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giovedì 8 agosto 2024

Il riavvicinamento di Erdogan ad Assad potrebbe segnare la fine della guerra in Siria

Mentre la Turchia cerca di unirsi alle nazioni arabe nella normalizzazione delle relazioni con Damasco, gli Stati Uniti dovrebbero prepararsi a lasciare la Siria

Joshua Landis e Hekmat Aboukhater, 29 luglio 2024

Traduzione dall’inglese di Maria Antonietta Carta

Le aperture della Turchia al presidente siriano Bashar al-Assad, la riammissione della Siria nella Lega araba, l'elezione del riformista iraniano Masoud Pezeshkian e la guerra infinita a Gaza indicano la necessità per gli Stati Uniti di ricalibrare la propria politica sulla Siria. Washington deve accettare il fatto che l'intera regione sta normalizzando le relazioni con Damasco e Assad. L'attuale politica degli Stati Uniti basata sul cambio di regime a Damasco è fallita. La risoluzione 2254 delle Nazioni Unite, che chiede una transizione democratica in Siria per portare l'opposizione siriana al potere, non ha alcuna possibilità di successo così come il progetto di separare la Siria dall'Iran. Non è più realistico il tentativo di stabilire un'enclave curda quasi indipendente nel nord-est della Siria, osteggiato da tutti i suoi vicini più potenti e in particolare dalla Turchia. Ognuna di queste tre politiche (cambio di regime, arretramento dell'Iran e preservazione di uno staterello curdo nel nord-est della Siria) si basava sul successo del cambio di regime a Damasco. Oggi, nessuna di queste ha senso. Con una presenza limitata di 900 soldati, Washington ha aiutato le Forze Democratiche Siriane (SDF), milizia guidata dai Curdi, a mantenere il controllo su un quarto della Siria nord-orientale , granaio e riserva petrolifera del Paese. Mentre l'intento iniziale era la lotta all'ISIS, la nuova politica tacita è ora quella di "ripristinare" l'Iran bloccando il principale anello della catena dell'"Asse della resistenza": la Siria. Con l'elezione di Pezeshkian, che ha indicato apertura verso l'Occidente e il desiderio di impegnarsi nuovamente con gli Stati Uniti in materia di trattato nucleare e sanzioni, Washington dovrebbe andargli incontro a metà strada.

Erdogan accetta la vittoria di Assad

Attraverso il suo confine meridionale, la Turchia, il più grande attore straniero nella guerra, aveva stabilito quella che oggi è conosciuta come la "Jihadi Highway". Questa rotta coordinata facilitò i viaggi dei terroristi dagli aeroporti internazionali turchi alle città di confine e l’introduzione di armi in Siria. Daghestani, tunisini, britannici e altri, vi confluirono per unirsi all'ISIS e ad altre formazioni jihadiste con la benedizione turca. Le conseguenze indesiderate del sostegno di Erdogan ai combattenti islamici si sono presentate alla sua porta. Ondate di rifugiati hanno attraversato il confine verso la Turchia in fuga dalla guerra civile siriana. Oggi, la Turchia sta lottando con tensioni sociali esacerbate dalla presenza di 3,7 milioni di rifugiati siriani nel Paese. Nonostante abbia ricevuto più di 11 miliardi di dollari dall'UE e dagli Stati Uniti per gestire la crisi dei rifugiati, Erdogan ha recentemente deciso che è giunto il momento per la loro partenza. Oltre alla questione dei rifugiati, egli ritiene inaccettabile lo status quo mantenuto dagli Stati Uniti nel nord-est della Siria. Il presidente turco ha chiarito che considera una condanna un'altra regione curda indipendente al confine meridionale del suo Paese, e nel 2017 e nel 2019 ha dimostrato quanto fosse disposto ad arrivare per bloccarla: l'operazione 'Scudo dell'Eufrate' e la ' Sorgente di pace', pubblicizzate come impegni essenziali per la sicurezza nazionale turca, hanno visto l'esercito turco invadere la Siria settentrionale e interrompere i collegamenti tra i tre cantoni curdi di Afrin, Kobani e Jazireh. Dopo aver sostenuto la rimozione di Assad per 12 anni, Erdogan riconosce ora che il presidente siriano è inamovibile e lo preferisce sul suo confine meridionale a un'enclave curda indipendente. Di conseguenza, questo luglio, Erdogan ha invitato Assad a una visita di stato ufficiale a Istanbul. Si è offerto di invitare i Russi come mediatori e ha affermato che è possibile una piena normalizzazione diplomatica tra i due Paesi. Sebbene Assad si rifiuti di incontrare Erdogan senza prima ricevere l’impegno che la Turchia ritirerà le sue truppe dal territorio siriano, ha dimostrato il suo interesse per questa eventualità. Egli è ansioso di ristabilire la sovranità siriana sulle terre che ha perso a causa delle forze ribelli e degli eserciti stranieri. Una ripresa del commercio con la Turchia fornirebbe anche un'ancora di salvezza tanto necessaria alla malata economia siriana.

