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mercoledì 30 gennaio 2019

La Siria nella Bibbia

La Via Maris (viola), King's Highway (rossa), e altre antiche rotte levantine,  1300 a.C.
(By Briangotts at the English Wikipedia, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=2261499)




Traduzione di Gb.P. per Ora pro Siria
Ringraziamo per la segnalazione il professor Riad Matqualoon








Geografia e divisioni politiche, antiche e moderne
Un paese dell'Asia occidentale, che in tempi più recenti comprendeva tutta quella regione delimitata a nord dagli altipiani del Taurus, a sud dall'Egitto, a est dalla Mesopotamia e dal deserto dell'Arabia, e ad ovest dal Mediterraneo; includendo così con la sua area i paesi antichi e moderni di Aram o nord Siria, una parte dei regni Ittiti e Mitanni, la Fenicia, la terra di Canaan o Palestina e persino una parte della Penisola Sinaitica. A rigor di termini, tuttavia, e specialmente dal punto di vista della geografia biblica e classica, che è quella seguita in questo articolo, la Siria è costituita da quella parte di territori sopra menzionati che è delimitata a nord e nord-ovest dal Taurus e Asia minore a sud dalla Palestina, a est l'Eufrate, il deserto siro-arabo e la Mesopotamia, e ad ovest dal Mediterraneo.
La parte settentrionale è elevata, l'est è pianeggiante, estendendosi al deserto siro-arabo; il nord-ovest è coronato dalle montagne Amanus e Taurus, mentre le montagne del Libano e l'Anti-Libano sono fasce parallele a nord della Palestina o a sud della Siria. Tra queste due catene si trova la lunga e stretta valle chiamata Cæle-Syria (Valle Syria). I suoi fiumi principali sono Litâny (Leontes), Oronte (Al-'Asi) e Barad o Abana. La Cæle-Siria varia da tre a quattro miglia a quindici miglia, e in alcuni punti è spezzata dagli speroni sporgenti delle catene del Libano. Alla sua estremità settentrionale si curva a ovest e si apre verso il Mediterraneo. Ha due pendenze, una a nord e una a sud, ed entrambe sono fertili e belle. Questa valle è sempre stata un'importante rotta di viaggio tra la Mesopotamia, la costa mediterranea, l'Arabia e l' Egitto. Tutta la Siria, tuttavia, ha una lunghezza di circa 250 miglia e una larghezza media di 130 miglia, con un'area totale di circa 32.500 miglia quadrate. Le più importanti città della Siria nei tempi antichi erano Damasco, Karkamish, Hama, Baalbec, Palmyra o Tadmur, Ribla, Antiochia, Dafne, Seleucia, Abila, Calcis, Lybo, Laodicea, Aretusa e Apamea, mentre le famose città di Tiro, Sidone, Berito Biblo e Arado appartengono propriamente alla Fenicia. Le città più importanti della più recente Siria erano Alexandretta, Antakia, Beirut, Aleppo, Latakyah, Hamah, Homs, Tripoli, Damasco, Sayda, Akka e Jaffa .

e tu pronuncerai queste parole davanti al Signore tuo Dio: Mio padre era un Arameo errante...” ( Deut. 26,5)
Il nome "Siria" era ritenuto in passato essere abbreviazione di "Assiria" o derivato da Tsur (Tiro), quindi da Tsurya, e che era di origine greca. Ciò, tuttavia, è insostenibile, poiché il nome, con tutta probabilità, deriva dall'antico nome babilonese Suri, applicato originariamente alla porzione nord-orientale dell'attuale Siria. In seguito il nome Siria fu applicato dai Greci e dai Romani a tutta la Siria, o al paese che giaceva tra l'Eufrate, il Mediterraneo, il Taurus e l' Egitto . Dai Babilonesi e dagli Assiri fu chiamato "Amurru" (la terra degli Amorrei) e Martu (la terra occidentale). L'estrema parte settentrionale di essa era anche conosciuta come "Khatti", ovvero la Terra degli Ittiti, mentre la regione più meridionale era conosciuta come "Kena'nu" o "Canaan" (Palestina). In arabo è chiamato "Suriyya" (Siria) o "Al-Sham" (il paese situato a "sinistra"), in opposizione a "El-Yemen", o Arabia del Sud, che si trova alla "destra" . Le divisioni politiche e geografiche della Siria sono state numerose e variate costantemente.
Nel Vecchio Testamento viene generalmente chiamata "Aram", e i suoi abitanti "Aramei". Ma c'erano diversi "Arams" biblici, vale a dire: "Aram-naharaim" o "Aram dei Due Fiumi", cioè Mesopotamia; "Paddon-Aram" (la regione di Haran), nell'estremo nord della Mesopotamia; "Aram-Ma'rak" a nord della Palestina; “Aram-Sobah”, ecc... L'Aram Siriana tuttavia, che corrisponde alla Siria classica, è generalmente chiamata nell'Antivo Testamento "Aram di Damasco" dalla città principale del paese. È di questi Aramei, o Siriani, che occuparono la Siria centrale, con Damasco come capitale, di cui si parla maggiormente nell'Antico Testamento.
Risultati immagini per damasco portico di gioveDurante le dominazioni greca e romana le divisioni politiche della Siria erano indefinite e quasi inintelligibili. Strabone menziona cinque grandi province: 1) Commagene, un piccolo territorio nell'estremo nord, con Samosata per capitale, situata sull'Eufrate; 2) Seleucia, situata a sud del primo, e suddivisa in quattro parti, secondo il numero delle sue città principali, vale a dire: Antiochia Epidafne, Seleucia in Pieria; Apamæa e Laodicea; 3) Cæle-Siria, comprendente Laodicea e Libanum, Chalcia, Abilene, Damasco, Ituræa e altri più a sud, inclusi in Palestina; 4) Phenicia; 5) Judæa. Le divisioni di Plinio sono ancora più numerose di quelle di Strabone. Sembra che ogni città crescente d'importanza abbia dato il nome a un territorio circostante, più grande o più piccolo, e questo nel tempo assunse il rango di provincia. Tolomeo cita tredici province: Cammagene, Pieria, Cyrrhestica, Seleucia, Casiotis, Chalibonitis, Chalcis, Apamene, Laodicea, Phénicia, Cæle-Syria, Palmyrene e Batanea, e dà una lunga lista delle città in esse contenute. 
Sotto i Romani, la Siria divenne una provincia dell'impero. Alcune parti di esso erano autorizzate a rimanere per un periodo sotto l'autorità di piccoli principi, dipendenti dal governo imperiale. Gradualmente, comunque, tutti questi furono incorporati, e Antiochia fu la capitale. Sotto Adriano la provincia era divisa in due parti: la Siria-Maggiore, a nord, e la Siria-Fænicia, a sud.
 Verso la fine del quarto secolo fu creata un'altra partizione della Siria, che costituì la base del suo governo ecclesiastico : 1) Siria Prima, con Antiochia come capitale; 2) Siria Seconda, con Apamæa come capitale; 3) Phœnicia Prima, compresa la maggior parte dell'antica Phenicia, con Tiro come sua capitale; 4) Phœnicia Seconda, detta anche Phœnicia ad Libanum, con capitale Damasco. 
Risultati immagini per damasco dominazione araba

