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sabato 30 gennaio 2021

Dieci anni dopo ... Non parlarmi più di gelsomino!

 

Di Michel Raimbaud

   traduzione Gb.P.  OraproSiria

A un decennio dagli eventi della cosiddetta "primavera araba" che hanno sconvolto diversi paesi del Maghreb, del Medio Oriente e della penisola arabica, l'ex diplomatico e saggista francese Michel Raimbaud ci dà la sua opinione sulle sue conseguenze.


Quando nel cuore dell'inverno 2010-2011 compaiono a Tunisi e poi al Cairo le prime "rivoluzioni arabe" che frettolosamente battezziamo "primavere", esse godono di un favorevole pregiudizio, foriere di libertà e rinnovamento. Rapidamente, destituiscono "tiranni" inestirpabili e fanno una forte impressione: la loro vittoria è inevitabile e l'epidemia sembra destinata a conquistare tutti i paesi arabi.

Tutti ? Non proprio. Gli Stati colpiti - Tunisia, Egitto, Libia, Yemen, Siria e dal gennaio 2011 Algeria e Mauritania - hanno in comune l'essere repubbliche, moderni, sensibili al nazionalismo arabo, governi con una laicità tollerante e ciò fa porre una domanda: "Perché noi e non loro? ". Lo dirà il futuro, i "loro" sottintende i re, i reucci o gli emiri che sfuggono miracolosamente alla primavera e sembrano promessi a un'estate eterna ben condizionata: l'Arabia di Salman e Ben Salman, gli Emirati di Zayed e Ben Zayed, il Qatar dalla famiglia Al Thani, ecc. Mettiamoci pure il Marocco e la Giordania ed ecco tutte le monarchie, dall'Atlantico al Golfo, al riparo per predicare la "rivoluzione" ... In bocca a uno sceicco wahhabita o ad un emiro, la parola "rivoluzione" sembra buffa ma basta darle il suo significato etimologico (movimento astronomico che riporta al punto di partenza) per scoprire che ben si addice a un movimento guidato da fondamentalisti con l'appoggio dell'Occidente per rompere la retorica del movimento nazionale arabo: cosa che gli esperti delle "nostre grandi democrazie" auto strombazzate rifiuteranno di ammettere.

In compenso, nei paesi arabi e altrove, molti avranno capito ben presto che cosa queste primavere invernali non erano, cioè rivoluzioni "spontanee, pacifiche e popolari". Nonostante le promesse di un domani felice fioriscano, non ci vorrà molto per disilludersi: nel vuoto creato dalla liberazione dei "tiranni", è il disordine che si insedierà piuttosto che la democrazia che ci si aspettava. Lo stupore lascerà il posto alla disillusione, al "caos creativo" dei neoconservatori e alla barbarie degli estremisti che fanno un brutto servizio alla dolce musica delle promesse.

Il caso a volte fa le cose bene, la notizia di dicembre 2020 - gennaio 2021 ha registrato in prima pagina uno spettacolare flashback della "rivoluzione" tunisina, la prima della saga lanciata il 10 dicembre 2010 quando il giovane Bouazizi si dà fuoco per protestare contro la corruzione e la violenza della polizia. Dopo il disordine iniziale legato alla "liberazione" da Ben Ali, la patria di Bourguiba, patria del nazionalismo arabo, aveva conosciuto elezioni e fasi di stabilizzazione, anche progressi nella democratizzazione con il partito Nahda di Ghannouchi o suo malgrado, prima di degenerare in una guerriglia civile tra Fratelli Musulmani e riformisti laici. Dieci anni dopo, il caos prende il sopravvento. I progressi verranno sepolti?

In Egitto, la "primavera del papiro" non ha mantenuto le promesse dei suoi profeti. A parte lo "sfratto" del vecchio Mubarak, il suo processo e la morte in prigione, il successo (temporaneo) dei Fratelli Musulmani e la presidenza rustica di Mohammad Morsi, hanno prodotto una democrazia problematica e un potere autoritario sotto forte pressione. Il generale al-Sisi non sembra avere il controllo delle sue scelte. In un paese diviso dal prestigio offuscato, è combattuto tra le vestigia del nasserismo e la disperata ricerca di finanziamenti da parte dell'Arabia e dei ricchi emirati: l'Egitto ha superato il traguardo dei 100 milioni di abitanti e si sta sgretolando sotto i debiti, i problemi, le minacce (Etiopia, Sudan e acque del Nilo). Lo slogan "nessuna guerra in Medio Oriente senza l'Egitto" è di attualità, ma non si temono più i "Faraoni" del Cairo ...

Al termine di dieci anni di guerra contro aggressori a più facce (paesi atlantici, Israele, forze islamiste, Turchia, Qatar e Arabia in testa, terroristi da Daesh ad Al Qaida), la Siria si trova in una situazione tragica, pagando per la sua fermezza sui princìpi, la sua fedeltà alle alleanze e il carico simbolico che porta: non avrà avuto la primizia di una chiamata al Jihad? L'America ed i suoi alleati respingono "l'impensabile vittoria di Bashar al-Assad" e la loro "impensabile sconfitta". A causa delle sanzioni, delle misure punitive dell'Occidente, dell'occupazione americana o degli intrighi turchi, dei furti e dei saccheggi, la Siria non può essere ricostruita. La "strategia del caos" ha fatto il suo lavoro. È giunto il momento delle guerre invisibili e infinite sostenute da Obama. Tuttavia, il futuro del mondo arabo dipende da qualche parte, e in gran parte, dalla forza del suo "cuore pulsante". Con tutto il rispetto per chi finge di averla seppellita, anche evitando di menzionare il suo nome, la Siria è indispensabile al punto di cristallizzare le ossessioni : nessuna pace senza di essa in Medio Oriente.

