Mentre la Turchia cerca di unirsi alle nazioni arabe nella normalizzazione delle relazioni con Damasco, gli Stati Uniti dovrebbero prepararsi a lasciare la Siria
Joshua Landis e Hekmat Aboukhater, 29 luglio 2024
Traduzione dall’inglese di Maria Antonietta Carta
Le aperture della Turchia al presidente siriano Bashar al-Assad, la riammissione della Siria nella Lega araba, l'elezione del riformista iraniano Masoud Pezeshkian e la guerra infinita a Gaza indicano la necessità per gli Stati Uniti di ricalibrare la propria politica sulla Siria. Washington deve accettare il fatto che l'intera regione sta normalizzando le relazioni con Damasco e Assad. L'attuale politica degli Stati Uniti basata sul cambio di regime a Damasco è fallita. La risoluzione 2254 delle Nazioni Unite, che chiede una transizione democratica in Siria per portare l'opposizione siriana al potere, non ha alcuna possibilità di successo così come il progetto di separare la Siria dall'Iran. Non è più realistico il tentativo di stabilire un'enclave curda quasi indipendente nel nord-est della Siria, osteggiato da tutti i suoi vicini più potenti e in particolare dalla Turchia. Ognuna di queste tre politiche (cambio di regime, arretramento dell'Iran e preservazione di uno staterello curdo nel nord-est della Siria) si basava sul successo del cambio di regime a Damasco. Oggi, nessuna di queste ha senso. Con una presenza limitata di 900 soldati, Washington ha aiutato le Forze Democratiche Siriane (SDF), milizia guidata dai Curdi, a mantenere il controllo su un quarto della Siria nord-orientale , granaio e riserva petrolifera del Paese. Mentre l'intento iniziale era la lotta all'ISIS, la nuova politica tacita è ora quella di "ripristinare" l'Iran bloccando il principale anello della catena dell'"Asse della resistenza": la Siria. Con l'elezione di Pezeshkian, che ha indicato apertura verso l'Occidente e il desiderio di impegnarsi nuovamente con gli Stati Uniti in materia di trattato nucleare e sanzioni, Washington dovrebbe andargli incontro a metà strada.
Erdogan accetta la vittoria di Assad
Attraverso il suo confine meridionale, la Turchia, il più grande attore straniero nella guerra, aveva stabilito quella che oggi è conosciuta come la "Jihadi Highway". Questa rotta coordinata facilitò i viaggi dei terroristi dagli aeroporti internazionali turchi alle città di confine e l’introduzione di armi in Siria. Daghestani, tunisini, britannici e altri, vi confluirono per unirsi all'ISIS e ad altre formazioni jihadiste con la benedizione turca. Le conseguenze indesiderate del sostegno di Erdogan ai combattenti islamici si sono presentate alla sua porta. Ondate di rifugiati hanno attraversato il confine verso la Turchia in fuga dalla guerra civile siriana. Oggi, la Turchia sta lottando con tensioni sociali esacerbate dalla presenza di 3,7 milioni di rifugiati siriani nel Paese. Nonostante abbia ricevuto più di 11 miliardi di dollari dall'UE e dagli Stati Uniti per gestire la crisi dei rifugiati, Erdogan ha recentemente deciso che è giunto il momento per la loro partenza. Oltre alla questione dei rifugiati, egli ritiene inaccettabile lo status quo mantenuto dagli Stati Uniti nel nord-est della Siria. Il presidente turco ha chiarito che considera una condanna un'altra regione curda indipendente al confine meridionale del suo Paese, e nel 2017 e nel 2019 ha dimostrato quanto fosse disposto ad arrivare per bloccarla: l'operazione 'Scudo dell'Eufrate' e la ' Sorgente di pace', pubblicizzate come impegni essenziali per la sicurezza nazionale turca, hanno visto l'esercito turco invadere la Siria settentrionale e interrompere i collegamenti tra i tre cantoni curdi di Afrin, Kobani e Jazireh. Dopo aver sostenuto la rimozione di Assad per 12 anni, Erdogan riconosce ora che il presidente siriano è inamovibile e lo preferisce sul suo confine meridionale a un'enclave curda indipendente. Di conseguenza, questo luglio, Erdogan ha invitato Assad a una visita di stato ufficiale a Istanbul. Si è offerto di invitare i Russi come mediatori e ha affermato che è possibile una piena normalizzazione diplomatica tra i due Paesi. Sebbene Assad si rifiuti di incontrare Erdogan senza prima ricevere l’impegno che la Turchia ritirerà le sue truppe dal territorio siriano, ha dimostrato il suo interesse per questa eventualità. Egli è ansioso di ristabilire la sovranità siriana sulle terre che ha perso a causa delle forze ribelli e degli eserciti stranieri. Una ripresa del commercio con la Turchia fornirebbe anche un'ancora di salvezza tanto necessaria alla malata economia siriana.