Assad è anche ansioso di avere un alleato nell'imminente confronto con i Curdi sostenuti dagli USA nel nord-est della Siria e cerca di sfruttare la minaccia di un'invasione turca nel territorio controllato dalle SDF per negoziare un accordo con i Curdi siriani. Assad ha chiarito che non permetterà ai Curdi di mantenere il proprio esercito, un risultato che essi non accetteranno mai finché le forze statunitensi rimarranno nel nord-est della Siria per garantire la quasi indipendenza della regione. Washington, tuttavia, non può tenere le sue truppe in Siria per sempre e ha chiarito ai Curdi che non li aiuterà a stabilire uno Stato indipendente. Con la nuova amministrazione statunitense che prenderà il potere nel 2025, è giunto il momento del loro ritiro

Decisioni critiche per Washington

Mentre la guerra a Gaza si avvicina al primo anniversario, la politica e la credibilità degli Stati Uniti in Medio Oriente sono in netto declino. L’ira turca contro gli Stati Uniti è aumentata da quando hanno iniziato ad armare i Curdi siriani alla fine del 2014. La creazione di una regione autonoma guidata dai Curdi nel nord-est della Siria poco dopo, seguita dalla creazione delle Forze democratiche siriane (SDF) armate e addestrate dall’esercito USA, ha solo esacerbato la situazione. Gli Stati Uniti hanno una opportunità, usando la revoca delle sanzioni per ottenere un accordo favorevole firmato tra le SDF e il governo siriano. In un tale accordo, i Curdi manterrebbero un minimo di autonomia in cambio del ripristino della sovranità da parte del governo siriano. Dopo tutto, i Curdi siriani preferiranno sempre vivere sotto il governo siriano piuttosto che sotto quello della Turchia. Inoltre, gli Assad hanno sempre fatto affidamento sui Curdi per tenere a bada le tribù arabe della regione. Il presidente Assad ha bisogno dei Curdi per governare il nord-est proprio come ha bisogno di loro per garantire che né al-Qaeda né l'ISIS ritornino. In breve, c'è un accordo da fare tra i Curdi e Damasco; gli Stati Uniti possono usare la loro influenza per assicurarsi che sia il migliore possibile. Un ritorno all'accordo di Adana del 1998 tra Siria e Turchia sarebbe il risultato a lungo termine più probabile. Favorito dagli Stati Uniti, esso ha garantito l'unico periodo di stabilità nelle relazioni turco-siriane durante glii ultimi 100 anni. Per quanto riguarda la questione dei rifugiati, considerando i recenti attacchi ai Siriani che vivono in Turchia, il governo USA deve considerare la seguente questione: è nell'interesse degli Stati Uniti che alcuni dei 3,7 milioni di rifugiati tornino in una Siria economicamente forte che ha la scure delle sanzioni economiche allontanata dal collo, o che fuggano da una Turchia sempre più ostile in un viaggio pericoloso su gommoni diretti in Europa, creando così una seconda crisi dei migranti e rafforzando ulteriormente l'estrema destra europea?