Durante la dominazione araba, cioè dal settimo al quindicesimo secolo, la Siria era generalmente divisa in sei grandi distretti (Giunds), cioè: 1) Filistîn (Palestina), composta da Giudea, Samaria e una porzione del territorio est del Giordano, la sua capitale era a Ramlah, in seguito prese più rango Gerusalemme; 2) Urdun (Giordania) di cui la capitale era Tabaria (Tiberiade), grosso modo costituita dal resto della Palestina fino a Tiro ; 3) Damascus, distretto che comprendeva Baalbeck, Tripoli, Beirut e l'Hauran; 4) Hams, incluso Hamah; 5) Qinnasrin, corrispondente alla Siria settentrionale, di cui dapprima la capitale era Qinnasrin, a sud di Aleppo, dalla quale fu poi soppiantata; 6) il sesto distretto era la frontiera militare ('awâsim) al confine con i domini bizantini in Asia Minore .

domenica 27 gennaio 2019

Sostegno ungherese a “Ospedali Aperti” – il Cardinale Zenari ricevuto a Budapest

È stato il Primo Ministro ungherese Viktor Orbán a consegnare al Cardinale Mario Zenari, Nunzio Apostolico in Siria, il documento ufficiale che riguarda il contributo ungherese di 1.500.000 EUR al Programma “Ospedali Aperti”. La breve cerimonia è avvenuta il 22 gennaio a Budapest, nell’ufficio del Primo Ministro, dove Viktor Orbán ha offerto un pranzo in onore del Cardinale Zenari.
Il primo Ministro Viktor Orbán ha ricevuto a Budapest il Card. Mario Zenari.
Presenti all'incontro anche il Nunzio Michael A. Blume, il Segretario Generale AVSI Giampaolo Silvestri
e il Ministro per le Risorse Umane Miklós Kásler (foto: kormany.hu)
Durante l’incontro il Primo Ministro Orbán ha ricordato che l’Ungheria è impegnata ad aiutare le comunità e le famiglie bisognose del Medio Oriente, contribuendo ad alleviarne le sofferenze causate dalla guerra e dalla catastrofe umanitaria. La posizione del Governo ungherese, infatti, è che invece di importare i problemi in Europa bisogna portare l’aiuto là dove ce n’è bisogno.
Il Card. Zenari all’Università Cattolica Péter Pázmány in compagnia del Nunzio Michael A. Blume
e del Metropolita greco cattolico Fülöp Kocsis (foto: Magyar Kurír)
Il giorno precedente il Card. Zenari ha illustrato la situazione della Siria durante il convegno organizzato nell’aula magna dell’Università Cattolica Péter Pázmány (PPKE) di Budapest, in collaborazione con la Segreteria per l’Aiuto ai Cristiani Perseguitati ed il programma Hungary Helps del Governo ungherese. Tra le autorità presenti al convegno diversi membri della Conferenza Episcopale Ungherese e Mons. Michael August Blume, nunzio apostolico in Ungheria, nonché Tristan Azbej, Segretario di Stato per l’Aiuto ai Cristiani Perseguitati e Balázs Orbán, Segretario di Stato alla Presidenza del Consiglio ungherese.
Il Segretario di Stato Tristan Azbej (foto: Magyar Kurír)
Nel suo saluto iniziale il Segretario di Stato Azbej ha dichiarato: “Ci sono diverse risposte nel mondo alla grande sfida della nostra epoca: la crisi economica, umanitaria e quella delle migrazioni, e noi riteniamo che le soluzioni scelte dai governi occidentali non siano soddisfacenti. Loro hanno scelto di appoggiare le migrazioni, invitando le persone a lasciare la loro terra d’origine, mentre l’Ungheria sostiene, al contrario, che è interesse precipuo di ogni persona poter rimanere nella propria patria”. Nell’aiutare la Siria il Governo ungherese persegue due obiettivi: contribuire a salvare vite e dare un futuro alle persone. È per questo che l’Ungheria già sostiene cinque scuole siriane e adesso, con il contributo di 1,5 milioni di EUR al Programma “Ospedali Aperti”, finanzierà le cure mediche di circa 4500 pazienti nell’arco di un anno.
Il Card. Zenari ha ricordato in particolare l’esodo dei cristiani dalla Siria: dopo la seconda guerra mondiale essi costituivano ancora il 25% della popolazione, prima della guerra attuale erano il 5-6% e attualmente saranno scesi intorno al 2%. Le cause sono l’emigrazione, ma anche la denatalità dei cristiani. Le Chiese del Medio Oriente corrono il rischio di morire non tanto perché sono distrutte le loro chiese ma perché gli uomini se ne vanno al estero, mentre le famiglie miste seguiranno la religione musulmana. Tuttavia – come sottolinea Papa Francesco – il Medio Oriente senza i cristiani non sarebbe più lo stesso Medio Oriente. Il Cardinale ha parlato dell’operato delle varie organizzazioni cristiane che soccorrono la popolazione in Siria. Ha voluto esprimere la sua gratitudine per l’aiuto del Governo ungherese al Progetto “Ospedali Aperti” (Open Hospitals).
Il Card. Mario Zenari e la delegazione della AVSI ricevuti dal Card. Péter Erdő a Budapest
(foto: Magyar Kurír)
Il Segretario Generale della Fondazione AVSI Giampaolo Silvestri, che ha accompagnato il Cardinale Zenari a Budapest, nell’ambito del convegno ha presentato l’operato della Fondazione e, in particolare, il programma “Ospedali Aperti” da essa gestito. Ha voluto ringraziare il Governo ungherese per essere stato il primo a contribuire con fondi pubblici a questo programma umanitario, nella speranza che altri paesi ne seguano l’esempio.
La delegazione è stata ricevuta, inoltre, dal Cardinale Péter Erdő, Arcivescovo di Esztergom-Budapest e dal Vice Primo Ministro Zsolt Semjén.


Incontro con il Vice Primo Ministro Zsolt Semjén,
in presenza dell'On. György Hölvényi (Parlamento Europeo) e del Segretario di Stato Tristan Azbej
(foto: gondola.hu)

http://ungheriasantasede.blogspot.com/2019/01/sostegno-ungherese-ospedali-aperti-il.html

venerdì 25 gennaio 2019

25 gennaio: memoria di Sant' Anania che battezzò San Paolo a Damasco...


.... dove i cristiani vivono dal 30 dopo Cristo









Le poche notizie certe sulla vita di Anania sono desunte dal libro degli Atti, 9,10-19; 12,12-16. In quest'ultimo luogo, che contiene il racconto di Paolo ai Giudei riguardo alla sua conversione, dice l'apostolo: "Un tale Anania, uomo pio secondo la legge, cui rendevano testimonianza tutti gli Ebrei della città Damasco, venne a trovarmi e, standomi vicino, mi disse: "Saulo, fratello, guarda". Ed io subito guardai. Egli disse: "Il Dio dei nostri padri ti ha scelto perché tu conoscessi la sua volontà e vedessi il Giusto ed udissi una parola dalla sua bocca, perché tu sarai teste dinanzi a tutti gli uomini delle cose che hai visto e udito".

Damasco, la Via Recta
Anania fu, dunque, quel giudeo che, essendo andato a trovare Paolo in casa di Giuda, nella "Strada Dritta", gli restituì la vista con l'imposizione delle mani e lo battezzò.