Passato attraverso la Rivoluzione dei Cedri nel 2005, dopo aver sopportato la primavera autunnale del 2019, le tragedie del 2020 e il caos del 2021, il Libano avrà avuto la sua rivoluzione. Sanzionato, affamato, asfissiato, minacciato dai suoi "amici", condivide volente o nolente il destino del Paese fratello che è la Siria. Un terzo della sua popolazione è composto da rifugiati siriani e palestinesi. Sta cambiando il suo destino, dopo cento anni di "solitudine" nel Grande Libano dei francesi?

In Palestina è la "primavera" perpetua. "Transazione del secolo", tradimenti tra amici e Covid oblige, la questione palestinese sembra abbandonata, tranne che per la Siria che paga a caro prezzo il suo attaccamento alla "sacra causa". Martirizzati, rinchiusi a vita, umiliati e vittime dell'etnocidio, i palestinesi sapranno scegliere i propri alleati senza tradire chi non li ha traditi? Tra inglese e francese, fate attenzione ai falsi amici, ma a volte costoro parlano turco o arabo. Il Re del Marocco, Comandante dei Fedeli e discendente del Profeta, Presidente del Comitato al-Quds, si è appena normalizzato con Israele, consegnando l'Ordine di Maometto a Donald Trump. È il quarto ad entrare nel campo dei liquidatori, dopo gli ineffabili Emirati Arabi Uniti, il Bahrain sopravvissuto a una primavera straordinaria e l'ex Sudan. Quest'ultimo ha messo al fresco Omar al-Bashir, ma ha anche rinnegato i suoi principi, compreso quello dei "tre no a Israele". Fa amicizia con lo zio Sam e muore d'amore per Israele, ma i due non hanno amici, soprattutto non tra gli arabi.

L'Iraq non ha avuto bisogno di una "primavera araba" per scoprire cosa significassero "democratizzazione" in stile americano e pax americana. Il paese di Saddam, martirizzato per trent'anni e semispartito in tre entità, lotta per liberarsi dall'abbraccio degli Stati Uniti, di cui i suoi leader sono tuttavia l'emanazione. Per i neoconservatori di Washington e Tel Aviv è servito come test della "strategia del caos", e sta pagando per questo.

Invasa illegalmente dalla NATO nel marzo 2011 in nome della "Responsibility to Protect", la Libia ha pagato un prezzo pesante alle ambizioni occidentali. Gheddafi vi morì in un episodio di cui Hillary Clinton, l'arpìa del Potomac, ha esultato indecentemente. Sul fronte della democratizzazione, la Jamahiriya, i cui indici di sviluppo erano esemplari, aveva ereditato dall'estate del 2011 un caos che aveva suscitato l'ammirazione di Juppé. Dietro le rovine libiche e le macerie del Grande Fiume, ricordi dei bombardamenti umanitari della coalizione arabo-occidentale, giacevano le casse che l'Asse del Bene aveva alleggerito di centinaia di miliardi di dollari dalla Jamahiriya, non persi per tutti. Il sogno di Gheddafi - un'Africa con una sua moneta indipendente dall'euro e dal dollaro - è stato rubato. Chi amava troppo la Libia può gioire: ora ce ne sono diverse, da due a cinque a seconda degli episodi.

Potremmo appesantire il bilancio parlando della tenace Algeria, dello Yemen martirizzato dai Sauditi e dall'Occidente, dell'Iran, ecc ...: le "primavere" sono state la peggior catastrofe che gli arabi potessero conoscere. Eppure, benchè intrappolati tra l'Impero americano e il blocco eurasiatico russo-cinese, il mutato contesto geopolitico sta lavorando a loro favore.

Se non hanno nulla da aspettarsi dagli Stati Uniti, che, da Obama a Biden passando per Trump, vedono il mondo arabo solo con gli occhi di Israele e con il profumo di petrolio, farebbero bene a scommettere sul ritorno della Russia come riferimento politico e l'arrivo della Cina attraverso le Vie della Seta. Sta a loro scegliere tra le guerre senza fine offerte loro dalla "potenza indispensabile" o la via di rinascita che l'alternativa strategica aprirebbe loro. Niente è ancora giocato del tutto.

Michel Raimbaud

https://francais.rt.com/opinions/83279-printemps-arabes-dix-ans-apres-ne-me-parlez-plus-de-jasmin-michel-raimbaud

venerdì 22 gennaio 2021

OraproSiria si unisce all'appello internazionale per porre fine alla punizione collettiva dei civili siriani

Patriarchi, esponenti delle Chiese del Medio Oriente e più di 90 personalità in tutto il mondo oggi hanno chiesto al presidente degli Stati Uniti Joe Biden di revocare le sanzioni economiche che stanno causando gravi danni alla popolazione civile della Siria, come richiama il Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla coercizione unilaterale, Prof. Alena Douhan.

I firmatari della Lettera Aperta hanno affermato che "questa forma di punizione collettiva della popolazione civile sta portando la Siria verso una catastrofe umanitaria senza precedenti". Tra i firmatari ci sono membri di parlamento, attivisti per i diritti umani, leader cristiani, non solo della Siria, operatori umanitari, ex diplomatici e militari.

Appelli identici vengono inviati oggi dai firmatari di questa Lettera Aperta ai governi di altri paesi, tra cui Regno Unito, Francia, Germania e Svizzera. Tutti questi Stati hanno aderito alla campagna di sanzioni condotta dagli Stati Uniti contro la Siria, anche se non autorizzata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

Chiediamo di aderire e rilanciare l'appello, per mettere fine alla sofferenza di un popolo innocente.

Al Presidente, 21 gennaio 2021

Washington, DC 

Signor Presidente,

le porgiamo le nostre congratulazioni per il suo insediamento come 46° presidente degli Stati Uniti.