La risposta sembra chiara. Allinearsi ai nostri alleati

Un accordo di allentamento delle sanzioni con il governo siriano aiuterebbe a garantire i diritti dei Curdi e, altrettanto importante, stimolerebbe abbastanza l'economia da convincere alcuni rifugiati siriani a tornare e impedire ai residenti siriani di andarsene. Gli Stati Uniti non dovrebbero resistere alla volontà dei loro alleati arabi e turchi che cercano la normalizzazione e il ritorno dei Siriani nella loro patria. Molti degli alleati europei degli Stati Uniti sono anche ansiosi di riprendere le relazioni diplomatiche con Damasco e revocare le sanzioni. Otto Paesi dell'UE hanno recentemente presentato un documento per proporre che l'UE rinnovi i legami diplomatici con il governo di Assad, sostenendo che la politica europea di "cambio di regime" e sanzioni è "fallita". "I passi compiuti finora", sottolineano, "hanno danneggiato principalmente i civili e non il regime e le autorità". I ministri degli esteri chiedono una nuova politica che crei "una realtà in cui i residenti hanno la volontà e l'interesse di rimanere in Siria o tornarci". Solo revocando le sanzioni l'economia siriana potrebbe ricominciare a crescere e la speranza in un futuro più luminoso ad alcuni dei Siriani che vivono in povertà, il 90%. Se gli Stati Uniti continueranno a ostacolare il processo di normalizzazione perseguito dai loro più stretti alleati, Washington verrà spinta fuori dalla regione. Il tentativo di Erdogan di riallacciare la sua antica amicizia con Assad è guidato dal desiderio reciproco di vedere le truppe statunitensi fuori dalla Siria nord-orientale. Gli Stati Uniti danneggeranno solo se stessi e i loro alleati del Golfo e dell'Europa resistendo a questo intento.

Per quanto riguarda l'Iran, gli Stati Uniti devono trovare un accordo. Non sarà facile, ma il nuovo governo riformista guidato da Pezeshkian presenta un'apertura che dovrebbe essere esplorata. La politica degli Stati Uniti nei confronti della Siria è rimasta impantanata nella guerra ombra tra Israele e Iran. A lungo termine, solo una tregua tra i due garantirà la stabilità regionale. Mentre il loro ritiro dalla Siria contribuirebbe a rilanciare l'economia del Paese, a ridurre le tensioni con i nostri principali alleati nella regione e ad alleviare il problema dei rifugiati che sta travolgendo l'Europa.

Fonte:   https://responsiblestatecraft.org/turkey-syria-war/

venerdì 7 settembre 2018

Monsignor HINDO: «È in atto un piano per cacciar via i Cristiani dalla regione»

La Scuola Elementare 'Amal' in Hassakè (foto AINA).
Hassakeh contava 420 000 abitanti di cui 50 000 cristiani prima che Daesh circondasse la zona, ora la città conta solo 150 000 abitanti di cui 5000 cristiani. Ricordiamo che le chiese assire siriane fanno parte del patrimonio mondiale e sono tra le più antiche della cristianità.