Assad è anche ansioso di avere un alleato nell'imminente confronto con i Curdi sostenuti dagli USA nel nord-est della Siria e cerca di sfruttare la minaccia di un'invasione turca nel territorio controllato dalle SDF per negoziare un accordo con i Curdi siriani. Assad ha chiarito che non permetterà ai Curdi di mantenere il proprio esercito, un risultato che essi non accetteranno mai finché le forze statunitensi rimarranno nel nord-est della Siria per garantire la quasi indipendenza della regione. Washington, tuttavia, non può tenere le sue truppe in Siria per sempre e ha chiarito ai Curdi che non li aiuterà a stabilire uno Stato indipendente. Con la nuova amministrazione statunitense che prenderà il potere nel 2025, è giunto il momento del loro ritiro
Decisioni critiche per Washington
Mentre la guerra a Gaza si avvicina al primo anniversario, la politica e la credibilità degli Stati Uniti in Medio Oriente sono in netto declino. L’ira turca contro gli Stati Uniti è aumentata da quando hanno iniziato ad armare i Curdi siriani alla fine del 2014. La creazione di una regione autonoma guidata dai Curdi nel nord-est della Siria poco dopo, seguita dalla creazione delle Forze democratiche siriane (SDF) armate e addestrate dall’esercito USA, ha solo esacerbato la situazione. Gli Stati Uniti hanno una opportunità, usando la revoca delle sanzioni per ottenere un accordo favorevole firmato tra le SDF e il governo siriano. In un tale accordo, i Curdi manterrebbero un minimo di autonomia in cambio del ripristino della sovranità da parte del governo siriano. Dopo tutto, i Curdi siriani preferiranno sempre vivere sotto il governo siriano piuttosto che sotto quello della Turchia. Inoltre, gli Assad hanno sempre fatto affidamento sui Curdi per tenere a bada le tribù arabe della regione. Il presidente Assad ha bisogno dei Curdi per governare il nord-est proprio come ha bisogno di loro per garantire che né al-Qaeda né l'ISIS ritornino. In breve, c'è un accordo da fare tra i Curdi e Damasco; gli Stati Uniti possono usare la loro influenza per assicurarsi che sia il migliore possibile. Un ritorno all'accordo di Adana del 1998 tra Siria e Turchia sarebbe il risultato a lungo termine più probabile. Favorito dagli Stati Uniti, esso ha garantito l'unico periodo di stabilità nelle relazioni turco-siriane durante glii ultimi 100 anni. Per quanto riguarda la questione dei rifugiati, considerando i recenti attacchi ai Siriani che vivono in Turchia, il governo USA deve considerare la seguente questione: è nell'interesse degli Stati Uniti che alcuni dei 3,7 milioni di rifugiati tornino in una Siria economicamente forte che ha la scure delle sanzioni economiche allontanata dal collo, o che fuggano da una Turchia sempre più ostile in un viaggio pericoloso su gommoni diretti in Europa, creando così una seconda crisi dei migranti e rafforzando ulteriormente l'estrema destra europea?
La risposta sembra chiara. Allinearsi ai nostri alleati
Un accordo di allentamento delle sanzioni con il governo siriano aiuterebbe a garantire i diritti dei Curdi e, altrettanto importante, stimolerebbe abbastanza l'economia da convincere alcuni rifugiati siriani a tornare e impedire ai residenti siriani di andarsene. Gli Stati Uniti non dovrebbero resistere alla volontà dei loro alleati arabi e turchi che cercano la normalizzazione e il ritorno dei Siriani nella loro patria. Molti degli alleati europei degli Stati Uniti sono anche ansiosi di riprendere le relazioni diplomatiche con Damasco e revocare le sanzioni. Otto Paesi dell'UE hanno recentemente presentato un documento per proporre che l'UE rinnovi i legami diplomatici con il governo di Assad, sostenendo che la politica europea di "cambio di regime" e sanzioni è "fallita". "I passi compiuti finora", sottolineano, "hanno danneggiato principalmente i civili e non il regime e le autorità". I ministri degli esteri chiedono una nuova politica che crei "una realtà in cui i residenti hanno la volontà e l'interesse di rimanere in Siria o tornarci". Solo revocando le sanzioni l'economia siriana potrebbe ricominciare a crescere e la speranza in un futuro più luminoso ad alcuni dei Siriani che vivono in povertà, il 90%. Se gli Stati Uniti continueranno a ostacolare il processo di normalizzazione perseguito dai loro più stretti alleati, Washington verrà spinta fuori dalla regione. Il tentativo di Erdogan di riallacciare la sua antica amicizia con Assad è guidato dal desiderio reciproco di vedere le truppe statunitensi fuori dalla Siria nord-orientale. Gli Stati Uniti danneggeranno solo se stessi e i loro alleati del Golfo e dell'Europa resistendo a questo intento.
Per quanto riguarda l'Iran, gli Stati Uniti devono trovare un accordo. Non sarà facile, ma il nuovo governo riformista guidato da Pezeshkian presenta un'apertura che dovrebbe essere esplorata. La politica degli Stati Uniti nei confronti della Siria è rimasta impantanata nella guerra ombra tra Israele e Iran. A lungo termine, solo una tregua tra i due garantirà la stabilità regionale. Mentre il loro ritiro dalla Siria contribuirebbe a rilanciare l'economia del Paese, a ridurre le tensioni con i nostri principali alleati nella regione e ad alleviare il problema dei rifugiati che sta travolgendo l'Europa.