Non vogliamo tardare a contattarla per una risposta urgente alla grave crisi umanitaria in Siria. Il Relatore Speciale delle Nazioni Unite sulle Misure Coercitive Unilaterali, la professoressa Alena Douhan, ha fatto appello alla fine di dicembre affinché gli Stati Uniti eliminino la complessa rete di sanzioni economiche che danneggiano gravemente il popolo siriano.

Il Relatore Speciale ha dichiarato che queste sanzioni statunitensi "violano i diritti umani del popolo siriano" e "esacerbano la già terribile situazione umanitaria in Siria, specialmente nel corso della pandemia di COVID-19", bloccando gli aiuti, il commercio e gli investimenti necessari al sistema sanitario e all'economia della Siria.

Le conclusioni del Relatore Speciale riflettono un crescente consenso nelle comunità degli aiuti umanitari e dei diritti umani sul fatto che questa forma di punizione collettiva della popolazione civile sta portando la Siria dentro una catastrofe umanitaria senza precedenti.

Dieci anni fa, la Siria era un granaio per la regione. Oggi è sull'orlo non solo della fame, ma della morte per carestia, secondo il Programma Alimentare Mondiale (PAM). Lo scorso giugno, il direttore del PAM, l'ex governatore David Beasley, ha avvertito che la metà dei siriani andava a letto affamata, e che il paese era sull'orlo della "fame di massa". Nel frattempo, la pandemia di COVID-19 imperversa nel paese, non frenata da un sistema sanitario in gran parte distrutto da dieci anni di guerra.

Milioni di siriani in difficoltà andranno a letto affamati e infreddoliti stasera. Le misure coercitive unilaterali imposte dagli Stati Uniti peggiorano la situazione economica del popolo siriano.

La esortiamo, signor Presidente, ad aiutare i siriani ad alleviare una crisi umanitaria che minaccia di innescare una nuova ondata di instabilità in Medio Oriente e non solo, attuando le raccomandazioni del Relatore Speciale delle Nazioni Unite.

Crediamo che i legittimi interessi nazionali degli Stati Uniti possano essere perseguiti senza punire collettivamente il popolo siriano con sanzioni economiche.

Rispettosamente

(seguono le firme)

https://csi-suisse.ch/app/uploads/sites/3/2021/01/2021-01-21-Lettre-au-president-americain-Joe-Biden.pdf

Monsieur le Président de la République

Paris, le 21 janvier 2021

Monsieur le Président de la République,

le professeur Alena Douhan, rapporteur spéciale des Nations unies sur les mesures coercitives unilatérales, a appelé fin décembre 2020 les États-Unis à lever leur maillage complexe de sanctions économiques qui portent un lourd préjudice au peuple syrien.

La rapporteur spéciale a déclaré que les sanctions imposées par les États-Unis « constituent des violations des droits de l’homme à l’encontre du peuple syrien » et « exacerbent la situation humanitaire déjà affreuse que connait la Syrie, particulièrement dans le contexte de la pandémie du Covid-19 », puisqu’elles bloquent l’aide, le commerce et les investissements nécessaires au fonctionnement du système de santé et de l’économie de la Syrie ».

Les conclusions de la rapporteur spéciale reflètent un consensus croissant au sein de la communauté de l’aide humanitaire et de la communauté des droits humains, où l’on estime que cette forme de punition collective de la population civile est en train de mener la Syrie vers une catastrophe humanitaire sans précédent.

Il y a dix ans, la Syrie était un grenier à blé pour la région. Elle est aujourd’hui en passe de connaître non seulement la faim, mais la famine, selon le Programme alimentaire mondial (PAM). En juin dernier, le directeur du PAM, l’ancien gouverneur David Beasley, lançait un cri d’alarme en disant que la moitié des Syriens devaient aller se coucher avec la faim et que le pays était au bord d’une « famine de masse ». Pendant ce temps, la pandémie du Covid-19 fait rage dans tout le pays, incontrôlable suite à la ruine d’un système de santé largement détruit au fil de dix ans de guerre.

Des millions de Syriens très durement affectés iront se coucher ce soir en ayant faim et froid. Les sanctions coercitives unilatérales imposées par les États-Unis rendent encore pire la détresse économique du peuple syrien.

Nous vous conjurons, Monsieur le Président, d’aider les Syriens à alléger une crise humanitaire qui menace d’entraîner une nouvelle vague d’instabilité au Moyen-Orient et au-delà, en apportant votre soutien à la rapporteur spéciale des Nations unies et en vous assurant que les sanctions économiques appliquées en France et en Europe ne violent pas les droits humains du peuple syrien et n’aggravent pas la situation humanitaire déjà désastreuse en Syrie.

Nous pensons que les intérêts nationaux légitimes de la France et de l’Europe peuvent être défendus sans punir collectivement le peuple syrien au moyen de sanctions économiques.

Veuillez agréer, Monsieur le Président de la République, l’expression de notre très haute considération.