di Gianandrea Gaiani
Dopo aver subito uccisioni, espropri, stupri e violenze di ogni tipo da parte dei miliziani jihadisti, prima qaedisti e salafiti e poi dello Stato Islamico, che hanno ridotto al lumicino la loro presenza, i cristiani delle regioni nord orientali siriane subiscono da tempo la “pulizia etnica” attuata dalle forze curde.
"Sono anni che lo ripeto, è in atto un tentativo da parte dei curdi di eliminare la presenza cristiana da quest' area della Siria" ha detto sabato monsignor Jacques Behnam Hindo, arcivescovo siro-cattolico di Hassaké-Nisibi, nel nord-est della Siria. Il presule conferma all’organizzazione Aiuto alla Chiesa che Soffre” (ACS - autrice ogni anno di un rapporto che evidenzia le persecuzioni dei cristiani perpetrate in tutto il mondo e in particolare nel mondo islamico) la chiusura di alcune scuole cristiane da parte delle Forze Democratiche Siriane (FDS), la milizia curdo-araba istituita dagli Stati Uniti per strappare le aree tra Raqqa e la provincia di Deir Ezzor all’Isis e impedire alle truppe regolari di Damasco di riconquistare la regione orientale del Paese. Grazie agli aiuti Usa, che in quell’area mantengono basi e oltre 2mila militari, la regione nord orientale siriana è di fatto un territorio autonomo amministrato dalle Forze di difesa popolare curde (Ypg - braccio militare del partito curdo dell'Unione Democratica – PDY), protagoniste della difesa di Kobane e celebrate in Occidente come le più acerrime avversarie del Califfato.
"Già dall' inizio dell'anno, l'amministrazione locale ha preso possesso di un centinaio di scuole statali, nelle quali ha imposto un proprio programma scolastico e i propri libri di testo” – ha sottolineato monsignor Hindo. “I funzionari curdi ci avevano assicurato che non si sarebbero neanche avvicinati alle scuole private, molte delle quali sono cristiane. Invece non soltanto ci si sono avvicinati, ma ne hanno anche serrato le porte". La motivazione ufficiale della chiusura di varie scuole cristiane nelle città Qamishli, Darbasiyah e Malikiyah, è che tali istituti hanno rifiutato di conformarsi al programma imposto dalle autorità della regione. "Loro non vogliono che si insegni nella lingua della Chiesa, il siriaco antico, e non vogliono che insegniamo la storia, perché preferiscono inculcare agli alunni la propria storia". Nulla di diverso, in fondo, da quanto attuato negli stessi territori negli anni scorsi quando erano controllati dallo Stato Islamico.
Hindo non nasconde la preoccupazione, sia per la probabile chiusura di altre scuole cristiane - ve ne sono altre sei soltanto ad Hassaké - sia per i gravi danni che il programma scolastico "curdo", differente da quello ufficiale siriano, potrà causare agli studenti. "Ho detto ad un funzionario curdo che così una intera generazione verrà penalizzata, perché non potrà accedere a gradi di istruzione superiori. Lui mi ha risposto che sono disposti a sacrificare anche sei o sette generazioni pur di imporre la loro ideologia". La vicenda rappresenta una conferma del tentativo di "curdizzazione" di quella regione, un piano che secondo Hindo prevede anche l'allontanamento della locale comunità cristiana.