Se pensiamo che la conversione di Saulo avvenne nel 34 o, al più tardi, nel 36, dobbiamo concludere che Anania si convertì al cristianesimo alla prima ora, e da tutto il racconto di Paolo si può rilevare che egli era un cospicuo personaggio della Chiesa di Damasco, anche se non fu proprio vescovo della città. Non esistono prove, infatti, per affermare che già nel 34 gli apostoli avessero consacrato dei vescovi.


Tuttavia, una tardiva tradizione bizantina, annoverando Anania tra i 70 discepoli, ce lo presenta come primo vescovo di Damasco ed evangelizzatore di Eleutheropolis (ora Bet-Djibrin) nella Palestina meridionale, e ci dice che soffrì il martirio, essendo stato prima fustigato e poi lapidato il 10 ott. del 70 per ordine di Licinio (o Luciano). Anche il Martirologio Romano attribuisce ad Anania Io stesso genere di martirio.

Cappella di San Paolo, costruita da Eustache de Lorey, all'interno dell'arco della porta della vecchia cinta muraria della città di Damasco, detta Bab Kisan


Diverse tradizioni affermano che Anania fu il giudeo che convertì Izate, figlio del re di Adiabene, Monobazo , o che fu un laico, o un diacono (Ecumenio), o un sacerdote (s. Agostino).

casa di Anania
La Chiesa latina celebra la festa di Anania al 25 gennaio assieme alla conversione di Paolo, mentre la Chiesa greca, secondo la tradizione orientale, la celebra al 10 ottobre, data del martirio.

A Damasco, presso la porta orientale, esiste una cappella sotterranea, facente parte di una basilica bizantina ora distrutta, che è venerata come la casa di Anania sia dai cristiani che dai musulmani.
Dal 1920 in numerose indagini E. de Lorey ha esplorato questa cappella.

Damasco: odierno Memoriale di San Paolo
















http://www.santiebeati.it/dettaglio/38650

mercoledì 23 gennaio 2019

In Siria, l'educazione religiosa sta 'aiutando a guarire le ferite spirituali della guerra'


Aiuto alla Chiesa che Soffre

LA CHIESA DI ALTIP, nel distretto di Bab Al-Sebaa, appena a sud del Vecchio Quartiere di Homs, in Siria, è un centro di formazione sia sociale che pastorale. "Molti anni fa era una scuola cattolica, ma poi il governo ha vietato tutte le scuole non statali. Da allora lo abbiamo usato come centro di catechesi, dando istruzione religiosa a giovani e adulti; teniamo anche eventi sociali e giornate sportive qui ", dice suor Samia Syiej, che è responsabile del coordinamento della catechesi per un gruppo di bambini che si preparano per la confermazione.

Suor Samia appartiene alle Suore del Sacro Cuore, una congregazione fondata in Siria e guidata dalla spiritualità ignaziana: "Abbiamo 12 case in tutta la Siria. Sono anche coinvolta nel lavoro pastorale con bambini handicappati. La nostra congregazione è molto attiva e perseguiamo una serie di iniziative, sia pastorali che sociali ".
Suor Samia indica il punto esatto in cui sono cadute le bombe. Dice: "Le famiglie locali ci hanno aiutato a riparare due sezioni del tetto della chiesa che sono state distrutte dal bombardamento. Ma oltre al resto, quello che dobbiamo fare ora è aiutare a riparare non solo il danno esterno, ma soprattutto il danno nei cuori delle persone. Sono una religiosa e la mia prima responsabilità è di dare testimonianza spiritualmente e aiutare le persone. Questo è ciò che mi muove. Abbiamo vissuto la guerra e l'abbiamo vista da vicino. La catechesi è importante per aiutare a guarire le ferite spirituali della guerra".

Lavorando al fianco di Suor Samia ci sono un certo numero di studenti universitari che si dividono tra i diversi gruppi di catechesi e aiutano attivamente in questo apostolato.
"Sono molto consapevole che devo la mia vita a Dio e alle preghiere di persone come Suor Samia", dice un giovane che è attualmente disoccupato. Prestava servizio nell'esercito siriano, che è richiesto a tutti gli uomini abili. Durante un'imboscata fu catturato da un gruppo ribelle e tenuto prigioniero per mesi. Tutti presumevano che fosse morto, ma miracolosamente riuscì a fuggire. "Ringrazio Dio e ringrazio le suore per non aver mai rinunciato a pregare per me. Sono così grato a loro oggi e così ora le sto aiutando come catechista ".
"Non abbiamo mai smesso di offrire il nostro aiuto e le nostre preghiere. Tutto viene fatto attraverso la collaborazione di sacerdoti, religiosi e laici. Lavoriamo tutti insieme per organizzare queste attività e, grazie a Dio, abbiamo alcuni giovani molto attivi ", dice suor Samia.
In Siria, la Chiesa è viva, nonostante più di 7 anni di guerra. I sacerdoti e i religiosi presenti nel Paese sono diventati motivo di speranza.  Suor Samia lavora anche in una casa per bambini con handicap mentali. Dice: "Abbiamo sempre realizzato progetti con l'aiuto di ACS, anche durante i momenti più sanguinosi della guerra. I bambini e gli adulti hanno spesso bisogno di una parola di speranza e vogliono diventare più forti nella loro fede. I bambini vengono in chiesa e possono anche essere molto esigenti. Durante l'estate, ad esempio, abbiamo tenuto un certo numero di campi giovanili, che hanno dato nuova speranza a molte persone. Questo è ciò che ci motiva ".
Nel 2018, l'Aiuto alla Chiesa che Soffre ha finanziato diverse dozzine di programmi pastorali a beneficio dei giovani e dei bambini in tutta la Siria.

lunedì 21 gennaio 2019

Padre Ibrahim da Aleppo: in mezzo alla morte, testimoni della Sua presenza

settimana di preghiera per l'unità dei cristiani ad Aleppo

Intervista di Francesco Inguanti
 
Padre Ibrahim, come è nata la guerra in Siria?
La guerra in Siria è nata dal cuore dell’uomo, che è capace di tanto bene, ma anche di tanto male. Nasce dall’egoismo e dall’avidità personale che è insita in ogni cuore umano. Ma quando questi mali assumono una dimensione comunitaria, si comincia a desiderare le energie economiche di un altro popolo, il vantaggio della sua posizione geopolitica e si pensa di risolvere i propri problemi a scapito di quelli di altri popoli.

E qual è la situazione sul campo?
Siamo giunti ormai all’ottavo anno di guerra; abbiamo censito un anno fa ben 10 eserciti internazionali, presenti sul campo senza nessun coordinamento fra di loro, alcuni più degli altri si fanno la guerra sul territorio siriano; è, dunque, una situazione molto complessa e delicata.

Si può raggiungere la pace?
È difficile fare la pace perché la guerra è più conveniente, per un motivo semplice: perché nel caos, nel disordine si può fare quello che nella pace non si può fare. Per esempio si possono vendere tante armi. Il commercio delle armi ha raggiunto nel Medio Oriente la cifra record di 700 miliardi di dollari, ma tutti pensano che sia molto più alta. Con le armi poi, si possono rubare le case, rapire le persone, appropriarsi delle risorse energetiche e degli impianti industriali. La guerra in Siria conviene a tanti.