Professeur Michael Abs, secrétaire général, Conseil des Églises du Moyen Orient

 Sa Béatitude, Joseph Absi, primat de l’Église grecque-catholique melkite, Patriarche d’Antioche et de tout l’Orient, d’Alexandrie et de Jérusalem

Abdelmadjid Ait Saadi, président, Activités culturelles internationales,

Alger Baron (John) Alderdice, ancien président de l’Assemblée d’Irlande du Nord

Baron (David) Alton de Liverpool, KCSG, KCMCO

Dr Nabil Antaki, les Maristes Bleus, Alep

Sa Sainteté, Mor Ignatius Aphrem II, patriarche syriaque orthodoxe d’Antioche et de tout l’Orient

Mgr Joseph Arnaoutian, Évêque arménien catholique de Damas

Dr Andrew Ashdown, Humanitarian Aid Relief Trust, (HART), Londres

Mgr Antoine Audo, SJ, Évêque catholique chaldéen de Syrie

Karine Bailly, présidente, Solidarité Chrétiens d’Orient

Gérard Bapt, ancien député, Assemblée Nationale, République française

Professeur Adel Ben Yousseff, Université de Nice Sophia-Antipolis

Benjamin Blanchard, directeur général, SOS Chrétiens d’Orient, Paris

Ivana Borsotto, présidente, Federazione Organismi Cristiani Servizio Internazionale Volontario

José Bustani, ancien ambassadeur et ancien directeur, Organization for the Prohibition of Chemical Weapons

Mgr (George) Lord Carey, ancien archevêque de Canterbury

Dr Anas Chebib, président, Collectif pour la Syrie & France-Near East Association

Dr Selma Cherif, vice-présidente de l’ATLMST-SIDA, Tunisie

Norbert Clasen, publiciste, Allemagne

Mgr Christopher Cocksworth, Évêque de Coventry

Pierre le Corf, travailleur humanitaire,

Alep Baron (Patrick) Cormack of Enville

Baroness (Caroline) Cox of Queensbury, fondatrice, Humanitarian Aid and Relief Trust (HART)

Pierre Cuipers, sénateur, République française

General Francis Richard Baron Dannatt, GCB, CBC, MC, DL

Dr Maher Daoud, président, Association médicale franco-syrienne

Didier Destremau, ancien ambassadeur de France, président de l’Association d’Amitié France-Syrie

Brig. Général (ret) Grégoire Diamantidis, armée de l’Air française

Jorge M. Dias Ferreira, principal représentant de New Humanity auprès des Nations unies

Dr John Eibner, président international, Christian Solidarity International (CSI)

François Ernenwein, président, Confrontations (Association d’intellectuels chrétiens),France

Dr Vilmos Fischl, secrétaire général, Conseil Œcuménique des Églises de Hongrie

Revd. Fr. Peter Fuchs, directeur, CSI-Allemagne

Revd. Hans-Martin Gloël, Église Évangélique d’Allemagne (EKD)

Dr Joy Gordon, Ignacio Ellacuria, S.J. professeur d’éthique sociale, Loyola University-Chicago

Angélique Gourlay, présidente, CSI-France

Mezri Haddad, ancien Ambassadeur, Tunisie

Dr Salem El-Hamid, président, Société germano-syrienne

Professeur Franz Hamburger, Johannes Gutenberg-University, Mainz

Mgr Gregor Maria Hanke, OSB, Évêque, diocèse d’Eichstätt

Revd. Ernst Herbert, Comité œcuménique pour la liberté de religion, Allemagne

Fr. Ziad Hillal,

SJ Hellmut Hoffmann, ancien ambassadeur, République Fédérale d’Allemagne

Jacques Hogard, officier de la Légion d’Honneur et président d’EPEE, Paris

Major Général John Taylor Holmes, DSO, OBE, MC.

Mgr Vitus Huonder, ancien évêque de Chur, Suisse

Dr Erica Hunter, Senior Lecturer, SOAS, Université de Londres

Lord (Raymond) Hylton of Hylton, ARICS, DL

Mgr Jean-Clement Jeanbart, archevêque de l’Église grecque catholique melkite d’Alep

Professor Emérite Edmond Jouve, Université de Paris (Frank)

Baron Judd, ancien ministre for Overseas Development

Christianne Kammerman, ancienne sénatrice, République française

Mohamed Karboul, ancien ambassadeur, Tunisie

Sabine Kebir, weltnetz.tv, Berlin

Ridha Kechrid, ancien ministre de la Santé et ancien ambassadeur, Tunisie

Makram Khoury-Machool, directeur, European Center for the Study of Extremism, Cambridge

Fr. Benedict Kiely, fondateur, Nasorean.org

Mgr Fülöp Kocsis, archevêque, diocèse grec-catholique de Hajdudorog

Paul Kurt, président, International Society of Oriental Christians (IGOC)

Professeur Joshua Landis, University of Oklahoma

Mgr Michael Langrish, ancien évêque d’Exeter

Hervé Legrand, OP, vice-président, Confrontations (Association d’intellectuels chrétiens français)

Professeur Karl Lehner, médecin, Rosenheim

Daniel Lillis, JP KHS MA FRSA, directeur, Lillis International Government Relations Consultancy, London

Ricardo Loy Madera, secrétaire général, Manos Unidas, Madrid

Ahmed Manai, président, Institut tunisien des Relations internationales

Mouna Mansour, présidente, Cœurs sans Frontières

Thierry Mariani, membre du Parlement européen

Philippe Marini, maire de Compiègne et ancien sénateur

Kenneth Charles McDonald, président, Marist International Solidarity Foundation (FMSI)

Charles de Meyer, président, SOS Chrétiens d’Orient

Clemens Count von Mirbach-Harff, secrétaire général, Malteser International

Rt. Revd. Michael Nazir-Ali, ancien évêque de Rochester, président, Oxford Centre for Training and Research Development (OXTRAD)

