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mercoledì 11 dicembre 2013

Damasco: l'ospedale italiano che resiste in guerra


Salesiani soccorrono feriti e aiutano famiglie in difficoltà

ANSAmed) - DAMASCO - Per arrivarci basta dire al tassista che si vuole andare dai "Telieni", gli italiani. E' qui, nel quartiere di Mazraa, che dal 1913, sotto la direzione delle suore salesiane, opera l'Ospedale Italiano di Damasco. Un centro chirurgico dove sono stati curati profughi palestinesi, iracheni e semplici cittadini siriani e che da due anni soccorre gratuitamente i feriti dei bombardamenti e delle autobomba che colpiscono la capitale.

"Ci sono stati giorni in cui sono arrivati 30 feriti, li abbiamo sistemati anche nei corridoi, dandoci da fare tutti come potevamo, medici, infermieri e suore", racconta la madre superiora, Annamaria Scarsella, trasferita in Siria nel 2011 dopo 41 anni passati nelle scuole e nelle missioni del Messico, compresa la regione del Chiapas. 
Fuori di tanto in tanto si sente il rumore delle cannonate che partono dalle postazioni governative verso i sobborghi ribelli, che a loro volta colpiscono quasi quotidianamente il centro della capitale con colpi di mortaio e razzi. Uno di questi ha centrato  la nunziatura apostolica, distante un paio di chilometri da qui, senza provocare feriti. Ma su altri quartieri periferici abitati da cristiani i bombardamenti sono continui. Come quello di Jaramana, nel sud della città, dove dall'inizio del conflitto sono caduti 2.800 obici. 

A raccontare la storia dell'ospedale, ospitato con i suoi 55 posti letto e 70 medici in un edificio vecchio ma ordinato, è una suora siriana, Widad Abiad, che lo conosce da quando aveva 13 anni, avendo frequentato la scuola salesiana annessa prima che questa fosse nazionalizzata, nel 1967. "Quest'anno è il centenario del nosocomio, fondato dall'egittologo Ernesto Schiapparelli. Durante la Seconda Guerra Mondiale è stato occupato dai britannici, ed è rimasta solo una suora a fare la guardiana. Poi l'attività è ripresa". 
L'ospedale è oggi un punto di riferimento per la popolazione, nella tempesta che scuote la capitale. Così come il vicino oratorio e centro catechistico dei Salesiani, frequentato da 200 bambini e 300 giovani, che cura anche la distribuzione di cibo per famiglie in difficoltà, attività di aiuto psicologico e corsi di formazione e sostegno scolastico.
 "Accogliamo ragazzi cristiani di qualsiasi rito", sottolinea il responsabile, il prete venezuelano Alejandro Josè Leon. Con i suoi 34 anni, il maglione, i jeans, il fisico atletico e i modi rilassati, non è molto diverso dai ragazzi più grandi della comunità che giocano a calcetto in cortile. Abu ("padre" in arabo) Alejandro ha passato due anni ad apprendere l'arabo in Egitto e poi ha studiato cinque anni in Italia, continuando ogni estate a venire a Damasco o Aleppo a lavorare. Da tre anni vive qui. 
Ad aiutarlo un aleppino di 29 anni, Munir Hanashi, appena ordinato sacerdote dopo cinque anni di studio a Torino. Un altro salesiano della comunità è Luciano Burati, 65 anni dei quali 25 passati a Qamishly, vicino alla frontiera con la Turchia, che ora gestisce una casa dell'ordine a Kafrun, nella provincia di Homs. Qui, nella Wadi al Nasara (La Valle dei Cristiani), sono ospitati 40 sfollati da Aleppo. 

"Le famiglie in difficoltà nella nostra comunità sono tante", dice padre Leon. "Molti impiegati nel turismo o nelle ambasciate europee che hanno chiuso hanno perso il lavoro. Tutto questo si aggiunge ai pericoli quotidiani. La maggior parte dei nostri ragazzi viene da quartieri popolari, in particolare Dweila e Jaramana. Ogni giorno dobbiamo valutare i rischi e decidere se mandare o meno i pullman a prenderli. Una volta è successo che un mortaio è caduto davanti e uno dietro a un nostro mezzo pieno di bambini".


 Eppure l'estate scorsa 150 ragazzi hanno celebrato con una festa la Giornata mondiale della gioventù. "Tutti - dice padre Alejandro - sono stati toccati dalla guerra. Chi ha avuto un cugino ucciso, chi un amico, chi un vicino. In questa situazione c'è chi dice: 'Se esiste Dio, come può permettere questo?'.
 Ma altri, che prima venivano all'oratorio solo per giocare, adesso mi dicono: 'Abu, ho capito, non c'è altro che Dio'. Tra i nostri giovani c'è una nuova fioritura di fede, c'è un ritorno di vita evangelica".

http://ansamed.ansa.it/ansamed/it/notizie/rubriche/cronaca/2013/11/06/Siria-ospedale-italiano-che-resiste-Damasco_9578325.html


Siria: attendiamo con coraggio l’alba di un nuovo giorno

da :“Aiuto alla Chiesa che Soffre” (ACS)

«È stato il giorno più difficile della mia vita e l’ho affrontato con coraggio, affidandomi completamente a Dio affinché mi suggerisse le parole da rivolgere ai miei fedeli». Così padre Firas Lufti, frate siriano appartenente alla Custodia di Terra Santa, ricorda quando ha celebrato i funerali di padre François Murad, il religioso ucciso in Siria lo scorso giugno.