"È almeno dal 2015 che continuiamo a denunciare tale pericolo. Vogliono cacciar via noi cristiani per aumentare la loro presenza”. Ad oggi i curdi rappresentano soltanto il 20 percento della popolazione siriana ma controllano quasi per intero l’oriente siriano, a est del fiume Eufrate, soltanto grazie al sostegno dell’Occidente, Stati Uniti e Francia in testa, che grazie alle milizie curde cercano di impedire che l’intera Siria torni nelle mani di Assad e dei suoi alleati russi e iraniani. Le FDS controllano infatti un’area molto più ampia di quella abitata dalla popolazione curda siriana e la “pulizia etnica” ha l’obiettivo di allontanare i cristiani e “omogeneizzare” la popolazione ricollocando in queste aree le popolazioni curde cacciate dai militari turchi dalle aree di Afrin e Manbji. Attraverso ACS, il presule ha lanciato un appello alla comunità internazionale ed in particolare alle nazioni europee. "La chiusura delle nostre scuole ci addolora. È dal 1932 che la Chiesa gestisce questi istituti e mai ci saremmo immaginati che potessero venire chiusi. L'Occidente non può rimanere in silenzio. Se siete davvero cristiani dovete gettare luce su quanto sta accadendo ed impedire nuove violazioni dei nostri diritti e ulteriori minacce alla nostra presenza nella regione" ha concluso Hindo.
Non è la prima volta che i curdi, in Siria come in Iraq, puntano ad allargare le aree sotto il loro controllo a spese di minoranze di peso etnico inferiore. Lo hanno fatto nella città petrolifera irachena di Kirkuk cacciando soprattutto i turcomanni e, più a est nel Sinjar, gli Yazidi. Dopo la caduta di Mosul e la sconfitta dell’Isis in Iraq, l’invio di truppe di Baghdad e di milizie scite filo-iraniane in quelle regioni ha fatto tramontare il sogno indipendentistico del Kurdistan iracheno relegandolo a un’autonomia molto limitata. In Siria invece l’espansionismo curdo continua a manifestarsi grazie al supporto militare di Washington che finora ha impedito che prendesse piede la proposta di Damasco che offre autonomia ai curdi, ma limitata alla regione del Rojava, in cambio della restituzione allo Stato siriano dei territori oggi occupati dalle FDS che includono giacimenti e pozzi di gas e petrolio.
Il regime siriano di Bashar Assad ha sempre tutelato minoranze e confessioni diverse ed è stato in questi anni di guerra l’unico a sostenere le comunità cristiane. Donald Trump ha più volte manifestato l’intenzione di ritirare i militari statunitensi dalla Siria, iniziativa che renderebbe problematico per le FDS far fronte alle truppe di Damasco e ai loro alleati, inclusi gli iracheni che, come i turchi, non vedono certo di buon occhio la nascita “de facto” di uno Stato curdo nella Siria Orientale.