Aleppo vive da due anni una situazione meno drammatica di prima?
Non so se è più o meno drammatica di prima. È vero che, dal 22 dicembre 2016, non cadono missili su diversi quartieri aleppini, ma continuano purtroppo a cadere sulla parte ovest della città, in modo particolare su tre quartieri. Giorni fa sono stati lanciati missili pieni di cloro, dai gruppi armati nella periferia di Idlib, che pur non avendo fatto morti, hanno provocato disturbi gravi a 110 persone, che sono state costrette a passare ore o giorni all’ospedale con la maschera d’ossigeno. Quindi, meno o più drammatica non si sa, ma è una situazione assurda.

Quale futuro vede per la Siria?
La Siria era un luogo di convivenza, un mosaico di diversi colori in cui c’era spazio per tutti. Adesso invece si va verso la creazione di zone ad influenza etnica o religiosa maggioritaria. Questo è contro la nostra storia e non risolverebbe il problema della convivenza. Sembra che la comunità internazionale non abbia imparato niente dalle due guerre mondiali. In Medio Oriente è in atto un pezzo della terza guerra mondiale a pezzi di cui ha parlato il Papa. Vediamo quindi nuvole nere che riempiono l’orizzonte; che tutto quello che è successo e succede in Siria è una possibile introduzione a un inverno freddo pieno di fulmini che potrà espandersi come guerra mondiale in tutto il mondo.

E ad Aleppo come si vive oggi?
Una volta Aleppo era la Milano della Siria dal punto di vista dello sviluppo economico: aveva il 60 per cento della produzione economica dell’intero paese. Adesso ha le ali tagliate e non riesce a tornare ad essere produttiva. Soprattutto non c’è lavoro e quindi non c’è sviluppo. I macchinari delle fabbriche sono stati derubati mentre le strutture sono state rase al suolo. Di conseguenza, c’è una povertà incredibile ed inimmaginabile che può trasformarsi da un momento all’altro nella carestia di un’intera città o di un intero popolo.

Ma chi rimane allora in città?
A causa di questa mancanza di futuro la gente continua a lasciare il Paese senza sperare di potervi tornare. Le minoranze e con esse i cristiani sono quelli che soffrono di più. Basti pensare che due terzi della popolazione della Siria e della comunità cristiana sono andati via. Quelli andati all’estero torneranno molto difficilmente, forse potranno tornare quelli spostati in altre città della Siria o in campi profughi del Libano. Abbiamo calcolato che da gennaio di quest’anno 10 famiglie della parrocchia sono tornate ad Aleppo a fronte di 10 famiglie che hanno lasciato la città. Tornando alla domanda, si può rispondere che solo i poveri che non potevano scappare sono rimasti nella città.

Di fronte a tanto male torna sempre la solita domanda: dov’è Dio? Perché rimane in silenzio?
Sicuramente, c’è il Mysterium iniquitatis; alcuni potranno inciampare in quello che chiamiamo il problema del male, accusando Dio di essere assente; è una tentazione. Noi invece vediamo Dio ogni giorno: un Dio soffrente, inchiodato sulla croce, nelle membra dell’umanità sofferente, derubate dalla sua dignità umana. Dio innanzitutto lo adoriamo come presente nelle ferite della popolazione, poi lo vediamo al timone di questa Chiesa in mezzo alle onde più alte di quelle del “mare di Galilea”, lo vediamo ogni giorno che si avvicina con tutta la sua tenerezza per curare noi e provvedere ai bisogni delle sue creature.

In tutto questo voi come riuscite a sopravvivere?
Molto spesso chi chiediamo: come mai noi siamo sopravvissuti? Siamo sopravvissuti a tanti missili, alla mancanza d’acqua, di elettricità e di molto altro. Questo è stato possibile solo perché Lui era presente con tutta la sua forza, una forza di bene, di cura, di provvidenza, che sempre ci ha sorpresi e continua ancora oggi a sorprenderci. Questo lo vediamo ogni giorno nelle piccole come nelle grandi cose, nelle persone che pregano per noi in tutto il mondo, ma anche in tante persone che fanno sacrifici per aiutarci, dal punto di vista concreto e anche i pochi spiccioli si moltiplicano come i pani e i pesci, fino a poter vedere anche gli avanzi. Nella nostra vita quotidiana ad Aleppo, in mezzo ai missili che cadono, noi siamo testimoni della Sua presenza tenera con noi.

Con quali aspettative è andato ad Aleppo?
Quando sono partito per Aleppo avevo le mani nude, ma un cuore disponibile; armato della mia fede e della mia carità. E posso assimilare questa carità coraggiosa e anche creativa a quella di una madre che quando nasce il primo figlio non sa come allattarlo, lavarlo, accudirlo, ma ha un istinto spirituale che la muove a fare ugualmente tutto questo. La carità è una cosa che scoppia dal cuore disponibile e che guida a fare cose che mai hai immaginato. Così sono scattati tutti i miracoli di questi quattro anni della mia presenza ad Aleppo.

Cosa significa in concreto?
Significa che il Signore mi ha chiesto di far fronte non solo ad un compito spirituale, ma di rispondere ad una emergenza che è oltre ogni limite. Ogni giorno mi trovo a fare l’infermiere, il medico, l’ingegnere, il poliziotto, l’architetto, l’assistente sociale. Quindi, come faccio il parroco? Facendo la volontà istantanea di Dio, rendendomi disponibile alle sue ispirazioni ogni istante. Ad Aleppo, è Dio che pianifica e esegue, mentre il parroco di Aleppo è soltanto un servo inutile.

Che cosa vuol dire per lei fare la volontà di Dio in questa situazione?
Non è rassegnazione, si tratta di un’attesa, come quella vissuta in questo periodo di Avvento. Siamo nel buio della notte, ma aspettiamo con certezza che l’alba arrivi. L’alba della pace non è arrivata ancora, viviamo nell’ansia che verrà, in quest’attesa sofferente, pazienti, di un mattino che dovrebbe arrivare, anzi arriverà. Non sappiamo quando, ma dovremo essere pronti e vigilanti.

E fare il parroco?
Tutto il lavoro di sostegno alla popolazione che soffre, cioè il lavoro di emergenza e di ricostruzione, lo sento come parte del lavoro pastorale. Se concepiamo la parrocchia come un “ospedale da campo”, come dice papa Francesco, certamente lì non si può parlare di Dio ad un bambino ammalato o ad una famiglia in difficoltà, prima di curare il bimbo e prima di ricostruire la casa distrutta e prima di pagare un intervento chirurgico cardiaco costoso. La prima forma della pastorale è andare incontro al bisogno concreto immediato. Poi, c’è l’abito che ci fa strada.

Cioè? Si riferisce al saio che indossa?
Sì, perché serve a ricordare a tutti che tutto ha senso a partire dall’evento di Gesù Cristo. È Gesù che mi manda a loro, ed io, frate e sacerdote, sono l’emanazione del Suo Amore e la Sua trasfigurazione nell’oggi della loro vita. Tutto quello che faccio, come servizio umanitario, non è altro quindi se non una testimonianza all’amore di Cristo verso le Sue creature. Quello infatti, che mi ha “rubato il cuore” e mi ha fatto “abbandonare le reti” è Gesù Cristo. Non ho lasciato la mia casa e la mia famiglia per una ideologia umanistica, ma perché me lo ha chiesto Uno che guida la storia e questo mi richiama a dare la vita come Lui.

