Un territorio di 350 chilometri quadrati, dei quali 250 in Libano e 100 in Siria è il nuovo teatro dello lotta per lo sradicamento del terrorismo islamico di Al Nusra in Medio-Oriente. Per l’esercito libanese è “finalmente giunta l’ora di chiudere il fascicolo dei disordini a Jerud Arsal” nell’estrema Bekaa, nel nord-est del Libano al confine con la Siria.
L’avanzata dei terroristi islamici che intendevano creare una continuità territoriale di Daesh e Al Nusra da Aleppo, Idleb lungo il nord del Libano fino ad arrivare a Tripoli sul Mediterraneo è fallita, grazie alla resistenza della popolazione, dell’esercito libanese e di Hezbollah. Alcune forze finanziate da Paesi esteri hanno sempre voluto presentare l’invasione di Daesh e Al Nusra con Hezbollah come una guerra interconfessionale. Ma i crimini commessi dai terroristi islamici, fra l’altro lo sgozzamento e il rapimento di soldati di varie confessioni religiose ha subito svelato il loro vero volto.
Ieri l’esercito libanese ha fatto ingresso nei campi profughi siriani con l’intenzione di salvare i civili dagli scontri attesi per i prossimi giorni. La vicenda ha dato luogo a una campagna diffamatoria contro i siriani in generale con forti connotazioni razziali e la chiara intensione di far scoppiare scontri fra libanesi e siriani presenti nel Paese dei cedri (ormai quasi 2 milioni di profughi siriani in Libano su una popolazione di 3 milioni e mezzo di libanesi).
Per disinnescare la mina il presidente della Repubblica Michel Aoun è intervenuto ieri pubblicamente per definire “inaccettabile” la demonizzazione dei siriani come tali, fermando il crescendo delle dichiarazioni anti-siriane e ripuntando la bussola sul vero problema, ossia sulla presenza dei fondamentalisti islamici che da anni trafficano attraverso il confine con la Siria, tentando allo stesso tempo di invadere il nord del Libano e creare un principato di Daesh nella seconda citta libanese, Tripoli e accerchiando cosi la regione alauita con capoluogo Latakia.
Libano, il dramma dei profughi siriani
Terrasanta. net 20 luglio 2017
di Fulvio Scaglione
Con 6 milioni e 200 mila abitanti e un milione e mezzo di rifugiati dalla Siria, il Paese dei cedri non ce la fa più. Il peso dei profughi crea una miscela esplosiva. Lo dicono le cronache degli ultimi giorni.
Era evidente che la situazione del Libano fosse potenzialmente esplosiva. Un Paese con 6 milioni e 200 mila abitanti e un milione e mezzo di rifugiati dalla Siria poteva tirare avanti solo grazie a uno di quei prodigi che ne costellano la storia, dai tempi dei fenici ai giorni nostri. Da anni si tirava avanti a prezzo di due sacrifici complementari: quello della popolazione locale, che aveva comunque accolto i nuovi arrivati; e quello dei rifugiati stessi che, nella speranza di un rapido ritorno a casa, si erano adattati a vivere nei campi sapendosi ben poco amati.
Adesso il prodigio pare proprio esaurito. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è la morte di quattro siriani, tutti uomini, arrestati dall’esercito libanese durante un raid nei campi profughi dell’area di Arsal, una cittadina nei pressi del confine con la Siria che nel 2014 era stata occupata per pochi giorni dai miliziani dell’Isis. I militari andavano a caccia di terroristi, sono stati accolti da un lancio di granate e da alcuni kamikaze che, secondo le fonti non ufficiali hanno lasciato sul terreno dodici morti. A quel punto quattro giovani sono stati arrestati e sono rispuntati solo qualche giorno dopo: morti. Secondo i portavoce dell’esercito, per causa naturali. Secondo le organizzazioni umanitarie, corroborate da impressionanti fotografie diffuse da alcune testate, perché picchiati e torturati. L’episodio, già atroce in sé, ha fatto saltare il coperchio a una situazione più che precaria. Su Facebook alcuni attivisti dei campi hanno creato una pagina per promuovere una manifestazione di protesta a Beirut. Subito dopo, una manifestazione uguale e contraria è stata convocata, a sostegno dell’esercito, da cittadini libanesi. La prospettiva di uno scontro di piazza era diventata concreta, così il governo ha proibito ogni manifestazione.
È ovvio, però, che si tratta di un cerotto. Dal punto di vista dei libanesi, la presenza dei profughi siriani è un dramma. Dall’inizio della guerra civile siriana il loro Paese ha subito decine di irruzioni e attentati da parte dello Stato islamico e di formazioni analoghe che, con ogni evidenza, hanno nei campi profughi informatori e complici. La Banca Mondiale, inoltre, ha calcolato che oltre 200 mila libanesi sono stati spinti nella povertà a causa dell’arrivo dei siriani che, per necessità, accettano anche lavori sottopagati. Sui libanesi, inoltre, agisce anche il ricordo dell’arrivo dei palestinesi. Accoglierli doveva essere una misura temporanea, invece oltre 500 mila di loro sono ancora in Libano. E proprio la presenza dei palestinesi, e le divisioni intorno alla loro causa, fu una delle scintille che accesero la lunga (1975-1990) e terribile guerra civile che quasi distrusse il Paese. Anche per i siriani, ovviamente, dover vivere sotto le tende in Libano, mal sopportati e duramente controllati, è drammatico. E lo dimostra il fatto che dopo il raid dell’esercito libanese ad Arsal, quasi 500 di loro hanno riattraversato il confine e sono tornati in Siria, preferendo la patria in guerra a un’accoglienza che sa di prigionia. Sempre più si capisce, comunque, che anche i profughi possono essere usati come un’arma. E la destabilizzazione del Libano, da sempre, è un obiettivo che fa gola a molti.