martedì 3 ottobre 2017

I cristiani siriani alla prova dei Curdi

qui è possibile leggere l'intero report sulla situazione delle Comunità Assire
della valle del Khabur, nord-est della Siria:  http://www.aina.org/reports/ace201701.pdf

D'Antoine de Lacoste per i lettori di "Salon Beige"
Più di un milione di Curdi popola la Siria settentrionale e coesiste con poco meno di un milione di Arabi. Pragmaticamente, hanno vissuto in buona armonia con il regime, beneficiando di una certa autonomia in cambio della loro neutralità politica.
Le loro relazioni con gli Arabi (Sunniti, Alawiti o Cristiani) erano distanti ma senza una palese ostilità. Era prima della guerra ed i Curdi, nonostante la loro naturale propensione all'egemonia, non avevano altra scelta. Tuttavia, il sogno di uno Stato curdo indipendente è rimasto sempre vivo in essi.
La guerra permetterà loro di far progredire le loro ambizioni.
L'esercito siriano, in grande difficoltà fino all'intervento russo, non aveva più i mezzi per controllare il nord del paese: la priorità era quella di contenere la marea islamista che voleva prendere il potere. Questo non era lo scopo dei Curdi che si sarebbero sempre accontentati di un territorio loro nel Nord. Tra due mali Assad ha scelto il minore e quindi logicamente ha lasciato che i Curdi prendessero il controllo delle città e dei valichi di frontiera, con l'eccezione di uno solo, nel nord-est, detenuto da milizie cristiane e da alcuni militari siriani. Combattimenti tra esercito e milizia cristiana da un lato, e combattenti Curdi dall'altro (raggruppati nel YPG) hanno avuto luogo, facendo vittime e prigionieri in entrambi gli schieramenti. Si era tuttavia lontani dalla conflagrazione generale.
I Turchi vedevano questo di cattivo occhio, ma la loro preoccupazione all'epoca era principalmente quella di organizzare la rivolta islamista per rovesciare Assad.
La battaglia di Kobane cambia tutto.
Grazie all'aiuto dei Turchi, Daesh riuscì a conquistare una parte della Siria settentrionale congiungendosi così con il confine turco. Dopo la conquista della valle dell'Eufrate (Raqqa, parte di Deir ez-Zor, Mayadin, al Quaïm) e dei giacimenti petroliferi del sud-est del paese, gli islamisti sono stati in grado di vendere il petrolio fino alla Turchia grazie a centinaia di camion cisterna che circolavano nell'indifferenza generale. L'aviazione della coalizione internazionale a guida USA non li ha quasi mai attaccati, cosa che è comunque curiosa. Abbiamo dovuto aspettare che fossero i raid Russi a fermare questo traffico.
Tuttavia, rimaneva ancora una città da conquistare per Daesh: Kobane, popolata principalmente dai Curdi. Le battaglie furiose fra il YPG (Peshmerga curdi) e gli islamisti sono durate parecchie settimane. Questo è stato il momento in cui si è realizzata l'alleanza tra i Curdi e gli Americani: gli USA hanno deciso di aiutare i combattenti curdi in maniera massiccia. L'appoggio della loro aviazione è stato decisivo (come sempre nel corso di questa guerra) e Daesh ha dovuto ritirarsi. Il bilancio è stato pesante da entrambe le parti, ma la vittoria dei Curdi avrebbe suggellato la loro alleanza con gli Stati Uniti. Armati e finanziati da loro, i Curdi sono stati in grado di consolidare le proprie posizioni lungo il confine turco, non esitando ad attaccare i militari siriani e le milizie cristiane per meglio consolidare la propria autorità.
L'esercito turco però ha reagito, attraversando il confine per tagliare in due il territorio curdo ed impedire loro di controllare una fetta continuativa di territorio. I Curdi davanti ai carri armati turchi si sono ritirati per ordine degli Americani che non volevano un confronto diretto tra queste due forze ( Turchia fa parte della NATO ndt).
Oggi, i Curdi sono diventati la fanteria degli Stati Uniti: stanno prendendo il sopravvento a Raqqa (l'ex capitale del califfato in questo momento moribondo) e stanno prendendo posizione a nord di Deir ez-Zor al fine di impedire all'esercito siriano di riprendere il controllo di tutto il Paese .
Raqqa e Deir ez-Zor sono degli insediamenti arabi e non curdi, ma poco importa: ciò che conta per gli Stati Uniti è distruggere Daesh e impedire ai Siriani di riconquistare il proprio territorio. Il ritorno della pace sotto l'egida di Assad non è mai stato il loro obiettivo.
Ma una volta di più, sono ancora i Cristiani che patiscono di questa situazione. Essi sono relativamente numerosi nella regione, e occorre sapere che gli abusi curdi contro di loro non sono affatto rari: soprusi, arresti, e più gravemente, uccisioni mirate e perfino il forzato spostamento della popolazione. Il silenzio è assordante sull'argomento, ma i Curdi fanno parte degli eroi mediatici di questa guerra e non devono essere intaccati nella loro reputazione.
Il soggetto non è nuovo purtroppo: i Curdi hanno partecipato al genocidio del 1915, sia per ordine dei Turchi, sia, più spesso, per spogliare dei loro beni gli sfortunati Armeni o Assiri. Il brigantaggio è una vecchia tradizione in casa curda...
Certo, alcuni cristiani devono loro la vita per la loro ostinata resistenza contro Daesh; i Peshmerga curdi sono assai efficaci. Ma questo non deve oscurare la realtà di ciò che i Curdi sono: essi sono Curdi e il resto non conta. Il loro Islam è molto lontano e l'ideologia marxista che li anima è abbastanza teorica, ma i cristiani per loro sono ancora meno importanti.
Essi vogliono un territorio e sono disposti a fare di tutto a questo fine: gli Americani lo hanno capito bene e se ne servono per eliminare Daesh. Parimenti i Curdi usano degli americani per affermare il loro potere locale. 
  
