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venerdì 6 settembre 2019

Damasco pullula di vita ma l'economia è in ginocchio dopo anni di guerra civile


da Corriere del Ticino

Per raggiungere il centro storico di Damasco si deve percorrere la Via Maris, l'ampia strada romana che  parte dalle coste libanesi per raggiungere Bab Sharki, l'antica porta d'ingresso orientale della capitale siriana che, si narra, fu solcata da San Paolo mentre vagava cieco prima della conversione. Superata Bab Sharki la Via Maris si divide in migliaia di vicoli stretti e tortuosi che formano la città vecchia: i caffè con i tavoli esterni sono pieni, le bancarelle e i negozi si sovrappongono, la musica rimbomba nei locali, le strade sono piene di giovani, di anziani, di bambini, di soldati in congedo.
Al primo impatto la guerra sembra cosa lontana. Le forze ribelli ed i gruppi terroristici che dal 2011 al 2018 hanno controllato i rioni adiacenti, da dove bombardavano regolarmente la città vecchia, sono stati fatti fuggire dai massicci bombardamenti dell'esercito siriano e dell'aviazione russa. Molti di loro sono scappati verso Nord per rifugiarsi nell'enclave di Idlib, al confine con la Turchia, da dove stanno continuando a dare battaglia. Oggi Damasco e la sua provincia sono sicure, le persone passeggiano per le strade e il traffico scorre agevole.
Eppure di paura molti damasceni raccontano di averne ancora. Non più dei bombardamenti e dei ribelli, non del governo, non più delle bombe, bensì del futuro. “Durante la guerra avevamo la speranza che la pace avrebbe portato una vita migliore. Oggi non ne siamo così sicuri” dicono un gruppo di ragazzi seduti in un caffè. Un pensiero molto diffuso, soprattutto tra le nuove generazioni. 
Il recente rinnovo delle sanzioni economiche contro la Siria ha condotto ad una forte svalutazione della moneta locale che ha a sua volta generato una forte contrazione dei salari. Chi è laureato guadagna mediamente dai 50 ai 100 dollari mensili. Al contempo la riconquista delle roccaforti ribelli intorno alla capitale e la loro demolizione architettonica ha generato un massiccio esodo verso il centro di parte della popolazione che per 7 anni era rimasta intrappolata al loro interno. Cosa che sta a sua volta avendo forti conseguenze economiche e sociali.
Dal punto di vista economico l'iperpopolamento del centro ha fatto innalzare i prezzi delle case, tanto che l'affitto mensile di un appartamento si aggira intorno ai 300 dollari, tre volte lo stipendio di un laureato. Questa situazione sta generando fenomeni sociali fino a qualche mese fa sconosciuti: quello dei senzatetto che la notte si accasciano per dormire negli angoli delle strade; l'aumento del numero dei bambini che per le strade chiedono l'elemosina; la presenza di bande di ladri che la notte borseggiano i passanti o spaccano i vetri delle auto per svuotarle. Chiunque, inoltre, si lamenta del forte aumento della corruzione.
Costeggiando Bab Sharki sulla destra si raggiunge la chiesa della conversione di San Paolo. Entrando si nota subito un largo buco nel soffitto causato da un colpo di mortaio ribelle. “Durante la guerra tutte le chiese di questa zona sono state volontariamente colpite” spiega il frate francescano padre Bahjat mentre passeggia attraverso i chiostri.
Le sue parole sono coperte dalle grida assordanti e giocose di centinaia di bambini che passano qui le loro giornate. “Cerchiamo di essere un punto di riferimento per tutto il quartiere in questo momento di grandi cambiamenti sociali e demografici” spiega. L'alto costo della vita nel centro, racconta, sta spingendo parte della locale popolazione, soprattutto cristiana, a trasferirsi aree più economiche e degradate della provincia, per esempio nella periferia di Jaramana, dove i servizi sociali e comunali non sono all'altezza del bisogno crescente. In queste zone, spiega, si sta assistendo alla diffusione della prostituzione e dello spaccio di droga, oltre che alla parziale mutazione degli equilibri demografici.
Cosa potrebbe fare l'Occidente per aiutare il popolo siriano? Secondo padre Bahjat bisogna “innanzitutto rimuovere queste sanzioni, le cui vittime non sono le istituzioni ma la gente comune siriana che non può importare medicinali, macchinari per le proprie aziende e materie prime. Il governo sta facendo quello che può e ci dà carta bianca nelle nostre iniziative ma come possono crescere occupazione e salari se le sanzioni impediscono il rilancio dell'economia?”