Revd. Ibrahim Nseir, Église presbytérienne, Alep

Peter Oborne, journaliste et diffuseur, Londres

Clara Pardo, présidente de Manos Unidas, Madrid

Françoise Parmentier, présidente, Actenscène, Paris

Revd. Albert Pataky, président, Église pentecôtiste de Hongrie

Mario Alexis Portella, J.D., J.C.D., chancelier, Archidiocèse de Florence

Revd. Fr. Timothy Radcliffe, OP, ancien maître de l’Ordre des prêcheurs

Michel Raimbaud, ancien ambassadeur, France

Général David John Baron Ramsbotham, GCB, CBE

Col. François Richard, président fondateur, CPP, Ar-Bed Conseil

Dr Antoine Salloum, président, Soins Pour Tous, Paris

Mgr Athanasius Schneider, évêque auxiliaire d’Astana

Revd. Professeur Michael Schneider, SJ, St. Georgen-College, Frankfurt am Main

Professeur Hans Otto Seitschek, Université Ludwig-Maximilians, Munich

Revd. Haroutune Selimian, président, Église évangélique arménienne de Syrie

Mgr András Veres, évêque de Győr, président de la Conférence des évêques de Hongrie

Professeur Michel Veuthey, professeur associé de droit international, Université de Webster, Genève

Dr Audrey Wells, Hon Research Associate, Royal Hollow College, University of London

Admiral Alan William Baron West of Spithead, GCB, DSC, PC

Mgr (Rowan) Lord Williams, ancien archevêque de Canterbury

Jean-Pierre Vial, ancien sénateur, France

Sa Béatitude, Ignatius Youssef III Younan, patriarche syriaque catholique d’Antioche et de tout l’Orient

giovedì 21 gennaio 2021

Lettera al neo-presidente Biden

Se il presidente Joe Biden intende ripristinare la credibilità dell'America nel mondo, deve compiere questi passi per quanto riguarda la Siria. Gran parte di questo vale anche per gli altri Paesi:

  1. Porre fine a tutte le sanzioni e ai blocchi. Le sanzioni americane non sono mezzi benigni per esercitare pressione sui governi: sono imposte per isolare l'economia e affamare la gente per renderli così disperati che si alzeranno contro i loro governi e opereranno per noi (chi scrive è americana - ndt) i nostri maligni cambiamenti di regime. Di fatto sono terrorismo economico contro intere popolazioni.

  2. Porre fine all'occupazione illegale degli Stati Uniti e degli alleati, siano esse truppe convenzionali o contractors / mercenari e proxy. Gli Stati Uniti stanno controllando quasi il terzo del territorio della Siria - terre che non per caso contengono i giacimenti petroliferi più ricchi della Siria. L'America sta vendendo il petrolio della Siria per finanziare i propri soldati e addestrare e armare i mercenari suoi sostituti per cercare di dividere la Siria... Balcanizzazione. Serve anche per privare i Siriani del carburante necessario a ricostruire; per impedire al loro esercito di sconfiggere al Qaeda e altri gruppi terroristi che occupano la provincia di Idlib, le cellule dell'ISIS a ovest e sud e i vari terroristi che ancora attaccano in altre aree del Paese; per bloccare manifattura, produzione e distribuzione; ostacolare riscaldamento e energia per ospedali, scuole, case, imprese, ecc. Le persone aspettano giorni in fila per la benzina.

  3. Applicare pressione su Israele e Turchia per porre fine alle loro occupazioni illegali di terre siriane; porre fine ai loro attacchi illegali e costanti contro la nazione sovrana della Siria; e porre fine alla loro continua assistenza a diversi gruppi terroristici.

In molti modi, i siriani soffrono più che mai. Dal crollo del governo e dell'economia del Libano lo scorso anno, la loro economia è scesa a spirale, fuori controllo. I prezzi, anche sui beni essenziali più basilari per la vita superano i mezzi della maggior parte delle persone: comprare anche un pollo ad esempio è diventato una cosa impensabile.

La corruzione, l'inflazione in tempo di guerra, il contrabbando, il mercato nero e l'ascesa delle mafie hanno esacerbato esponenzialmente la miseria del popolo e molti sono senza alcuna speranza per il futuro.

Tutti questi problemi sono il risultato diretto degli sconsiderati e ingiustificabili tentativi di cambiamento di regime degli Stati Uniti d'America e dei suoi alleati. L'aggressione volta al cambiamento di regime è iniziata sotto GW Bush; si è trasformata in violenza sotto Obama; e ha continuato sotto Trump.

Joe Biden ha fatto presagire che invece di agire in buona fede e porre fine agli sforzi degli Stati Uniti per rovesciare il governo della Siria, li intensificherà e cercherà di finire il lavoro che Bush, Obama e Hillary (con Biden come VP) erano tutti così determinati a compiere. Dopo aver fatto torturare e uccidere Gheddafi e aver destabilizzato e smembrata la Libia, l'amministrazione Obama ha cercato di fare a pezzi la Siria.

Hanno fallito per la maggior parte ma la Siria sànguina.

I Siriani hanno seppellito centinaia di migliaia dei loro cari. Il loro esercito ha grondato tanto sangue - dei loro giovani e dei loro vecchi che combattono l'ISIS, al Qaeda e altri eserciti terroristici per procura, tutti sponsorizzati dagli Stati Uniti e/o dai suoi alleati, e i civili come vittime della violenza da parte di legioni di terroristi.

Vaste zone delle loro città e infrastrutture sono state distrutte o pesantemente danneggiate sia dai terroristi che sono stati incaricati di portar morte e distruzione, sia dagli sforzi del governo e dell'esercito siriani con i loro alleati per sconfiggere i teppisti mercenari.

Gli Stati Uniti non devono far altro che porre fine all'aggressione contro quel Paese che non ha mai minacciato l'America, anzi hanno voluto solo relazioni reciprocamente vantaggiose e rispettose con l'Occidente.

Circa dieci milioni (su un totale di 23 milioni di abitanti) sono stati sfollati, dovendo trasferirsi all'interno del paese o fuori, diventando profughi.

Quindi presidente Biden : Mi appello a voi per porre fine a questa follia omicida. Porre fine al tentativo di cambiamento di regime per procura terroristica attuato con la guerra contro la Siria. E fatelo ORA.