Ma come si fa a parlare di futuro in un contesto simile?
L’intelligenza della fede ci impone di progettare il futuro, non soltanto di conservare qualcosa del presente. I giovani che si sposano e i bambini che nascono sono il nostro futuro, come Chiesa e come società, e le nostre attenzioni pastorali sono rivolte soprattutto a loro. Il progetto del matrimonio non è un progetto di due fidanzati. È un progetto che inizia con loro, ma che alla fine è un progetto di tutta la società e di tutta la Chiesa. Riconoscere questo, specialmente in una situazione di guerra, è fondamentale per saperlo mettere come priorità, come una cosa che interessa tutti e che tutti devono aiutare a nascere.

Può quantificare quello che state facendo, per avere un’idea?
L’anno scorso abbiamo raggiunto il massimo nella distribuzione di pacchi alimentari mensili a 3.700 famiglie bisognose; quest’anno invece, ci siamo limitati a mille famiglie. E lo stesso vale per l’assistenza sanitaria che ad Aleppo è quasi inesistente. Poi bisognava andare oltre il servizio di emergenza, così abbiamo iniziato con i progetti chiamati “progetti di ricostruzione”. Abbiamo messo mano alla ricostruzione delle case, riuscendo a rimetterne in piedi 1.250, dal 2016 ad oggi, grazie all’aiuto di otto ingegneri. Certo non abbiamo ricostruito la città, ma abbiamo procurato la casa a un numero elevato di famiglie che rischiavano di rimanere senza tetto. In questo campo, quello che abbiamo fatto va ogni oltre misura se si tiene conto che siamo solo una piccola parrocchia latina e non uno Stato. Abbiamo anche avviato 500 progetti di microeconomia per far ripartire il processo economico, per rendere le persone indipendenti dagli aiuti che ricevono.

Ma lei ripete sempre che il primo e più importante obiettivo è la ricostruzione della persona umana. Ce lo spiega?
Certamente la persona umana è quella che ha subìto il danno più forte; ha bisogno quindi di una vera “ricostruzione”. Per questo, abbiamo messo grande attenzione a creare dei progetti educativi dei bambini, per esempio con doposcuola a tanti soggetti molti dei quali considerati “irrecuperabili” dalle istituzioni scolastiche. Abbiamo anche creato ambienti accoglienti per loro (l’oratorio estivo di quest’anno ne ha coinvolto 1.300) aiutandoli a scoprire i propri talenti e a farli sviluppare da tutti i punti di vista, non soltanto dal punto di vista spirituale. Tutto ha l’obbiettivo di far avere al bambino di Aleppo una guarigione e una vita nuova.

Come fate a non rimanere isolati dal resto del mondo?
Siamo stati avvolti dalla tenerezza di Dio. Papa Francesco ha detto che “la Chiesa è la mano tenera di Dio”. Noi abbiamo visto Cristo, sperimentato la sua tenerezza, attraverso parrocchie, chiese, vescovi, sacerdoti e laici che hanno voluto manifestare la loro vicinanza aiutandoci in tanti modi. Le istituzioni sono arrivate alla fine, anche se in ritardo, ma tutto è partito dalla Chiesa e dal Papa che ha sempre parlato del dramma della Siria.

Come ha recepito le più recenti parole del papa all’Angelus su di voi?
Il Santo Padre ha pregato perché i cristiani rimangano in Medio Oriente. Lui sa quale importanza hanno i cristiani per essere ponti tra tante parti, per essere testimoni proprio in quella parte di mondo che ha visto la nascita delle prime comunità cristiane. Questa testimonianza, come egli spiega, passa attraverso “la misericordia, il perdono, la riconciliazione”.

Quindi voi attendete il papa in Siria?
Certo ci piacerebbe che venisse, ma oggi credo proprio che sia impossibile. Domani chissà! In ogni caso lo sentiamo ogni giorno vicino e presente con le sue parole e la sua preghiera. Ci sentiamo amati e voluti bene.

Cosa chiedete a noi che siamo in Europa?
Prima di tutto di pregare per noi, perché la missione della Chiesa ad Aleppo è parte della missione universale della Chiesa. Chiediamo poi a tutti di lavorare ciascuno nel proprio campo con le parole e con le opere per favorire una pace che purtroppo è ancora lontana. E poi chiediamo a voi di seguire le ispirazioni del cuore. Se ciascuno seguisse le proprie ispirazioni del cuore, com’è accaduto a me andando ad Aleppo, potremmo costruire e far espandere il Regno di Dio, non solo in Siria, ma anche in tutto il mondo. La quarta cosa è combattere contro il nostro male, piccolo e personale. Tutto nasce dal cuore dell’uomo, il bene e il male. Contrastare il male nei nostri cuori significa vincerlo in tutto il mondo e far vincere il Regno dei Cieli sul regno delle tenebre.

giovedì 17 gennaio 2019

Siria: la guerra che non han voluto dirci (IIª)

 La democrazia era la scusa; la guerra, l'obiettivo.
Nel 2013, i poteri regionali e internazionali hanno iniziato la loro lotta per dominare sia il Paese che la regione e ridisegnare l'ordine mondiale che conoscevamo.