Fra Firas racconta ad Aiuto alla Chiesa che Soffre i mesi trascorsi come parroco a Knayeh, nella valle dell’Oronte, quasi al confine con la Turchia. E ripercorre la giornata del 23 giugno, quando ha dovuto recarsi nel vicino villaggio di Ghassanieh per recuperare il corpo senza vita di padre François. «Alle sei di mattina alcuni fedeli hanno bussato alla mia porta per dirmi che il convento di Ghassanieh era stato bombardato e che François era morto. Il mio pensiero è andato immediatamente alle tre suore e all’altro religioso, padre Philippe, che abitavano nel convento di Sant’Antonio da Padova». Giunto sul posto Fra Firas capisce che non si è affatto trattato di un bombardamento, dal momento che l’esterno dell’edificio non aveva subito danni. L’interno della chiesa è stato invece devastato: i banchi e le statue distrutte, il tabernacolo aperto. All’ingresso del convento giace il cadavere di padre François, riverso nel suo sangue. «Ad ucciderlo non era stato un missile del governo come mi era stato detto, ma dei colpi di arma da fuoco». Accanto al corpo, tre uomini armati. Dal loro accento è facile dedurre che non sono siriani. «Mi hanno riferito anche di un ceceno presente nell’edificio che continuava ad inveire contro il povero padre François. Per fortuna non mi ha visto, altrimenti avrebbe potuto uccidere anche me».

In un’altra stanza del convento, al piano superiore, vi sono le tre suore del Rosario «terrorizzate e distrutte». Fortunatamente quel giorno Padre Philippe, il parroco, si trovava a Latakia e così la sua vita è stata risparmiata. La notizia della morte del religioso diffonde il terrore la piccola comunità cristiana locale.
«Anche se io stesso ne avevo bisogno – ricorda Fra Firas –ho cercato di infondere coraggio e di confortare i fedeli. Durante i funerali non è stato semplice trovare le parole giuste da dire, parole che non fossero interpretate come un messaggio in favore del governo o dei ribelli. Io non sto con nessuno, se non con il Signore e con i miei fratelli, che sono cittadini siriani e in quanto tali hanno diritto ad abitare queste terre e a vivere con dignità nel proprio paese».



La valle dell’Oronte è un’area controllata attualmente dai ribelli dopo la ritirata dell’esercito lealista. Delle tre parrocchie francescane situate nella regione, Ghassanieh vive la situazione più drammatica: qui si trovano molti miliziani qaedisti, per lo più stranieri, provenienti dall’Afghanistan e dalla Cecenia. A Jacoubieh vi sono invece una quarantina di gruppi ribelli, composti in maggioranza da siriani e spesso in lotta fra loro. quella di Knayeh è invece una zona controllata per lo più dall’esercito siriano libero, sebbene anche qui non mancano «elementi fanatici che desiderano imporre la sharia». 
«Quando sono arrivato a Knayeh lo scorso aprile – afferma il frate – ho trovato una situazione terribile. Quasi ogni notte ero costretto ad uscire per controllare se qualcuno era rimasto ferito o ucciso dai missili che cadevano ripetutamente sul villaggio». Sono circa trecento i cristiani che hanno scelto di rimanere nel piccolo paese anche dopo la ritirata dell’esercito siriano ufficiale. «Sono persone che non hanno voluto schierarsi, eppure il governo li considera complici dei terroristi e i ribelli ritengono che, in quanto cristiani, siano legati al regime. Peraltro quando i gruppi dell’opposizione hanno bisogno di soldi, rapiscono proprio i cristiani». Gli abitanti del villaggio non hanno più di che vivere: in molti hanno perso il lavoro e i contadini sono stati derubati del loro raccolto.

Fortunatamente le famiglie povere possono contare sulla solidarietà del convento francescano di San Giuseppe. Ogni mese i frati donano farina, riso e zucchero e offrono ospitalità a chiunque ne abbia bisogno, di qualunque fede. «Il nostro convento ha perfino ospitato alauiti e sunniti insieme, rendendo possibile la loro riconciliazione». In molti giungono a Knayeh anche per le amorevoli cure di Suor Patrizia, religiosa italiana del Sacro Cuore Immacolato di Maria. «Nonostante la mancanza di medicine e le terribili condizioni psicologiche nelle quali vive, Suor Patrizia ha deciso di rimanere in Siria per curare le malattie e asciugare le lacrime di chiunque abbia bisogno del suo aiuto. Tanti musulmani percorrono svariati chilometri per farsi curare da lei, perché sono convinti che la sua mano sia benedetta».

Pensando al futuro del suo paese, Fra Firas crede che la pace possa essere raggiunta attraverso il concreto impegno di tutte le parti coinvolte: non soltanto il regime e l’opposizione, ma anche tutti i soggetti internazionali che sostengono e finanziano l’una o l’altra fazione.

Un’opportunità potrebbe essere rappresentata dalla possibile conferenza di Ginevra, che proprio in queste ore è stata ulteriormente posticipata.

«In Siria si combatte una guerra mondiale a spese di cittadini innocenti. Ogni giorno questa causa maggior dolore, amarezza, morti e distruzione, ma non dobbiamo perdere la fiducia nel futuro. Ecco cosa ho imparato dai mesi trascorsi a Knayeh: dobbiamo continuare a sperare e ad attendere con coraggio l’alba di un nuovo giorno».

http://acs-italia.org/notizie-dal-mondo/siria-attendiamo-con-coraggio-lalba-di-un-nuovo-giorno/#.Unz9XG1d7wo

10 dicembre 13 : bufera di neve si abbatte su gran parte della Siria.... è iniziato un terribile, rigido inverno,
non dimenticatevi di noi !