Queste persone non sono i nostri nemici - dobbiamo smettere di trattarli come tali.

 Janice Kortkamp

Queste foto sono tutte del 2020/2021 con un ringraziamento speciale a Rida Ali e Roula Elias Naddour.

venerdì 15 gennaio 2021

L'inverno è arrivato e le sanzioni uccidono

Buongiorno da Damasco e dalla Siria sotto sanzioni.

La prima neve dell'inverno è arrivata, mentre le forze di occupazione statunitensi continuano la loro guerra alle risorse. I loro protetti separatisti curdi delle SDF commerciano grano e orzo siriani attraverso il confine iracheno per impedire al popolo siriano di averlo. Le code per il pane a Damasco sono lunghe e la maggior parte della gente impiega fino a 3 ore prima che possa ricevere la propria razione gratuita di pane.

Il petrolio viene ancora rubato tramite le reti implementate sotto l'amministrazione Trump, inclusa la compagnia petrolifera DeltaCrescent Energy che sta rubando petrolio siriano con l'aiuto dei contras curdi.

La preziosa merce viene contrabbandata dai carri armati statunitensi attraverso il valico di Al Waleed, in Iraq. Al Waleed fa parte del complesso militare illegale statunitense di Al Tanf, situata al confine con Iraq e Giordania. C'è un raggio di esclusione di 25 km intorno al campo infestato da fazioni terroristiche addestrate regolarmente dalle truppe statunitensi ad Al Tanf. Recentemente le esercitazioni militari hanno incluso l'uso di HIMARS (sistemi missilistici di artiglieria ad alta mobilità) statunitensi (Lockheed Martin) che hanno una gittata fino a 300 km.

L'ultima coda per il rifornimento che ho passato a Damasco era lunga più di 5 km, le persone aspettano in fila per 7 ore e più per fare il pieno di carburante. Molti tassisti hanno perso il 50% del reddito su cui fanno affidamento per nutrire le loro famiglie. La fornitura di elettricità è gravemente compromessa, molte zone rurali ce l'hanno solo per 2 ore al giorno durante i due mesi più freddi in Siria.

Le sanzioni uccidono.

Vanessa Beeley

https://www.patreon.com/posts/good-morning-and-46232221

lunedì 11 gennaio 2021

Ritorno nella mia Siria

foto: Issa Touma
 

Era passato un anno dal mio ultimo viaggio in Siria ed era tempo di rivedere la mia patria e ritrovare i miei cari. Tornare a visitare parenti e amici ad Aleppo, la mia città, non è mai facile. Non ci sono voli internazionali dall’Italia per la Siria: fatto scalo a Istambul, atterrato a Beirut, poi proseguirò via terra.  

 A Beirut vive mia sorella. Il nostro ultimo incontro risaliva a 5 anni fa: l’avevo salutata lasciando la Siria - destinazione: Italia - con la mia famiglia, dopo un bombardamento proveniente dai quartieri est di Aleppo occupati dagli islamisti che aveva danneggiato pesantemente la nostra casa. Passo una serata con mia sorella, a parlare della drammatica crisi in Libano: disoccupazione, inflazione, politici corrotti e Covid in giro...  

 Da Beirut verso la Siria partono, oltre ai pullman, i taxi collettivi. Sapevo, già dall’Italia, che a causa della pandemia le auto libanesi non possono entrare in Siria e quelle siriane non possono arrivare in Libano. Ma in Oriente una soluzione c’è sempre: parto dal Libano con una macchina libanese e alla frontiera ci attende una macchina proveniente dalla Siria. Durante il cambio di automobile mi guardo intorno: sono l’unico viaggiatore alla frontiera! Dopo poche ore eccomi a Tartous. La seconda tappa. La città di mia moglie. Fra gioia e abbracci entro in casa: è illuminata con le pile, non c’è corrente e fa freddo. Il combustibile manca.  

 I parenti della mia famiglia acquisita sono tutti radunati per accogliermi. Durante l’abbondante pranzo, preparato in mio onore, affronto un sacco di domande e curiosità. Un parente mi dice: “Non mi dire che hai deciso di tornare a casa in Siria!”. Un ragazzo giovane mi parla con gli occhi e la domanda è: “C’è modo di andare via? Partire dalla Siria, verso l’Italia o altrove, pur di non fare il servizio militare (che dura un tempo infinito), pur di costruirmi un futuro che qui non c’è”. Non so come rispondere. Nel pomeriggio mi reco in visita a parenti e amici nei dintorni. Le loro case? Quasi tutte nello stesso stato: niente energia elettrica, niente riscaldamento. La lotta per la sopravvivenza, una sfida quotidiana per avere lo stretto necessario. E tanti con quella frase: “Non dirmi che hai deciso di tornare!?”. La notte, al gelo, non è facile prendere sonno.  

 Il giorno seguente lascio Tartous e parto in corriera verso la mia città natale. Fra Tartous e Aleppo sono 280 chilometri, ma non si arriva mai. I posti di blocco dell’esercito e altre soste. Fa buio e non riesco a raccapezzarmi. Finalmente dopo cinque ore di Via Crucis arriviamo ad Aleppo. Siccome la mia casa è vuota e non abitabile, mio fratello che mi aspetta all’arrivo mi porta a casa sua. Strade poco illuminate, confusione di passanti e auto. La seconda città siriana è una sopravvissuta di guerra e si vede. La casa di mio fratello è illuminata grazie a un generatore privato che distribuisce la corrente agli appartamenti (si paga un abbonamento). Il poco gasolio che hanno risparmiato lo usano adesso che sono presente per riscaldare un po'…

 Mi invitano a cena in uno dei ristoranti popolari del quartiere: oltre ai miei familiari c’è un amico d’infanzia, con la sua famiglia, un responsabile del quartiere. Le sue parole mi colpiscono dolorosamente: “Hai fatto la cosa giusta, andandotene. Hai fatto bene, per i tuoi figli. I miei, ormai sono all’università e farò di tutto perché partano altrove, a trovare una vita normale. In Siria non c’è futuro”. Per tutta la serata mi parla delle difficoltà della vita, minori coinvolti in atti di delinquenza per bisogno estremo.