di Alberto Rodrìguez
traduzione di Gb.P.  per OraproSiria

Dire che la guerra in Siria è iniziata perché il governo ha deciso di ignorare e rispondere con pallottole alle richieste di riforme e maggior democrazia da parte di un settore della popolazione, semplicemente, è ripetere una bugia che non regge.
Le proteste della "primavera siriana" acquisirono immediatamente un carattere violento. Per fare un esempio, il terzo giorno di proteste i manifestanti hanno dato fuoco a Daraa al Palazzo di Giustizia, alla sede di due compagnie telefoniche, al quartier generale del partito Baath e a diversi altri edifici. Già dall'inizio delle proteste lo Stato aveva perso il monopolio della violenza. Il 6 giugno 2011, solo tre mesi dopo le prime proteste e prima che scoppiasse la guerra, gli oppositori giustiziarono 120 soldati siriani. A quella data, c'erano già 400 membri delle forze di sicurezza uccisi e altri 1.300 feriti.
Non fu neppure un'insurrezione popolare. Poco prima delle rivolte di marzo conosciute come "la rivoluzione", nel febbraio 2011 fu fatto un tentativo di indire un "Giorno dell'ira". Fu un fallimento. Anche allora, media come il New York Times affermarono che l'opposizione non aveva una base sociale e che era legata ad organizzazioni fondamentaliste.
Nel 2014 c'erano almeno 81 diverse nazionalità che combattevano nel Paese dalla parte dei "ribelli". Avevano dichiarato una jihad in cui l'unica democrazia valida per i "ribelli" era la legge islamica instaurata attraverso la spada contro un governo che definivano eretico.
Il governo di Assad sapeva fin dall'inizio delle proteste del 2011 che tra i manifestanti con richieste legittime c'erano oppositori islamisti il cui obiettivo era porre fine al Baath. Per questo motivo fece una serie di concessioni, tra cui porre fine allo stato di emergenza e garantire una maggiore apertura politica, che miravano a placare i moderati, soddisfare i conservatori sunniti e alleviare la pressione internazionale. Dal settore più radicale dell'opposizione queste riforme non furono ritenute sufficienti poiché lo Stato restava laico e con un'economia fortemente regolamentata, con i settori strategici nazionalizzati. All'esterno, le potenze ostili non vedevano favorevolmente che la Siria restasse con Iran e Hezbollah all'interno dell'Asse della Resistenza e che gli investimenti e le importazioni straniere fossero ancora limitate per rafforzare il proprio mercato interno, che, come quello bancario, era controllato dallo Stato. Queste misure, nonostante democratizzassero il quadro politico con l'emergere di nuove associazioni e partiti come il Forum Culturale per i Diritti Umani, furono viste dagli islamisti come una debolezza che ruppe la fragile stabilità della Siria, un Paese che prima dei 30 anni del governo di Hafez al-Assad aveva vissuto più di venti colpi di stato in vent'anni.
Abrogare lo stato di emergenza, che vigeva da 48 anni, a tutti gli effetti fu un punto di svolta che permise ai Fratelli Musulmani in esilio e a intellettuali vicini al trotskismo di avvalersi dei meccanismi di propaganda necessari per promuovere le proteste dall'estero e chiedere l'intervento della Comunità internazionale che manteneva forti sanzioni sul Paese. Diversi intellettuali legati all'opposizione seppero utilizzare le tecnologie dell'informazione e della comunicazione alle quali proprio Bashar al-Assad aveva voluto dare impulso nel 2000, ma il loro discorso non fece breccia all'interno della Siria, perché non corrispondeva alla realtà vissuta dalla popolazione e perché nel 2012 Internet aveva ancora una esigua penetrazione nel Paese.
Il conflitto siriano non è mai stata una guerra puramente civile. È, sin dal suo inizio, uno scontro internazionalizzato in cui si affrontano combattenti di tutto il mondo sponsorizzati dalle principali potenze economiche e militari. In effetti, avendo il grosso dei ribelli un carattere fondamentalista, possiamo parlare, piuttosto che di guerra civile, di jihad globale.
Se fossero esistiti i 70.000 combattenti moderati che il primo ministro britannico David Cameron ha detto di aver sostenuto nel 2015 - e che giornalisti come Robert Fisk hanno messo in dubbio ribattendo che ce ne fossero forse appena 700 o anche solo 70 – di sicuro questi non rappresentavano una popolazione abbastanza grande per giustificare una guerra; sono meno combattenti di quelli che hanno perso sia l'esercito siriano che i ribelli separatamente tra il 2011 e la data di annuncio del sostegno. Cameron dovette riconoscere poco dopo che tra i 70.000 combattenti apparentemente moderati che il Regno Unito avrebbe sostenuto, c'erano anche "fondamentalisti" che si rivelarono essere la maggioranza.
Anche il Military Operations Center (MOC) di Amman, composto da Stati Uniti, Giordania, Regno Unito, Francia, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita, svolge un ruolo vitale nel conflitto siriano fornendo supporto economico, militare e logistico ai ribelli e coordinando operazioni congiunte dalla base militare di al-Tanf, situata al valico di frontiera tra Siria e Giordania. Il sostegno economico e militare fornito dal Centro operativo militare di Amman a quelli considerati 'ribelli moderati dell'Esercito Siriano Libero (ESL)' ha fatto sì che gruppi estremisti come la Brigata Osama Bin Laden decidessero di unirsi a esso. Grazie al sostegno indiscriminato degli Stati Uniti, dell'Arabia Saudita, del Qatar e della Giordania a questi gruppi, poterono essere create forti milizie come il Fronte Rivoluzionario Siriano, che fino alla loro sconfitta a Daraa rimasero alleate dell'allora braccio di al-Qaeda in Siria, Jabhat al-Nusra, il più forte gruppo di opposizione fino alla scissione dallo Stato islamico.
Nel 2012 il New York Times ha spiegato come la maggior parte delle armi inviate ai ribelli finiva nelle mani di gruppi estremisti. Forti strutture, maggiore organizzazione ed esperienza militare acquisite su diversi fronti, hanno reso dominante Jabhat al-Nusra. Anche il leader dell'Esercito Siriano Libero, Riyad al-Asaad, ha riconosciuto che Al Nusra era diventata un'organizzazione di riferimento intorno alla quale ruotava la maggioranza dei gruppi ribelli. Figure di spicco dei ribelli, che apparivano come volto visibile della rivoluzione sui mezzi di comunicazione, finirono col mostrare simpatia per al-Qaeda e lo Stato islamico. Con Riyad al-Asaad, altre figure di spicco dei ribelli mostrarono la loro simpatia per al-Qaeda e lo Stato islamico. È il caso dell'ex calciatore siriano Abdul Baset al-Sarout, che nel 2014 ha affermato che queste organizzazioni islamiste condividevano gli stessi interessi e obiettivi dei ribelli.
Il Fronte dei Rivoluzionari Siriani non è un'eccezione, poiché tra i ribelli appoggiati dall'esterno, specialmente dalla Turchia, c'è Ahrar al-Sham, una coalizione di islamisti che durante i primi anni di guerra riuscì a imporsi su gruppi più piccoli. Grazie al supporto turco e del Qatar, nei loro migliori anni hanno avuto 20.000 combattenti e hanno guidato il Fronte Islamico, una coalizione di 45.000 miliziani.
Fin dal primo momento l'opposizione siriana si è organizzata all'estero. Principalmente in Turchia, dove l'embrione dell'Esercito Siriano Libero è stato creato nel 2011, dal momento che il governo di Erdogan e il suo partito, l'AKP, sono legati ai Fratelli Musulmani, che sono quelli che hanno alimentato la violenza nelle proteste sin dall'inizio. Le autorità turche hanno facilitato i ribelli ad attaccare la Siria dal loro territorio, potenziando notevolmente la loro capacità di destabilizzare il Paese quando è arrivato a un punto di non ritorno dopo che le proteste sono degenerate in conflitti tribali con notevole spargimento di sangue.