Fortunatamente, i cristiani sono ancora abbastanza numerosi nella regione, soprattutto nel nord-est. Nelle città di Hassake (180 000 ab.) e Qamishli (170 000 ab.) vivono molti siriaci cattolici e ortodossi i cui giovani sono armati e organizzati. Ma la vita è molto difficile e molti stanno pensando di andarsene. 
Che è esattamente quello che i Curdi aspettano.
  ( trad. Gb.P.)

venerdì 14 luglio 2017

Kurdilandia, ovvero il paese artificiale

Scrive su MintPress Sarah Abed analizzando il ruolo che alcune fazioni kurde hanno giocato durante la storia: i Kurdi hanno aiutato le maggiori potenze a creare il caos in Medio Oriente - dalla rivolta kurda in Iraq negli anni '60 al conflitto in corso in Siria oggi.
Ancora oggi, essi si rivelano l'arma di USA e Israele per la destabilizzazione del Medio Oriente, in cui gli interessi petroliferi giocano un ruolo primario:


In questo quadro si comprendono le preoccupazioni espresse a Fides dal Vescovo di Hassakè mons Hindo :

Offensiva “autonomista” dei curdi a Hassaké. L'Arcivescovo Hindo: si sentono protetti dagli americani

I militanti e i miliziani che fanno capo al Partito Democratico Curdo (PYD), braccio siriano del Partiya Karkeren Kurdistan (PKK), hanno iniziato a realizzare nei fatti il loro intento – coltivato da anni - di creare una regione autonoma curda nella regione siriana di Jazira, che nei media curdi già viene indicata col nome curdo di Rojava.
Nella provincia siriana nord-orientale di Hassaké, l'auto-proclamata amministrazione autonoma di Rojava ha iniziato a implementare un sistema di tassazione locale per sovvenzionare i pubblici servizi della regione. Secondo quanto affermano i responsabili del progetto, le tasse saranno utilizzate per sostenere i servizi sanitari e educativi locali, per migliorare il sistema di sicurezza e anche per affermare con più forza nelle istituzioni e nella vita sociale i diritti delle donne. Il programma di tassazione prevede imposte per tutti i cittadini che hanno entrate mensili pari o superiori a 100mila lire siriane (circa 200 dollari), e quindi dovrebbe coinvolgere circa il 75 per cento della popolazione locale.
Oltre a cercare di imporre questo nuovo sistema di tasse” riferisce all'Agenzia Fides l'Arcivescovo siro cattolico Jacques Behnan Hindo "quelli del PYD hanno anche requisito e chiuso le scuole. Metà le hanno trasformate in caserme, e nelle altre hanno detto di voler introdurre nuovi programmi scolastici, che verranno realizzati in lingua curda. Tempo fa hanno provato anche a espropriare un terreno appartenente alla nostra Chiesa, ma lo hanno subito restituito, dopo che io avevo inviato lettere di denuncia sia alla Nunziatura che ad alcuni dei loro responsabili”.
Secondo l'Arcivescovo Hindo, che guida l'Arcieparchia siro cattolica di Hassaké-Nisibi, anche la regione di Jazira è coinvolta nella delicata e complicata partita geopolitica che si sta giocando in tutta la regione, e che ruota anche intorno alla 'questione curda': 
I militanti curdi del PYD” riferisce a Fides l'Arcivescovo Hindo “si sentono forti perché credono di avere l'appoggio degli USA. Io li ho messi in guardia: guardate, gli americani prima o poi se ne andranno, e voi vi troverete peggio di prima. Questi militanti sono collegati al PKK, che opera in Turchia, e dicono di aspirare soltanto a una maggiore autonomia locale, senza perseguire mire indipendentiste. Inoltre, sono nemici dei curdi di Masud Barzani, che in Iraq stanno invece marciando verso il referendum per proclamare la piena indipendenza del Kurdistan iracheno. Qui da noi, il progetto di una amministrazione autonoma sostenuto del PYD sembra andare avanti perché loro hanno le armi, ma in realtà non riscuote consensi neanche da parte degli altri curdi. Tanto meno da parte delle tribù musulmane e di noi cristiani. E non credo che sarà mai accettato dal governo di Damasco”.