La guerra ha cambiato tanto la mia Aleppo, era una città gentile, prospera e tranquilla...

Nel tragitto di ritorno a casa, strade buie, piene del rumore dei generatori e dei loro fumi tossici. C’è chi chiede l’elemosina all’uscita di un negozio e chi cerca nell’immondizia. Sono triste vedendo per strada le facce ansiose, le teste inclinate verso terra, non è più la Aleppo di prima.

foto: Issa Touma

 Mio fratello ha un negozio di stampa e fotocopie per l’università. Vedo entrare i clienti. Li conosco da una vita, e anche da loro, la fatidica domanda: “Come mai sei qua? Non dirmi che sei tornato a vivere in Siria?!”. A un uomo della comunità armena chiedo quante famiglie siano rimaste. “Solo il 20%, l'80% sono partite”, risponde.

Sono le 14, prima di andare a pranzo facciamo un salto per la spesa al mercato del quartiere. C’è ottima frutta e verdura in abbondanza... ma i prezzi? Troppo alti per i clienti della città…

In vendita c’è di tutto ma per comprare non c’è denaro. La gente per strada è tanta, ma nelle mani i sacchetti sono piccoli, certo insufficienti per tutta la famiglia. Certi cibi come carne e frutta per tante famiglie sono inarrivabili da settimane o da mesi. In questo dopoguerra piegato dalle sanzioni e embargo, il governo ha messo in atto un sistema di approvvigionamento dei generi di prima necessità. Ogni nucleo famigliare riceve 10 pezzi di pane ogni due giorni, una bombola del gas ogni due mesi, 100 litri di gasolio per riscaldamento. Per il ritiro occorre aspettare un sms dal Comune, mettersi in fila per ore, e a volte non ce n’è per tutti...

 Il giorno dopo andiamo con amici a prendere qualcosa in un ristorante popolare dove si mangia e si chiacchiera. I clienti del posto non mancano. I buonissimi patti tipici della cucina di Aleppo sono un piacere, come il calduccio del locale – benessere così raro… viene voglia di dormire lì...

 Il terzo giorno devo salutare la mia città. Ma voglio passare a trovare alcune persone care. Fra queste, le suore e il personale dell’ospedale Saint Louis, una vecchia struttura sanitaria famosa ad Aleppo. Nel tragitto di venti minuti a piedi al centro della città mi immergo fra la folla che passa a piedi, desideroso di sentire il dialogo della pietra con me come una volta. Visto che vivo in Italia, dove il coronavirus colpisce duro, faccio attenzione a un particolare: le farmacie espongono cartelli con su scritto “vendiamo mascherine”… ma nessuno le ha. La priorità è, ovviamente, comprare il cibo. Già, chi ha perso tutto non ha più niente da perdere...

 All’ospedale gestito dalle suore, come sempre pulito e ben organizzato (ma ovviamente a pagamento), la suora coordinatrice, un’italiana, mi accoglie con gioia. Le ho portato un panettone per ricordarle il suo paese.

Sempre a piedi mi reco nella nostra parrocchia, da padre Ibrahim, il nostro parroco. Mi accoglie gentilmente, ascolta le notizie dall’Italia. Per lui sono un po’ la pecorella smarrita… Mi racconta la tragica situazione delle persone, fra povertà, penuria, timore della pandemia, sanzioni europee ed embargo statunitense. Venti minuti intensi e ci salutiamo.   


 Poche ore mi separano dalla partenza. Sono disorientato, colpito dalla situazione che ho visto e dalle notizie che ho avuto. Anche l’anno scorso gli aleppini erano in difficoltà, ma l’atmosfera era diversa. Non solo tutte le persone mi parlavano, ma io sentivo come la voce delle antiche pietre, delle strade, delle case… Adesso nessuno parla, tutto piange, pure le pietre...

 Non vedo l’ora di uscire da questa situazione insopportabile. Posso tornare a vivere qui con la mia famiglia? Ma i miei bambini… come posso offrire loro il necessario, una vita normale?  Qui tutti ormai sono costretti ad arrangiarsi come possono, chiusi agli altri, come mai i siriani erano stati. Grazie a tanta gente che mi ha offerto in Italia alcuni contributi ho potuto portare un piccolo sostegno ad alcune famiglie... ma la situazione è tragica, fra povertà, delinquenza e corruzione, furti e addirittura prostituzione… Il mio paese non è mai mai mai stato così.

Era ricco, la guerra lo ha rovinato. E tanti paesi sono arrivati qui a distruggere e saccheggiare la Siria. Terroristi da ogni nazionalità hanno fatto a pezzi questa patria come se fosse carta straccia.

Quanti anni occorreranno al mio paese per la ricostruzione anche delle persone? Ricostruire la sua mentalità e l'educazione … La generazione uscita da tanti anni di guerra è strana… 

  Sono partito senza guardarmi indietro. Porto nel cuore i miei che sono rimasti, i vecchi amici e conoscenti, che tagliano il fiore tra le spine per sentire il profumo della speranza.... E i quartieri e gli edifici cari... Li porto tutti nella mente sperando abbia fine un brutto sogno che, purtroppo, è una dolorosa realtà.