I ribelli non hanno beneficiato solo del sostegno del MOC e della Turchia. L'organizzazione "Amici della Siria", un gruppo estraneo al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, patrocinato da Nicolas Sarkozy, Stati Uniti, Turchia, Paesi europei (tra cui l'Italia N.D.T.) e petromonarchie del Golfo, ha finanziato organizzazioni islamiste affiliate all'ESL come Faylaq al-Sham , Tajamo Fastaqim, Jaysh al-Mujahideen e Jaysh al-Idlib, le quali sono vicine al raggruppamento dei diversi gruppi jihadisti Ahrar al-Sham. I leader e fondatori di Ahrar al-Sham erano stati rilasciati dalla prigione di Sednaya nel 2011 a causa delle pressioni internazionali in risposta alle richieste dei manifestanti di considerarli prigionieri politici moderati, anche se già in quel momento parlavano nei loro discorsi dell'uccisione dei "nusayríes" e dei "rafida" (termini spregiativi con cui si riferiscono a alawiti e sciiti).
I Fratelli Musulmani, attraverso Mohammed Surur Zein al-Abidin, scelsero di dare sostegno e finanziamento a gruppi meno conosciuti ma anche importanti come Jabhat Tahrir Sūriyya al-Islamiyya, Battaglione Farouq, Suqour al-Sham e la Brigata Tawhid tra molti altri. Tuttavia, la principale scommessa dei Fratelli era Jaysh al-Islam, un gruppo salafita che si impose come il più importante insieme a Ahrar al-Sham e Jabhat al-Nusra, fino a quando il loro leader, Zahrar Alloush, morì in un bombardamento russo, provocando una lotta interna per il potere da cui non si ripresero più.
Nel 2014, gli Stati Uniti entrarono a sostegno dei Curdi dell'YPG (che cercano di creare l'autonomia nei territori sotto il loro controllo in Siria settentrionale e orientale) e di parte dell'Esercito Libero (ESL) nella battaglia di Kobane contro lo Stato islamico. Quando l'Esercito Siriano dovette ritirarsi dal nord della Siria per mancanza di truppe, essendo distribuito su troppi fronti, i Curdi che non vollero essere integrati nelle Forze di Difesa Nazionali presero il controllo della città di frontiera con la Turchia sostenuti dai ribelli dell'ESL che avevano affrontato l'esercito siriano (SAA). L'anno seguente gli Stati Uniti crearono le Forze Democratiche Siriane (FDS) al fine di riunire in un unico gruppo i ribelli più distanti da al-Qaeda e dall'YPG.
Nonostante l'immagine di moderazione che le Forze Democratiche Siriane hanno voluto mostrare in Occidente, ne fanno parte organizzazioni islamiste come la Brigata dei Rivoluzionari di Raqqa che prima del FDS erano alleati di al-Qaeda in Siria, e Liwa Owais al-Qorani, che aveva combattuto a fianco dello Stato Islamico a Tabqa. Nel gennaio 2018, le Forze Democratiche Siriane (FDS) hanno liberato 400 membri dello Stato Islamico che avevano catturato, di cui 120 sono stati integrati nell'SDF di Deir Ezzor e Hasaka.
Oltre alla sponsorizzazione degli Stati Uniti, le FDS hanno ricevuto 100 milioni di dollari sauditi per finanziare la guerra, ma anche per assumere mercenari dalla società di sicurezza privata Castle International.
Nel 2012 il Governo siriano non cadde e le parti in conflitto erano già definite. In tale contesto, il 2013 sarebbe diventato l'anno in cui i poteri regionali e internazionali iniziarono la loro lotta per dominare sia la Siria che la regione e reinventare l'ordine mondiale diversamente da come lo conoscevamo fino ad allora.
In Siria c'è stata sempre un'opposizione moderata.
L'opposizione è stata e continua ad essere una delle questioni più controverse quando si tratta di parlare del conflitto siriano e del suo futuro politico. Cercando di dare voce alle forze di opposizione al governo siriano, l'Europa è riuscita solo a zittirle. Secondo l'Indice Democratico del settimanale The Economist, la Siria è uno stato autoritario, sebbene il suo sistema sia ispirato al modello semipresidenziale francese con un parlamento multipartitico basato sul principio del pluralismo dal 2012, dopo la riforma costituzionale approvata insieme ad altre concessioni per cercare di evitare la guerra - come le elezioni parlamentari dello stesso anno.
Attualmente si possono distinguere due tipi di opposizione: quella ufficiale e quella armata.
All'interno dell'opposizione armata ci sono i ben noti ribelli siriani, che hanno il sostegno dei paesi europei e degli Stati Uniti, e il cui massimo organo di rappresentanza politica è il Consiglio Nazionale Siriano (CNS). All'interno di questo blocco possiamo anche comprendere l'opposizione dei Fratelli Musulmani in esilio, poiché sono la forza di opposizione di questo blocco più organizzata e con una vasta rete di contatti. Il Consiglio Nazionale Siriano, i Fratelli Musulmani e le milizie armate in Siria puntano a rovesciare il Governo siriano attraverso le armi e l'imposizione di una legge islamica, che è il punto comune che unisce tutti questi gruppi.
Dall'altra parte, e messa a tacere all'estero, c'è l'opposizione ufficiale. In essa spicca il Comitato di Coordinamento Nazionale delle Forze del Cambiamento, formato da diversi partiti che puntano sulla soluzione pacifica e guidato dai nasseristi e dal Partito Nazionalsocialista Siriano, in lizza fino all'agosto 2014. 
 Sebbene i membri dell'opposizione ufficiale, come il leader del Partito Socialista Nazionale Siriano (PSNS) Ali Haidar, si considerino avversari e affermino che non si fermeranno fino a rovesciare il Baath, durante la guerra hanno deciso di formare un governo di unità. Ciò che li distingue dall'opposizione armata è che puntano sul modo pacifico per ottenere i cambiamenti, sulla laicità dello Stato e sul rifiuto di qualsiasi tipo di interferenza esterna per destabilizzare il Paese. I partiti dell'opposizione ufficiale hanno il loro quartier generale a Damasco e sono autorizzati a usare le proprie milizie per combattere in guerra, come "Le aquile del turbine" del PSNS, o la Resistenza Siriana, fondata dal comunista Mihrac Ural e associata a gruppi delle forze armate turche come il Fronte di Liberazione Popolare DHPC-C.
Il business delle armi dei Balcani in Siria.
L'industria delle armi non conosce la crisi. Secondo il Progetto di Denuncia della Corruzione e della Criminalità Organizzata (OCCRP), gli Stati Uniti hanno investito più di due miliardi di dollari in armi prodotte nei Balcani per i ribelli siriani (parte dei 12 miliardi che gli Stati Uniti hanno investito nella guerra). Si tratta di armamenti simili alle armi sovietiche e prodotte nei paesi balcanici e nell'Europa orientale con munizioni prodotte in Kazakistan, Georgia e Ucraina. Solo nel 2017, il Pentagono ha avuto un budget di 250 milioni di dollari per addestrare ed equipaggiare i ribelli, di cui 210 sono stati per le munizioni, l'equipaggiamento e le armi. La via principale seguita da queste armi inizia in Bulgaria e Romania. Attraverso il Mar Nero raggiungono le basi americane in Giordania e Turchia; dal 2017 anche via aereo fino al Kuwait. E' allora quando il Pentagono, attraverso il Comando delle Operazioni Speciali degli Stati Uniti, e senza entrare nei dettagli, la CIA introduce armamenti in Siria.
