innanzitutto impatta con il nostro cuore, che dell’unità di vita che c’è ad Aleppo ha tanto bisogno. 

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