  J. M.

venerdì 8 gennaio 2021

In Libano 'la speranza è il nostro pane quotidiano'


Aiuto alla Chiesa che SoffreGennaio 2021

Il Libano è spesso considerato un modello per l'intero Medio Oriente, non da ultimo a causa della relativa stabilità delle relazioni interreligiose all'interno del paese.  Eppure l'equilibrio è cambiato e la situazione è diventata sempre più instabile dopo che sempre più cristiani hanno lasciato la loro patria. Nell'agosto 2020 Beirut è stata scossa da una delle più violente esplosioni in tempo di pace nella storia umana. Ora la capitale libanese affronta una crisi esistenziale e con essa l'intero paese, che era già afflitto da cattiva gestione economica e corruzione, nonché da una crisi politica e bancaria.

Padre Jad Chlouk, 38 anni, è parroco della cattedrale maronita di San Giorgio a Beirut. Descrive come la Chiesa è presente e aiuta tutti i bisognosi. La cattedrale stessa è stata gravemente danneggiata dall'esplosione. Aid to the Church in Need (ACN International) sta finanziando i lavori di restauro di questa cattedrale e di altre 16 proprietà della Chiesa a Beirut

La vita a Beirut non è stata la stessa dall'esplosione di quattro mesi fa. Com'è l'atmosfera in città oggi?
Siamo ancora scioccati da quanto accaduto ad agosto. I ricordi di quel giorno orribile tornano spesso, soprattutto quando vediamo le case in rovina, le chiese, le scuole e gli ospedali, o quando sentiamo un rumore improvviso come un tuono. Non possiamo che ricordarci di quell'incidente! Lo stato d'animo è ancora angosciato e ansioso, ma nonostante tutto ci stiamo preparando il più possibile a rinnovare la nostra vita spirituale.

I quartieri cristiani sono stati particolarmente colpiti dall'esplosione di inizio agosto, perché vicini al porto. Anche la cattedrale maronita di cui sei parroco è stata danneggiata. ACN sostiene la ricostruzione. Fino a che punto sono progrediti i lavori di riparazione, all'inizio dell'inverno?

La riabilitazione della cattedrale maronita è iniziata un mese fa, quando abbiamo provato alcune misure temporanee per evitare ulteriori danni dalla pioggia proveniente dal tetto danneggiato e dalle finestre e porte frantumate. Prevediamo di terminare la riparazione del tetto in un paio di settimane, mentre per le altre aperture, il fissaggio dei serramenti danneggiati, questo lavoro è ancora in corso.

In che misura la pandemia COVID-19 ha influito sul lavoro di ripristino e di aiuto umanitario?

La pandemia COVID-19 ha ritardato il processo di riabilitazione della cattedrale, soprattutto durante le due settimane del periodo di blocco, quando abbiamo dovuto richiedere permessi speciali per procedere con i lavori, rispettando allo stesso tempo sempre le misure di sicurezza, come il distanziamento sociale e così via. D'altra parte, abbiamo cercato di mantenere gli aiuti umanitari perché, con la crisi economica che sta attraversando il popolo libanese, dobbiamo essere molto vicini ai nostri fratelli e sorelle in difficoltà. Era rischioso, ma adottando tutte le misure di sicurezza, abbiamo mantenuto la nostra missione sulla buona strada per servirli.

Subito dopo il disastro, soprattutto molti giovani hanno annunciato la loro intenzione di lasciare il Libano ora, perché non vedono più alcun futuro per se stessi nel Paese. È successo in pratica, e cosa significa per la comunità cristiana in Libano?

Le statistiche mostrano che più di 380.000 richieste di emigrazione sono state presentate alle ambasciate dell'UE e dei paesi del Nord America, e che la maggior parte proveniva da cristiani, che purtroppo ora si sentono estranei nel proprio paese. Questo sta influenzando negativamente l'intera comunità cristiana, perché significa perdere la maggior parte dei suoi più brillanti e migliori, e specialmente i suoi giovani, che dovrebbero essere il futuro della comunità cristiana qui. Quindi, il numero di cristiani nel Paese sta diminuendo di giorno in giorno, e questo sta influenzando la situazione e causando ancora più pressione a coloro che rimangono, in una situazione in cui potrebbero presto subire persecuzioni. Questa non è una teoria del complotto: questa è la realtà a cui abbiamo assistito nei nostri vicini più prossimi, tra cui Siria, Iraq, Palestina, Giordania ...

Mentre guardi al nuovo anno, sei più preoccupato o questa preoccupazione è superata dalla speranza?
La speranza è sempre il nostro pane quotidiano, soprattutto in questi tempi bui. Nonostante tutto, guardiamo al futuro con speranza, perché sappiamo che nostro Signore Gesù Cristo è il Maestro della storia e che nelle sue mani giace tutta la nostra storia e la nostra vita. Con lui e per mezzo di lui siamo sicuri che “tutte le cose funzionano per il bene per coloro che amano Dio” (Rm 8:28).

 Tobias Lehner - ACN

Centinaia di migliaia di cristiani stanno cercando di lasciare il Libano dopo l'esplosione dello scorso agosto, sollevando timori per il futuro della Chiesa lì.

 I media libanesi hanno riferito che circa 380.000 richieste di immigrazione sono state presentate in seguito all'esplosione. Padre Chlouk ha sottolineato come in tutto il Medio Oriente il numero dei cristiani sia crollato.

 L'Iraq aveva 1,5 milioni di cristiani prima del 2003, ma ora potrebbero essere meno di 150.000.

 In Siria, si stima che i cristiani fossero meno di 500.000 a metà del 2017, in calo rispetto ai 1,25 milioni prima dello scoppio della guerra nel 2011.

"Nonostante tutto, guardiamo al futuro con speranza, perché sappiamo che il nostro Signore Gesù Cristo è il maestro della storia e che nelle sue mani giace tutta la nostra storia e la nostra vita".

 https://acnuk.org/news/lebanon-we-want-out/