Mentre il Comando delle Operazioni Speciali degli Stati Uniti (SOCOM) provvede a consegnare ai ribelli principalmente armi leggere, il principale fornitore di missili anti-carro BGM TOW ai ribelli è stata la CIA. La sua azione indipendente ha generato molte controversie con il Pentagono, il che ha portato Trump nel 2017 a forzare la cessazione del programma segreto della CIA di supporto per i ribelli. Benché non si sappia che cosa ne sia stato dello stesso, è probabile che gli Stati Uniti abbiano centralizzato la loro campagna di supporto per i ribelli siriani e le FDS solamente attraverso il SOCOM. Questa teoria è supportata dal fatto che il bilancio del Pentagono per sostenere i ribelli è aumentato nel 2018 rispetto al 2017. Il problema di fornire armi ai ribelli senza il successivo monitoraggio sulla effettiva destinazione è che gran parte delle forniture finiscono nelle mani dello Stato Islamico o alle milizie affiliate all'attuale braccio di al-Qaeda in Siria, Hay'at Tahrir al-Sham (HTS) come già accade con altri tipi di aiuti che forniscono.
Le battaglie che hanno cambiato la guerra
La guerra in Siria ha vissuto violente battaglie che aldilà dell'epica bellica hanno rappresentato punti di svolta o, almeno, hanno determinato i movimenti e le strategie dei diversi attori coinvolti in essa:
L'offensiva di al-Qusayr nel 2013. E' in questa battaglia che Hezbollah entrò in guerra. I ribelli persero la possibilità di dominare Homs dopo la sconfitta in al-Qusayr. Dopo questa battaglia, i pochi gruppi che potevano essere considerati islamisti moderati videro che non avevano la capacità di vincere la guerra, così finirono per unirsi ai più radicali che erano la forza principale dell'opposizione armata, grazie al sostegno economico e militare ricevuto dall'esterno oltre che i combattenti importati dall'Afghanistan e dall'Iraq che avevano già esperienza di combattimento. La vittoria di Qusayr è arrivata dopo un anno di continue sconfitte da parte dell'Esercito siriano.
Battaglia di Homs 2011-2014. I ribelli perdono "la capitale della rivoluzione". La battaglia costò la vita a 50.000 persone da entrambe le parti, ecatombe che non sarebbe finita se non fosse stato attraverso la via diplomatica oltre che militare. I ribelli che non presero parte ai Processi di Riconciliazione Nazionale furono evacuati nella sacca di Rastan. In questo modo il governo puntò più intensamente alla soluzione diplomatica volta a ridurre il numero dei morti. Due anni dopo, Idlib sarebbe diventata la destinazione preferita per i ribelli evacuati da diversi fronti, anche se attualmente con l'ingresso della Turchia nel nord della Siria si recano anche ad Afrin e Jarabulus per evitare scontri tra le diverse fazioni di Idlib.
Battaglia di Aleppo, 2012-2016. Aleppo, il motore economico della Siria, fu diviso per quattro anni e divenne il grande mattatoio della guerra. Ha mostrato che nessuna delle due parti era preparata per il combattimento urbano strada per strada. La vittoria dell'Esercito Arabo Siriano (SAA) con il sostegno dei suoi alleati nel 2016 ha segnato una svolta e l'inizio delle vittorie di Damasco. Non sarebbe sbagliato descriverla come la Stalingrado del governo siriano.
La seconda battaglia di Idlib nel 2015. Ahrar al-Sham, al-Nusra e alleati come il Partito Islamico del Turkmenistan (cinesi Uiguri) (*) dominarono tutto il governatorato e lì instaurarono tutte le loro istituzioni. L'Esercito Arabo Siriano crollò nel nord della Siria e resistette a malapena ad Aleppo. È la vittoria più importante dei ribelli.
Battaglia di Kobanê nel 2015. Stante l'insufficienza militare dei Curdi, rimasti soli dopo aver respinto le offerte ripetute di Damasco a integrare le loro milizie YPG nelle Forze di Difesa Nazionale, gli Stati Uniti vennero in loro aiuto entrando direttamente in guerra. Nella battaglia di Kobane finì il mito che lo Stato Islamico era invincibile.
Lo Stato Islamico prende Palmyra nel 2015. Conquistare Tudmur, nei pressi di Palmyra, affermò l'egemonia dello Stato Islamico nel deserto tra Deir Ezzor e Homs. Inoltre, giustiziarono tra 200 e 450 persone, il che divenne un dramma nazionale. Moralmente e militarmente, ISIS si stava imponendo. In breve tempo stavano facendo enormi progressi nella loro campagna orientale. Questa sconfitta del Governo siriano insieme a quella di Idlib, fu la ragione per cui la Russia decise di entrare in guerra a fianco di Assad.
Offensiva di Daraa tra giugno e luglio 2015, conosciuta come l'operazione "South Storm". Fu un'offensiva su vasta scala condotta congiuntamente dal Fronte Sud e da Jaysh al-Fatah contro l'Esercito siriano e le Forze di Difesa Nazionali. L'offensiva fu un fallimento, con 200 perdite contro meno di 40 dalla parte governativa, che segnò l'inizio della fine del Fronte Sud e costrinse la Giordania a ripensare le sue relazioni con Damasco e i ribelli dell'Esercito Libero Siriano.
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Battaglia di Deir Ezzor 2014-2017. La rottura dell'assedio di Deir Ezzor è stata una delle più grandi spinte morali per il Governo. La resistenza della 137ª brigata della Guardia Repubblicana, una forza d'élite, prima contro i ribelli e poi contro lo Stato Islamico, era ritenuta impossibile, considerata la sua situazione di totale isolamento. La rottura dell'assedio segnò un punto di svolta e la fine dell'egemonia dello Stato Islamico nel deserto. La città era rimasta circondata per più di tre anni a quasi 200 chilometri dalla più vicina posizione dei governativi. L'unico aiuto che arrivava era attraverso l'aviazione dell'esercito siriano e anche così era molto scarso a causa del fuoco di contraerea dei ribelli e successivamente dello Stato Islamico. Il 25 agosto 2017, il corpo d'élite dell'intelligence siriana, le Tiger Forces, lanciò un'offensiva attraverso il deserto per rompere l'assedio di Deir Ezzor. Ci riuscì in meno di due settimane, il 5 settembre 2017.
Battaglia di Ghouta 2013-2018. Quando furono neutralizzati, i ribelli finirono di avere capacità di fuoco di mortaio sulla città di Damasco e sulle autostrade che collegano la città con il nord. L'unica resistenza rimasta all'interno della capitale siriana era nel campo profughi palestinese di Yarmouk, dove erano insediati numerosi gruppi ribelli, militanti di Hamas e dello Stato islamico. Anche la vittoria governativa di Ghouta pose fine alla resistenza degli insorti di Yarmouk, che si arresero nel giro di poche settimane.
La battaglia della base aerea di Menagh. Durante il luglio 2012 e l'agosto 2013, l'Esercito Arabo Siriano ha resistito alle offensive ribelli nonostante fosse isolato e senza supporto. Il governo siriano ha usato questa resistenza in modo propagandistico perché lo ha presentato come qualcosa di eroico. Tuttavia, a metà del 2013, l'Esercito Libero Siriano, Jaysh al-Muhajireen e lo Stato Islamico hanno lanciato un'offensiva congiunta su larga scala in cui hanno usato armi anticarro e soprattutto SVBIED (gli automezzi SVBIED sono caricati con esplosivi utilizzati per effettuare attacchi suicidi), prevalendo rapidamente sulle difese dell'Esercito Siriano. Quella che era stata una battaglia esemplare dalla parte del Governo, finì per essere una catastrofe e un incoraggiamento morale per i ribelli. La battaglia fu seguita da una serie di esecuzioni dei soldati che difendevano Menagh e dalla prima grande produzione audiovisiva dello Stato Islamico in inglese, Flames of War. Questa vittoria congiunta con lo Stato Islamico, fu anche festeggiata e applaudita dalla Coalizione Nazionale Siriana, l'organismo creato dall'esterno, coacervo dell'opposizione apparentemente moderata.
(*) A quel tempo tutti i gruppi erano integrati a Jaysh al-Fatah o Esercito della conquista, che finì per dissolversi in scontri all'interno della propria coalizione che ancora oggi persistono.